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Autore: Relie Diadamat    30/10/2015    5 recensioni
Merlin, ventenne suonato, si ritrova costretto a lavorare al fianco del suo inseparabile Asino, nel bar aperto da quest'ultimo. Con loro c'è Freya, la dolce ed ingenua fidanzata di Merlin, che Arthur detesta.
Tutto cambia un giorno, quando il giovane Pendragon rivela ai suoi colleghi un cambio di programma.
*
[Dal Cap. 1]
«Non saremo i soli a gestire il bar.» continuò Arthur, serrando lievemente la mascella, evidentemente quella non era stata una scelta del tutto condivisa dal biondino «Mia sorella Morgana ed il suo fidanzato Mordred saranno dei nostri.»
Il cervello del corvino si resettò in un lampo.

*
[Cap. 6]
«Io non voglio condividere proprio niente con te, Aridian.» sibilò, serrando lo sguardo.
«Strano…» Unì tra loro le mani, aggrottando la fronte «La droga la dividevi volentieri.»

*
[Cap. 13]
«Quella stronzata che sono attratto dal tuo ragazzo. Come ti è venuta in mente una cosa simile?»
«Perché io ti ho visto, Arthur. Ho visto cosa diventano i tuoi occhi quando lo guardi».

*
[Cap 11]
«Io ti avrei amata per sempre».
*
*
[Freya/Merlin/Arthur] [Mordred/Morgana/Merlin] [Freya/Merlin/Morgana] [Merlin/Arthur/Mithian] [Elyan/Mithian/Arthur] [Kara/Mordred/Morgana] [Freya/Gwaine]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Freya, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù, Merlino/Morgana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nda: Buon salve a tutti!
Credo di aver dimenticato l'ultima volta che ho postato un capitolo nuovo... ma mi giustifico offrendovi il quindicesimo che... attenzione! Segnerà la fine della prima parte della storia. Se volete, ci vediamo a fine capitolo per eventuali spoilers (si, vi offro spoilers) e chiarimenti.
Comincio con l'avvisarvi che questo capitolo è, per il momento, il più lungo che io abbia mai scritto... Ed ho tagliato delle parti xD Ma, spero, vi piacerà!
Ringrazio tutte le bellissime persone che, capitolo dopo capitolo - ma anche occasionalmente - mi hanno lasciato per iscritto il loro pensiero: davvero, vi adoro! *-*
Grazie a tutte quelle persone pie che hanno aggiunto la storia nelle preferite/ricordate/seguite e che, anche se non recensiscono sono lì ed io le vedo e questo mi fa un piacere enorme, per davvero.
Grazie a tutte le persone che leggono la storia con curiosità ed entusiasmo. Vuol dire molto per me.
E poi vorrei ringraziare particolarmente Adebaran che mi sopporta e mi supporta in ogni occasione. Grazie! *-* 
NB: il simbolo (*) indica un passaggio dal presente ai ricordi, o viceversa, ma non indica un distacco totale della scena; se vedete delle frasi in corsivo sono citazioni riprese da capitoli precedenti :)
Spero di essere stata abbastanza chiara, ma se così non fosse, chiedete pure.
Vi lascio al capitolo, lasciando a voi l'ardua sentenza.
Buona, spero, lettura!
 


XV.  Non si piange sul latte versato
 
Soundtrack: Click

E l'amore guardò il tempo e rise,
perché sapeva di non averne bisogno.
Finse di morire per un giorno, e di rifiorire alla sera, senza leggi da rispettare.
Si addormentò in un angolo di cuore per un tempo che non esisteva.
Fuggì senza allontanarsi, ritornò senza essere partito, 
il tempo moriva e lui restava.
- Luigi Pirandello.
 
 
 






Venti centesimi di secondo. Colpo di fulmine.
Bastano pochissimi attimi affinché la tua vita cambi per sempre.
Scientificamente, in un quinto di secondo, nel cervello si attivano processi chimici che rilasciano nel corpo sostanze in grado d’indurre effetti simili a quelli della droga. Benessere. Eccitazione.
Ma cosa succede quando tutto giunge al capolinea?
Secondo la psicologia gli effetti sono correlabili alla depressione.
Ma come ti accorgi che l’amore è al tramonto? Quanto tempo ti occorre prima di sprofondare nell’oblio? E, soprattutto, sei davvero sicuro della tua scelta?
 
 
 
 







«Misericordia, Gracie! Quante volte devo dirti di chiudere quella tua stupida boccaccia?!»
Terzo tavolo accanto alle vetrate; per un attimo lo sbotto irritato dell’uomo era arrivato fino al bancone. La bionda, seduta imbarazzata al suo posto, teneva la testa bassa.
Qualche paia di occhi si erano soffermati sulla coppia per poi tornare disinteressanti verso la persona accomodata al proprio tavolo.
L’uomo era leggermente rosso in volto – quasi come un tovagliolo candido sporcato di vino -, la vena del collo appena pulsante.
Arthur li fissò più a lungo degli altri. Dalla volta di Jonas – e il… “mal tentato suicidio d’amore” -, il biondo captava qualsiasi avvenimento, anche effimero, come segnale d’allarme.
La donna si mordicchiò il labbro inferiore cinque volte e congiunse le mani in una stretta compulsiva. Sembrava ansiosa.
Da quanto era uscito da casa di Merlin, il cervello di Arthur era come impazzito. Il Pendragon notava crimini e prove nascoste ad ogni angolo. Se Merlin gli aveva mentito spudoratamente per tutti quegli anni, perché mai non si sarebbe dovuto preoccupare di una bionda ansiosa in compagnia di un tipo isterico, paonazzo quanto un lattante in lacrime?!
Le sue riflessioni insanamente mal calibrate furono interrotte dal civettuolo mormorio di due ragazzine – forse quindicenni – impalate a ridacchiare come criceti impossessati, a qualche passo di distanza dal bancone.
Arthur distolse lo sguardo da quella che prima gli era sembrata una probabile nuova coppia per un romanzo giallo degno della Fletcher, indirizzando i suoi occhi chiari verso le due morette svampite. «Desiderate ordinare qualcosa, dolci donzelle?» Il sorriso sul volto di Arthur non era mai stato più fasullo.
Le due adolescenti squittirono qualcosa nella loro lingua segreta finché la ragazzina con le lentiggini non spinse quella col naso aquilino verso il barista.
Questa si strofinò il braccio tesa, arrossendo lievemente. «Ehm… Volevamo sapere solo se… Volevamo sapere chi serve ai tavoli».
«Beh, la Regina è una donna molto impegnata, ma qualche volta William e Kate ci onorano della loro presenza».
La quindicenne dal naso aquilino storse la bocca in una smorfia infantile, ritornando avvelenata dall’amica borbottando insulti sul personale del locale.
Arthur grugnì in risposta, spostando il capo in direzione del suo nuovo dipendente parigino. Quel tizio non gli piaceva affatto: sembrava un saputello schizzinoso capace di piegare in pochissimi mesi le volontà di Morgana, convincendola persino a portare un anello al dito – anche se, ringraziando il Cielo, l’unico gioiello che sua sorella era fiera di sbandierare ai quattro venti era il suo stupido e costosissimo orologio da polso.
Mordred non poteva entrare nel suo bar e adombrarlo come se fosse un dipendente qualunque, solo grazie al suo stupido accento francese!
Era inammissibile!
Che poi, cosa poteva mai unire un Pendragon ad un simile soggetto con la erre moscia e la puzza sotto al naso? Sua sorella era ammattita. Del tutto.
«Il est à son goût?» Mordred aveva sorriso cordiale alla cliente, servendole il suo cappuccino. «Mi hanno detto che le piace zuccherato».
Arthur emise un verso di disappunto nel vedere l’occhiolino complice che l’amica della cliente e Mordred si scambiarono, per poi sentirgli pronunciare con il suo odiosissimo accento nasale: «Molly? Il est un beau nom!»
Patetico. Ruffianarsi in quel modo le clienti! Ma chi lo aveva mai detto, poi, che quello francese era l’accento più sensuale del mondo?! L’inglese! Quello… quello era classe!
«Quei soldi ci servivano, brutta stupida!»
I dipendenti del Pendragon’s si voltarono in direzione del terzo tavolo accanto alle vetrate, mentre tutto il locale si ammutoliva scivolando in un insolito silenzio.
L’uomo aveva colpito il tavolo con un pugno chiuso, tenendo le labbra ben serrate tra loro quasi gliele avessero ricucite con ago e filo metallico. La bionda era scossa, i capelli crespi a coprirle il volto.
Il bar riprese vita in pochi secondi, dimenticandosi quasi nell’immediato dell’accaduto; Mordred e Arthur si scambiarono un’occhiata seria, forse pensando incredibilmente la stessa cosa, mentre gli avventori ripresero a sorseggiare le loro bibite ghiacciate e mangiucchiare i biscotti omaggio nel piattino bianco.
Il francese si sistemò il vassoio di plastica rosso Pendragon parallelamente al fianco, notando la figura snella di Morgana impalata a qualche decina di passi dall’uomo irato. Con le sue onde corvine raccolte in uno chignon affrettato, continuava a rimanere immobile con i suoi caffè traballanti.
Mordred alzò un sopracciglio confuso.
«Morgana?»
Nel preciso istante in cui la mano di Mordred si poggiò sulla sua spalla, Morgana si ritrasse repentina con un sussulto. Gli occhi verdi erano spalancati, la sua pelle più bianca del solito ed ogni centimetro del suo corpo si era come ibernato di colpo.
Non sembrava neanche lei in quel momento. Forse, avrebbe stentato a riconoscersi da sola.
«Helios… Lei non c’entra. Lasciatela andare»
Il liquido scuro del caffè era fuoriuscito da una tazzina capovolta, estendendosi sulla superfice rossastra del vassoio.
«Voglio i miei soldi. Ora».
Gli occhi. Gli occhi di Morgana erano terrorizzati.
«Mi dispiace tantissimo, credimi».
Morgana poteva ancora risentirli sul volto, quei due pugni maledetti. La sua pelle bruciava come fuoco ardente e la sua gola si chiudeva in un nodo soffocante. La sua mente era diventata un guazzabuglio d’incubi: rivedeva il viso aguzzo di quell’uomo spregevole adombrato dalla notte, le lacrime di Merlin mentre la teneva stretta a sé…
«Morgana, guardami.» Mordred tentò di avvicinarsi ma la corvina scosse energicamente il capo, sfuggendo dal suo sguardo.
Posò con poca grazia il vassoio sul tavolo a lei più vicino, sottraendosi dagli occhi magnetici di Mordred che la scrutavano disorientati, senza articolare risposta. Oltrepassò la sala a passi lunghi e svelti consapevole di essere osservata, scomparendo oltre la porta degli spogliatoi.
Una donna col caschetto platinato sollevò le sopracciglia in un movimento snobistico, portandosi il suo bicchiere alla bocca. «Ormai assumono chiunque», commentò.
«Ma l’hai vista?» La rossa seduta di fronte alla donna replicò offensiva, dando un morso al frollino omaggio. «Sicuramente l’avranno presa per… meriti speciali».
«Dicono sia pazza», s’intromise una terza biondina con le labbra spigolose. «Ho sentito dire che da piccola è stata vittima di un incidente. Sua madre morì e lei fu costretta alle sedute psicoterapeutiche. Era andata via da Londra per qualche anno; probabilmente ritornare le avrà fritto il cervello».
La platinata ghignazzò coprendosi la bocca con un tovagliolo, seguita a ruota dalla rossa.
Arthur provò, per la prima volta in vita sua, il desiderio di alzare più di un dito su una donna. Si chiese come potessero ridere in quel modo sui problemi di altre persone; l’istinto gli suggeriva di schiarirsi la voce e intimarle ad uscire il prima possibile dal suo bar, ma qualcosa lo frenò.
Si ricordò della sua gamba ingessata e delle stampelle poggiate accanto alla mensola dei liquori e, per un minuto, la sua mente si assentò.
«Dì la verità, vecchia arpia», le gridò sovrastando il vento: «Ti è mancata Londra».
«Da morire!»
Morgana era tornata a Londra quasi senza preavviso e lui non si era certo scomodato a chiederle ulteriori informazioni.
«Penso che solo Londra possa darmi ciò che cerco. Ed io sto cercando stabilità.»
Non avevano mai parlato di Parigi, loro due. Morgana era tornata a Londra dopo anni di lontananza e Arthur aveva pensato soltanto al peso della presenza costante di sua sorella nel bar. Ma c’era qualcosa che non andava, qualcosa a cui non aveva pensato…
«Dico solo che non mi piace essere giudicata. E vorrei che mio fratello mi capisse invece di venirmi contro.»
«Mamma, mamma!»
La voce sottile di una bambina dai riccioluti capelli neri seppe riportare Arthur al presente, dove una madre veniva strattonata dalla figlia, che le indicava con un ditino un dolce al cioccolato.
«Ti prego mamma, me l’avevi promesso!»
«Non insistere, Elena.» La donna strinse la mano della vispa bambina, trascinandosela lontana dalle vetrate.
Arthur rimase a guardarle senza dire una parola.
Sul bancone, accanto alla cassa, riposava immobile l’anello di Gwen.
Erano molte le cose alle quali non aveva pensato.


 
 





 
 
Nei corridoi del Kilgharrah’s Hospital riecheggiava il rumore dei carrelli della colazione, trasportati dagli infermieri pronti al cambio delle lenzuola.
Mithian era corsa in tutta fretta nella stanza del signor Allen, dove l’allarme del codice blu rimbombava tra le pareti. Lo aveva rianimato per la seconda volta nell’arco di cinque ore, ma tutto sommato quella vecchia volpe era forte: Mithian sapeva con certezza che il suo paziente ce l’avrebbe fatta.
Aveva sorriso soddisfatta quando la pressione si era stabilizzata, tirando silenziosamente un sospiro di sollievo.
L’unica cosa di cui aveva bisogno era un caffé, caldo e inteso. Indirizzò lo sguardo verso l’orologio appeso al muro qualche centimetro sopra il bancone dell’infermiera; Elyan doveva aver terminato il suo turno da un paio di minuti, probabilmente la stava già aspettando al bar dell’ospedale. Il giro delle visite sarebbe iniziato da lì a poco e proprio non le andava di arronzare il suo piccolo momento di pace.
Le piaceva passare del tempo con Elyan, ma odiava andare di fretta - il che poteva considerarsi un controsenso stratosferico considerando il suo lavoro in ospedale.
Ricontrollò scrupolosamente le lancette dell’orologio, mentre il suo stomaco cominciava a brontolare.
«Qualcosa devo pur sempre metterla tra i denti», constatò quasi volendosi giustificare, ma terminata quella semplice frase il cuore del signor Allen impazzì per la terza volta.
 















Sentiva ogni muscolo del suo corpo intorpidito e le ciglia incollate tra loro. Sollevò piano le palpebre udendo una voce al suo fianco.
«Grazie al Cielo. Un giorno mi farai morire di crepacuore, Merlin».
Il ventenne riconobbe il tono paternale di Gaius, mentre pian piano il volto metà rasserenato e metà ansioso dell’anziano diventava una figura chiara e omogenea.
«Mi sembra di avere del cemento sullo stomaco», disse solo, ancora un po’ intontito dai farmaci.
«Beh, meno male!» Gaius lo guardò con disappunto, anche se con una mano gli carezzò il braccio. «Questo vuol dire che sei stato operato da gente qualificata».
Merlin s’irrigidì di colpo. «Sono in ospedale?»
«La ferita si era aperta e infettata», gli fece nota l’anziano con quel suo sopracciglio incurvato verso il basso. «A volte mi chiedo proprio cos’hai nella testa. Cosa credevi di fare?»
Un pensiero balenò nella mente del corvino, mozzandogli il fiato. «Dov’è Freya?»
L’ex medico militare combatté contro la voglia di fargli una scenata o attentare seriamente alla sua vita, ma alla fine cedette alla compassione. Quel ragazzino incosciente era pur sempre il suo Merlin. «E’ andata a prendere qualcosa da mangiare, è stata qui con me per tutta la notte. Pensa che un uomo ubriaco abbia tentato di derubarti e che ti abbia sparato».
Merlin riprese aria dalla bocca dando un senso a quelle che parevano parole messe a casaccio, annuendo debolmente. «Grazie».
«Non ringraziare me. Qualcuno da lassù deve volerti bene per davvero.» Gaius fece cadere il suo sguardo sulle iridi glauche del ventenne.
Merlin si accorse solo in quel momento quanto l’anziano fosse stato in pena per lui. I suoi occhi erano lucidi e brillavano acquosi nella luce fredda della stanza.
Non lo sapeva neanche lui cosa gli era saltato per la testa; Morgana era fuggita via come suo solito, riversandogli addosso tutte le sue frustrazioni, incolpandolo della fine della loro storia… e in qualche modo Merlin si era convinto che quella fosse la verità. Era stata colpa sua, lo riconosceva, eppure continuava a sbagliare.
Morgana era tornata a Londra. Si era intrufolata nel suo appartamento - o meglio ancora, in quel che era stato il loro posto sicuro -, dicendogli di essere tornata per restare. Per restare.
Ci aveva provato sul serio ad ignorarlo, far finta che non fosse vero convincendosi che Freya fosse tutto ciò di cui avesse bisogno. Ma era bugia: lui l’amava e l’avrebbe sempre amata, e niente al mondo sarebbe mai stato in grado di fargli cambiare idea. Doveva scegliere, non poteva più nascondersi in quel modo.
«Aridian non si fermerà mai, Merlin», disse Gaius con voce pacata, quasi gli avesse letto nel pensiero. «Morgana non può sopportalo. Non dovrebbe.»
Il corvino strinse i denti e sotto le lenzuola strinse anche la mano sinistra in un pugno.
Aridian.
Aveva rivisto il suo volto ghignante nei suoi incubi, ne aveva riascoltato le parole di ghiaccio e il rumore sordo dello sparo. Aveva sognato di morire nella sala operatoria, con suo zio che sorrideva trionfante con la pistola tra le dita. Lui gridava agitandosi, ma nessuno riusciva ad ascoltarlo.
Una volta aver riaperto gli occhi e aver rivisto il viso familiare di Gaius, aveva pensato che tutto fosse al suo posto, ma non era così.
Aridian era ancora vivo. Era ancora tra le strade di Londra che beveva indisturbato il suo primo bicchiere del mattino in un qualche locale, nascondendo la sua arma chissà dove. Lo avrebbe sopportato: avrebbe accettato il fatto che Dio, o il Destino o qualsiasi altra cosa, lo avesse tenuto in vita ma non avrebbe accettato la gamba ingessata di Arthur e i lividi sulle gote chiare di Morgana.
Non poteva vedere le persone che più amava al mondo soffrire a causa sua, per colpa degli ‘incentivi’ di Aridian. Sapeva perfettamente a cosa mirava suo zio: il minimo comune multiplo di tutti i suoi obiettivi erano i soldi, collegati meschinamente con la droga, ma per riuscire ad averli Aridian aveva bisogno di sicurezza e silenzio. Merlin non era altro che un ostacolo: o sarebbe passato dalla sua parte come gli aveva chiesto la prima volta nel bar, o si sarebbe preso ciò che voleva a qualsiasi costo.
Merlin lo sapeva molto bene.
«Non volevo che finisse in questo modo.» Il corvino tenne lo sguardo fisso sulle sue gambe coperte, avvertendo un nodo fastidioso alla gola. «Non volevo che soffrisse».
«Lo so.» Gaius poggiò la propria mano rugosa su quella calda del ragazzo. Lo aveva visto crescere, innamorarsi e soffrire ed ogni volta era sempre più difficile.
Merlin reclinò la testa, alzando lo sguardo al soffitto per non far cadere le lacrime. «Non so più che cosa fare, Gaius. In questo momento mi sembra complicato anche solo respirare».
L’anziano sospirò, stringendo più forte la sua mano. «Lo so».
Il mento del ventenne tremolò, mentre lievemente si voltava a guardare il suo tutore dritto negli occhi, proprio come la notte in cui gli aveva salvato la vita. «Dimmi cosa devo fare, Gaius.» Sembrava quasi una supplica, la sua. La supplica di un ragazzo troppo giovane per problemi così gravi. «Ti prego».
L’ex medico militare lo fisso in silenzio per un istante. Mandò giù la saliva depositata nel palato, aprendo di nuovo la bocca: «Penso che tu debba fare la cosa giusta».
 











«Elyan!»
L’infermiere, sentendosi richiamare, si voltò alle sue spalle riconoscendo la figura raggiante di Mithian… già in divisa.
«Princess!» Elyan l’aspettò fermo al suo posto, accanto all’ascensore. «Riesci ad arrivare in ritardo anche se siamo nello stesso ospedale. Qual è la tua scusa?»
Mithian alzò le mani in segno di resa, accostandosi alla parete chiara dell’ospedale. «Il cuore del signor Allen è impazzito altre due volte. Credo che lo faccia di proposito», scherzò.
Elyan annuì, comprimendo le labbra. «Così niente colazione, eh?»
Il paramedico sollevò le spalle sentendo l’ascensore aprirsi. «Sarà per un’altra volta».
Prima ancora che il mulatto potesse premere un pulsante qualsiasi, la specializzanda si fiondò tra le porte, al fianco dell’amico. «Non ho detto questo. Voglio fare colazione con te».
Elyan sbuffò una risata scettico. «Ma non abbiamo tempo!»
«Beh, se resti lì impalato no!» Mithian indicò con un gesto della mano il piano terra, per poi riportarla nella tasca del suo camice.
Un sorriso nacque spontaneo sul viso dell’infermiere senza che neanche lo volesse. Era contento che Mithian avesse deciso di passare del tempo con lui nonostante i suoi impegni sfiancanti. Il turno di notte era impegnativo e stressante ed erano poche le occasioni in cui poteva parlare serenamente con Mithian, senza il terrore dell’orologio. Ci aveva pensato spesso e, proprio la notte precedente, aveva deciso di fare domanda per il turno di giorno. Non aveva intenzione di dirlo alla Princess: voleva farle una sorpresa; si sarebbe gustato il sorriso allegro e genuino che gli avrebbe dedicato, insieme - magari - ad un abbraccio amichevole.
Premette il pulsante, aspettando impaziente che l’ascensore si fermasse.
 





 
 
Il getto d’acqua gelida della doccia le cadeva sulla pelle, mentre accovacciata si perdeva nei suoi pensieri.
Si era sentita mancare l’aria in un momento, ritrovandosi sospesa nel vuoto come un’equilibrista. Ed era stato terribile.
Era scappata via dal bar ignorando gli sguardi di suo fratello e di Mordred, accorgendosi di sentirsi maledettamente a disagio al posto di guida.
Due pugni. Quell’uomo le aveva dato due pugni sul volto; Merlin era stato sparato e tutto stava collassando. Non riusciva più a baciare il suo fidanzato perché quell’idiota di Emrys era stato sparato e un uomo le aveva colpito la faccia per due volte. Violentemente.
Non riusciva più a dormire nello stesso letto di Mordred perché il pomeriggio antecedente era sgattaiolata nell’appartamento del suo ex, confessandogli che per lei non era ancora finita.
L’acqua le scivolava sulla pelle nuda, le appesantiva i capelli.
Ci era già stata in quella situazione, ed aveva già fatto la sua scelta. Anni fa, prima di Parigi, prima di Mordred, prima di quei due pugni maledetti.
 


*



Morgana continuava a tenergli il broncio a braccia incrociate, arricciando le labbra come una bimba dispettosa. Merlin aveva sbuffato per la millesima volta quella sera, continuando però ad insistere nel volere delle scuse - e finendo per scusarsi come suo solito.
«Morgana, per favore! Possiamo smetterla di comportarci come se avessimo tre anni e discutere come persone mature e vaccinate?»
«Mature e vaccinate?» Morgana alzò un sopracciglio infastidita, guardandolo con la coda dell’occhio. «Non mi sembra di vederne in giro».
Merlin roteò gli occhi, sospirando esasperato. «Non voglio che si sappia in giro, tutto qua».
«Tutto qua?!» sbraitò lei. «Tu rinneghi la nostra storia e sai solo dire “tutto qua”?!»
«I-Io non sto rinnegando nessuna sto-»
Morgana lo fulminò con uno sguardo assassino, puntandogli un dito al petto. «Sai che ti dico, Merlin Emrys, che se non vuoi dirlo al tuo stupido amichetto e a mio padre, tu con me hai chiuso. Capito? E’ finita!»
Merlin si allarmò, cominciando a boccheggiare. «Cosa? N-No!» La fermò per il polso, costringendola a guardarlo bene in faccia. «Io voglio stare con te. Non è vero che è finita!»
Morgana si ritrasse stizzita, ghiacciandolo con le sue parole di veleno: «E’ finita!»
La corvina si allontanò verso la porta di casa, sentendo i passi di Merlin alle sue spalle mentre continuava a dirle che non poteva lasciarlo in quel modo perché lui non lo meritava, perché stavano insieme e le cose andavano affrontate in due.
Morgana lo ignorò, sbattendogli la porta in faccia come risposta. Indispettita, lanciò la sua borsa sulla poltrona in soggiorno, maledicendo quell’imbecille di Emrys con tutta l’anima.
«Cos’è questa storia?»
Morgana sussultò appena, accorgendosi solo in quel momento della presenza del padre nella stanza. Aveva un’espressione accigliata, la mano destra impegnata a sorreggere una sigaretta accesa. «Ti ho fatto una domanda, Morgana».
La ragazza scrollò le spalle, minimizzando. «Niente».
Uther si alzò dalla sua poltrona di velluto, spegnendo la sigaretta nel posacenere di vetro. «So chi è quel tizio. Non voglio che tu lo frequenti».
«Ti ho detto che non è niente d’importante!»
«Ed io ti sto dicendo che non sono uno stupido, Morgana».
Messa alle strette, la corvina si arrese nel dire la verità: «Che c’è di male? Mi sento a mio agio con lui, Merlin mi fa stare bene… Io lo amo».
«Lo ami?» Il tono di Uther si alzò paurosamente, mentre la sua pelle si colorava di rosso. «Sei solo una ragazzina! Tu non sai chi è quel tizio, tu non sai come funziona la vita, tu non sai niente dell’amore!»
Su gli occhi di Morgana scese un velo d’inverno, rendendo quei due smeraldi due coltelli affilati. «Io lo amo. Lui mi rende felice. Voglio stare insieme a lui anche quando vorrei picchiarlo con le mie stesse mani. Tu non hai mai fatto una cosa simile per la mamma! Tu non l’hai resa felice, tu le hai reso la vita un inferno! Sei tu a non sapere niente dell’amore!»
Arrivò netto e tagliente, lo schiaffo. Risuonò in tutto il soggiorno. Morgana si portò una mano sulla guancia offesa, crucciando lo sguardo. «Va’ all’inferno».
Si catapultò verso la porta, sentendo le grida del padre alle sue spalle: «Se esci da quella porta, dimenticherò che tu sei mia figlia! Se tu esci da quella porta», tuonò iroso, «non ci sarà più posto per te nella mia casa».
Morgana si fermò, osservando la superficie lignea dell’uscita. «Non aspettavo altro.» Con un gesto secco, aprì il chiavistello, precipitandosi per strada chiamando a gran voce il nome di Merlin.
Lo vide qualche ventina di passi più avanti, accanto alla libreria del vecchio Geoffrey. Il ragazzo si voltò con la fronte aggrottata, perplesso nel sentirsi chiamare e sorpreso nel vedere Morgana correre tra le sue braccia.
L’accolse tenendosela stretta, sentendo il fiato di Morgana sfiorargli il collo. Prima ancora che lui potesse dire qualsiasi cosa, la Pendragon lo anticipò: «Mi sta bene. Non diciamo nulla a nessuno, ma tu devi restare insieme a me. Non ti è concesso lasciarmi, d’accordo?»
Merlin affondò la mano destra nei suoi capelli neri e profumati di pesca, respirandone l’odore. «D’accordo».
 











Quando Freya entrò nella stanza e si accorse che Merlin era sveglio, gli sorrise come se avesse visto la cosa più bella e preziosa esistente sulla faccia della Terra.
Gaius si era alzato dalla seggiola su cui aveva dormito per tutta la notte, lasciando ai due ragazzi del tempo per parlare e stare da soli. «Io vado a sgranchirmi un po’ le gambe o diventerò una mummia costretta su una sedia a rotelle», disse, lasciando delle pacche amorevoli sulle cosce di Emrys.
L’ultima cosa che l’anziano ascoltò, prima di uscire dalla stanza, fu lo sciocco di un bacio sulle labbra.
«Ero così preoccupata, amore.» Freya staccò la sua bocca da quella del corvino, tenendogli il viso tra le mani. «Sono così contenta di rivederti sveglio!»
Merlin allargò le labbra secche e rosee, ma solo per un istante. «Dov’è Arthur?»
Freya fece scivolare lo sguardo sulle labbra del ventenne, allontanando lentamente le sue mani dalle guance ricoperte da un sottile accenno di barba. Prese posto accanto al letto, sulla sedia lasciata vuota da Gaius, cambiando totalmente espressione.
Merlin corrugò la fronte alla reazione della mora. «Gli è successo qualcosa?»
«Ho baciato un altro».
Le parole l’erano uscite spontanee dalla bocca. Non ci aveva neanche pensato: era successo come prendere una boccata d’aria, naturale e spontaneo. Glielo disse senza alcun ripensamento: «Ho baciato un altro».
Il ragazzo si ammutolì di colpo. Freya era lì, seduta su una sedia scomoda che gli diceva di aver baciato un altro uomo e, stranamente, non gli venne voglia sparire.
«Ho baciato un altro e forse dovrei dirti che non lo volevo, ma sarei una bugiarda perché ti mentirei.» Freya si morsicchiò il labbro inferiore, stringendosi nelle spalle, com’era solita fare quando si sentiva in difficoltà. «Ho avuto paura, mi sono sentita sola. Tu mi hai lasciata sola, continuamente. Quando ti ho rivisto ieri notte nel nostro letto, ho capito che ho fatto bene a baciare un altro uomo, perché adesso so che non mi è piaciuto. Perché io voglio baciare te, Merlin Emrys, per il resto della mia vita e non m’importa cosa diranno gli altri su di noi, io voglio che funzioni perché ieri notte entrando in casa nostra e vedendoti nel nostro letto ho capito che ci sono delle cose per cui vale la pena lottare.» Fece una breve pausa, torcendo le dita tra loro. «Io so che tu l’hai amata, so che lei è stato il tuo primo vero amore. Ma, per quel che vale, io voglio lottare per te. Non voglio morire senza aver lottato ed io ci proverò, però tu devi dirmelo in questo istante quello che vuoi. Devi dirmi se l’ami ancora o se c’è spazio anche per me. Devi dirmelo, perché io ne accetterò le conseguenze.»
Quella era la sua scelta: bianco o nero, sì o no, fuori o dentro… Freya o Morgana.
Aprì la bocca per dire qualcosa, per prendere la sua decisione, ma non emise alcun suono. Doveva fare la scelta giusta, e l’avrebbe fatta. «Freya, io...»
«Buongiorno!» Una Mithian sorridente comparse nel suo camice immacolato dalla porta della stanza, prendendo tra le mani la sua cartella clinica. «Tutto bene?»
Merlin lanciò un’occhiata in direzione di Freya, tornando poi a guardare la specializzanda facendole cenno di sì col capo.
«Perfetto! Allora...», Mithian scorse col dito i fogli della cartella clinica leggendo sommariamente ciò che c’era scritto. «Merlin Emrys, vent’anni. Ferita d’arma da fuo...»
La specializzanda aggrottò la fronte confusa, rileggendo accuratamente la cartella. «Dev’esserci uno sbaglio...»
«Qualcosa non va, dottoressa Princess?»
Le iridi nocciola della donna abbandonarono le righe d’inchiostro, concentrandosi sulla figura del primario. «No, signore. Solo… sembra che manchi la diagnosi iniziale».
Kilgharrah sorrise cortese ai due ragazzi, prendendo tra le mani la cartella clinica. «E’ tutto al suo posto, dottoressa Princess, non si preoccupi.»
«Veramente, non mi sembra di aver trovato tale dicitura tra-»
«Le ho detto che è tutto al suo posto, dottoressa Princess», la incalzò duramente il primario. «So che ha passato la notte qui, sarà stanca. Vada a casa».
«Signore, io non ho ancora finito le mie ore».
«Le ho detto: vada a casa.»
Merlin e Freya si accorsero che qualcosa non andava. Il ventenne, soprattutto, leggeva negli occhi ambrati di quell’uomo un qualcosa d’indefinito che, per una qualche ragione, lo rendeva irrequieto.
Mithian non si oppose oltre al suo superiore e lasciò la stanza, dubbiosa.
 








«Chocolat?»
Arthur guardò di sottecchi quell’insopportabile francesino che gli porgeva una scatola di cioccolatini.
«Sono francesi», assicurò Mordred. «Sono buoni».
Arthur sollevò le sopracciglia scettico. «Tu dovresti servire ai tavoli e, se mai avessi voluto del buon cioccolato, avrei detto a mia sorella di trovarsi un tipo svizzero».
Mordred ritirò la sua offerta, limitandosi a dedicargli un falso mezzo sorriso. Quel ragazzino cominciava seriamente a diventare indigesto.
Kara gli aveva sempre detto di stare attento agl’inglesi; non le erano mai piaciuti, diceva.
«Come vuoi», aveva bisbigliato offeso, dirigendosi verso gli avventori.
Il biondino sbuffò, ripensando ancora una volta a quello stupido anello che rimaneva lì a fissarlo come un orologio rotto.
Un ricordo, improvviso e inaspettato, si fece largo nei suoi pensieri…


*



«Arthur, devo dirti una cosa».
Il Pendragon squadrò il corvino dalla testa ai piedi, sorridendo a mezza bocca. «Hai visto un fantasma, Merlin? Hai una faccia orribile», gli fece notare per poi ripensarci meglio: «Beh, quello è normale».
Comprese che Merlin non scherzava quando non lo vide reagire alla sua provocazione. Allora smise di guardare la partita, considerandolo per la prima volta da quando era iniziata quella nenia insostenibile di “Arthur-devi-ascoltarmi”.
«Avanti», lo intimò. «Che c’è?»
Vide Merlin deglutire e sostenere a malapena il suo sguardo. «Riguarda Gwen».
«Cosa l’è successo?», chiese preoccupato, dimenticandosi completamente della tv di quel locale poco alla moda.
Merlin pareva paventare di aprir bocca, quasi qualcuno potesse tagliargli la lingua.
«Allora?!» chiese impaziente il biondo. «Parla!»
Il corvino prese un lungo respiro, guardando dinanzi a sé la birra quasi terminata. Non era solito bere quel genere di cose, non ne aveva mai amato il gusto nel palato, ma quella sera aveva deciso che poteva essergli d’aiuto. «L’ho vista al supermercato».
Arthur lo guardò come se fosse un idiota. «Dev’essere stato terribile», commentò sarcastico.
«Poi l’ho vista anche al parco… e poi fuori scuola».
«Fammi indovinare...» Arthur si portò un dito sul mento, emulando un’espressione pensierosa. «Non ti ha salutato, vero?»
«No», ammise il corvino, scuotendo il capo. «Lei… non era sola».
«Che vuoi dire?»
Merlin ripensò al gusto amaro della birra nel palato. «Era insieme ad un altro».


*


 
Le porte scorrevoli del bar si aprirono come tutte le altre volte in quel giorno, ma quella fu l’unica volta che Arthur sorrise alla sua cliente.
Mithian ricambiò la cortesia, sedendosi sullo sgabello accanto al bancone. «Mi hanno detto che ignori i miei consigli».
«Davvero?» chiese retorico il biondo, senza tuttavia impedire ai suoi occhi bluastri di soffermarsi sulle curve leggere delle labbra della donna.
«Non sta bene fare il cattivo ragazzo, sai?»
«Lo terrò a mente», le disse, senza alcuna traccia di fastidio o superbia. «Sai, ti farei un Vampiro ma… il medico mi ha detto di non muovermi per un mese».
Mithian accennò ad una risata. «Davvero molto divertente, Arthur Pendragon».
«Non sta bene fare il cattivo ragazzo».
La mora si sistemò meglio sullo sgabello, guardandosi intorno. «Vedo che siete a corto di personale».
«Già», mormorò lui, lanciando un’occhiata al francese che intanto annotava nuovi ordini.
Mithian fece schioccare le labbra, incontrando per una seconda volta lo sguardo di Arthur. Le piaceva guardarlo negli occhi e - sfortunatamente - si accorse che le piaceva anche guardarlo e basta. «Beh, mi sembra anche normale. Starete facendo i turni per Merlin, lo capisco».
Nel sentire quel nome, il Pendragon si dimenticò persino della sua antipatia nei confronti di Mordred e dell’esistenza dell’intero locale. «Merlin?»
«Insomma, gli hanno sparato, ha lottato tra la vita e la morte e voi siete suoi amici. Mi sembra ovvio che vogliate stargli vicino in un momento difficile come questo».
Il sorriso sul volto di Mithian scomparì nell’esatto momento in cui lo sguardo del Pendragon si fece assente, impallidendo di colpo. «Tu...», la Princess deglutì a vuoto, comprendendo di aver parlato - per l’ennesima volta- a sproposito. «Tu non lo sapevi...»
Anche da seduto, Arthur sentì la terra mancargli sotto i piedi, rischiando di oscillare verso il basso. Il mondo era diventato muto in un istante, riempito solo da rumori confusi e occasionali.
«Dov’è?», chiese, più a se stesso che a Mithian. «Lui dov’è?»
Era una domanda stupidissima, ma in quel momento gli sembrava essenziale: aveva bisogno di sentirselo dire.
«In ospedale».
Solo dopo aver incontrato le sue iridi d’oceano, Mithian si rese conto che erano velate di lacrime, anche se il Pendragon ostentava a nasconderlo.
«Portami da lui», le disse. «Ora».











Merlin comprese, in quelle ore trascorse in ospedale, quanto fosse noioso non far nulla e starsene a letto per tutto il giorno. Era un aspetto da rivalutare, si disse.
Freya era uscita dall’ospedale sotto consiglio di Gaius, che le aveva gentilmente assicurato di restare con il ventenne finché non sarebbe ritornata.
Erano restati in silenzio a guardarsi per molto tempo, pensando alla stessa cosa: Aridian.
Ad un certo punto, l’ex medico militare si era alzato ed aveva raggiunto con molta lentezza il bagno. Fu in quel momento che Merlin si rese conto quanto Gaius stesse invecchiando; talvolta, sembrava persino più grande della sua età.
Forse era così, si diceva. Forse quando s’invecchia lo si fa gradualmente e poi tutto d’un colpo. Un familiare senso di malinconia gli attanagliò il cuore: gli sarebbe piaciuto vedere invecchiare sua madre e suo padre, ne sarebbe stato davvero contento.
Chiuse gli occhi per un minuto, pensando a dove fosse Arthur.
Non c’era una logica precisa, ma ogni qualvolta gli succedesse qualcosa di terribile o la sua vita si trovasse in bilico, la prima persona alla quale pensava era Arthur.
In tutti quegli anni avrebbe solo voluto parlargli liberamente, senza vincoli o oppressioni; avrebbe voluto condividere con quell’Asino i suoi timori, le sue gioie e i suoi dolori a trecentosessanta gradi, ma gli era impossibile: come avrebbe potuto parlare ad Arthur di suo zio, dei pugni presi nelle costole e sul volto senza accennare alla droga? E come l’avrebbe visto Arthur dopo che l’avesse saputo?
Riaprì gli occhi, benedicendo e maledicendo al contempo la sua assenza in quella stanza, fin quando la porta non si aprì di scatto.
Merlin fu quasi pronto a sorridere, salutando l’Asino con una qualche battuta inventata al momento ma… gli occhi, quegli occhi che lo stavano a guardare e quelle labbra ferme, non erano quelli di Arthur Pendragon.
Il corvino rimase col fiato sospeso, aspettando una qualche reazione.
Vide la sua schiena poggiarsi contro il muro, mentre con una mano richiudeva la porta alle sue spalle.
Non parlò per un paio di secondi, dopodiché lo guardò intensamente al suo solito modo, quello che sapeva togliergli il fiato senza neanche il bisogno di un bacio o di una parola.
«Mi hai messo nella stessa situazione, un’altra volta».
Merlin non cercò di rispondere o dibattere, aspettò solo che Morgana dicesse la sua.
«Come hai potuto farlo? Come?!» Sembrava impaurita come un gattino smarrito nella notte più fredda dell’anno. Sembrava impaurita come una donna ch’era stata picchiata da un uomo.
«Sono terrorizzata, Merlin. Io sono terrorizzata.» Quei due smeraldi tremolavano, zuppi di lacrime. «Io ti amo. Questo, mi terrorizza.» Morgana scosse la testa smaniosa, sorridendo in balia dei nervi e della tensione. «Sarà la seconda volta che te lo dico - e che lo dico - in tutta la mia vita e mi rende irrequieta, mi fa impazzire, mi porta ad una crisi nevrotica… Tu! Tu mi fai perdere il respiro! E questo mi terrorizza perché io sono Morgana Pendragon e ti sto dicendo ‘ti amo’.»
Merlin represse il sorriso che stava per nascere tra le sue labbra; cercò di replicare in qualche modo ma Morgana non glielo permise. Allungò un dito in segno di ammonizione. «Sta’ zitto, altrimenti è probabile che io cambi idea… Ho tutto qui, nella mia testa, è salito tutto a galla in un secondo e ho paura che se non te lo dico adesso non te lo dirò mai più.» Sorrise, per la prima volta da quando era arrivata. «Tu mi ami. Io e te siamo destinati a stare insieme. Lo dicevi sempre, lo cantavi nelle tue canzoni strimpellate… per cui, io voglio affrontare tutto insieme a te. Noi due, insieme, contro tutto e tutti. Io e te dobbiamo stare insieme. Io sono destinata a te e tu a me. Mi appartieni, non riesco a mandarti via tanto che a volte m’infastidisci e mi rendi stressata. Ma tu mi ami e noi dobbiamo stare insieme».
Merlin mandò giù saliva inesistente. Morgana era lì, ad un passo dal suo letto, ad un passo da tutto. Morgana era lì ed aveva scelto lui. Era tornata per restare. Per restare.
Il ventenne, sotto le lenzuola, serrò la mano in un pugno. «Io ho scelto Freya.»
«No, non è vero.» La Pendragon spalancò la bocca, corrugando la fronte.
«Freya è la mia ragazza, io voglio restare con lei».
«Tu l’hai tradita la tua ragazza! Perché tu ami me!»
Strinse così forte i pugni da farsi da male, Merlin, tenendo lo sguardo ben fisso sulla corvina. «No, tu sei una ragazzina! Vai via, torni. Usi le persone come se fossero oggetti, pensando che loro stiano sempre lì ad aspettarti. Tu...» Merlin rise nervosamente, scuotendo il capo. «Tu non hai la minima idea di cosa voglia dire amare. Pretendi di avere tutto e subito ma tu, tu non sai niente dell’amore».
Gli era sembrato uno sforzo titanico, dirle quelle parole. Gli era sembrato impossibile farlo senza mordersi la lingua e pensando a quanto si sentisse cretino e imbecille. «Certo che ti amo, certo che sceglierei sempre te», avrebbe voluto dirle, «certo che sei la donna della mia vita!» Ma non disse nulla. Restò solamente a guardarla, mentre le spezzava il cuore.
«Sei una merda, Emrys», sputò fuori. «Sei una merda!»
«Morgana...»
Lo guardò per un’ultima volta, prima di scomparire oltre la porta della sua stanza. «Va’ al diavolo».
Fu spiazziante e doloroso, un po’ come cadere: essere consapevole di aver detto addio all’unica persona che si ama veramente. E’ stato un po’ come morire, ma senza una fine.
Gaius s’incamminò piano verso il ragazzo, ritrovandolo in lacrime. Spezzato, come lo aveva visto due anni addietro quando l’amore della sua vita aveva preso un aereo per Parigi.
«Ho fatto la cosa giusta.» Si sforzò di sorridere, ma non servì a nulla. Lo fece Gaius per lui: un bel sorriso. Poi gli prese il viso tra le mani, e lo strinse forte. Sperando che servisse a qualcosa.
 
 





 




Arthur era ansioso, qualcosa che gli era capitato solo in pochissime occasioni.
Avrebbe desiderato di non ritrovarsi su quella stupida carrozzella, in modo da poter correre dritto verso la camera assegnata a quell’idiota di Merlin.
Gli hanno sparato. Merlin. Gli hanno sparato.
Mithian gli aveva lanciato di tanto in tanto qualche occhiata mentre era al volante, notando il continuo serrare della mascella e delle mani.
«Quando sono uscita dall’ospedale stava meglio, Arthur», tentò di calmarlo con lo sguardo alternato dalla strada al biondo preoccupato.
«Puoi andare più veloce? Grazie».
Mithian aveva sospirato, premendo il piede sull’acceleratore.
Pensava che una volta arrivati in ospedale il biondino si sarebbe acquietato almeno un po’, ma successe il contrario: Arthur non sapeva dove guardare ed i suoi occhi blu schizzavano da un angolo all’altro. Era impaziente, doveva vederlo.
«Arthur non c’è motivo di agitarsi», gli disse la specializzanda fermando la sedia a rotelle. «Non c’è alcuna fretta».
«Devo vederlo», fu l’unica risposta che Mithian ottenne. «Devo vederlo, adesso».
Cercò di alzarsi dalla carrozzella facendo leva sull’unico piede sano, ma Mithian lo costrinse a sedere e rimanere immobile. «Ehi, non ho intenzione di rimettere le mani su un dipendente del Pendragon’s», lo avvisò con uno sguardo autoritario.
Il respiro del giovane era leggermente affannoso e non accennò a calmarsi, neanche quando le porte dell’ascensore si spalancarono al terzo piano. Arthur afferrò da solo le ruote della carrozzella spintonandola verso il corridoio, fino a non sapere più dove andare.
Mithian gli corse dietro gridando di fermarsi, che non poteva comportarsi in quel modo e che lei gli stava facendo un enorme favore. «Non farmene pentire, Arthur Pendragon», lo avvertì frenando la sua corsa impazzita, parandosi dinanzi a lui. Abbrancò i braccioli della sedia a rotelle, fissandolo inflessibile ad un passo dai suoi occhi.
Il ventenne si rese conto di risultare un povero pazzo e, come una spina dispettosa, le parole della cliente del bar su Morgana gli tornarono a pizzicare la pelle. «Va bene», acconsentì a fare a modo suo, togliendo le mani dalle ruote.
Mithian ringraziò la buona sorte per quella piccola agevolazione, mollando la presa ai braccioli. Si sollevò a schiena ritta, accennando un sorriso affabile. «Te l’avevo detto che era un po’ come guidare una macchina».
Arthur percepì un moto di leggerezza scontrarsi con tutta quell’ansia irrefrenabile, lenendola appena; le sue labbra si allargarono in un sorriso sincero in memoria del suo primo incontro con quell’aggeggio infernale, poi, precipitò tutto.
L’allarme del codice blu rimbombò dappertutto: tra le pareti dell’ospedale, nella camera dalla porta spalancata e le veneziane serrate e nel cervello di Arthur.
Mithian aveva spalancato la bocca, guardando allibita verso il proprio paziente steso nel letto incosciente.   «Oh, no», aveva mugugnato rassegnata, mandando il biondino nel panico più totale.
Cosa voleva dire “Oh, no”?!
Perché suonava quel cavolo di codice blu?!
«Okay», Mithian provò a recuperare la calma, togliendosi la sua giacchetta leggera. La porse al ragazzo, dicendogli di aspettare: «Non ti muovere, arrivo subito».
Il Pendragon la vide correre spedita verso la stanza, ordinando all’infermiera di caricare le piastre.
Lo stava perdendo. Arthur si accorse che lo stava perdendo.
Mithian si mordeva il labbro inferiore a causa della tensione, soffocando imprecazioni. Il defibrillatore toccò il petto del paziente, facendolo sobbalzare di poco.
 Era finito. Era tutto finito.
I medici aumentarono la carica, ma il risultato non cambiò.
Arthur si sentì ghiacciare il cuore di colpo; non riusciva a respirare, pensare né fare niente. Lui stava morendo.
La Princess si pietrificò, con le piastre tra le mani. Non c’era più niente da fare.
Silenzio. L’unico rumore in tutto il corridoio era quello di un monotono e incessante bip prolungato. E si era spezzato un po’ tutto in quel momento: il sorriso di Mithian, la vita del suo migliore amico e il cuore di Arthur.
Merlin è morto. Non esiste più una squadra. Non esiste più niente.
Mithian si voltò verso Arthur con sguardo dispiaciuto; lei non sarebbe neanche dovuta entrare in quella stanza: non era in servizio, però teneva molto a quel paziente ed addolorata della sua perdita, ma…
Perché mai Arthur piangeva la morte del signor Allen?!
 










Freya non aveva nessunissima voglia di tornarsene a casa, non dopo quella mattina in ospedale, non dopo quello che lei e Merlin si erano detti.
Si era diretta verso il Pendragon’s, volendo in qualche modo rendersi utile. Prima o poi, si disse camminando verso il bar, avrebbe dovuto portare la sua macchina in una qualche officina. Come se non bastasse!
Entrò dalla porta sul retro, accanto al laboratorio, sedendosi in un angolo sul pavimento. La piccola stanzetta che fungeva da spogliatoio non era un granché, ma era un ottimo posto dove rifugiarsi quando il mondo diventava una cacofonia di frasi e rumori stonati. Era un po’ come i sotterranei di un castello dove nessun nobile o plebeo passava mai, dove neanche la luce del sole sognava entrarci per una visita fugace.
Freya si portò il mento sulle ginocchia, nascondendo il viso con le braccia.
La porta di mogano scuro si aprì distrattamente, senza che Freya se ne importasse, mostrando il fisico slanciato del moro parigino. Mordred la notò a malapena nella poca luce della stanza; accese l’interruttore e, indeciso se avvicinarsi o meno alla ragazza, si diresse verso l’armadietto di metallo rimasto aperto.
Freya sollevò appena lo sguardo sull’uomo, vedendolo intendo ad estrarre una scatola di cioccolatini e ad accomodarsi su una sottospecie di piccola panca di legno.
Non l’aveva degnata neanche di uno sguardo.
Mordred scartò il primo dolciume, addentandolo con noncuranza, godendosi il sapore tipico della sua Parigi.
La ragazza rimase a guardarlo masticare indisturbato, con i ricci ribelli che gli sfioravano la fronte e a tratti nascondevano i suoi occhi blu elettrici. Sembrava non gliene importasse davvero niente del locale che intanto necessitava la sua presenza.
«Sono francesi?», si azzardò a chiedere, sperando che la sua voce non sembrasse tanto flebile.
Mordred annuì, infilandosi nella bocca un secondo quadrato di cioccolata. «Nessuno li apprezza».
«Io adoro il cioccolato bianco».
Mordred la guardò per la prima volta da quando era entrato nello stanzino, accorgendosi che a stento gli era seduta ad un passo dai piedi. «Ce ne sono tre».
Freya sorrise, allungando una mano.
Il francese le lasciò sul palmo tre fiori di cioccolata, avvolti da una carta lattescente. La mora ne poggiò due al suolo e si rigirò il terzo tra le mani, quasi volesse esaminarlo. «Arthur e Morgana staranno impazzendo di là.» Lo scartò, mangiucchiandolo lentamente.
«Al momento il bar è deserto, c’è solo… Geneviève.» Calcò l’ultima parola, eccedendo con l’accento nasale.
Freya ridacchio, capendo al volo la strategia del moro.  «Tu sai parlare perfettamente in inglese».
«Lo so».
«Ma… Arthur odia il francese».
«Lo so».
Si scambiarono un’occhiata complice, lasciandosi andare ad una risata genuina.
Freya non ci aveva mai fatto caso, ma quella era la prima volta che rideva dopo un bel po’ di tempo. L’era mancata come sensazione. «Sono buoni», disse mostrando la carta vacante.
«Sono francesi», appurò quello, mangiandone un terzo.
Per un minuto Freya si chiese, data la disinvoltura con cui Mordred divorava quei quadratini calorici, se in Francia ci fosse lo stesso regime alimentare dell’Inghilterra. Adocchiò i due dolciumi dimenticati al suolo, arricciando le labbra pensierosa.  
«Come stai?» le domandò Mordred a bruciapelo.
«Perché me lo chiedi?»
«Da quello che ho capito Merlin è in ospedale. Credo sia il tuo ragazzo.» Il francese non rise della faccia esterrefatta della ragazza, ma dentro di sé provò l’impulso di farlo. «A Ginevra piace chiacchierare», le spiegò.
Freya mosse le spalle in segno di dissimulazione. «Sto bene».
Mordred osservò l’ultimo cioccolatino finire nella fauci della mora, prima che anch’ella potesse rendersene conto. Freya appallottolò il resto dell’involucro, cedendo allo sguardo indagatorio del francese. «Mi sento come un pesce fuor d’acqua».
I cioccolatini erano quasi terminati. Mordred si concesse il lusso dell’ultimo piacere fondente. «Anch’io».
 
 







 
Venti centesimi di secondo. Colpo di fulmine.
Bastano pochissimi attimi affinché la tua vita cambi per sempre.
 
Merlin stava fissando il tubo per il rilascio della morfina da almeno quindici minuti, ripensando a tutte le persone morte per mano di suo zio. Rimembrava il volto sanguinante di uomo, steso sul pavimento.
I testimoni, gli ripeteva spesso Aridian, erano come l’erbaccia: antiestetica e fastidiosa agli occhi, andava eliminata.
Non pensava che rimanere da solo in un luogo triste e noioso come l’ospedale potesse fargli bene, ma da quando aveva convinto Gaius a tornarsene a casa, comprese il privilegio che talvolta la solitudine portava con sé.
Restare da solo con i suoi pensieri, era quella la mossa migliore; rimuginare, illudersi che tutto possa tornare com’era prima, ma…
 
Scientificamente, in un quinto di secondo, nel cervello si attivano processi chimici che rilasciano nel corpo sostanze in grado d’indurre effetti simili a quelli della droga. Benessere. Eccitazione.
 
La porta si spalancò con irruenza, facendolo sobbalzare lievemente.
In un certo senso, sapeva di aver atteso quel momento dall’istante in cui il proiettile gli aveva attraversato la pelle. In un certo senso, sapeva di aver aspettato quegli occhi. Gli unici che lo vedessero come una persona e non come un qualsiasi individuo necessitante di affetto e comprensione.
«Sei davvero un imbecille, Merlin.» Fu la prima cosa che gli disse. «Pur di saltarti qualche giorno di lavoro ti fai sparare».
Merlin rise, sincero, per la prima volta in quel giorno. «Sei in ritardo».
Mithian non disse una parola. Si limitò ad arretrare e chiudersi la porta alle spalle per lasciarli soli. Si appoggiò al bancone dell’infermiera, osservandoli dalle veneziane aperte.
C’era qualcosa di strano nel modo in cui si guardavano, nel modo in cui si sorridevano. C’era qualcosa che andava oltre alle apparenze, qualcosa di più profondo di quello che ostentavano.
Il silenzio calò nella stanza, lasciando spazio solo a quattr’occhi incatenati. Arthur si rese conto, in quella momentanea assenza di parole, che forse Freya non aveva tutti i torti e che nelle sue parole ci fosse un fondo di verità. Forse, forse amava davvero il suo migliore amico.
«Ginevra ha avuto un aborto spontaneo qualche mese fa.» Arthur si convinse che se lo amava per davvero, doveva dirgli ogni cosa e, in fondo, non aspettava altro fin dall’inizio. «Ci darà una mano al bar da oggi in poi».
«Credo sia la scelta giusta».
Arthur vide Merlin dedicargli un sorriso innocente che poi sfociò in ilarità: «Mi hanno detto che hai affisso un cartello con su scritto “Vietato morire al Pendragon’s”».
«E tu hai pensato bene di tentare d’infrangere questa regola», gli fece presente.
La morfina. Poteva sentirsela anche nel sangue. «Sarei stato lieto di lavorare per te fino alla mia morte».
 
 
 
Ma cosa succede quando tutto giunge al capolinea?
 
Ginevra era seduta dietro il bancone del bar, aspettando che qualche cliente si facesse vivo. Nella noia, si era dedicata alle parole crociate, risolvendo metà delle quaranta e passa soluzioni.
Stava per completare la quindicesima verticale quando Morgana entrò nel locale, dirigendosi spedita verso di lei. Gwen non ebbe bisogno di chiederle nulla, le bastarono le sue lacrime e il naso arrossato.
«Non dire niente.» Morgana stringeva i denti per reprimere i singhiozzi.
Ginevra non disse niente.
 
Secondo la psicologia gli effetti sono correlabili alla depressione.
 
«Non dire niente», ripeté con gli occhi pieni di lacrime. Smeraldi acquosi, sciolti nella tristezza, ecco cos’erano.
Gwen non disse niente. L’attirò a sé, cingendole parte della schiena e del capo, carezzandola in silenzio mentre la corvina singhiozzava sulla sua spalla.
 
 
Ma come ti accorgi che l’amore è al tramonto? Quanto tempo ti occorre prima di sprofondare nell’oblio? E, soprattutto, sei davvero sicuro della tua scelta?
 
 
 
 


FINE PRIMA PARTE



 

Relie's corner
- Le prime frasi in corsivo, quelle correlate a Morgana, sono state riprese dal capitolo XI; Le citazioni in corsivo, correlate ai pensieri di Arthur, sono state riprese corrispettivamente dai capitoli: VII e V;
- Le frasi in francese di Mordred sono, in ordine di comparsa: "E' di suo gradimento?", "Molly? E' un bel nome!", "Cioccolatini?".
- Non sottovalutate i due medici e soprattutto il primario: non sono stati inseriti per riempire pagine Word a casaccio;
- Non reputo il comportamento di Morgana OOC in quanto mi sono basata più sulla Morgana delle prime due stagioni. Ergo, non credo di essere stata molto fantasiosa e aver creato scenari impossibili ^^;
- Ovviamente non c'è scritto perché avrei rischiato di fare un poema: Gwen è stata chiamata da Arthur per dare una mano nel locale;
- Il cartello affisso sulla vetrata del bar, è lo stesso del capitolo XIII. 
- Arthur esce fuori di senno e immagina che, a morire, sia Merlin piuttosto che il signor Allen (OC di mia invenzione).
- Ah! C'è un piccolo rimando alla coppia Mark&Lexie di Grey's Anatomy quando Morgana rimprovera Merlin di averla messa nella stessa situazione per due volte. Eh sì, ho copiato Lexie, lo ammetto xD
- Credo di aver concluso con i chiarimenti ma, se qualcosa non fosse chiaro, non esistate a chiedere. Se continuate a leggere, troverete gli spoiler ^^


*
SPOILER* ( Non sono eccessivi, possono anche essere letti come semplici informazioni)

- Nella seconda parte della storia (che credo conterà più di quindici capitoli ma... vabbé), ci sarà sicuramente più 'commedia' ma... l'angst sempre dietro l'angolo!
- Le vicende s'incentreranno più sul Pendragon's a dispetto della prima parte e ci saranno lezioni di Cappuccino Art. 
- Ci sarà il Merthur CONCRETO e il personaggio di Gwaine avrà maggior rilievo. Arthur recupererà il suo rapporto con Ginevra, la quale lo aiuterà con il suo amore per Merlin; non sarà tutto rose e fiori ma, ad entrare nella vita di Arthur, ci sarà anche Mithian.
- Il personaggio di Morgana verrà approfondito ulteriormente, siccome affronterà un fase molto importante della sua vita. Il Mergana, attenzione, non finisce qui.
- Il Freylin non sarà da eliminare o da ritenere scontato ma... Freya potrebbe trovare la sua felicità altrove.
- Saranno presenti nuove sparatorie.
- E, ultima notizia, questa sarà una death-fic ^^
Spero che le informazioni siano state di vostro gradimento. Ad ogni modo, aspetto i vostri pareri!
Alla prossima! 
   
 
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