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Autore: Zury Watson    24/10/2015    1 recensioni
Se il finale di stagione non vi ha soddisfatto, siete nel posto giusto.
Le morti che abbiamo visto nella 3x12 e nella 3x13 non si sono mai verificate, Re Riccardo è rimpatriato e ha rimesso in sesto ogni cosa. Nottingham è stata distrutta ma il suo destino è di essere ricostruita. Robin, Archer e Guy amministrano Locksley non smettendo per questo di aiutare chi ha bisogno e in tale contesto si inserisce Kaelee, una giovane donna arrivata da un villaggio vicino.
Capitoli in revisione (Revisionati 1-16)
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Guy di Gisborne, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ventitre


I Cavalieri Neri

Nottingham.

Un gruppetto di giovani arcieri era di ritorno da Sherwood dopo un'esercitazione guidata da Robin Hood.
L'allegra compagnia, composta da quattro uomini e due donne, scherzava e rideva spensierata nel corso del consueto tragitto che li avrebbe ricondotti nella nuova Nottingham. Il periodo di stenti che aveva caratterizzato gran parte della loro vita ancora agli albori era soltanto un vecchio ricordo, sebbene non fosse trascorso poi così tanto tempo, e se questo era possibile era solo grazie alla spensieratezza tipica della loro età e alla fortuna di aver avuto Robin di Locksley come maestro di vita.
I giovani di tutte le contee dell'Inghilterra erano la speranza concreta di un futuro migliore, di una vita più giusta, erano quel filtro che permetteva a tutti di guardare al mondo con una positività che per molto tempo si era creduta persa e che invece era soltanto rimasta nascosta in fondo al cuore dei più piccoli.
Mentre uno dei ragazzi intonava una canzonetta leggera e una delle ragazze gli rivolgeva lo sguardo smielato di chi è ad un passo dall'innamorarsi, gli altri li prendevano affettuosamente in giro ad eccezione di uno. Il più adulto tra loro, ed anche il più guardingo, a poche decine di metri dall'ingresso alla città Nottingham notò che qualcosa di strano stava accadendo e chiese il silenzio dei suoi compagni. Sulle prime il gruppo non gli badò, ritenendolo il solito rompiscatole, ma poi anche l'altra ragazza presente si accorse degli uomini in nero che sostavano dinanzi alla porta principale come se stessero facendo la guardia. A quel punto tutti si zittirono ed ebbero la sensazione di essere tornati indietro nel tempo a quando lo Sceriffo Vaisey governava nel terrore.
Il giovane adulto si rivolse alla ragazza che per prima gli aveva dato retta e che aveva la fama di essere molto veloce nella corsa.
«Va' a Locksley. Cerca Archer o Guy, informali e torna insieme alla banda», le disse ponendole una mano sulla spalla.
La ragazza abbassò per un attimo lo sguardo, intimidita dalla determinazione di lui e in imbarazzo per quell'inatteso contatto.
«Voi che farete?», domandò con un filo di voce.
«Osserveremo. Attenderemo», rispose sintetico, deciso. Aveva la stoffa del leader.
Lei annuì e lasciò la sua sacca all'amica per poter raggiungere il vicino villaggio nel minor tempo possibile.
«Non azzardarti a tornare da sola», le intimò guandandola dritto negli occhi. «Va'! Corri più del vento!», concluse lasciandola libera.

Chiunque avesse informato il Principe Giovanni in merito alla condizione di Sir Guy di Gisborne doveva essere un tipo assai sbadato - e anche poco furbo dal momento che, una volta scoperto, il denaro ottenuto gli sarebbe servito a poco - perché nel vendere le sue conoscenze aveva dimenticato di dire che l'uomo non viveva più a Nottingham nonostante questa fosse stata ricostruita dopo il fatale scontro tra gli uomini di Robin Hood e il vecchio Sceriffo della contea, prima che Re Riccardo sfuggisse al rapimento orchestrato da suo fratello Giovanni, già al sicuro in Francia. Perciò il Principe aveva inviato i suoi Cavalieri Neri - sei potenti nobili accompagnati da una rappresentanza di cinque giovani cavalieri ciascuno - in città, certo di trovarvi l'ambita preda da eliminare definitivamente poiché aveva osato tradire la sua lealtà a colui il quale era destinato ad essere Re - questo ciò di cui era ancora convinto Giovanni pur essendo stato diseredato e privato delle sue terre dal fratello Riccardo. Né i Cavalieri Neri si erano premurati di raccogliere testimonianze in giro, non volendo contraddire in alcun modo gli ordini del Principe, quindi raggiungere Nottingham convinti di poter catturare, torturare e umiliare un uomo e non riuscire invece a scovare Gisborne da nessuna parte aveva presto scaldato gli animi degli uomini di Giovanni i quali avevano in fretta iniziato a discutere animatamente tra loro sul da farsi, incriminando il Primo Cavaliere - ovvero colui il quale era stato incaricato di gestire e guidare non soltanto i propri cinque, ma anche gli altri nobili e i rispettivi uomini - di tutte le scelte sbagliate, ma in precedenza approvate, che aveva preso, considerandolo l'unico responsabile del reale rischio di aver fatto un lungo e sfiancante viaggio a vuoto. In più alcuni di loro stavano meditando di usare violenza gratuita sulla popolazione di propria iniziativa al fine di farsi dire dove quel tale Gisborne si nascondesse, così da catturarlo, ucciderlo e divenire i favoriti del Principe. Creare il panico tra la gente di Nottingham, però, non era tra i piani di Lord Wyatt il quale era perfettamente conscio della presenza di Robin Hood e dei suoi nei dintorni della città e, memore dell'ultima volta che lo aveva incontrato, preferiva evitare di scontrarsi con lui, cosa che di certo sarebbe accaduta se i cavalieri avessero messo a soqquadro la città.
Questa era la situazione quando Lord Wyatt ordinò di setacciare fino all'osso ogni abitazione, ogni osteria e ogni bottega evitando di essere violenti senza motivo mentre diversi uomini venivano messi a guardia dell'ingresso principale cosicché nessuno potesse uscire o entrare senza che i suoi uomini ne fossero a conoscenza. Se da una parte questo aumentava il rischio che la notizia del loro arrivo raggiungesse Robin, dall'altra arginava la possibilità che gli abitanti di Nottingham corressero a cercarlo.
Questa era la situazione quando il gruppo di giovani arcieri inviò la celere compagna a Locksley nella speranza che tutto filasse liscio.


Locksley.
Mentre correva, la ragazza pensava esclusivamente al compito che le era stato assegnato e faceva leva sul proprio coraggio per non fallire, per non lasciarsi intimidire da Archer o Guy. Soprattutto il secondo non le andava propriamente a genio. Tutti sostenevano che fosse cambiato e in effetti si comportava in modo gentile con l'intera popolazione, che si trattasse di umili artigiani, donne anziane o bambini; aveva anche trovato l'amore in quella giovane donna carina ma troppo bassa per i gusti di Rose - così si chiamava - e accompagnava Little John all'orfanotrofio a volte, eppure lei non riusciva proprio a fidarsi di lui. Il sollievo che aveva provato quando finalmente la ricostruzione di Nottingham era stata completata, era paragonabile soltanto al momento in cui lo Sceriffo Vaisey era morto. Finché aveva abitato a Locksley con la sua famiglia, infatti, Rose era stata costretta a fare i salti mortali per evitare di incontrare Gisborne per strada, così come era stato necessario ripiegare su arco e frecce perché le lezioni con la spada erano impartite proprio da lui. Era un ragionamento sciocco il suo, infantile, e Rose se ne rendeva conto nei momenti di lucidità, ma il suo istinto le suggeriva di stare alla larga da quell'uomo e lei raramente andava contro le sue stesse intuizioni.
Quando raggiunse il villaggio era ormai senza fiato e correva mossa soltanto dalle parole che l'arciere suo amico le aveva rivolto. Non fermò le proprie gambe finché non vide Allan che parlava con il bottaio. Avrebbe preferito incontrare direttamente Archer o qualsiasi altro affiliato di Robin Hood visto che da qualche mese aveva scoperto di avere una simpatia per il divertente ex fuorilegge dai grandi occhi blu, - il quale però si era preso una sbandata per la piccoletta tuttofare arrivata da Edwinstowe portando nient'altro che scompiglio - ma non era il momento di farsi venire un attacco di timidezza o gelosia, così salutò entrambi gli uomini cercando di non sembrare allarmata, per evitare che caos e panico si diffondessero a macchia d'olio. Oltre ad istruire i giovani all'uso di un'arma, Archer, Robin, Guy e John, insegnavano loro il più corretto comportamento da tenere in caso di pericolo e Rose sapeva che la prima regola in circostanze come quella che si era verificata a Nottingham non contemplava l'andarsene in giro gridando alla tragedia.
«Ehi Rose!», esclamò con la consueta allegria Allan. «So di essere un tipo affascinante, ma davvero non è il caso di rischiare il collasso per me».
La ferita inferta dall'amore per Kaelee era ancora in via di guarigione e non sanguinava più come prima, così Allan stava tornando ad essere quello di sempre, quindi non c'era da stupirsi se l'innata simpatia e una buona dose di narcisismo lo avevano reso, a sua insaputa, il protagonista di una situazione davvero imbarazzante.
Rose, infatti, perse il filo logico di ogni cosa e avvampò dimenticando perfino il motivo per cui aveva corso così tanto e così in fretta. Il collasso, a dirla tutta, lo stava rischiando proprio mentre lui le rivolgeva quel sorriso accecante, ma sentiva che dirlo ad Allan non era la cosa migliore che potesse fare, così si sforzò di fare mente locale e cercò di sfruttare la situazione a proprio vantaggio.
«Sì... Non vorrei offenderti, ma sto cercando Archer», gli rispose portando avanti il compito affidatole e, contemporaneamente, tentando di apparire sicura di sé e per nulla interessata all'uomo che aveva davanti. La sua voce aveva traballato un po', ma Rose sperò che Allan non se ne accorgesse.
«Eppure sei arrossita», la provocò lui.
La sua reazione fu un misto tra lo sbuffare ed il sospirare mentre alzava gli occhi al cielo.
«Vuoi dirmi che tu non hai caldo dopo una corsa? E poi, sul serio, ho bisogno di Archer», concluse rivolgendogli una fugace occhiata preoccupata.
Il sorriso di Allan si affievolì appena percepì che c'era una nota d'allarme nel tono che la ragazza aveva usato nell'ultima frase e sentì l'immediata esigenza di congedarsi dal bottaio.


Neanche mezz'ora più tardi, la banda di ex fuorilegge era venuta a conoscenza degli strani movimenti osservati in quel di Nottingham e si era deciso di rimandare indietro Rose insieme ad Allan in modo da tranquillizzare i ragazzi che la attendevano e fornir loro alcune istruzioni. Intanto, Robin e i suoi, in riunione al Maniero, discutevano sul da farsi.
«E se fosse di nuovo Rudyard?», domandò Kaelee disgustata al solo pensiero, ma si convinse subito che quell'eventualità era molto improbabile dal momento che gli scambi con i suoi fratelli dipingevano un Rudyard costretto a rigare dritto e sorvegliato a vista per gran parte delle sue giornate. Come aveva potuto organizzarsi meglio della prima volta nelle condizioni in cui si era venuto a trovare?
«Rose ha parlato di uomini in nero», fece John meditabondo.
«Guardie vestite di nero che controllano la città di Nottigham... Ho paura che lo Sceriffo sia tornato dal mondo dei morti per tormentarci. Noi che ne sappiamo di come vanno le cose laggiù? Lassù... Insomma, dall'altra parte», intervenne Much il quale, ovviamente, si trovava a Locksley insieme a Kate non potendo entrambi stare lontani l'uno da Robin e l'altra da Kaelee.
«Much!», esclamarono in coro Archer, Kate e Luke.
«Che ho detto?», rispose lui sinceramente stupito dal rimprovero ricevuto.
Robin si mordeva l'indice, lateralmente, come era solito fare quando si trovava in difficoltà, quando non sapeva come comportarsi. Per quel che ne sapeva, né Nottingham, né la banda di ex fuorilegge avevano nemici dichiarati. Certo il Principe Giovanni non aveva accettato di buon grado le decisioni prese dal Re suo fratello, ma cosa mai poteva volere Giovanni proprio da Nottingham? Cosa sperava di trovarci, ammesso che ci fosse il suo zampino? Un nuovo Sceriffo forse?
Scosse il capo nel tentativo di mandare via quei pensieri che egli stesso reputò assurdi in quanto privi di un fondamento logico.
Anche Gisborne era piuttosto silenzioso mentre ripensava al racconto fornito da Rose la quale aveva parlato, più precisamente, di guardie a cavallo poste a sorveglianza dell'ingresso principale alla città. Il chiacchiericcio dei compagni divenne un borbottio lontano, un sottofondo ai suoi pensieri che, come quelli di Robin, rischiavano di rasentare l'assurdo. Eppure c'era un filo, benché Gisborne stesse volutamente evitando di prenderlo in considerazione, capace di legare tutti gli indizi portando ad un'intuizione che appariva verosimile se si prendevano in considerazione alcune vicende del passato.
«È sicuramente opera del Principe Giovanni. Ha già provato ad insediarsi a Nottingham, l'avete dimenticato?», intervenne Kate, convinta che l'Inghilterra non avesse altro nemico che lui, Giovanni il diseredato, Giovanni Senzaterra.
Il Principe Giovanni. Nottingham. La corona. Lo Sceriffo. Re Riccardo. Cavalieri.

Mentre qualcuno scuoteva il capo in segno di dissenso, Gisborne obbligò se stesso ad accettare l'idea che, ancora una volta, fosse lui la causa del trambusto.
«Credo che Kate abbia ragione», mormorò, «E se è davvero così, allora dobbiamo raggiungere in fretta la città perché i Cavalieri Neri l'assedieranno nella convinzione che io ne sia a capo».
Intorno a lui calò il silenzio.

Che Gisborne avesse ragione oppure no - e tutti speravano che si sbagliasse - era necessario recarsi a Nottingham per verificare. Sebbene fosse chiaro a tutti che qualcuno dovesse rimanere a Locksley, ognuno di loro aveva una ragione per seguire gli altri fino in città.
Archer non avrebbe permesso ai fratelli di rischiare la vita senza che ci fosse anche lui a difenderli.
Much sarebbe stato l'ombra di Robin e Kate non sarebbe rimasta a guardare.
Luke non se la sentiva di gestire da solo la sicurezza dell'intero villaggio, perciò sarebbe rimasto soltanto se qualcuno lo avesse affiancato.
Little John sapeva di poter essere utile al gruppo, ma non aveva intenzione di permettere ad Alice o John di seguirlo, quindi era nel bel mezzo di una discussione animata, così come anche Kaelee che stava nuovamente ricordando a Gisborne i motivi per cui non le sarebbe riuscito di starsene con le mani in mano.
Tuck cercava di mettere pace nel gruppo, ma si rendeva conto che i sentimenti in gioco non erano compatibili con un vero e proprio accordo.
Naturalmente, e come sempre, fu Robin a decidere per tutti: Tuck, Luke, il piccolo John, Alice, Nettie e Archer sarebbero rimasti a Locksley, pronti però ad intervenire se necessario. Questa scelta fece andare fuori di testa Archer che inveì contro Robin accusandolo di avere la presunzione di saper sempre gestire ogni cosa e di poter comandare tutti a bacchetta.
Robin premette con forza le proprie dita contro la nuca di suo fratello, costringendolo ad una tale vicinanza che la fronte di Archer sfiorò la sua.
«Chi credi che ci tirerà fuori dai guai se dovessimo avere la peggio?», disse più serio che mai prima di allentare la presa. «E poi gli devi un favore», aggiunse indicando Gisborne - che gli aveva salvato la vita proprio a Nottingham nell'ultimo scontro con Vaisey - e regalandogli la tipica risata alla Robin Hood, colma di ottimismo, speranza e un po' di strafottenza.
«A maggior ragione devo venire con voi», ribatté prendendolo per un braccio.
Robin scosse il capo. «A Locksley serve qualcuno che possa mettere gli abitanti in salvo», replicò.
«Tuck è un'ottima guida», fece lui, testardo.
«È vero. Lo è anche più di te, ma non può farcela da solo», rispose Robin guardandolo tanto intensamente da costringere Archer a mollare la presa.
«Perché non resti tu allora visto che ti piace così tanto impartire ordini?», ma mentre parlava si era già avviato fuori dal Maniero, consapevole che non sarebbe mai riuscito a far cambiare idea a suo fratello.


Nottingham.

La ricerca non aveva prodotto alcun risultato positivo - sembrava che Gisborne avesse un tale ascendente sulla popolazione di Nottingham che nessuno avrebbe mai osato tradirlo in alcun modo - e il Primo Cavaliere Lord Wyatt di Rochford sentiva già un sinistro brivido lungo la schiena al solo pensiero di poter deludere il Principe Giovanni. Gli altri cavalieri avevano già iniziato di nuovo a mormorare in merito alla sua incapacità e infelici battute erano dietro l'angolo quando accadde qualcosa di nuovo, finalmente. Uno degli uomini messo a guardia dell'ingresso alla città aveva abbandonato la propria postazione per riferire un'anomalia. Sosteneva, infatti, di aver notato strani movimenti nella vegetazione attorno e non avendo istruzioni su come comportarsi in tale situazione, era tornato indietro per chiederne a chi di dovere. Non trovando Lord Wyatt aveva pensato bene di rivolgersi al Cavaliere Nero che serviva fedelmente da tre anni.
I presenti - giovani sotto il comando degli altri Cavalieri Neri - avevano riso di gusto dandogli dell'idiota.
«I cespugli si muovono! Che sarà mai?», lo canzonò uno.
«Non hai mai sentito parlare degli spiriti che si aggirano per questa città?», disse un altro tentando di apparire serio.
«L'ha detto anche il Principe, ma tu forse dormivi: "Non lasciatevi trarre in inganno dagli echi dei fantasmi. Sono i defunti che cercano giustizia"!», fece un terzo imitando malamente la voce del sovrano.
Sarebbero andati avanti così per ore se nessuno avesse imposto loro un limite.
«Silenzio! Siete più inutili di una spada senza lama nel vostro incessante squittio da topi!», tuonò il veterano, giunto in quel momento.

La banda di Robin Hood si era aggregata al gruppo di giovani arcieri con a capo Allan e insieme erano pronti a mettere in atto un piano. Tanto per cominciare, alcuni di loro avrebbero creato scompiglio tra la vegetazione così da attirare l'attenzione delle guardie. Successivamente il più adulto degli arcieri, un secondo giovanotto suo amico, Allan e Little John si sarebbero avvicinati alle guardie con fare pacifico e con l'intento di entrare in città per raggiungere il resto dei Cavalieri Neri e offrire loro, casualmente, le informazioni che desideravano avere, venendo invece così a conoscenza delle loro intenzioni. Un segnale precedentemente concordato avrebbe fatto capire alla banda rimasta nascosta se le intuizioni di Gisborne erano esatte oppure no.

Raggiunta la piazza principale, dove di solito si teneva il Mercato, situata non molto lontano dalla Chiesa e quindi dal campanile che sarebbe stato il mezzo per comunicare con Robin Hood e i suoi, i due ragazzi diedero vita alla messinscena mentre Allan e John si nascondevano nei dintorni, pronti a dare l'allarme e organizzare il resto.
Il più giovane dei due, nel bel mezzo di una conversazione improvvisata si lasciò prendere da repentino entusiasmo e si rivolse direttamente ai cavalieri.
«Voi siete quelli delle storie che racconta mio fratello!», esclamò facendoli voltare tutti.
«Sta' zitto!», lo rimproverò l'altro, complice, strattonandolo come se avesse voluto portarlo via timoroso delle conseguenze per entrambi a causa della sua sfacciataggine.
«Ma sì, è sicuro! Siete i Cavalieri Neri!», continuò il ragazzo, come se l'altro non esistesse.
A quel punto uno dei nobili si avvicinò rivolgendogli la parola per confermare la propria identità e informarsi su quella di lui.
«Oh, io sono un semplice apprendista. Non sono neanche di Nottingham, ma mio fratello c'era quando voi siete arrivati in città prima che saltasse in aria. Parla sempre di voi. Mi ha detto che vestite rigorosamente di nero, ma solo i più importanti portano un grande anello... Proprio come voi, signore! Non gli ho mai creduto, ma per la miseria, aveva ragione!». E mentre parlava, l'altro arciere si guardava attorno, contava i nemici, valutava le vie di fuga.
Il cavaliere rise di gusto e richiamò i suoi.
«Venite un po' qui! Abbiamo un seguace... Ed è lui tuo fratello?», chiese indicando l'altro arciere.
Il ragazzo sfoggiò un sorriso soddisfatto, come se quelle attenzioni lo rendessero davvero felice anziché nervoso.
«Lui? No, lui è un apprendista come me. Mi ha accompagnato in città perché non potevo presentarmi da solo da Sir Guy per ritirare l'ordine», spiegò con calcolata naturalezza sebbene il cuore stesse per esplodergli nel petto. Sapeva di essere stato incaricato di un compito importante e, impersonando Robin Hood il suo concetto di eroe, non voleva in alcun modo sbagliare e deluderlo, tanto più perché si era fatto avanti spontaneamente quando Robin aveva chiesto chi se la sentisse di svolgere quel ruolo.
I cavalieri si guardarono tra loro.
«Senti, senti... Dovete essere proprio dei bravi ragazzi se il vostro padrone vi affida un servizio presso un nobile. Come hai detto che si chiama?», continuò il cavaliere per avere l'assoluta certezza che quello era davvero il colpo di fortuna che gli avrebbe fruttato una bella ricompensa.
I due giovani si scambiarono una veloce occhiata d'intesa: i Cavalieri Neri avevano abboccato all'amo.
Per sembrare credibile il ragazzo pensò a quanto sarebbe rimasto soddisfatto Robin nel constatare la sua bravura e gonfiò il petto mostrando tutto il suo orgoglio.
«Sir Guy di Gisborne», scandì per bene,
«Ha commissionato al nostro padrone certi tendaggi da fare con stoffe particolari che arrivano da... Uhm... Non me lo ricordo più! E il padrone ha bisogno di alcuni dettagli, ma non poteva venire qui di persona perché ha tanto lavoro da svolgere e...», raccontò, improvvisando.
«Sì, sì, va bene», tagliò corto un cavaliere cercando lo sguardo degli altri.
«Abbiamo qualcosa in comune tu ed io», intervenne il nobile di prima, quello che indossava l'anello e che era a tutti gli effetti un Cavaliere Nero, «Siamo qui per la stessa persona e abbiamo entrambi dimenticato qualcosa», disse spiegando poi che lui e i suoi amici cavalieri erano stati invitati da Sir Guy, ma avevano dimenticato dove esattamente risiedesse ora che Nottingham era stata ricostruita e trovando il vecchio Castello inaccessibile ed evidentemente disabitato, non erano stati capaci di orientarsi e trovarlo.
Allan e John, che avevano ascoltato lo scambio, seppero che era il momento di intervenire e mentre John restava fermo alla sua postazione per offrire eventuali indicazioni ai giovani e tenere sotto controllo la situazione, Allan correva senza farsi vedere verso il campanile della Chiesa. Una volta entrato si scontrò con il campanaro e non potendo convincerlo a fargli suonare le campane dovette tirargli un pugno in pieno volto affinché non gli fosse d'intralcio. A sua discolpa va detto che, lasciandolo a terra privo di sensi si scusò con lui prima di riprendere la corsa. Giunto a destinazione tirò con forza le corde dando vita ad una sgraziata melodia composta di cinque rintocchi.
Il più grande tra i giovani arcieri fu percorso da un brivido e pregò perché tutto andasse per il meglio.

Intanto i fuorilegge e i giovani arcieri rimasti fuori dalle mura della città formulavano ipotesi e pianificavano un eventuale scontro con quei misteriosi cavalieri.
Gisborne, pur avendoli visti soltanto da lontano, si era definitivamente convinto che si trattasse proprio dei Cavalieri Neri di cui tempo prima aveva fatto parte anche lui e aveva condiviso le proprie impressioni con la banda che aveva convenuto con lui, ma sperava ancora che si sbagliasse. Era chiaro che, qualora quelli fossero davvero i Cavalieri Neri, il Principe Giovanni era tornato all'attacco con l'unico intento di appropriarsi di nuovo della Corona, ma la sensazione di Gisborne era che non fosse questo l'unico motivo per cui i cavalieri si trovavano a Nottingham, tanto più perché il Re non si trovava lì. Se il Principe aveva riunito di nuovo i Cavalieri Neri, aveva di certo cercato anche Gisborne e sapendolo ora dalla parte di Riccardo era possibile che avesse inviato i cavalieri per corromperlo o, peggio, punirlo. Questa intuizione lo preoccupava più di quanto non avesse dato a vedere a Kaelee, ma Robin sapeva bene che se Guy aveva ragione, la situazione era potenzialmente molto pericolosa.
«Un rintocco se non c'è pericolo. Tre rintocchi se si tratta dei Cavalieri Neri. Cinque rintocchi se i Cavalieri Neri sono qui per Gisborne», ripeté Much a bassa voce come un mantra, dondolandosi avanti e indietro nella sua posizione accovacciata, assunta per non essere visto.
Quando i cinque rintocchi arrivarono forti e chiari alle orecchie dei fuorilegge, Robin e Guy si fissarono intensamente.
«Mi dispiace», mormorò il secondo.
«Non dirlo nemmeno per scherzo. Ne verremo fuori», lo rassicurò suo fratello.
Tutti i presenti si avvicinarono a Gisborne per offrire il proprio sostegno, tranne Rose, che se ne rimase in disparte con l'altra ragazza ed il cantastorie loro amico mentre l'altro arciere del gruppo si era unito ai fuorilegge come già gli altri due che si trovavano in città.
Sebbene Rose non intendesse rischiare la vita per uno come Gisborne, una parte di lei era in ansia per Allan il quale, invece, la rischiava eccome la propria vita per Gisborne. Per la ragazza era inconcepibile che l'ex fuorilegge mettesse in gioco così tanto proprio per lui.
«Ho sperato e pregato affinché potessimo far ritorno a Locksley in pace, ma ahimé sono costretto a imbracciare di nuovo l'arco per difendere il mio popolo», disse Robin chiarendo poi che nessuno di loro aveva l'obbligo di prendere parte alla battaglia imminente e necessaria.
«Ma noi siamo Robin Hood», obiettò Much a bassa voce, timidamente.
«Noi siamo Robin Hood!», fecero eco Kate e Kaelee con più vigore coinvolgendo anche gli altri.

Little John attese il ritorno di Allan e, mentre i due arcieri discutevano tra loro perché il più grande, come condordato, non era d'accordo sulla decisione di condurre quegli sconosciuti da Sir Guy, insieme a lui diede il via alla messa in sicurezza degli abitanti di Nottingham.
Questi ultimi si erano assai insospettiti nel vedere tutti quei cavalieri abbigliati in nero e molti tra loro - atterriti dal pulsare delle vecchie ferite non ancora completamente guarite - avevano pensato di dover richiedere l'intervento di Robin Hood e dei suoi uomini, ma non sapendo come raggiungerlo senza destare sospetti ed essere seguiti dagli uomini messi a guardia dell'ingresso, avevano confidato nel suo arrivo spontaneo consci che un gruppo di giovanotti era fuori città prima del loro arrivo e Tuck era solito visitare spesso Nottingham, trovandosi infine tutti d'accordo nel non fornire alcuna informazione a quei loschi figuri. Perciò furono tutti lieti e sollevati nell'imbattersi in John e Allan e ne seguirono ben volentieri le indicazioni. Il vecchio Castello, infatti, adibito a fortezza atta ad ospitare la popolazione della città e dei villaggi a ridosso di essa in caso di pericolo, consentì ai due uomini di Robin Hood di indirizzarvi le categorie più a rischio in piccoli gruppi per non dare nell'occhio.
Il Cavaliere Nero, intanto, aveva fatto rapporto, tramite uno dei suoi uomini, a Lord Wyatt il quale aveva deciso di richiamare i cavalieri a guardia dell'ingresso per riunire tutti in piazza ed organizzarsi. Mentre si attendeva l'arrivo del Primo Cavaliere, degli altri Cavalieri Neri e dei cavalieri sottoposti, quelli presenti avevano accerchiato i due giovani affinché non fuggissero portandosi dietro le informazioni su Gisborne. I due sbiancarono, ma non persero la calma neanche vedendosi puntare contro le spade e neanche scorgendo il sospetto negli sguardi dei cavalieri quando dal campanile della Chiesa si diffuse un suono non previsto, improvviso e tutt'altro che piacevole.
«Ma che diavolo...?», ringhiò uno degli uomini.
«Deve essere il campanaro», disse con calma l'arciere più adulto. «Ha l'abitudine di bere un po' troppo», spiegò.
«Sarà meglio per te, ragazzino, se dici il vero», minacciò.

Avendo via libera, gli ex fuorilegge si introdussero a Nottingham correndo e pronti allo scontro perché sapevano che avere un dialogo con gli alleati del Principe Giovanni era piuttosto inutile. Questo non significa che Robin non ci avrebbe provato, ma voleva che quegli uomini sapessero con chi avevano a che fare.
Robin vide Allan scortare alcuni anziani verso il vecchio Castello, annuì compiaciuto e dal momento che alla fine anche Rose e gli altri giovani si erano uniti, diede loro il compito fino ad ora svolto da John e Allan che sarebbero stati più utili sul campo, senza contare che in quattro i ragazzi avrebbero sveltito le manovre di messa in salvo.
Rose rivolse un'intensa occhiata ad Allan, il quale le sorrise prima di sparire dalla vista di lei.
A ridosso della piazza principale ci furono le ultime raccomandazioni e una sorta di saluti che nessuno volle accettare davvero perché ognuno sperava ardentemente che tutti sarebbero tornati a Locklsey sani e salvi e perché
«Gli uomini di Nottingham sono dalla nostra», aveva detto John. Gisborne pregò ancora una volta Kaelee di non prendere parte allo scontro, perché sapeva che la giovane donna avrebbe dovuto ferire o uccidere per salvarsi la vita e lui non voleva che accadesse, non voleva che lei assistesse alla morte di un uomo, non voleva che ne fosse responsabile, ma non ci fu verso. Ci fu un bacio prima che Kaelee si ritrovasse tra le braccia di Kate, sua migliore amica, sorella che non aveva mai avuto. Anche gli altri si abbracciarono velocemente tra loro, consapevoli del rischio che correvano, e in questo clima Robin e Guy si strinsero la mano.
«Sono lieto di averti al mio fianco, anche se attiri un mucchio di guai», mormorò Robin scherzandoci su.
«È per me un grande onore, anche se resti un odioso ragazzino», rispose Gisborne rivolgendogli un mezzo sorriso.
E con un
«Noi siamo Robin Hood!», urlato a gran voce, il gruppo fece il suo ingresso.

Come Robin aveva previsto, fu inutile cercare un confronto pacifico, tanto più perché i Cavalieri Neri tenevano minacciosamente sotto tiro i due arcieri che avevano collaborato con lui. L'effetto sorpresa fu però la carta vincente che consentì loro di sfuggire alla presa e nascondersi nei dintorni.
«Canaglie! Siamo stati giocati! Ecco dunque Guy di Gisborne che sputa nel piatto in cui ha mangiato», gridò con rabbia uno dei Cavalieri Neri, mancando volutamente di rispetto a Gisborne nel privarlo del suo titolo nobiliare, mentre il Primo Cavaliere vedeva manifestarsi dinanzi ai propri occhi tutte le sue paure.
In men che non si dica la piazza mutò in un campo di battaglia come tante altre volte era accaduto in passato, ma mai dalla ricostruzione della città.
Gli uomini in nero erano in tutto trentasei contro i sette della banda di Robin Hood, ma le leggi dei grandi numeri raramente avevano avuto ragione in quel di Locksley e Nottingham se si parlava della banda di fuorilegge che aveva fatto parlare di sé in tutta l'Inghilterra. Molte volte era accaduto che Robin da solo eludesse le guardie dello Sceriffo facendogliela sotto al naso e altrettante in tre o quattro avevano tenuto testa alla scorta di Sir Guy, perciò non c'era da biasimarlo se Lord Wyatt si riteneva un condannato a morte.
Kaelee impose a se stessa di non lasciarsi distrarre dalla preoccupazione per l'uomo che amava ripetendosi che non era necessario darsi pena per lui dal momento che era tra i migliori cavalieri che Robin Hood avesse mai incontrato, come spesso raccontava, e se lo diceva Robin in persona c'era da credergli dopo tutte le avventure di cui era stato protagonista negli ultimi anni. Inoltre, la distrazione rischiava di esserle fatale in un contesto come quello. Era infatti la prima volta per lei e sebbene l'enorme forza che la animava le aveva fatto sguainare la spada in un gesto fluido e sicuro, in cuor suo era terrorizzata dai cavalieri che aveva attorno. Ripensò a Guy e considerò che se era stato un Cavaliere Nero in precedenza, gli uomini contro cui stava per duellare dovevano essere abili almeno quanto lui. Questo non fece altro che spaventarla maggiormente, ma non intendeva darsi per vinta o alla fuga. Del resto Guy stesso aveva sostenuto dinanzi agli altri membri della banda che lei gli aveva dato filo da torcere durante le ultime esercitazioni e questo poteva voler dire soltanto che aveva una reale chance di farcela.
Mentre la sua spada cozzava con quella di un cavaliere, Kaelee con la coda dell'occhio vide Kate duellare coraggiosamente con due uomini. Kate era più abile con l'arco, ma se la cavava bene anche con la spada e aveva più esperienza di lei sul campo essendo stata una fuorilegge insieme alla banda ai tempi dello Sceriffo, perciò Kaelee si convinse che sarebbe andato tutto bene nonostante fossero in evidente inferiorità numerica.
Little John aveva appena messo fuori combattimento il suo avversario e Kaelee non volle domandarsi se l'avesse ucciso oppure soltanto stordito. Non voleva sapere, perché se avesse iniziato a porsi domande avrebbe inevitabilmente dovuto interrogarsi in merito a se stessa: era pronta a ferire un uomo e guardarlo morire?
Il campo di battaglia riecheggiava delle urla dei partecipanti, del vociare degli abitanti di Nottingham che se ne stavano a sorvegliare le vie adiacenti, decisi ad impedire una fuga da parte dei Cavalieri Neri, e del sibilo delle frecce scoccate da Robin, Much e Allan.


Locksley.
La consueta tranquillità regnava nel piccolo villaggio, ma non si può dire altrettanto dell'animo di coloro i quali erano a conoscenza della situazione a Nottingham.
Era trascorso ormai diverso tempo da quando Robin e gli altri si erano allontanati e Acher iniziava a dare segni di nervosismo e impazienza.
«Non resterò qui un minuto di più», asserì l'arciere. Scattò in piedi e recuperò arco e frecce, deciso a cavalcare fino alla città nonostante il divieto di suo fratello e i tentativi di Nettie di fermarlo.
Tuck lo osservò e capì che sarebbe stato inutile cercare di trattenerlo: il ragazzo, per sua fortuna, aveva uno spirito ribelle davvero difficile da domare, qualità che gli aveva garantito la sopravvivenza nei difficili e tumultuosi anni vissuti in solitudine.
Nonostante Archer fosse un uomo forte e sapesse il fatto suo, Tuck non poteva mandarlo a Nottingham da solo, così gli si avvicinò per preparare anche il proprio cavallo.
«Che stai facendo?», gli domandò Archer aggrottando le sopracciglia.
«Non lascerò che tu vada lì da solo, ragazzo», rispose il frate, «Nettie, Alice e il piccolo John se la caveranno bene qui», concluse salendo in groppa allo scuro destriero.
Archer sospirò e annuì, salutò Nettie con un bacio non propriamente casto e infine partì a tutta velocità verso Nottingham.


Nottingham.
Da quando la città era stata ricostruita, la grande porta che ne dava l'accesso veniva chiusa di rado, perciò Tuck e Archer non si scomposero nel vederla spalancata. Ciò che invece attirò la loro attenzione furono il silenzio tombale che sembrava regnare come non mai e l'assenza della banda nei dintorni. Non fu difficile a quel punto comprendere che l'azione doveva essersi spostata altrove e a tendere bene l'orecchio entrambi conclusero che era necessario raggiungere il centro della città quanto prima.
I due arrivarono in piazza nel bel mezzo dello scontro e vi presero immediatamente parte.
«Che accidenti ci fai qui?», ringhiò Gisborne, contrariato, a suo fratello il quale aveva appena ucciso uno dei tre cavalieri che si erano accaniti contro di lui.
«Ti salvo le chiappe, fratello!», esclamò Archer scontrandosi insieme a Gisborne con i due cavalieri rimasti.
Tuck arrivò appena in tempo in soccorso di Much che, concentrato sul proprio obiettivo, non si era accorto dell'uomo che gli avrebbe facilmente tolto la vita a tradimento colpendolo alle spalle. La freccia del fuorilegge andò a segno e quest'ultimo esultò brevemente dando una pacca sulla spalla al frate.
«Sono contento che tu sia qui! E grazie!», esclamò prima di rendersi conto della situazione. «Ehi, aspetta, ma non dovevi essere a Locksley?!», urlò difendendosi da un colpo di spada con il suo caratteristico scudo tondo e colorato.
«Abbiamo cambiato idea», rispose il frate colpendone uno.
«Abbiamo?», domandò Much senza capire. «Guarda che se hai portato qui Alice, Little John ti ucciderà!», aggiunse.
Tuck rise intenerito dalla spontanea ingenuità di quell'uomo e gli spiegò concisamente come stavano le cose.
«Lo sapevo», rispose lui, come al suo solito.

Quando anche i sei giovani arcieri che avevano avvisato Robin Hood della presenza dei Cavalieri Neri a Nottingham decisero di unirsi alla battaglia dopo aver messo in salvo donne e bambini nella fortezza, molti cavalieri erano feriti e alcuni già morti, così Robin fece loro segno di sistemarsi ai piani superiori delle abitazioni attorno alla piazza, in modo da poter essere di aiuto senza rischiare la vita. Anche alcuni della banda avevano riportato ferite, seppure non gravi, ma avrebbero continuato comunque a lottare fino alla fine.
«Tanto per chiedere... Oggi è un buon giorno per morire, John?», domandò Allan al suo amico, con un sorrisetto sulle labbra, consapevole che quello era stato per anni il motto di Little John.
Per tutta risposta l'uomo borbottò un insulto.
«Oggi non è un buon giorno per morire, Allan. Non per noi!», rispose infine abbattendo un altro uomo.
Kaelee si ritrovò a trattenere un gemito quando il cavaliere suo avversario riuscì a ferirla di striscio al braccio, ma non riuscì pensare di rendere il favore che a gran velocità una freccia tagliò l'aria all'altezza del suo orecchio per trovare posto infine nella spalla dell'uomo.
«Archer!», esclamò sorpresa la ragazza, voltandosi.
«Per servirti», rispose lui esibendosi in un breve inchino e abbagliandola con uno di quei sorrisi che stavano tra quello "alla Robin Hood" - ampio e luminoso - e quello "alla Guy di Gisborne" - sghembo e un po' strafottente.
Kaelee alzò gli occhi al cielo e fece in tempo a sorridergli prima che Archer riprendesse a scagliare frecce a destra e a manca cercando di non uccidere finché gli era possibile, così da rendere onore agli ideali della banda. Eppure, come Kaelee ebbe modo di notare, del sangue era stato versato quel giorno e la piazza di Nottingham era stata teatro di orrore e morte nonostante il Re e gli uomini di Robin Hood vegliassero su di essa e sui suoi abitanti. Perciò qualcuno doveva aver necessariamente ucciso quel giorno e contro ogni logica Kaelee si ritrovò a chiedersi chi.
John? Archer? Kate?
Gisborne?
Intanto che quegli infelici pensieri le riempivano la mente, il cavaliere che Archer credeva di aver abbattuto, si rialzò con l'intento di cogliere di sorpresa la ragazza. Per lui era inaccettabile che nessuno di quegli insulsi fuorilegge fosse a terra mentre parecchi suoi compagni d'armi giacevano immobili, perciò voleva vendetta. A guardarla, anche se era di spalle, gli sembrò poco più che una quindicenne e pensò che Robin Hood dovesse aver perso qualche rotella se credeva di poter avere la meglio sui Cavalieri Neri con elementi come lei nella sua banda, ma si rese conto ben presto che aveva sottovalutato la giovane spadaccina.
Qualcosa, sesto senso o istinto di sopravvivenza, riportò Kaelee alla realtà prima che accadesse l'irrimediabile. La ragazza si voltò, la spada ancora in pugno, e vedendo l'avversario in atteggiamento ostile ne anticipò le mosse e affondò la lama nel suo stomaco prima che lui potesse fare altrettanto con lei.
Si guardarono negli occhi per qualche secondo. Poi lui cadde a terra agonizzante e infine si spense.
Kaelee aveva appena ucciso un uomo.

Nel momento esatto in cui Gisborne si trovò faccia a faccia con Lord Wyatt, tutti gli uomini di quest'ultimo si erano arresi mentre quelli di Robin Hood facevano la conta dei danni e si prendevano cura gli uni degli altri, ad esclusione dei sei giovani arcieri che rimasero in posizione, attenti e pronti ad intervenire.
«È me che volevate», esordì, «Ebbene, parlate». La sua voce era bassa e roca nel suo essere calma, fredda e ferma.
A sorpresa, il Primo Cavaliere depose l'arma e cadde in ginocchio dinanzi a Gisborne.
«Parlerò soltanto per pregarvi, per supplicarvi di uccidermi. Sono comunque un uomo morto, ma preferisco morire per mano di un cavaliere onesto che di un Principe ingiusto», mormorò a capo chino.
A quel punto l'attenzione di tutti i presenti era puntata su Lord Wyatt il quale, su richiesta di Gisborne, raccontò nel dettaglio l'intera vicenda non omettendo il prezzo che lui e i suoi uomini avrebbero pagato se fossero tornati dal Principe Giovanni recando notizia di un fallimento, perciò chiese sepoltura per i caduti e libertà per i sopravvissuti, mentre per se stesso ribadì di desiderare nient'altro che una morte veloce.
Gisborne cercò lo sguardo dei suoi fratelli anche se aveva in cuor suo già deciso il da farsi e negli occhi chiari di entrambi trovò la forza per parlare.
«I vostri defunti avranno degna sepoltura e i vostri cavalieri sono liberi di andare via quanto prima, ma non intendo macchiarmi con il vostro sangue», disse Gisborne tendendo la mano a Lord Wyatt che si alzò e per la prima volta davvero ne sostenne lo sguardo. Si erano incontrati quando Gisborne aveva ricevuto l'investitura, eppure il Primo Cavaliere non riusciva a riconoscere lo spietato Sir Guy di Gisborne nell'uomo compassionevole, seppur altero, che aveva davanti in quel momento. «Non sarete mai più un Cavaliere Nero, fuggirete da Nottingham e, senza incontrare ostacolo alcuno, raggiungerete la vostra famiglia e con essa scapperete lontano dall'Inghilterra, dal Principe Giovanni e da questa vita. Cambierete nome e vivrete una vita tranquilla fino alla fine dei vostri giorni», aggiunse stringendogli la mano. «Questo è quanto posso e voglio concedervi».
Lord Wyatt ricambiò la stetta, commosso, e ringraziò lui e Robin Hood per l'opportunità offerta. Infine radunò i sopravvissuti e con loro lasciò per sempre la bella Inghilterra.

Gli abitanti di Nottingham che sorvegliavano le strade attorno non reagirono al passaggio dei Cavalieri Neri, ma appena questi si furono allontanati il campanaro, che si era presto ripreso dal colpo inferto da Allan, suonò a festa le campane della Chiesa richiamando fuori dalla fortezza anche chi vi aveva trovato rifugio.
Lo sguardo di Guy si fermò su Kaelee che aveva trovato un primo conforto in Kate. L'uomo notò che era ferita e in prima battuta pensò che lo sconvolgimento sul suo volto fosse da attribuire a quello, ma poi notò che la ragazza non aveva ancora riposto l'arma, reggendola invece più per un riflesso involontario delle dita che per la reale intenzione di farlo, e mentre rifletteva su quale potesse essere la ragione che l'aveva indotta a restare sulla difensiva nonostante gli avversari avessero lasciato la città, si accorse che la lama era sporca di sangue in tale misura da non lasciare alcun dubbio su ciò che poteva essere accaduto. Lentamente si mosse in direzione di lei e ad ogni suo passo la piazza era sempre più gremita di persone che gridavano il suo nome. Quando la raggiunse la strinse a sé senza dire nulla, perché non c'erano parole in quel momento che potessero esserle d'aiuto e perché le voci dei presenti erano troppo forti per essere sovrastate da una sola.

«Che tu sia benedetto!», dicevano in molti rivolgendosi proprio a colui il quale era stato per anni l'incubo di quella città insieme allo Sceriffo.
«Evviva Sir Guy!», fecero altri.
La folla lo stava acclamando e per la prima volta nella sua vita Gisborne seppe di avere sì ucciso, ma soltanto per salvare centinaia di vite innocenti e in questa nuova consapevolezza Guy trovò la forza per affrontare insieme a Kaelee le conseguenze di quell'impresa.




N.d.A.
Se non mi fossi lasciata prendere dal panico questo capitolo avrebbe visto la luce un po' prima, ma quando mi sono ritrovata a parlare di Rose ho temuto il peggio perché lei non era in programma e ha letteralmente preteso un nome e un ruolo nelle vicende. Ma per fortuna la mia amica Amalia - che non riuscirò mai a ringraziare abbastanza - mi ha restituito il lume della ragione ed eccoci qui!
Ringrazio anche la cara ArwenDurin che non ha trovato assurda la mia idea di richiamare in causa i Cavalieri Neri.
E infine ringrazio voi. Sia che preferiate un passaggio silenzioso, sia che decidiate di condividere il vostro parere.
A presto!

   
 
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