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Autore: ladyRahl    26/10/2015    0 recensioni
Un nuovo caso coinvolge Sherlock e Joan, che si trovano a dover fare i conti con una delle organizzazioni criminali più pericolose al mondo. Le cose sembrano mettersi male, quando un ragazzo attira l'attenzione di Holmes. Cosa si nasconde dietro le sue apparenti intenzioni? Quale strano passato lo tormenta? Per quale motivo Sherlock si sente così legato a lui? Storia che metterà alla luce tratti nascosti del famoso detective, il quale dovrà fronteggiare uno dei suoi più grandi timori, a cui cerca invano di sfuggire: il suo lato più umano.
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'uomo scoppiò a ridere. Era una risata malvagia,tipica di chi si sta prendendo gioco delle persone e non fa nulla per nasconderlo.
Era passata più di un'ora da quando l'avevano rinchiuso in quella stanzetta, in compagnia di un poliziotto e di quello che doveva essere il suo capo. Un quarto uomo stava seduto ad un angolo della stanza: era quello che aveva parlato a Jaroslaw quando aveva cercato di ucciderlo, ma non sembrava un agente come gli altri. Non ci fece caso.
"Vi ho già detto che non so e non vi dirò niente" disse Kalinin, sicuro di sé.
"Questo lo abbiamo capito" rispose calmo Gregson. "Ma non c'è bisogno della tua testimonianza per il fatto che ti abbiamo colto in flagrante mentre dirigevi i tuoi traffici di droga. In ogni caso, una bella vacanza di prigione non te la toglie nessuno"
L'uomo rise di nuovo.
"Sai che novità? Non è la prima volta che succede, sarò fuori prima ancora che possiate rendervene conto"
"Può darsi" continuò il capitano. "Ma sono sicuro andrà diversamente se aggiungiamo anche l'accusa di omicidio ai danni di Igor Savlin ed Evgeniy Volkov"
"Non avete niente in mano!" sbottò Kalinin. "Se aveste le prove, non ci girereste intorno per estorcermi una confessione!"
Sherlock si alzò dalla sedia, emergendo dall'angolo buio della stanza, e si avvicinò al tavolo.
"Avete sentito? Vuole le prove"
Il capitano Gregson si girò e fece un segno d'assenso ad Holmes.
"Non ci stavamo girando intorno. Ti stavamo dando la possibilità di collaborare, magari invece dell'isolamento ti avrebbero riservato un posto in una topaia migliore" spiegò Bell, con un sorrisetto dipinto in volto. "Devo confessare che però è meglio così. Prego, Holmes!"
Sherlock si avvicinò al criminale, annusando i suoi vestiti.
"Che cosa fa? È impazzito?" si lamentò lui.
"Eccolo! Esattamente quell'odore!" disse il detective. "L'odore di quella particolare marca di sigarette trovata sui luoghi del delitto. Inoltre ti ho visto firmare delle carte: sei mancino esattamente come il nostro killer"
"Già, come se fossi l'unico macino a fumare quelle sigarette in tutta New York"
"C'è di più. La tua macchina è sporca, e sai di cosa? Di quella polvere che ha raccolto lungo il sentiero che portava al primo luogo del delitto. La scientifica è già al lavoro per analizzarla"
"Le vostre sono solo ipotesi molto fantasiose!"
"Lasciami finire. Il secondo omicidio è avvenuto da una grande distanza. Per sparare da quel tetto avrai avuto bisogno di un fucile di precisione, piuttosto costoso. Non penso che tu sia stato tanto stupido da buttarlo, ma penso che data la tua presunzione e sicurezza non ti sia neanche scomodato per nasconderlo"
L'espressione di Kalinin rivelò per la prima volta un velo di paura.
"Ci hanno già fornito un elenco di possibili nascondigli in cui ti eri accampato durante questi mesi. In ogni caso sono convinto che, di fronte ad un possibile sconto di pena, qualcuno prima o poi parlerà"
Il criminale si ricompose.
"Queste non sono prove! Non troverete un bel niente!"
"Ah, quasi dimenticavo" disse Gregson. "In realtà abbiamo un'altra accusa di duplice omicidio nei tuoi confronti. Se davvero non troveremo niente, sei comunque in arresto per l'omicidio di Benedykt e Helen Jankowski"
L'uomo sbiancò.
"Davvero credete a quel piccoletto? È stato lui a convincervi vero? Il caso era stato chiuso!"
"E noi allora lo riapriamo" rispose il capitano.
"Non potete farlo!"
"Invece sì, e con le nuove prove finirai in galera per il resto della sua miserabile vita" gli disse Bell.
"Tutto questo solo perché un ragazzino delirante mi accusa? Siete solamente dei buffoni, nessuno vi crederà!"
"Davvero?" disse Gregson. "Veramente le giurie tendono a simpatizzare con quelli che tu chiami ragazzini deliranti"
Kalinin si alzò di scatto dalla sedia.
"Non proverete un bel niente! Quel maledetto figlio di…"
Non fece neanche in tempo a finire la frase che Sherlock si avventò su di lui e lo colpì direttamente sul naso, già rottogli da Jaroslaw la notte prima, frantumandogli la medicazione. I due poliziotti non dissero nulla, ignorando le richieste di aiuto di Kalinin, già ricoperto di sangue.
"La pagherai" gli disse gelidamente Sherlock. "La pagherai cara per tutto quello che hai fatto"

"Avete finito? Com'è andata?" chiese la donna.
La stanzetta, in cui solitamente si riposavano i poliziotti del turno di notte nelle pause, era scarsamente illuminata da una piccola lampada poggiata su un tavolino. Accanto ad esso, era ammucchiata una pila di riviste e giornali, mentre sulla parete era appeso un piccolo televisore. Joan era seduta su una poltrona e accarezzava affettuosamente il capo di Jaroslaw, addormentato sulla branda lì vicino.
"In realtà abbiamo finito circa due ore fa" disse piano Sherlock, per non svegliarlo. "Ho consigliato al capitano di non avvisare subito i due dei servizi sociali così il ragazzo avrebbe potuto riposare un po' di più"
"Ha confessato?"
"No, era prevedibile. In ogni caso la testimonianza di Jaroslaw e di tutti quelli che pian piano cederanno è la nostra arma vincente. Non la passerà liscia" le rispose soddisfatto. "Lui come sta?"
"Si è addormentato praticamente subito, ma ha il sonno agitato"
Prese un fazzoletto imbevuto d'acqua fredda e glielo appoggiò sulla fronte.
"Gli sta salendo anche un po' di febbre"
"Immagino sia un altro sintomo legato all'astinenza" affermò Sherlock, piuttosto pensieroso.
"Sì, probabilmente hai ragione"
Qualcuno bussò alla porta: Bell fece capolino nella stanza.
"Ragazzi, aspettano Jaroslaw in sala interrogatori" disse piano.
"Avrebbe bisogno di riposare" provò a insistere Joan.
"Lo so, ma la coppietta si sta scaldando. Hanno detto che se non cominciamo ad essere più  collaborativi ci toglieranno la sua custodia e faranno passare il caso ad altri"
"Provvederemo subito a svegliarlo" lo rassicurò Holmes.
"Bene, aspetto qui fuori"
Il detective richiuse la porta alle sue spalle.
"Spero tu non ti sia portato dietro un gallo o la tua solita tromba"
Sherlock la guardò con disappunto.
"Sta' tranquilla, Watson. Non perderai il privilegio esclusivo di poter essere svegliata in quei modi"
La donna sorrise divertita. Holmes si avvicinò a Jaroslaw e cominciò a scuoterlo con delicatezza.
"E' ora di alzarsi, ragazzo" gridò lui.
I risultati furono scarsi: apparve una leggera smorfia sul suo volto e si limitò a girarsi dall'altra parte. Watson non riuscì a trattenere una risata.
"Non sei molto bravo a svegliare le persone in modo convenzionale, eh?"
"Sì, certo. Molto divertente. Perché non ci provi tu?"
La donna si avvicinò al ragazzo.
"Jaroslaw, devi svegliarti" sussurrò lei, accarezzandogli la schiena. "Ancora un ultimo sforzo e poi per oggi abbiamo finito. Dopo potrai riposarti"
Gli occhi del giovane cominciarono ad aprirsi faticosamente. Si sfregò il volto con una mano: l'espressione era stanca e i due detective si sentirono in colpa per averlo disturbato. In tre giorni aveva dormito sì e no per cinque ore.
"Visto? Non era poi così difficile"
Sherlock la fulminò con lo sguardo.
"Devo tornare da quei due, vero?" chiese il ragazzo, ancora frastornato dal brusco risveglio.
L'uomo annuì.
"Sai già quale sarà il prossimo argomento della chiacchierata" gli disse serio. "Ti senti pronto?"
"Non ho alternative" e sorrise amaramente. "Pensate ancora che dovrei dire la verità?"
"I brividi e la sudorazione sono aumentati, non riesci a reggerti in piedi dal mal di testa e ti sta salendo la temperatura" lo informò Joan. "Non sei più  in grado di nascondere i sintomi dell'astinenza come hai fatto prima. Anche se riuscissi a farla passare per un'influenza, tra qualche giorno la bugia verrebbe a galla"
Lo sguardo del giovane lasciava trasparire più sconforto di quanto lui volesse mostrare.
"Quei due sono odiosi, ma non stupidi" continuò Sherlock. "Ma non riescono a vedere le cose a fondo come fai tu"
L'uomo lo guardò, gli sorrise e d'improvviso il giovane sembrò riprendere energia. Watson non capì: pareva che i due comunicassero su una frequenza inaccessibile agli altri, quasi telepaticamente.
"Sai cosa devi fare"
Jaroslaw annuì deciso.
"Bene, allora andiamo! Ti stanno aspettando!"
Il ragazzo fece per alzarsi, ma la testa cominciò a girargli vorticosamente. I due riuscirono ad afferrarlo prima che cadesse.
"Per quanto tempo sarò in questo stato?"
"Una cosa alla volta. A questo penseremo dopo" gli rispose l'uomo.

Per un'altra ora abbondante l'interrogatorio procedette sulla falsa riga di quello della mattinata. Man mano che i minuti passavano, le condizioni di Jaroslaw peggioravano e il fatto non passò inosservato.
"Non mi sembra che tu stia molto bene" affermò improvvisamente Kent.
Il ragazzo dovette morsicarsi la lingua per non rispondere a tono: come poteva stare bene con un buco nella spalla? Pregò che non volessero approfondire la questione.
La dottoressa Allen lo osservò un momento, si alzò dalla sedia e si avvicinò al ragazzo.
"Scotti" disse appoggiandogli la mano sulla fronte.
Scrutò il giovane per qualche secondo, asciugandogli il viso imperlato di sudore con un fazzoletto. Jaroslaw, completamente immobile, aveva lo sguardo corrucciato: l'atteggiamento della donna lo stava innervosendo. Sentiva i suoi occhi puntati su di lui e cercò in tutti i modi di evitare il contatto visivo.
La donna sospirò rassegnata e tornò alla sua postazione, tra Kent e Gregson.
"Devo chiedertelo, Jaroslaw" disse lei. "Hai mai fatto uso di droghe?"
Ecco la domanda fatidica, non aveva più vie d'uscita. Guardò il pannello di vetro che stava di fronte a lui: non lo vedeva, ma sapeva che al di là di esso Sherlock lo stava incitando a rispondere.
"Sono anni che lavoro in questo campo" continuò Allen. "E questo è lo stato in cui di solito trovo i miei pazienti quando stanno attraversando una crisi d'astinenza"
Beccato. Il ragazzo annuì.
Date le precedenti reazioni, Kent e Allen si sorpresero della facilità con cui erano riusciti a fargli ammettere la sua dipendenza. Gregson, però, intuì che in questa facilità c'era lo zampino di un uomo che conosceva molto bene e della sua fidata socia.
"Perché non ne parliamo un po'?"
Molto riluttante all'idea, Jaroslaw cominciò a ripetere molto sinteticamente ciò che aveva già detto a Sherlock e Joan. Era uno di quei tanti aspetti della sua vita di cui non andava assolutamente fiero e odiava a morte parlarne.
"Chi e come faceva a fornirti l'eroina?"
Ennesima domanda stupida da parte di Kent: questa volta il giovane non riuscì a trattenersi.
"Lo sa che è come se stesse chiedendo al figlio di un fornaio come ha fatto a procurasi del pane?"
Gregson lo fulminò con lo sguardo ed egli capì che non poteva permettersi di perdere il controllo un'altra volta. Sospirò e rispose alla domanda.
"In quell'ambiente gira continuamente droga, è uno dei traffici più redditizi degli Zaytsev. Parte dei compensi in denaro che ti spettano li puoi convertire in sostanze. Anzi, di solito la danno ai ragazzi che cominciano con le prime missioni vere e proprie, così la paura svanisce magicamente"
"E' così che hai iniziato?"
"Esatto"
Seguì qualche minuto di silenzio, dopodiché i due assistenti sociali si guardarono e si fecero un cenno d'intesa. Jaroslaw capì che non si trattava di niente di buono.
"Date le circostanze, immagino tu capisca che questo fatto ha la precedenza" affermò Kent. "E' necessario risolvere subito il tuo problema di dipendenza prima che possa peggiorare ulteriormente e, da quel che vedo, è già abbastanza grave"
"E' solo un po' di mal di testa, niente di così ingestibile" provò a controbattere il ragazzo.
"Questo saranno gli esperti a stabilirlo" replicò severo l'uomo. "Da anni collaboriamo con un'ottima struttura in cui opera anche la dottoressa Allen. I risultati ottenuti dai nostri pazienti sono sempre stati molto positivi"
"Esatto" continuò la psicologa. "Troverai coetanei con esperienze simili alla tua e potrete supportarvi a vicenda! Condividere consigli, paure e difficoltà renderà più efficace il cammino verso la sobrietà"
Il ragazzo roteò gli occhi in segno d'impazienza. Il mal di testa si faceva sempre più sentire e il suo livello di sopportazione diminuiva.
"Lo so che sei preoccupato, ma là ci saranno persone gentili e disponibili pronte ad aiutarti in ogni momento di bisogno"
"Io non sono preoccupato e soprattutto non ho bisogno di nessuno"
Il tono di voce era tornato ad essere freddo e deciso come quello della mattina.
"Non agitarti" cercò di calmarlo lei. "Tutte le persone soggette ad una dipendenza pensano di avere la situazione sotto controllo fino a quando qualcuno glielo fa notare. Ora siamo noi che te lo diciamo e devi fidarti: hai bisogno di aiuto"
"Posso farcela benissimo da solo" disse il giovane con un tono che non ammetteva repliche.
La dottoressa sospirò.
"La tua reazione era più che prevedibile " disse Allen con tono dolce, facendolo innervosire ancora di più. "Contatteremo la struttura oggi stesso e organizzeremo un incontro per stabilire le fasi del tuo percorso"
"No"
La dottoressa continuò a scrivere sul suo taccuino sorridendo calma, senza dargli ascolto.
"Mi sembra un tantino affrettata come soluzione" provò ad obbiettare Gregson. "Se permette la polizia avrebbe bisogno di un po' di tempo per valutare la situazione"
"Capisco, ma questo problema va affrontato il prima possibile, ne va della salute del ragazzo. Voi fate pure le vostre valutazioni, noi intanto portiamo avanti il lavoro"
Il capitano vide la situazione sfuggire dal suo controllo. Aveva le mani legate e non sapeva ancora per quanto tempo Jaroslaw sarebbe rimasto calmo. Si girò verso il pannello di vetro e, furtivamente, fece un cenno a Watson e Sherlock: aveva bisogno di un pretesto per finire quel colloquio prima che le cose degenerassero. Sperò che avessero recepito il messaggio.
"Io non andrò proprio da nessuna parte"
Il ragazzo non aveva nessuna intenzione di mollare.
"Ti ho già detto che è normale reagire così. Vedrai che quando sarai là ti aiuteranno a…"
"E io le ho già detto che non ho bisogno di niente e di nessuno!" gridò lui, alzandosi dalla sedia.
La vista gli si annebbiò: di nuovo il giramento di testa. Si appoggiò al tavolo e serrò gli occhi più forte che poteva per allontanare il dolore. Non poteva mostrarsi debole, non in quel momento.
Un secondo dopo si sentì bussare alla porta.
"Capitano, posso entrare?"
Gregson tirò un sospiro di sollievo.
"Certo, Joan. Entra pure" le disse con uno sguardo colmo di gratitudine.
"Non vorrei intromettermi, ma il ragazzo non mi sembra nelle condizioni di continuare. Tra la ferita alla spalla e i sintomi dell'astinenza ha un assoluto bisogno di riposo. Per oggi credo abbia fatto abbastanza"
"Scusi, ma lei chi è?" la interruppe Kent, piuttosto scocciato.
"Signori, vi presento la dottoressa Watson" rispose Gregson, prima che la donna potesse aprire bocca. "Vi ho già parlato di lei questa mattina. Anche lei ha discrete conoscenze in questo campo"
I due la guardarono con sospetto.
"Lungi da me il voler mettere in discussione l'autorevole parere della dottoressa" disse Allen. "Ma credo che se il ragazzo si calmasse potrebbe continuare ancora per un po' "
"Io invece credo che sarebbe meglio rimandare tutto a domani" replicò Joan, cercando di non sembrare scortese. Quei due avevano un non so ché che le dava sui nervi, sebbene anche lei avesse lavorato in quel campo e sapeva quanto a volte bisognasse essere inflessibili.
"E io mi fido di lei" concluse il capitano. "Come ha detto lei, dottoressa Allen, ne va della salute del ragazzo"
I due assistenti sociali accettarono la decisione riluttanti.
Gregson chiamò Bell attraverso il vetro e accompagnò Jaroslaw alla porta, aiutato da Joan.
"Grazie. Un secondo di più e avrei combinato un altro casino" mormorò.
"Sei stato bravo. Hai tenuto i nervi saldi più che potevi" gli disse Sherlock, che lo aspettava nel corridoio insieme a Marcus. "Ora potrai riposarti come si deve fino a domani. Ti accompagniamo noi"
"Voi non andate da nessuna parte" obbiettò Allen, appena uscita dalla stanza. "Preferirei che fossimo noi ad accompagnarlo"
"Come prego?" chiese l'uomo, visibilmente irritato.
"Lei è il signor Holmes, vero? So che lei e Watson siete stati molto preziosi per le indagini, ma ora dovreste farvi da parte"
"Dottoressa Allen, le assicuro che i nostri colleghi non potranno che facilitare anche il suo compito" cercò di convincerla Gregson.
"Capitano, mi vuole spiegare come mai ho la sensazione che la sua intera squadra mi stia remando contro?"
Il poliziotto ebbe un impercettibile attimo di esitazione.
"Forse mi sbaglierò, ma credo che alcuni suoi agenti abbiano preso questa faccenda sul personale"
"Le assicuro che la sua sensazione è del tutto errata"
"Lo spero bene. È inutile ricordarle quanto il giudice tenga in considerazione la nostra valutazione" rispose lei con espressione di sfida. "Vorrei che almeno fino a domani i suoi collaboratori non interferissero"
"Lasciate almeno che gli dia un'occhiata" disse Joan.
"Da quello che mi risulta la ferita alla spalla è stata controllata un paio d'ore fa"
"Sì, ma la febbre…"
"La febbre è un normalissimo sintomo dell'astinenza. Ne ho viste a decine di casi come questi. Potrà visitarlo di nuovo domattina" rispose Allen, che stava perdendo la pazienza. "Per stanotte basterà un normale antipiretico. Guai a voi se scopro che gli avete somministrato più antidolorifici di quanto gli serva"
"Evidentemente questa signora non sa cosa si provi ad avere un foro di proiettile nella spalla, vero?" ringhiò Sherlock.
"No, ma so che un antidolorifico non farà altro che peggiorare la sua dipendenza"
"Potrà cominciare la disintossicazione una volta che si sarà ristabilito"
"Non è lei a dettare le regole, signor Holmes!"
Era ad un passo dal replicare nuovamente, quando sentì una mano che lo tirava.
"Lascia perdere" bisbigliò Jaroslaw. "Sto bene, sta' tranquillo"
Dopo qualche secondo il volto di Sherlock si rilassò.
"E va bene, allora staremo alle sue regole"
Sul volto della donna si dipinse un sorriso di soddisfazione.
"Vedo che cominciate a ragionare. Detective Bell, ci faccia strada per favore. A domattina, signori"
Non appena il gruppetto si fu allontanato, Holmes sfogò la sua frustrazione contro una sedia lì vicino.
"Quei due non mi stanno simpatici, ma su una cosa hanno ragione: questa indagine è diventata un fatto molto personale per voi"
Gregson non poteva certo nascondere una tale evidenza, che gli piacesse o meno. Sherlock non disse nulla e cominciò a camminare nervosamente per il corridoio, quando il capitano lo braccò.
"Lo so che vi siete affezionati. Tutti quanti vogliamo tirare fuori il ragazzo da questa situazione" bisbigliò lui, spostando lo sguardo dall'uomo a Joan. "Ho capito che avete in mente qualcosa, ma se non ce ne parlate rischiamo di mandare tutto all'aria"
Sherlock abbassò lo sguardo.
"Ottimo osservatore. Va bene, ti diremo tutto"

"Eccoci qua. Non è certamente la suite di un albergo a cinque stelle, ma almeno è abitabile"
Il detective fece entrare Jaroslaw nella cella che solitamente ospitava delinquenti minori che dovevano scontare una sola notte di reclusione. Su ordine di Gregson era stata ripulita, vi era stata aggiunta una branda, un tavolino, un paio di sedie e il piccolissimo bagno ad essa annesso era in uno stato decoroso rispetto al solito. Era delimitata da una grata simile ad una gigantesca inferriata.
"Andrà benissimo" lo ringraziò con un sorriso.
"Tra poco ti faremo portare da mangiare e i farmaci che devi prendere" gli disse Kent cercando di apparire amichevole.
Il sorriso di Jaroslaw sparì in un attimo.
"Non ho fame"
"Devi mangiare" aggiunse. "Hai bisogno di recuperare le forze"
"Sto benissimo"
"Non dire stupidaggini!"
Bell prese in mano la situazione.
"Senta, le assicuro che gli porteremo del cibo. Mangerà quando avrà fame" disse perentoriamente. "Ora, se non vi dispiace, dobbiamo chiudere"
"Bene, allora ci vediamo domani" rispose Allen, cercando invano di nascondere il suo disappunto.
Appena i due si furono allontanati, Jaroslaw si sedette sulla branda, tirando un sospiro di sollievo.
"Ti fa male?" chiese Marcus, indicando la spalla.
"Ho passato di peggio" rispose lui. "A proposito, non l'ho ancora ringraziata. Se non fosse stato per lei, oggi avrei combinato più casini di quelli che ero già riuscito a scatenare"
L'uomo rise e si sedette accanto a lui.
"Ti prego, chiamami Marcus. Veramente sono io che devo ringraziare te. Mi hai salvato la vita nel magazzino"
"Non sarebbe stato necessario se non vi avessi trascinati in questa situazione"
"Hey, guarda che grazie a te incastreremo una marea di persone che non saremmo mai riusciti a prendere! E poi avevi le tue buone ragioni per comportarti in quel modo"
Un velo di tristezza coprì il volto del ragazzo.
"Probabilmente anche io mi sarei comportato come te, anche se non credo che sarei mai stato tanto forte quanto lo sei stato tu per tutti questi anni" continuò. "Ma sappi che ieri notte hai fatto la cosa giusta. Siamo fieri di te"
Bell si alzò dalla branda.
"Josh, vieni qui!"
L'uomo afroamericano seduto nel piccolo ufficio di fronte alla cella li raggiunse e il detective gli cinse le spalle con un braccio.
"Jaroslaw, lui è Josh. Per qualsiasi cosa fagli un fischio, ok? E se non si comporta bene, domani me lo dici che ci penso io a sistemarlo"
Il ragazzo rise: il sorriso di quell'uomo era caldo e amichevole e, in un certo senso, gli dava sicurezza.
"Davvero, giovanotto. Se hai bisogno o se vuoi fare due chiacchiere io sono a un metro dalla porta. Non devi fare altro che chiamarmi" e gli strofinò il capo affettuosamente.
Jaroslaw annuì e ringraziò.
"Vado a vedere se riesco a farti avere qualcosa di commestibile dalla mensa. Cerca di mettere qualcosa sotto i denti" aggiunse Bell. "Ti faccio portare subito delle bottigliette d'acqua. Riposati, mi raccomando"
Lo sguardo del ragazzo s'illuminò improvvisamente.
"Delle bottigliette d'acqua…ma certo…Marcus, aspetta!" gridò alzandosi di scatto e rischiando che il mal di testa lo facesse crollare a terra. "Dovrei chiederti un favore"
"Dimmi tutto"
"Avrei bisogno che tu portassi un messaggio a Sherlock. Posso avere carta e penna?"
Dopo due minuti il biglietto fu pronto e lo porse al detective, che aveva assunto un'espressione interrogativa. Jaroslaw lo notò.
"E' fondamentale che nessuno oltre a lui e a Joan legga questo messaggio. Non è niente di pericoloso, ma è importante. So che suona assurdo, ma ti chiedo di fidarti di me"
Lo sguardo tentennante di Bell si rilassò e sorrise.
"Conta su di me"

"Che cosa?"
Il tono del capitano non esprimeva disappunto, quanto piuttosto preoccupazione.
"Sia ben chiaro che approvo la vostra decisione, ma mi spiegate come pensate di riuscire a convincere quei due?"
"Già, come vedi ho i miei buoni motivi per essere teso"
La mente di Sherlock sembrava essere in sovraccarico di pensieri. Solitamente la tensione lo aiutava ad elaborare idee migliori, ma quella volta non faceva altro che annebbiare la sua lucidità.
"Il problema è che abbiamo meno tempo di quello che pensavamo" commentò Joan. "Se domani chiameranno davvero la clinica…"
"Non è un'ipotesi accettabile" la interruppe l'amico. "Dobbiamo trovare una soluzione prima che questo succeda!"
"Grazie, ma è proprio la soluzione che ci sfugge!"
Sherlock si mise le mani tra i capelli: non sapeva che fare e odiava a morte quella sensazione.
Ad un certo punto una voce interruppe il suo flusso di pensieri.
"Grazie al cielo non siete già andati via!"
Il detective Bell arrivò correndo a perdifiato.
"Holmes, ho una cosa per te" e gli porse il bigliettino.
Gregson fece per avvicinarsi e leggere il contenuto del messaggio, ma il poliziotto lo fermò.
"Mi dispiace, capitano. Mi sono state date istruzioni precise"
"Bell ha ragione" disse Sherlock, con volto raggiante. "Questa potrebbe essere l'unica soluzione al problema, ma dovete lasciar fare a noi"
Gregson sospirò rassegnato: ormai si era abituato al modus operandi del suo collaboratore.
"Ah, siete ancora qui? Forse non ci siamo capiti bene"
Una voce maschile risuonò alle loro spalle e Kent e Allen fecero capolino dal corridoio a fianco.
"Ce ne stavamo giusto andando! Buonanotte!" rispose prontamente Sherlock, anticipando tutti quanti e, afferrato il braccio di Joan, la trascinò velocemente verso l'ascensore.
"Si può sapere che ti prende?" chiese stupita la donna, una volta all'interno.
"Mia cara Watson, abbiamo una missione da compiere questa sera" disse sorridendo soddisfatto. "Come te la cavi con la fotografia?"

Il volume della televisione era sufficientemente alto perché lo sviluppato udito del ragazzo potesse capire di cosa si trattava. Era disteso sulla branda e ogni cellula del suo corpo invocava riposo, ma il richiamo di quella telecronaca era troppo forte.
Gi ultimi giorni erano stati talmente frenetici e strani che gli avevano fatto perdere la concezione del tempo. Bastarono quei flebili suoni per rammentargli quell'avvenimento importante che aspettava da settimane. Certo, pensare ad una cosa frivola come il football in quel momento sembrava assurdo, eppure la sua passione per quello sport era talmente grande che per un momento l'emozione per quella partita aveva cancellato le sue preoccupazioni.
Si alzò cautamente e si avvicinò alla grata della sua cella.
"Hey, sei ancora sveglio? Ti dà fastidio il rumore della televisione?" chiese Josh quando lo vide arrivare.
"No, non ti preoccupare. Volevo solo chiederti a quanto stanno. Sono i Giants contro i Cowboys, vero?"
Il poliziotto sorrise.
"Esatto! I Giants conducono per 14 a 7. È quasi finito il primo tempo. Ti piace il football?"
"Già, sono sempre stato tifoso dei Giants"
"Ottima scelta, ragazzo!" gli disse contento. "Allora non puoi perderti questa partita per nulla al mondo!"
L'uomo si alzò e cominciò a maneggiare i cavi del piccolo televisore.
"Sì" commentò soddisfatto. "Sono abbastanza lunghi"
Spostò il mobiletto su cui era appoggiato lo schermo appena fuori dalla porta del suo ufficio, in modo che anche Jaroslaw potesse vederlo dalla sua cella.
"Avanti, prendi una sedia!" lo incitò sorridendo e il ragazzo non se lo fece ripetere due volte.
Per la prima volta da anni era rilassato. Per la prima volta sentì che la notte precedente aveva fatto veramente la scelta giusta. Per la prima volta sentì quella strana sensazione di felicità che aveva dimenticato.

Il sole era già calato e New York si stava lentamente immergendo nel buio. La strada del tranquillo e accogliente quartiere ai margini della città era deserta e i lampioni ai suoi lati stavano cominciando ad accendersi uno dopo l'altro.
Una macchina parcheggiò vicino all'entrata di un piccolo parco giochi, dove un anziano signore stava ancora passeggiando con il suo cane. Il guidatore aprì la portiera e scese dalla vettura. Fece alcuni passi e, improvvisamente, comparve una luccichio tra i cespugli. L'uomo si fermò e si girò verso quella direzione: probabilmente era stato solo un abbaglio. Con passo svelto attraversò la strada, percorse un centinaio di metri, s'infilò nel vialetto di una piccola abitazione e si fermò davanti alla porta. Dopo pochi secondi questa si aprì e apparve una donna dal viso raggiante. I due si baciarono appassionatamente e, abbracciati l'uno all'altra, entrarono in casa, lasciandosi l'oscurità alle spalle.

  
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