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Autore: rossella0806    24/10/2015    3 recensioni
Philippe Soave è uno psicologo infantile che lavora presso il "Centre Arcenciel" di Versailles, una sorta di scuola che ospita bambini e ragazzi disagiati, a causa di dinamiche famigliari non proprio semplici.
Attraverso il suo sguardo appassionato, scopriremo la realtà personale dei piccoli e grandi ospiti, ognuno dei quali troverà un modo per riscattarsi dalle ingiustizie della vita.
Ci sarà anche spazio per sorridere, pensare e amare!
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L'INCONTRO


Aimée si sentiva agitata ed emozionata: il solo pensiero di rivedere sua figlia, di riabbracciarla e baciarla, le procurava un' infinita sensazione di gioia e di amore.
Quel ragazzo così tanto gentile, l’insegnante di Sophie, le aveva tenuto compagnia per tutta la mattinata: dopo l'iniziale imbarazzo che non le era affatto sfuggito, l'uomo si era lanciato in un entusiasmante tour dei ricordi; per prima cosa, l'aveva accompagnata nell’aula in cui faceva lezione la sua bambina, sulle cui pareti erano stati messi in bella mostra i disegni che, in quei due anni di lontananza forzata, la piccola aveva ritratto; poi, fu la volta dei quaderni, in gran parte ordinati, su cui riportava ciò che diligentemente imparava.
Da un armadio della stessa stanza, l'uomo aveva recuperato le foto di classe in cui l'ex pugile bambina appariva sorridente; infine, l'accompagnò nei laboratori di pasticceria e in quello musicale, tra gli scaffali e le poltrone della biblioteca, nel giardino, piccolo ma molto grazioso, della struttura.
In tutto quel lungo percorso della memoria, attraverso gli occhi del professor Philippe - come la donna aveva insistito per chiamarlo, nonostante le rassicurazioni dell'altro-, Aimée aveva ascoltato affascinata e commossa.
Il ragazzo le aveva assicurato che, dal punto di vista psicologico, sa petite non aveva subito forti ripercussioni: durante le prime sedute, ormai due anni prima, Liliane, la collega che si era occupata inizialmente di Sophie, aveva notato una certa aggressività ma, già dall’anno successivo, le aveva pazientemente spiegato l’uomo, i miglioramenti erano stati netti e in continuo aumento.
La donna era molto orgogliosa di sua figlia e di tutte le belle parole che il professor Philippe le stava riferendo: la direttrice, invece, non la trovava particolarmente simpatica ma, da ciò che aveva capito durante quel veloce scambio di battute alla presenza dell’assistente sociale, era stata troppo precipitosa nel giudicarla, perché in realtà era lì solo per fare al meglio il proprio lavoro, tra cui svettava un compito decisamente difficile, ovvero quello di proteggere la sua bambina e tutti gli altri ragazzi da eventuali pericoli.
“Presto potrà rivedere Sophie …” continuò lo psicologo, notando il silenzio di Aimée.
Dopo il breve giro lungo il perimetro irregolare del giardino, adesso si trovavano seduti su una delle tre panchine in mezzo al prato, poco distanti dallo scivolo e dalle altalene, gli unici giochi presenti, se non si contava la rete per le partite di pallavolo o il canestro per quelle di basket, che venivano montati all’occorrenza.
“Sono molto felice, monsieur, sono tantissimo felice!”
“Lo immagino, signora Zoukra. Anche sua figlia sarà contenta di rivederla, non abbia paura …”
Philippe le sorrise dolcemente e posò una mano su quelle di lei, incrociate in grembo, la pochette nera adagiata sulle ginocchia.
Mancava poco più di un’ora al rientro previsto dei ragazzi dalla gita all’acquario di Parigi: durante quegli attimi trascorsi a fare da improvvisata guida turistica, l’uomo non era riuscito a non sentirsi in colpa, a desiderare di essere in un altro posto.
Il motivo di quel groviglio di sentimenti che non lo lasciava in pace, era da attribuire al semplice fatto di aver dato buca a Liliane, dicendole che la direttrice aveva più volte insistito con lui affinché portasse in giro per il Centre la spaesata Aimée, pur sapendo che quella non era la corretta versione di ciò che era accaduto.
La sua collega, ignara della confusione che stava provando Philippe, si era limitata ad annuire, comprensiva, l'aria raggiante ed emozionata per quell’imminente ricongiungimento.
Si erano perciò dati appuntamento a fine giornata, all’uscita dal cancello della struttura.
“Dove pensate di andare? Non vuole più stare qui a Versailles, giusto?” riprese a parlare lo psicologo, rimuovendo ancora una volta quei pensieri.
La donna scosse la testa, fissandolo con i suoi grandi occhi ambrati.
“Questa città è cattiva: il padre di Sophie è morto poco dopo la nascita della bambina, in Senegal. Allora io partita per Francia, a raggiungere miei fratelli che vivono nella capitale. Loro hanno ospitato me e mia figlia, ma io volevo lavorare e così ho conosciuto Thoulouse, un uomo bello ma con mani pesanti.
Lui era geloso di me, perché io facevo parrucchiera in un piccolo negozio: quando tornavo a casa la sera, lui picchia forte, pazzo! Io dico pazzo perché non ubriaco, lui non beveva. In quei momenti, chiudevo
Sophie nel bagno, così lei non poteva vedere e sentire le mie urla, cosa lui fare a me.
Poi, un giorno, ho trovato forza e ho preso vaso e dato sulla testa di Thoulouse.
Allora, io approfittato per scappare e andare da polizia, per denunciare: loro hanno portato qui Sophie e me in una comunità insieme ad altre donne picchiate. Ho lasciato mia figlia davanti a casa della polizia, con dei vestiti e un biglietto in cui scritto di aiutarla, perché avevo paura che non credevano alle mie parole.
Ma il giorno dopo, loro arrivati a prendermi e a portarmi in comunità, sgridando perché Sophie non era con me, ma io ho detto che fatto per il suo bene, per l’amore che provo per lei.
Il giudice permesso me di telefonare e scrivere a mia figlia, fino all’inizio del processo: poi non ho più potuto telefonare per mia sicurezza, ma solo mandare lettere.
Adesso, Thoulouse in prigione per tanti anni e noi di nuovo libere e insieme, per sempre!”
Se la situazione non fosse stata palesemente tragica, Philippe si sarebbe messo a ridere di quegli strafalcioni verbali che la donna abbondava quando si esprimeva: il ragazzo rimase a guardare ancora per una manciata di secondi il viso perfetto ed elegante di Aimée, deglutendo non appena si rese conto di quel silenzio imbarazzante che stava creando.
Avrebbe voluto farle capire tutta l’empatia che provava per lei, mentre un desiderio quasi insopportabile di stringerla a sé gli stava annebbiando la lucidità; eppure, semplicemente, le sorrise, trattenendosi dal fare altro:
“Quello che avete passato, signora Zoukra, appartiene al passato. Farà sempre parte della vostra vita, ma dovete cercare di non pensarci, perché il dolore e la sofferenza non vi aiuteranno a costruirvi una nuova esistenza …”
“Esistenza?”
“Sì, è come dire vita ... una nuova vita, lei e Sophie, lontano dai tristi ricordi, lontano da qui”
Aimée annuì, gli angoli della bocca incurvati all'insù:
“Le sue parole sono molto importanti, professore, mi danno coraggio. Adesso so che la mia bambina si trova bene con voi, che siete brave persone!”
Lo psicologo abbassò gli occhi verdi, felice per quei complimenti sinceri.
“Manca poco all’arrivo di sua figlia. Nel frattempo, vuole mangiare qualcosa?”
La donna annuì: entrambi si alzarono dalla panchina e si avviarono fuori dal cancello, in direzione del chioschetto ad un lato della strada, dove spesso l’uomo, se aveva fame tra una lezione e l'altra, si recava per prendere una baguette o una focaccia farcita.
“Vorrei offrirle il pranzo, signora Zoukra, mi farebbe molto piacere …” esordì con una punta d'imbarazzo, appoggiando la mano destra sulla corrispettiva tasca dei pantaloni, alla ricerca del portafoglio.
“Oh no, pago io, professore, per ringraziare lei e tutte le persone di aver voluto bene a Sophie. Per favore ... ”
Philippe non ebbe neppure il tempo di ribattere, che Aimée era già intenta a parlare con il venditore, indicando con l'indice due appetitosi panini.
“Aranciata o acqua, monsieur?” gli sorrise lei, le mani occupate da quegli invitanti e profumati involucri caldi.
“Come vuole: quello che sceglie, andrà benissimo anche per me …”
E così, seduti composti su una panchina del giardino del Centre, l'aspetto di due scolari intenti a seguire una lezione all'aria aperta, sfiorandosi appena, l’attesa fu più piacevole in compagnia di baguette e orangeade.



Il pullman arrivò poco dopo le quattro: la madre di Sophie sembrava impassibile; da tanto che era agitata appena qualche minuto prima, adesso sembrava insensibile a qualsiasi emozione.
Respirava appena, per poi ricaricarsi d’aria, a intervalli regolari, con profonde inspirazioni ed espirazioni appena percettibili.
Lo psicologo l'aveva sostenuta fino a quel momento, rassicurandola sul buon esito dell'incontro che si sarebbe svolto a breve.
“Eccoli!” esclamò Philippe, un passo dietro di lei, non appena la vettura si rese visibile ai loro occhi, entrando nello spiazzo di fronte la cancellata aperta.
L’uomo avvertì dei passi dietro di loro: madame Betancourt e monsieur Batignole li avevano appena raggiunti, sorridendo emozionati.
Li degnò appena di uno sguardo, troppo in fermento per l’imminente arrivo dell’ex pugile bambina.
Non stava più nella pelle, perché sapeva da quanti mesi Sophie aspettasse quel momento, così come era facile ed ovvio intuire quanta ansia e quanta felicità stesse provando Aimée.
Lei e lo psicologo avevano parlato sull’eventuale necessità di preparare la bambina a quell’incontro così emotivamente forte, ma poi Philippe aveva optato per uno strappo alla regola: non sarebbe andato dalle colleghe, sul mezzo con il motore ancora caldo, per avvisarle della meravigliosa sorpresa che attendeva una delle piccole ospiti, appena avrebbe messo piede a terra; non sarebbe salito sul pullman per sprecare tempo prezioso in inutili preamboli di circostanza, sicuro di angosciare inutilmente Sophie.
Semplicemente, avrebbero aspettato che lei scendesse e riconoscesse sua madre, la donna che da troppi mesi aveva desiderato riabbracciare.
Non appena vide la prima coppia di ragazzini scendere dagli scalini, seguiti da una fiumana non più così in ordine, Aimée fece qualche passo in avanti, la bella bocca carnosa semi aperta, la mano destra già alzata verso quella folla indistinguibile.
Philippe la stava per seguire, sentendosi sospinto da una forza invisibile, che gli suggeriva di andare, di partecipare a quell’immensa gioia.
Poi, il suo buon senso e i suoi anni, pochi ma buoni, di esperienza come cercatore dell'anima, lo bloccarono all’istante: non avrebbe dovuto immischiarsi in quell’avvicinamento tra madre e figlia, era un momento troppo intimo, troppo forte da reggere, forse persino per le due dirette interessate.
Perciò, rimase fermo al suo posto, mentre i metri che lo separava da quella donna che riteneva bellissima, aumentavano di secondo in secondo.
“Sei emozionato, vero?”
L’uomo si voltò e vide Liliane, sorridente e pronta a stringergli con forza e dolcezza la sua mano sinistra.
“S-sì, sì, un po’. Anzi, parecchio …” concluse con un sorriso nervoso Philippe, ricambiando l’intreccio.
“E’ un momento bellissimo: anch’io l’ho vissuto con due fratellini, l’anno prima che tu venissi a lavorare qui. Ho pianto come se fossi stata io la madre!”
Lo psicologo distolse lo sguardo dalla ragazza, mentre una nuova ondata di senso di colpa lo invase: trovarsi vicino a lei, a quella che a tutti gli effetti poteva e doveva considerare la sua fidanzata, gli incuteva al contempo tranquillità e nervosismo, sentendosi legato da un doppio filo invisibile che aveva il potere di confonderlo ulteriormente.
Guardò verso l'alto, il sole caldo di metà maggio che trapelava dalle fronde della quercia, come a cercare conferme che il mondo non stava cambiando, che era lì a fare il suo lavoro, con la donna che amava, nulla di più e nulla di meno.
Poi, finalmente, sia Aimée che loro due scorsero Sophie, lo zainetto rosso sulle spalle, la maglietta bianca in contrasto con la pelle d’ebano e dei semplici jeans sopra delle altrettanto normalissime scarpe da ginnastica, consumate ai lati.
“Sophie, Sophie, Sophie!!!”
La giornata primaverile di metà maggio venne piacevolmente squarciata dalle grida di giubilo della donna, che prese a correre verso la figlia, sempre più vicina.
La bambina rimase immobile per qualche secondo, forse non realizzando appieno ciò che stava per avverarsi, addirittura non riconoscendo la persona che le stava venendo incontro, le braccia aperte e pronte ad accoglierla.
“Mamma, mamma, sei tu! Oh mamma!!!”
Ed ecco che anche lei si era resa conto dell’identità di Aimée che, finalmente, l’aveva raggiunta e stretta in un tipico abbraccio materno.
Philippe avvertì un brivido corrergli lungo la schiena, gli occhi che bruciavano per le lacrime che stentavano a scendere, perché lui non voleva che corressero giù a rovinare quel meraviglioso e magico momento.
“Ho la pelle d’oca … “ commentò Liliane, per nulla imbarazzata a trattenere il pianto di gioia.
Solo allora, l’uomo si voltò verso di lei e le cinse la vita, avvicinandola: girando il volto nella sua direzione, si accorse di madame Betancourt che singhiozzava sommessamente, pochi passi dietro di loro, sorretta da monsieur Batignole, anche lui commosso, ma un maggior distacco nell’esprimere le proprie emozioni.
Philippe sorrise brevemente ad entrambi, ritornando subito dopo ad osservare la scena in lontananza.
Sophie e Aimée erano ancora avvinghiate in quell’abbraccio tenerissimo, mentre le insegnanti e gli altri ragazzi si stavano allontanando, creando una sorta di cerchio di protezione attorno a loro.
I più piccoli avevano le bocche aperte dalla sorpresa, i più grandi sorridevano e piangevano, desiderando di trovarsi nella stessa situazione della loro compagna.
Persino l’autista del pullman era sceso dal mezzo, impeccabile nella sua divisa composta da una camicia azzurra e i pantaloni blu scuro, eppure emozionato da quello spettacolo sincero e lungamente desiderato.
Lo psicologo strinse con maggior forza la vita di Liliane, come ad essere sicuro che fosse lì con lui, poi riprese a godersi quello spettacolo meraviglioso.
   
 
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