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Autore: Adeia Di Elferas    27/10/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Ma lo sai cosa significa una guerra?” chiese Caterina, cercando di attirare l'attenzione del marito, che fingeva di giocherellare con Bianca, che aveva pochi mesi, ma che già prometteva una grande bellezza.
 Caterina non riusciva a credere a quello che Girolamo aveva combinato e ancora meno le sembrava possibile che il papa avesse seguito i consigli del nipote. Sisto IV stava forse perdendo il senno?
 “Eh? Lo sai cosa significa scatenare una guerra?!” ripeté Caterina, alzando la voce.
 Bianca scoppiò in lacrime, così Girolamo colse il pretesto e disse, infastidito: “Visto? Ora si è messa a piangere!” e prese tra le braccia la piccola.
 Caterina si massaggiò gli occhi, cercando di ritrovare la calma. Quando quella mattina aveva saputo le novità che arrivavano fresche fresche da Venezia, non aveva voluto crederci.
 Venezia, su consiglio – o meglio, ordine velato – del papa aveva dichiarato guerra a Ferrara. E solo perchè Girolamo aveva convinto il papa che solo lasciando ai veneziani il compito di sfondare il nord dello stato di Ferrara lo stato del Vaticano avrebbe potuto finalmente prendere tutto il centro Italia.
 “Non daranno nulla al papa, lo vuoi capire?” fece Caterina, stanca.
 Girolamo continuava a cullare Bianca, accigliato e scuro in volto. Per una volta che aveva avuto un'idea brillante e coraggiosa, sua moglie non faceva altro che rimproverarlo e trattarlo come fosse solo uno stupido.
 “Venezia vuole il sale e la terra ferma, ai veneziani non gliene importa nulla di te e di tuo zio, lo vuoi capire? E poi...” continuò Caterina, scuotendo il capo: “Ercole d'Este non è uno sprovveduto.”
 “Intendete dire che io lo sono?” chiese Girolamo, punto nel vivo.
 Tra le sue braccia, Bianca si era calmata, ma a ogni parola detta con la voce un po' più alta del normale, il suo visino tornava a contrarsi e il rossore che preludeva le lacrime imporporava le sue guance.
 “Prima di dire a Venezia di dichiarare guerra, mi sono assicurato anche le truppe genovesi e quelle del marchese di Monferrato, se non lo sapete già.” si difese Girolamo: “Solo quando sono stato sicuro ho ordinato ai veneziani di rendere ufficiale la dichiarazione di guerra.”
 “Oh, certo, sei stato tu a ordinare ai veneziani di dichiarare guerra a Ferrara...” soffiò Caterina, incredula.
 Possibile che Girolamo non si rendesse conto di come Venezia stesse sfruttando l'occasione di avere alleati il papato e Genova per le proprie mire e basta? A guerra finita, a patto che avessero vinto, Venezia avrebbe dato solo le briciole al Vaticano e ai genovesi e allora sarebbe stata più la spesa che la cavata.
 “E hai anche promesso ai veneziani che andrai a combattere in prima persona, spada in mano e tutto il resto?” chiese Caterina, con un'aria di sufficienza che fece adirare Girolamo più di ogni altra cosa.
 L'uomo represse l'ira che lo stava corrodendo e si limitò a rispondere: “Certo.”
 “E lo farai davvero?” domandò la moglie, con un tono che non avrebbe lasciato repliche, in altri frangenti, ma ormai Girolamo era stato sfidato e così ebbe il coraggio di risponderle.
 “Ovvio.” fece lui: “Al momento opportuno. S'intende.”
 “S'intende.” gli fece eco lei: “Tu non ne sai nulla di guerra.” dichiarò alla fine Caterina, alzandosi per prendere dalle braccia del marito la piccola Bianca.
 L'uomo le lasciò la figlia senza protestare, ma solo per non far di nuovo piangere la piccola, e sussurrò, con un tono vagamente sarcastico: “Invece voi la conoscete bene, eh, la guerra?”
 “Meglio di te di sicuro.” disse dubito Caterina, al che Girolamo non ebbe più pazienza e uscì dalla stanza, adducendo come scusa che doveva passare a dare la buona notte anche agli altri due bambini.

 I giorni e le settimane galopparono rapidi, molto più veloci di quanto non facessero i messaggeri per Milano.
 Quando Ludovico venne a sapere che Venezia e Ferrara erano in guerra l'una contro l'altra, inizialmente non seppe che pensarne.
 Prima di tutto, si disse, non erano affari suoi. Milano non avrebbe tratto giovamento nello schierarsi nell'immediato e in fondo non aveva ragione di complicarsi la vita partecipando a una guerra scoppiata senza che gli fosse chiesto di partecipare.
 Poi, però, mentre si grattava pensieroso il mento, si rese conto che avrebbe dovuto schierarsi per forza. Anche se Ferrara era nelle sue mire come progetto a lungo termine, era da quasi due anni che lavorava al fidanzamento con Beatrice, la figlia di Ercole d'Este. Se non avesse dichiarato il suo appoggio – almeno teorico – a Ferrare, c'era il rischio che il matrimonio saltasse.
 D'altro canto, però, sua nipote Caterina, da Roma, continuava a scrivergli. In modo formale e distaccato, va bene, ma non aveva tagliato i ponti. Anzi, da quando Bona era prigioniera, Caterina sembrava essersi riscoperta fervente sostenitrice di suo zio.
 E Caterina Sforza era leale ai Riario e di conseguenza ai Della Rovere, che detenevano il potere in Vaticano e che si erano apertamente schierati con Venezia...
 Ludovico sospirò pesantemente, guardando la pergamena che chiudeva la finestra. Perchè in quel maledetto castello di Porta Giovia doveva fare tanto freddo anche in primavera?
 Che cos'era saltato in testa a suo padre di trasformare quella vecchia caserma nel palazzo ducale?
 Ludovico si alzò di scatto e prese con sé il messaggio che gli spiegava nel dettaglio la questione di Ferrara e Venezia. Voleva andare a parlarne con il suo cancelliere di fiducia. Solo allora avrebbe deciso come muoversi.

 “Si tratta di Sanseverino, non di uno qualunque.” soppesò con attenzione Bartolomeo Calco: “Insomma, se io fossi stato al posto dei veneziani, avrei scelto lui. Esattamente come hanno fatto loro.”
 Ludovico squadrò il cancelliere con lo sguardo torvo: “Per avere di questi commenti, potevo andarne a parlare nella prima osteria.”
 “Sanseverino era un uomo da non inimicarsi. Una spada al soldo valida quanto la sua è difficile da trovare. Se voi non aveste perso la pazienza con lui...” prese a dire Calco, con voce cadenzata.
 “Se n'è andato lui, di sua spontanea volontà! Dopo che ci ha aiutati a prendere Milano, io l'ho anche messo nel mio consiglio, eppure lui mi ha ripagato facendosi assoldare dai veneziani!” inveì Ludovico, cercando subito di calmare la rabbia che gli stava montando in corpo.
 “Sì, Sanseverino poteva anche risparmiarci questa umiliazione.” convenne Calco, con un gesto accomodante della mano: “Ma ora pensiamo alla realtà dei fatti. Venezia, Genova e il papa contro Ferrare e i Colonna. Non mi sembra ci sia molto da dire.”
 “E il mio fidanzamento con Beatrice d'Este?” chiese Ludovico, mordendosi il labbro inferiore, gli occhi che cercavano di sondare quelli sfuggenti del cancelliere.
 “Per il momento è presto parlare. I Colonna potrebbero dare del filo da torcere a Roma. Da tempo sono in cattivi rapporti con gli Orsini, potrebbe essere la volta in cui avranno la meglio.” ragionò Calco, sollevando le spalle: “Noi stiamocene qui buoni. Lasciamo che si azzannino tra loro. Dichiariamoci infinitamente affezionati a vosta nipote Caterina, e per estensione umili cristiani rispettosi del papato e dall'altro lato dichiaratevi sempre innamorato perso di Beatrice e umile aspirante genero di Ercole. Quando la guerra prenderà una piega più certa, allora anche noi saremo più certi dei nostri sentimenti, se così li vogliamo chiamare.”
 Ludovico ascoltò tutto con attenzione e con un lieve sorriso a increspargli le labbra. Quando fu convinto, piegò appena la testa da un lato ed esclamò: “E bravo il mio cancelliere.”

 Roberto Sanseverino stava annusando l'aria, il lungo naso che vibrava nel freddo alito del mattino fresco di quel maggio acerbo.
 Aveva già sessantaquattro anni, eppure i suoi sensi erano più fini e acuti di quanto non fossero stati in gioventù.
 I suoi occhi, forse, non erano più limpidi e lungimiranti come un tempo, ma le sue spalle erano più forti che mai e la sua mente pronta e agile, stabile come quella di nessun altro.
 Era alla testa dei suoi uomini e davanti a sé poteva vedere la cità che andava sotto il nome di Rovigo. L'inizio del ducato di Ferrare, il nord estremo di un piccolo impero che disprezzava con tutto il cuore.
 Il sole stava sorgendo, in lontananza, e il cielo era sgombro, di un azzurro tenero e indifferente, disinteressato agli affari degli uomini.
 Di quando in quando si sentiva il grido di qualche uccello, ma per il resto, tutto era silenzio. Perfino i cavalli dei soldati sembravano intenzionati a lasciare il paesaggio tranquillo e bucolico.
 A Sanseverino parve quasi un peccato aver scelto quella mattina perfetta per spargere del sangue innocente. Ma dopo tutto, quello era il suo lavoro e di qualcosa doveva pur occuparsi, nella vita...
 Un battito del cuore, un sospiro e un mezzo nitrito del suo cavallo. Era il momento. Quella guerra sarebbe cominciata quella mattina.
 “Avanti.” disse Sanseverino, dando un'ultimo assaggio a quel profumo di erba bagnata e terra smossa: “I Veneziani non ci pagano per guardare. State pronti. Al mio segnale...”
 E bastò che con una mano guantata di ferro Roberto Sanseverino facesse segno di avanzare, che tutti i suoi soldati, come un solo uomo, ripresero la marcia, dapprima calmi e ordinati e poi sempre più veloci, fino a sembrare un fiume in piena, un fiume di cavalli, uomini, spade e armature, un fiume pronto a travolgere una città ancora quasi ignara della propria sorte, una città che quel giorno conobbe l'inferno.

   
 
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