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Autore: Red_Coat    26/10/2015    4 recensioni
Questa è la storia di un soldato, un rinnegato da due mondi. È la storia del viaggio ultimo del pianeta verso la sua terra promessa.
Questa è la storia di quando Cloud Strife fu sconfitto, e vennero le tenebre. E il silenzio.
Genere: Angst, Guerra, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cloud Strife, Kadaj, Nuovo personaggio, Sephiroth
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'L'allievo di Sephiroth'
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Riapro gli occhi, ancora mezzo assopito nel torpore che mi ha avvolto fino a poco tempo prima.
Ieri sono arrivato in mezzo a questo piccolo boschetto a notte inoltrata, dopo aver camminato per circa un giorno e una notte, senza riposo. Ne ho avuto a sufficienza mi sembra, e poi non ero neanche stanco. Eric mi aveva avvisato che non ci avrei messo molto, ma senza punti di riferimento non posso essere certo neppure di esserci vicino, come non posso sapere se incontrerò o meno pericoli.
La notte è pericolosa.
Così alla fine ho deciso comunque di concedermi qualche ora di veglia, e ho scelto le folte fronde del piccolo albero sul fianco del sentiero come rifugio temporaneo.
Ha fatto parecchio freddo, questa volta. Non so se prenderla come segno che la stagione stia cambiando, o seguire il nuovo pensiero ricorrente che il pianeta stia cercando di rendermi tutto più difficile.
Ma tra qualche settimana sarà il mio venticinquesimo compleanno ... e spero di riuscire a festeggiarlo come si deve, nonostante tutto.
È stato l'unico, fugace  pensiero che mi ha tenuto compagnia mentre osservavo il piccolo fuoco acceso e cercavo di non commiserarmi, rendendomi conto di non saper più  come si sorride.
E forse a questo è dovuto il mio sogno di poco fa, un ricordo del mio quinto compleanno, uno dei più belli, e degli ultimi con mio nonno ancora a questo mondo.
"Sei un idiota e un bugiardo, Victor ..." mi sono detto, fissando le fiamme che divoravano  i ciocchi  di legno trovati qua e là "Avevi detto che ti saresti fidato sempre. Gli avevi promesso che ti saresti esercitato a sorridere ..."
E invece ... l'unica cosa che sono riuscito a fare è piangere, in silenzio e senza neanche accorgermene.
Una lacrima dopo l'altra, la mente completamente vuota e il volto bruciante per la troppo vicinanza al focolare. Fino a che, forse anestetizzato dal calore e dal fumo, non sono precipitato nel buio e nel silenzio più totali, avvolto da uno strano profumo e accoccolato in un sonno intenso come quello di un bimbo nel grembo di sua madre.
Se avessero voluto avrebbero potuto uccidermi senza che neanche me ne accorgessi.
Per questo nel riavermi sobbalzo un po'  preoccupato, ma tiro da subito un sospiro di sollievo misto ad impazienza quando mi accorgo di essermi semplicemente lasciato suggestionare.
Intorno a me, ci sono soltanto le prime luci dell'alba, ancora troppo fioche  per dissipare il buio.
Il fuoco che avevo acceso s'è spento, ma deve averlo fatto da poco. Fisso le braci ancora fumanti, intensamente, con un'espressione che potrebbe anche apparire confusa e stupita, e solo quando la mia vista da SOLDIER si schiarisce del tutto riesco finalmente a capire il perché.
Non tira neanche un filo di vento tutto intorno, eppure -così com'è  successo con le fiamme- il fumo che si leva dai carboni viene sospinto da destra verso sinistra, inclinandosi lievemente come se ci fosse uno spiffero, o qualcosa del genere.
In effetti, ora che ci penso ... lo sento anche io.
Fa freddo, pungente e frizzantino mi ha gelato la pelle del viso e del collo, l'unica non coperta dalla pelle degli abiti che indosso. Ma c'è una corrente stranamente tiepida che mi accarezza la nuca, quasi invitante. Cerco di capire da dove provenga, e mi rendo conto che c’è un’apertura, nella parete di terra e roccia alla mia destra.
Ben nascosta da cespugli e i rami di una rampicante in fiore. Una grotta.
Ed è da lì che proviene anche lo strano, sottilissimo profumo che ho avvertito da quando mi sono fermato qui.
Salsedine.
Perché non l'ho capito prima? Forse ero troppo stanco, o ... quel venticello non era così intenso come ora.
Non ne sono completamente sicuro, ma sembra nascondere delle voci. Anzi. Una.
Non riesco a distinguerla, è troppo flebile, ma ... chiama me.
Volto di nuovo lo sguardo verso le braci, sistemandomi meglio la schiena indolenzita sul tronco e traendo un profondo sospiro.
Sto impazzendo.
Ho avuto troppo a cui pensare ultimamente, sentire le voci mi sembra il minimo adesso. E in fin dei conti non sarebbe neanche troppo strano per uno come me. C'è di tutto nella mia testa, da quando sono nato.
Sorrido, seguendo finalmente il consiglio di Zack, e seguo il mio istinto nel tentativo di convincermi di esser veramente diventato pazzo.
Mi rimetto in piedi a fatica, la posizione scomoda in cui ho dormito e il terreno nudo su cui l'ho fatto non mi hanno di certo dato una mano, e senza crederci più di tanto avanzo cauto verso la parete nascosta, scostando i rami verdi e leggeri che la coprono non appena le sono di fronte.
C'è realmente una grotta dietro ... piccola, e male illuminata da alcune torce.
Ignoro chi ce le abbia messe, comunque sembrano esser qui da molto tempo. Ne stacco una dal cavalletto di ferro arrugginito che la sostiene e procedo prudente. Nell’avanzare, noto che tutte hanno la stessa identica patina biancastra che ricopre la struttura, ruvida e farraginosa come la salsedine che continuo a percepire chiara nelle narici, man mano che m'inoltro in una serie di piccoli cunicoli brevi e bui.
Il profumo del mare sembra il suo alito di vita, mi stordisce.
C'è del sale anche sulle pareti, alcune sono interamente costituite da esso.
Continua a sembrarmi totalmente assurdo, visto che siamo lontanissimi dall'oceano. In più ... quella brezza continua a sfiorarmi come se m'indicasse la strada.
Sembra assurdo, ma c'è qualcuno qui dentro. Una presenza, come quelle all'interno del tempio. Qualcosa ha voluto che io entrassi da lei.
Brividi freddi mi percorrono la schiena, mentre con sempre maggior cautela continuo ad avanzare felino.
Non so se sia colpa dell'adrenalina, o delle condizioni scomode in cui mi sono svegliato poco fa. Comunque non ho tempo per cercare di capirlo, perché all'improvviso, svoltando l'angolo dell'ennesima  galleria, di fronte ai miei occhi si apre uno scenario inaspettato e talmente incredibile da mozzare il fiato.
Una grotta, una piccola grotta che sembra un santuario nel ventre di una creatura.
Il basso soffitto e le pareti sono completamente formate da accumuli salmastri levigati da chissà quale forza, e lo è anche il pavimento, ricoperto da quelli che penso siano appena una decina di centimetri di acqua, o forse qualcuno di più.
Tuttavia, ad attirare il mio sguardo è lo stupefacente scintillio di un enorme cristallo verde acqua, che sorge dal pavimento e si eleva a più diramazioni verso il soffitto, arrivando a sfiorarlo.
Mako.
Mi è impossibile non riconoscerlo, soprattutto adesso.
La sua luce rifulge riflettendosi attraverso lo specchio d'acqua limpida  e pulita, limitandone i piccoli movimenti sul bianco sporco del sale che ricopre ogni cosa qui.
La luce della torcia è inutile. E il vento la spegne tutto d'un colpo, come se avesse udito i miei pensieri.
Senza riuscire a chiudere la bocca stupita mi guardo intorno, constatando con sempre maggior sorpresa un altro paio di stranezze.
Non c’è neanche la minima fessura che possa permettere all'acqua di filtrare, né al vento di soffiare.
Eppure l'acqua è limpida ... e il vento ora si è placato.
 
         << Victor Osaka ... >>
 
Chi ha chiamato il mio nome? Voce di uomo, suadente e un po’ nasale. Giovane, ma molto diversa da quella di Sephiroth e del ragazzo del mio sogno. Più simile alla mia.
Mi volto di scatto, gettando il mozzicone della torcia ormai consumata a terra e preparandomi a sfoderare la katana.
Tuttavia ... non penso di averne bisogno. Non di armi fisiche almeno.
Di fronte a me, all'imbocco del cunicolo ora buio, vi è davvero un uomo.
Giovane, forse trent'anni o anche di meno.
Alto e snello, viso lungo e dolce, lunga chioma corvina, la pelle pallida appena un po' bronzea e gli occhi di uno strano verde scurissimo.
La sua sagoma longilinea è nobile, aggraziata e al contempo possente ed autoritaria, come lo sono i suoi abiti.
Tutti confezionati con stoffe pregiate, sono un paio di brache blu scuro -le ginocchia rivestite da qualche fascia di cuoio-, una camicia in seta color ocra sotto un elegante panciotto cremisi, che riprende stoffa e colore delle elaborate maniche indossate come guanti sulle braccia robuste e forti, anche se non troppo muscolose. I polsini e le fasce che le tengono strette agli avambracci sono totalmente in pelle nera, decorati con un paio di gemelli d'oro che riprendono il grazioso motivo usato per i bottoni del panciotto.
D'oro è anche la strana ma semplice decorazione che indossa attorno al collo, composta da un cerchio al quale si appoggia un altro degli adornamenti del soprabito, che ne ricopia i lembi del colletto -inesistenti-.
A completare il tutto, un paio di pregiati stivali neri con la suola in legno e un piccolo tacchetto piatto sotto di essa, e il lungo soprabito a coda di rondine smanicato, dello stesso intenso blu scuro dei pantaloni.
Lo osservo senza dire una parola, la punta dei miei anfibi sfiorata dall'acqua in cui sono arretrato e la mente incapace di trovare una scusa valida per fuggire senza fare la figura dello stupido.
 
            << È così che ti chiami, giusto? >> mi domanda, piegando la testa di lato con un sorriso
                 adulatore
 
Odio i suoi modi di fare, mi ricordano quelli di Genesis. Un punto a suo sfavore.
 
            << E tu? >> ribatto, continuando a stringere l'elsa e ignorando il fastidio che mi dà dover
                 tenere la testa abbassata
 
Lui è alto quasi quanto me, ma non lo fa. Non ha bisogno di farlo.
È uno spettro. Un altro.
Merda, li attiro come una calamita!
 
             << Sei un amico di Ifalna? >> chiedo, senza preoccuparmi di apparire scortese
 
È uno di loro, lo so senza neanche ascoltare la risposta. E visto che il pianeta è così ansioso di parlarmi voglio fargli sapere che basterebbe un solo passo falso e potrei anche iniziare a pensare a come farlo implodere dall'interno con me ancora vivo di sopra.
Tuttavia, la sua reazione mi stranisce un po’.
Ride, sprezzante e sinceramente divertito dalla mia insinuazione. È una risata che ha in sé un po' dello spirito capriccioso del mio amico blu. E inizio a farmi un'idea ...
 
            << Sperimentare la tua perspicacia mi stupisce sempre ... >> mi risponde << Ogni volta più
                 della prima. >> conclude
 
Poi, togliendosi quel fastidioso ghigno dalle labbra, inizia a camminare verso di me. Noto di nuovo l'assenza del rumore dei suoi passi sul pavimento, e il suo leggero fluttuare a qualche millimetro da terra.
Ha un'andatura altera, noncurante e nobile.
Dovrei scostarmi, appiattirmi alla parete per lasciarlo passare magari. Ma me ne accorgo troppo tardi, quando già la sua immagine sto attraversandomi.
Rimango paralizzato sul posto con la bocca spalancata alla ricerca di aria e ogni minuscola parte dei miei muscoli completamente raggelata.
Posso perfino percepire il ghigno sulle sue labbra.
 
            << La piccola Ifalna non era neppure nata ancora, quando mio padre iniziava già a dettare
                  regole in cima alla gerarchia dei Cetra. >> risponde, con qualcosa di simile al disprezzo
                  nella voce, passandomi oltre e dirigendosi verso il cristallo
 
Ci metto un po' a riprendermi, a capire il vero valore di quella rivelazione. La mente è l'ultima a scongelarsi
 
             << ... T- tuo padre? >> bofonchio, annaspando
 
Lui sorride di nuovo. Non riesco a vederlo con chiarezza, poiché è volto di spalle col viso girato appena nella mia direzione e i palmi delle mani a pochi millimetri dalla superficie lucida del cristallo.
Non avessimo avuto quell'incontro poco fa, inizierei a dubitare di trovarmi di fronte ad un fantasma.
La sua immagine è chiara, tangibile, reale. Troppo reale.
Rimango in silenzio ad osservarlo, fino a che lui stesso non rompe nuovamente il silenzio.
 
              << Fammi un favore, ragazzo ... >> mi dice, voltandosi completamente verso di me e
                    scostandosi dalla roccia << toccalo. >> m'incoraggia, con un ampio gesto della mano
 
Lo fisso, fingendo di non aver capito bene
 
               << Cosa? >> domando
               << Tocca questo cristallo ... >> ribadisce lui, quasi seccato
 
Ho capito bene, purtroppo.
Sorrido denigratorio
 
               << Perché dovrei farlo? >> rispondo a mia volta, scuotendo il capo e allargando le
                    braccia
 
Lui sospira di nuovo, scuote il viso e poi si apre in un altro ghigno divertito.
 
              << La diffidenza è un'altra delle tue preziose qualità, eh? >> osserva compiaciuto
 
Non rispondo. C'è qualcosa nel suo atteggiamento, nel suo modo di essere, che me lo rende come pericoloso. Sembra si diverta a parlare di me come con qualcuno che conosce da sempre.
Tsè, come se questo potesse impressionarmi. È parte del pianeta, ovvio che mi conosce.
Ha visto nascere chissà quanta gente da quando si è estinto assieme alla gente della sua razza.
Anche se forse è proprio questo a renderlo euforico, poter finalmente parlare con qualcuno che non sia morto.
Comunque non mi piace  È subdolo, eppure pare non lo faccia apposta.
In più si muove con grazia, usando gesti ammaliatori e un tono di voce quasi ipnotico.
In vita deve esser stato una personalità influente nella comunità. Forse anche una da cui guardarsi.
Questo spiegherebbe il motivo per cui si trova qui, è non assieme agli altri suoi simili
 
              << Sai dirmi cos'è, questo? >>
 
Quella domanda mi riscuote. Devo esser sembrato titubante, invece che diffidente, chiuso nel mio silenzio e nelle mie riflessioni.
Eppure non ho bisogno di riflettere, per fornirgli una risposta. Anche se mi costa farlo, chissà perché
 
               << ... un cristallo di Mako purissimo ... >> inizio, fissando l'aura lucente, a bagliori sempre
                    più limpidi << Raro in natura. >> concludo
 
L'ho soddisfatto. Sorride famelico, e i palmi delle sue mani si dissolvono affondando nella superficie appuntita
 
               << Un collegamento diretto col pianeta, che soltanto un antico esperto può sapere come   
                     utilizzare appieno ... >> spiega, sognante ed avido
 
Continuo a fissarlo senza cambiare espressione. Perché sono qui? E perché mi sta dicendo tutto questo? Non ha senso.
Tutta questa situazione non ha senso.
Sospiro, avanzando di qualche centimetro ed attirandomi un suo sorriso di sbieco
 
                << Se sei un antico allora perché non sei con gli altri? >> chiedo quindi, senza celare il  
                     mio disinteresse verso ciò che avrà da dirmi << Ti hanno espulso? >> ribatto ancora
 
Lui ride, scuotendo la testa. Se non mi desse sui nervi penserei che gli faccio quasi tenerezza
 
              << Nessuno può decidere di espellerti dal flusso vitale se non il pianeta stesso. >>
                   risponde, voltandosi nuovamente e totalmente verso di me
 
Quasi senza volerlo, ci ritroviamo occhi negli occhi, vicini appena qualche centimetro l'uno al viso dell'altro.
Io lo scruto duro, lui continua a sorridere come se potesse leggermi nel pensiero
 
              << Allora è il pianeta a non volerti. >> lo provoco infine, alzando il mento e ghignando a
                   mia volta
 
Mi imita. Nei suoi occhi si accende una luce sinistra e i lembi delle sue labbra sottili continuano ad esser tirati all'insù con bramosia e disgusto
 
              << No ... >> mi dice, quasi sfidandomi, poi si sporge fino a sfiorarmi l’orecchio e
                   sussurra << Sono io che non voglio il pianeta.>>
 
Indietreggio, improvvisamente serio.
Lo fisso per diversi minuti incredulo, e l'immagine che vedo non cambia. Continua a guardarmi e mi sembra quasi di vederlo, quell’odio che si porta dentro. Un rinnegato dunque ... ma perché?
 
               << Ho preferito aspettare che venissi a cercarmi qui. >> mi dice infine, riprendendo a
                    girare attorno al cristallo come un'ape attorno al suo prezioso fiore <<< Piuttosto che
                    rassegnarmi a sopportare quel girone infernale assieme ai miei esimi colleghi. >>
 
Aspettare ... me? E perché avrei dovuto ...
Cercarlo?
Non ha senso. E la domanda fugge quasi spontanea dalle mie labbra
 
                 << Chi sei? >>
 
Lui sorride di nuovo. Allarga le braccia, quasi a volersi mostrare, ma nel momento in cui lo fa ... il vento torna a soffiare, e il profumo di salsedine a stordirmi, mentre sui palmi delle sue mani ora aperti verso l'alto danzano in un incantevole spettacolo di fiotti di morbida schiuma ed acqua limpida.      
Li osservo, trattenendo il fiato, mentre lui continua col suo teatrino giocando con le dita e con i polsi come se stesse suonando una delicata melodia. Soltanto quando smette mi accorgo di esserne rimasto incantato.
Deglutisco, cercando di apparire meno ebete di quanto non sia in questo momento.
Lui sogghigna soddisfatto. Troppo tardi.
 
                 << Questa ... >> inizio, ma sono costretto a fermarmi per inumidire la gola << Questa  
                      dovrebbe essere una risposta? >> ribatto infine, riavendomi
 
E lui, invece di ribattere, si porta nuovamente dietro il cristallo e ritorna ad invitarmi, aprendo le braccia
 
                  << Avanti ... toccalo ... >>
 
Sbruffo. Non mi farò ingannare così facilmente, non io.
 
                  << No. >> ripeto perentorio
                  << Toccalo, SOLDIER! >> sbotta allora lui, in un impeto d'ira che mi sorprende ma non
                       mi ferma
                  << Per permetterti di nutrirti della mia energia vitale come se fossi un osso da   
                       spolpare? >> rispondo, incalzandolo << Quel cristallo è la tua personale risorsa,
                       l'unica cosa che ti permette di continuare a stare qui. Non credere che io sia così
                       stupido da non averlo capito! >>
 
Di nuovo silenzio.
Lui abbassa le mani e le braccia, facendole ricadere lungo i fianchi dritti e possenti.
Poi torna a sogghignare, ancora più famelico, e avanza verso di me portandosi alle mie spalle.
So che può sentire i miei pensieri. Non tutti forse, ma quelli mirati sì. È un mago, forse uno di quelli molto potenti. Perciò afferro con la mano sinistra l'elsa della mia katana e la sollevo appena dal fodero al quale è appesa. "Non sfidarmi, spettro. Potresti pentirtene."
 
               << Kendra non è così cattivo come sembra, sai? >> sussurra quindi, chinandosi di nuovo  
                    verso di me << Mi spiace che proprio tu pensi queste cose di me. >>
 
Non posso sentire il suo fiato sul collo, non ne ha più. Ma gli innumerevoli brividi gelidi che la sua voce appena percepibile riesce a scaturirmi dalla base della mia spina dorsale fino alla nuca sono cento volte peggio. Traggo un profondo respiro, senza chiudere gli occhi ed indurendo la mia espressione
 
              << Kendra ... >> rispondo, cercando a tutti i costi di mantenere il sangue freddo << È così
                   che ti chiami allora. >>
 
Poi mi volto di nuovo, osservandolo rialzarsi in tutta la sua statura e tornare a fissarmi altero e soddisfatto
 
             << Allora perché lo faresti, sentiamo. >> lo incalzo, incrociando le braccia sul petto
 
È delirante, come tutta la situazione. Qualsiasi cosa abbia da dirmi sarà soltanto un colossale tentativo di trascinarmi con sé.
Lo vedo rispondere al mio sorriso scettico con un altro, sempre più avido
 
             << Sei un Cetra ... >> inizia, languido << Non hai proprio nessuno con cui ti piacerebbe  
                  parlare ancora, al centro di Gaia? >> mi chiede poi, ricalcando quasi i miei stessi  
                  pensieri quando aggiunge << Un amico, un mentore ... un prezioso parente
                  perduto? >>
 
Continuo a sorridere. Certo che ce l'ho, ne ho molti.
Ma Zack non è morto, non ancora, e per quanto riguarda Sephiroth ...
Certo, tornare a parlargli mi sarebbe di grande aiuto...
Ma a questo mondo nessuno da qualcosa in cambio di nulla, tanto meno uno spirito. Mi faccio serio
 
             << Perché lo faresti? >> chiedo nuovamente, scandendo bene le ogni sillaba
 
Lo vedo esitare, il suo sorriso si trasforma in una smorfia. Mi squadra ancora qualche secondo, poi scuote le spalle e risponde, con nonchalance
 
             << Per ripagarti di un favore. >>
 
Mi paralizzo all'improvviso, senza sapere perché
 
              << ... Non ho intenzione di farti alcun favore. >> rispondo cauto
 
Il ghigno sul suo volto si accentua ancora di più, ora è davvero inquietante
 
              << Oh, ma lo hai già fatto. >> mi risponde, canzonatorio << Anche se non so dirti di
                    preciso quanto tempo fa.>> aggiunge poi, tornando a gesticolare platealmente con le
                   dita e con le mani
 
Un altro brivido lungo la schiena. Le mie braccia ricadono lentamente lungo i fianchi
 
              << Non so ... di cosa parli. >> bofonchio
 
Eppure perché ci credo, e sento che dovrei saperlo?
 
"Sto cercando di ricordare, forse proprio come te!"
 
Ride.
 
               << Certo che non lo sai. >> risponde, come fosse la cosa più logica di questo
                    mondo << Non lo ricordi ... Non ancora, almeno. >> continua, e all'improvviso a
                    questo punto della conversazione il suo tono diventa sussurratore, mentre
                    subdolamente lui inizia a camminare di nuovo dietro di me << Eppure è stato così
                    bello, durante tutto questo tempo. >> mi dice, ammaliato << Vederti crescere, vivere,  
                    e guardare attraverso gli occhi di un bambino. Meraviglioso essere un SOLDIER. E
                    poi, riabbracciare il mare ... il mio amato mare ... >>
 
Il freddo che mi gela adesso è istantaneo, polare. M’irrigidisco all’istante. Ora il tocco delle sue dita gelide sul mio collo e palpabile, come il freddo umido del suo respiro.
Una carezza letale
 
               << ... c-cosa ... >> riesco a mormorare, strozzato
 
Sembra abbia bisogno soltanto di questo, per capirmi. Non mi sono mai sentito così in balia di qualcun altro, a parte forse con Sephiroth. Comunque sono sempre stato io a decidere, non come adesso.
All'improvviso, mutevole come l'oceano, torna a staccarsi da me ed esclama allargando le braccia al cielo
 
             << Ah, ci sono tante cose per cui esserti grato. Adesso però lascia che ti ricambi il
                  favore ... >> sussurra poi, carezzandomi un braccio fino a a stringermi la mano, e  
                  guidarla a pochi centimetri dalla gemma << sfioralo, coraggio ... fidati di te stesso. >>
 
Tuttavia sono proprio quelle sue ultime parole a liberarmi dallo stato di semi ipnosi in cui mi aveva inchiodato, e col cuore a mille urlo di no, iniziando a correre in direzione opposta alla sua fino a che l'aria pungente del mattino non regala nuova vita ai miei polmoni e la luce del sole ferisce i miei occhi, annunciandomi l'arrivo del giorno.
Non ho neanche la più pallida idea di quanto tempo io abbia passato lì dentro, so solo che voglio andarmene al più presto da qui e dimenticare ogni singola parola che ho sentito. Quindi, senza perdere neanche un altro minuto di tempo mi rimetto lo zaino di cuoio in spalla e riparto, ignorando la voce che continua a chiamarmi.
 
///
 
<< Che diavolo hai intenzione di fare, mago?! Non c'era bisogno di te adesso! >>
 
sbottò il giovane del sogno allo spirito dell'Antico che si trovò di fronte, nell'accecante luce bianca
 
<< Non osare rivolgerti a me in quel tono, umano! >> rispose quello, profondamente
indignato << Sono stato e continuo ad essere lo stregone più giovane e potente
della mia razza! >> replicò quindi << Quei poteri sono merito mio! >>

 
L’altro si prodigò in un sorriso schernitore
 
<< Attento, gli altri potrebbero non essere d’accordo con te in merito. >> lo canzonò
<< Sono stato io a convincerli! >> rispose l’altro, sempre più indignato << Vuoi negarlo? >>
 
Il ragazzo sbruffò sonoramente, passandosi entrambi le mani nei folti capelli
 
<< Non è a te che devo questa vita, tu sei soltanto la punta dell'iceberg! >> ringhiò, cacciandogli contro un dito
 
Quello sospirò
 
<< Sephiroth non è neanche minimamente in grado di saperlo, adesso. >> si lamentò laconicamente
<< Ma lo sarà. >> rispose il giovane militare << E sta a me assicurarmi che Victor non faccia sciocchezze
prima di allora! >> concluse, scrutandolo minaccioso
 
Il giovane Cetra sorrise
 
<< I miei poteri serviranno allo scopo. >> rispose fiero, poi gli dedicò un ghigno
famelico << Piuttosto, qualcosa mi dice che prima di partire tu non abbia fatto bene i tuoi conti. Non sarai più lo
stesso alla fine della missione, lo sai? >> chiese, già certo della
risposta << Sempre ammesso che tu riesca
a tornare.>> aggiunse quindi, schernitore
 
Come previsto, il ragazzo del sogno si scurì in volto, abbassando gli occhi e sprofondando le mani nelle tasche larghe dei pantaloni.
 
<< Un patto è un patto >>
 
mormorò cupo, fissando la punta dei suoi anfibi sporchi di terriccio
 
<< nulla di più inscindibile, adesso. >>

 
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- Cari mamma e papà,
 
Come state?
Mi dispiace di essere partito così all'improvviso. Ero davvero impaziente di entrare in SOLDIER.
Scommetto che ora che ve l'ho detto sarete preoccupatissimi...
Ora però sto realizzando il sogno di una vita, e farò del mio meglio come SOLDIER.
 
P.S. Ho una fidanzata –
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Gongaga, un piccolo villaggio alle pendici di un reattore esploso molti anni fa; per nulla ridente e totalmente diverso da come me lo immaginavo. È l'unica cosa che riesco a pensare, mentre percorro la strada che dalla periferia mi conduce al centro abitato, un piccolo agglomerato di graziose casette in pietra, col tetto spiovente in tegole rosse proprio come mi aveva anticipato Eric.
Quello che non mi ha detto però, forse non consapevole neppure lui, è  la miseria e il decadimento in cui versa questo posto, da quando la Shinra se n'è andata.
È atroce, così in contrasto col verde intenso della vegetazione  che ci circonda, con la vitalità straripante dei ruscelli, dei fiumi e delle cascate che circondano la valle correndo verso il mare.
Sul bordo della strada incontro una piccola area recintata, l'unica che sembra esser oggetto di attenzione continua da parte degli abitanti del luogo. Mi fermo un secondo per studiarla meglio, e mi accorgo si tratta di un cimitero.
Un piccolo agglomerato di lapidi grigie, molte delle quali ornate da mazzi di fiori più o meno grandi e freschi.
C'è della gente, inginocchiata ed assorta davanti a qualcuna di esse. Una donna piange da sola, accarezzando una foto sbiadita, un bimbo posa un fiore di campo bianco su un'altra più avanti, per poi voltarsi e uscire correndo dal piccolo cancello della staccionata senza neanche vedermi. Forse sta andando a casa.
Adesso capisco perché Zack non me ne parlava mai.
Ho un magone quasi insostenibile in gola, e non mi va di disturbare, perciò proseguo con l'obiettivo di chiedere le informazioni che mi servono a qualche negoziante.
Ho il sospetto che siano i soli a non poter andare a piangere i propri morti.
A parte i singhiozzi che mi lascio alle spalle, l'unico rumore che sento è il lento frusciare del vento tra le foglie degli alberi che ci circondano e i fili d'erba che sto calpestando proprio in questo momento, più lo sbattere di qualche porta ogni tanto, e i passi lenti di qualcuno disinteressato a guardarsi intorno.
C'è talmente tanta tristezza qui! È insopportabile, dannazione! Insopportabile!
Mi concentro solo sul mio cammino, e affacciandomi alla piazza le do una rapida occhiata decidendo poi di ripiegare sul negozio a destra del secondo incrocio che mi si para davanti.
È una via breve, di fronte alla porta al quale ho accesso vi è soltanto un'altra casa, un po' più ben messa delle altre.
Mi accoglie un ambiente piccolo ed accogliente, interamente rivestito in legno. Il profumo che ne deriva è inebriante, dolciastro ed avvolgente.
Le pareti sono scaffali in cui sono sistemate boccette ed altri oggetti vari, mentre mi basta avanzare di qualche altro passo per portarmi di fronte al bancone colmo di provette, becher, e un paio di pestini con dentro qualcosa di scuro.
Il vecchio dietro di esso mi scruta, in attesa, senza dire una parola. Compro qualche pozione prima, visto l'utilità che hanno avuto al tempo, e la ... pericolosità degli incontri che sto facendo da allora.
Non riesco ancora a togliermi dalla testa le parole di quel dannato spettro. Ora però devo pensare alla mia missione
 
           << Vorrei soltanto un'altra informazione, se posso. >> aggiungo con cortesia
 
Non dice né si è né no, mi fissa soltanto. Credo abbia riconosciuto il marchio di SOLDIER che mi porto appresso in mezzo al viso
 
          << Vengo da Midgar >> continuo quindi, determinato a far fruttare questa deviazione << Sto
               cercando un mio amico, nato e cresciuto qui. >> spiego, poi gonfio il petto e mi preparo al
               pezzo più difficile << Si chiama Zack Fair, lo conosce per caso? >>
 
Immediatamente, in un moto che fatico a spiegarmi il fiato gli si smorza in gola, le vecchie mani tremano e il suo sguardo mi scruta dritto nel profondo degli occhi.
Rimane in silenzio ancora per qualche lunghissimo istante, poi finalmente la sua bocca si apre, ed è il mio cuore a fermarsi quando ascolto la sua risposta
 
               << Si ... certo ... >> mormora, gli occhi lucidi e la voce tremante << Era mio figlio ... >>
 
Pietrificato.
È l'unica cosa che riesco ad essere dopo questo. Lo osservo rimangiarsi le lacrime con difficoltà, una per una, stringere i pugni sul bancone riuscendo a mantenere un contegno con grande forza d'animo.
Capelli brizzolati, occhi vivaci, viso dolce. Gli somiglia.
E mentre cerco di non andargli appresso penso che per loro forse deve essere morto da tempo, visto l'uso del passato
 
              << Sei un SOLDIER? >> mi chiede dopo un po', schiarendosi la voce
 
Annuisco. Non avevo dubbi che avesse già capito
 
              << Victor Osaka. >> mi presento << Ero un first class. >>
 
Lo vedo scrutarmi con ancor più attenzione mentre mi auguro che l'accenno al mio grado possa in qualche modo aver fatto nascere anche solo un briciolo di speranza nel suo cuore.
In realtà non so bene perché, ma potrebbe. Mi sono presentato come un amico di suo figlio, un first class. Non so quanto abbiano in stima la Shinra qui, ma ... non lo so, spero almeno di aver iniziato ad alleviare quella pena che vedo nei suoi occhi stanchi.
Da quanto tempo non parlavi con loro, Zack?
 
              << E sei di Midgar, quindi? >> è la sua prossima domanda
 
Annuisco. Più i minuti passano, più il silenzio e questa strana tensione si fanno e tangibile nell'aria, intensamente permeata dall'incontro del legno e delle erbe.
 
              << Ho ... >> inizio, cercando di trovare le parole giuste << Iniziato questo viaggio
                   per lui. >>
 
Vorrei rivelarmi, ma sono il bilico. Mi preoccupa la sua aria afflitta, stanca. Non so come potrebbe prenderla, anche se credo di avergli già fatto intuire qualcosa. E la sua prossima domanda ame lo conferma
 
              << Cos'è successo? >> chiede, improvvisamente cupo
 
Sospiro. Comincio a rimpiangere di esser venuto qui.
 
              << Non ne ho idea. >> rispondo, abbassando lo sguardo con profondo rammarico << Ma
                   voglio scoprirlo. >> aggiungo riavendomi << È per questo che sono qui. >>
 
Un altro lungo istante di silenzio. Lo vedo annuire, fissare il miscuglio di erbe secche nel pestino che stringe tra le mani, poi portarsi stancamente fuori dal bancone, fino a pochi passi di fronte a me.
 
            << Dimmi soltanto una cosa. >> m'impone, ma non ha bisogno neanche di chiedermelo
            << No! >> rispondo, bloccandolo con le labbra dischiuse sul dubbio
 
Mi fa paura sentirglielo dire. Mai come adesso sento che una simile prospettiva mi spaventa anche solo ipotizzarla.
Sarà colpa di quegli occhi, vecchi ma così simili ai suoi?
Mi fissano, quasi volessero accertarsi della verità.
 
           << È stato dichiarato morto durante la sua ultima missione >> spiego << Ma so per certo  
                che non è così. >> aggiungo con tutta la determinazione di cui sono capace, cercando di
                convincerlo di questo più di quanto lo sono io << La Shinra sta mentendo, per questo me
                ne sono andato. >>
 
Mi fissa. Annuisce.
Un lieve sorriso si dipinge sul suo volto
 
             << Non sarebbe la prima volta. >> risponde, poi lo guardo risistemare il bancone prima di
                  prendermi per un braccio, e cominciare ad accompagnarmi fuori << Accompagnami,
                  ragazzo. >> mi dice << Meglio parlarne con calma. >>
 
Accetto senza protestare. Penso voglia farne partecipe anche sua moglie, e credo sia giusto.
Sono qui anche per questo.
 
///
 
-Victor Osaka seguì il vecchio mercante nella casa, dove trovò ad accoglierli una donna altrettanto anziana e preoccupata.
Lo fecero accomodare sul piccolo divano accanto al camino acceso, lei gli portò qualcosa di caldo da bere e qualche biscotto secco per rifocillarsi, ma nonostante fosse affamato e avesse freddo non toccò nulla.
Parlò soltanto.
Raccontò loro della vita in SOLDIER del loro unico figlio, del suo mentore e di come fosse sempre stato un esempio concreto  per tutti, prima che per sé  stesso. Narrò loro di come il legame di amicizia che li aveva uniti si fosse consolidato proprio grazie alla sua voglia di sorridere, e li vide abbozzare un sorriso con gli occhi lucidi di lacrime mentre si stringevano a vicenda, ricordando.
Per ben due lunghissime ore l'unica cosa che risuonò nel piccolo ed accogliente ambiente col pavimento in pietra fu il ritratto del giovane first class disperso a Nibelheim, ad opera della voce sicura ma commossa del suo migliore amico.
Durante tutto quel tempo, sembrò che il solo rievocarlo restituisse a quella casa l'allegria e la familiarità che sia era portato via con sé a Midgar quando era partito, ormai da troppo.
E guardando i volti distrutti di quell'uomo e quella donna in quei lunghi momenti, un groppo di lacrime si legò alla gola di Osaka, che tuttavia seppe resistere con incredibile fermezza alla forte tentazione di dargli sfogo.
Glielo doveva, pensò, mentre cercava di non immaginare vividamente tutto ciò che la sua bocca stava raccontando.
Mentre cercava di non pensare troppo ai suoi genitori, che aveva lasciato così all'improvviso e senza neanche salutare, ormai quasi un anno addietro.
Poi, finalmente, arrivò il tempo per lui di restare in silenzio.
Terminò il racconto scuotendo le spalle e mormorando

 
           << Questo è tutto quello che so ... >> quasi a volersi scusare
 
Poi trasse un lungo, profondo sospiro, e afferrando la tazza sul tavolo in legno di fronte a sé ne trangugiò un grosso sorso del contenuto, una specie di tisana alle erbe ormai gelida.
Aveva gli occhi lucidi di lacrime, gonfi come il suo viso, rosso e caldo. Faticava a respirare, eppure non voleva ancora arrendersi. Non era nessuno in fondo, loro erano i suoi genitori.

 
            << È per questo che sei venuto qui? >> chiese quindi l'uomo, molto più bravo di lui a
                 mantenere il sangue freddo << Speravi fosse riuscito a raggiungerci prima della
                 Shinra? >>
 
Annuì, appoggiando la tazza vuota sul tavolo.
Una lacrima sfuggì al suo controllo, e rapidamente lui la asciugò con la pelle nera del guanto che ricopriva l'indice della sua mano destra, scuotendo il capo con un sorriso appena abbozzato.
Non aveva diritto di piangere, non di fronte al dolore di un uomo ed una donna che non vedono il figlio da sei anni ormai.
Tuttavia, nessuno dei due sembrò fargliene una colpa

 
            << Mi spiace ... >> mormorò il vecchio, abbozzando un sorriso << Non sapevamo neppure
                 fosse ancora vivo. >> concluse, rammaricato
 
Victor annuì nuovamente, continuando a sorridere tra le lacrime.
 
           << Comunque grazie ... >> aggiunse dolce la donna che, staccandosi dalle braccia del
                marito, andò a sedersi accanto a lui e lo abbracciò, materna
 
Il giovane ex Soldier rabbrividì, sorpreso, ma non fece nulla per allontanarla, né per ricambiarla. Guardò l’uomo che sorrideva commosso, ancora seduto al suo posto.
"Grazie?" pensò "E per cosa? Non sono neppure riuscito a impedire che tutto questo accadesse..."

 
            << Ci hai restituito la speranza. >> continuò allora lei, come se avesse udito i suoi pensieri,
                 sciogliendolo dall'abbraccio e sorridendogli commossa << Ora sappiamo che magari un
                 giorno potrà essere libero di ritornare da noi. >>
 
I due uomini si guardarono. Non era così.
Se lo fosse stato, lo avrebbe già fatto da un po'. Tuttavia ...

 
           << Lo troverò, io devo riuscirci. >> disse, guardandoli negli occhi << E gli dirò che lo state
               aspettando. Lo porterò da voi se mi sarà possibile. >>
 
Sia l'uomo che sua moglie scossero il capo, continuando a sorridere
 
          << Hai fatto già abbastanza, ragazzo. >> rispose quindi lui << Anzi, molto più di quello che ci
               sarebbe servito. >>
 
Quindi, la donna si alzò dal divano e raggiunse un piccolo mobile in legno appena vicino alle scale. Ne aprì l'unico cassetto, ed estratta una piccola busta di carta ingiallita gliela consegnò, avvicinandosi a lui
 
         << Questa è l'unica cosa che ci è rimasta di lui. C'è l'ha spedita poco dopo la sua
              partenza. >> disse
 
Una lettera, non più lunga di mezza pagina. Poche semplici parole per dir loro che stava bene, che se n'era andato per inseguire il suo sogno e che a Midgar aveva trovato ciò che Gongaga non avrebbe potuto offrirgli. Una vita migliore.
La lesse cercando di non macchiarla col suo sale, e scosse vigorosamente la testa quando i due gli chiesero di tenerla.

 
        << Mio figlio è molto importante per te. >> gli disse l'uomo << È se lo incontrerai di nuovo
             potrai provargli che anche noi stiamo bene. >> concluse per convincerlo
 
Poi, senza che lui potesse ancora opporsi, gli offrirono un alloggio per la notte, nella camera ch'era stata del loro unico figlio.
Mangiò poco, lo stomaco chiuso e un'incredibile voglia di scappare. Per tutto il tempo si chiese se fosse stato così che Zack si era sentito, prima di lasciarli per sempre.
E continuò a ripensare alla sua famiglia, a sua madre, rivedendola negli occhi di quella che aveva di fronte.
Si sentì in colpa. Per la prima volta da quando era fuggito da quella città. E pregò di riuscire a ritornare per riabbracciarla e tranquillizzarla, per scusarsi di averla fatta preoccupare così tanto.
Non chiuse occhio, quella sera.
Chiuso nella camera di Zack, incapace anche solo di guardarsi intorno e pensare che quello era stato l'ambiente abituale in cui era cresciuto, aveva sognato, pianto e giocato a fare l'eroe prima di diventarlo davvero.
Rimase affacciato alla finestra che dava sul tremendo spettacolo del reattore sventrato e accartocciato su sé stesso, fissandolo e chiedendosi se anche Zack da bambino, sdraiato sulle lenzuola pulite del suo letto aveva passato le ore a fissare il soffitto, immaginando un futuro migliore sotto le luci psichedeliche della grande Midgar, lì dove invece lui era cresciuto.
E ogni minuto che passava, immerso nel buio e nel silenzio, sentiva le lacrime rigargli il volto e un dolore atroce attanagliargli il petto, fino a che non decise che se fosse rimasto lì ancora per un poco avrebbe finito per morirne soffocato.
Si sentiva un ladro. Anche se Zack sarebbe stato contento di saperlo lì.
Perciò, usò uno dei fogli e una penna che trovò sulla vecchia scrivania per ricopiare il contenuto della lettera che gli era stata consegnata, poi infilò la copia in tasca e lasciò l'originale sul mobile, esattamente come gli era stata data.
Dormivano già tutti quando si decise ad uscire di soppiatto, richiudendo per bene la porta alle suo spalle ed avviandosi in fretta verso l'uscita.
Scese piano le scale, trattenendo il fiato ad ogni cigolio dei gradini in legno, e attraversando di corsa il piccolo ambiente uscì incontro alla gelida brezza della notte bevendola come un elisir rigenerante.
Fuggì in fretta, richiudendo la porta alle sue spalle e non lasciando dietro di sé alcuna traccia del suo passaggio lì, iniziando perfino a far finta di non esserci mai stato.
Non ne aveva il diritto.
Non doveva piangere.
Eppure lo fece, ininterrottamente per un interminabile arco di tempo durato tutta la notte, spingendo le sue gambe a camminare mentre il suo fiato era smorzato dai singhiozzi e la sua mano sinistra stringeva quella lettera, come l'ultimo appiglio alla vita.
Fino a quando, incapace di respirare, non fu costretto a fermarsi, accasciandosi al tronco di un albero e abbandonandosi a un pianto che non era mai stato così angosciante e liberatorio come allora.
Prima di sprofondare tra le braccia confortanti di un nuovo e pesante sonno profondo, privo di qualsiasi speranza o sogno. -
   
 
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