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Autore: Mrs Carstairs    31/10/2015    0 recensioni
-tratto dalla storia-
A svegliare Tris fu la luce del sole che entrava dalle finestre. La sera prima doveva essersi dimenticata di chiudere le veneziane. Si accorse poco dopo di non essere a letto ma… in poltrona. Aveva dormito tutta la notte in quella scomoda posizione, appollaiata su quella poltrona infossata, perché? D’istinto, lo sguardo corse al letto, trovandosi a rimirare le coperte sfatte, il lenzuolo attorcigliato e uno dei due cuscini a piedi del letto. Andrea sussurrò. E decise finalmente di alzarsi per sgranchirsi quelle povere gambe piegate da chissà quante ore. Come si avvicinò al materasso dalla parte dello scendiletto, vide qualcosa, incastrato tra le pieghe del piumone. Allungò una mano e lo prese tra due dita. Un biglietto. “Grazie.” A.
in un certo senso la storia è presa dalla realtà. quello che ho sentito ho descritto.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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“piantala! Io e Matt non stiamo insieme!” Bekka aveva tirato una manata alla spalla di Andrea, che le camminava vicino, a due isolati da casa sua, diretti verso il Red Dragon, un pub incastrato tra due strade, il posto in cui entrambi avevano imparato a giocare a biliardo.
“e lui lo sa?” il sorriso del ragazzo pareva di scherno, ma al contrario della reazione che si aspettava da lei, Bekka lo guardò con un’espressione che non seppe decifrare. Sembrava a tratti triste, a tratti delusa. La sentì sospirare e poi la vide sorridere un po’, con solo un angolo della bocca alzato.
“beh.. sono irresistibile, sarà sempre attratto da me.” Disse sicura e quell’aria malinconica che l’aveva attraversata per quei pochi secondi svanì, tanto in fretta quant’era arrivata, soppiantata dall’aria sicura e suadente di sempre. Andrea non poté che sorridere nell’osservarla. Il giubbetto di pelle le fasciava il torace e i jeans neri lasciavano scoperte le ginocchia in due sbreghi diseguali. Ai piedi un paio di anfibi neri lasciati slacciati, con le stringhe che ticchettavano sul cuoio ad ogni passo.
I capelli le ricadevano sulle spalle in ciocche dritte come fusi, ma morbide e lucide, di un nero saturo, quasi da sembrare blu scuro.
“smettila di fissarmi” con tono pacato, Bekka distolse il ragazzo dai suoi pensieri, cominciando a camminare all’indietro, nel suo modo sgraziato ma incredibilmente carino di sempre, per fermarsi di fronte all’insegna a led rossi del locale.
Appena entrarono, Andrea si levò la giacca, poggiandola sullo schienale di una sedia, occupando il loro tavolo. Bekka si era precipitata al bancone, ordinando da bere, mentre le luci si abbassavano, creando i soliti giochi di luce sulla figura del drago al centro della parete dietro al tavolo da biliardo sopraelevato alla stanza, come da… Joe’s.
Andrea restò a guardare il palchetto ancora vuoto e, per un momento, rivide la scena di una sera di pioggia. Sentì quel nome sfiorargli le labbra di nuovo e quella massa morbida di capelli ricci si materializzò ancora di fronte a lui.
“partita a biliardo?” Bekka sembrava su di giri con la sua birra in mano, gli passò davanti, salendo i tre gradini che separavano il tavolo dal pavimento con un salto.
Appena la ragazza appoggiò le due bottiglie sul bordo della ringhiera in legno che racchiudeva il palchetto, voltandosi con una stecca in mano, Andrea mosse qualche passo, raggiungendola. Si trovò ad accarezzarle il viso, sorridendo. Bekka restò immobile, incapace di sottrarsi a quel tocco, a quelle dita callose che le sfioravano il viso. La mano del ragazzo si mosse sul suo viso, passandole dietro al collo e affondando nei capelli. Si rese conto della differenza tra il liscio e il soffice di quei capelli e la morbidezza e la leggerezza di quelli di Tris, ma continuò ad attorcigliarci dentro le dita, sfiorando la nuca di Bekka con delicatezza.
“E adesso sei qui. Come se ti importasse davvero sapere come sto, cos’ho fatto per grattarmi via la pelle dalle nocche o… il perché ti sto evitando. Quando la ragione è talmente chiara che la capirebbe anche una cheerleader.” Le parole di Tris gli tornarono in mente tutto in una volta, seguite dalla stessa fitta di dolore che lo aveva colpito quel giorno. La mano che accarezzava i capelli di Bekka s’irrigidì mentre Andrea la ritraeva.
La ragazza si sentì spaesata, aveva notato il repentino cambio d’umore dell’amico e gli afferrò il polso, costringendolo a guardarla.
“tu non me la dai a bere. Che c’è che non va?” chiese con fermezza.
“niente. Sai, neanch’io sono di ghiaccio” e s’allontanò di qualche metro, scegliendo una stecca tra quelle appese al muro.
“parlerai. Prima o poi scoprirò che ti succede.” Il ragazzo sorrise storto, preparandosi a colpire la formazione delle palline.
“vinci la partita e te lo dirò.”
 
***
 
 
“perdonatemi. Da domani comincerà l’allenamento, perciò…”
“buonanotte, Beatrice. Cerca di dormire” Albert aveva accennato un sorriso, mandando uno sguardo comprensivo alla figlia. Tris annuì una volta soltanto, per poi alzarsi da tavola, rivolgendo un piccolo saluto agli altri commensali. Alex la osservò mettersi in piedi, l’espressione vacua, le labbra appena schiuse.
La seguì allontanarsi con lo sguardo, mentre camminava nel corridoio, ciondolando, salendo le scale con flemmaticità.
“credo che anch’io me ne andrò a letto, con permesso..” Alex sentì il bisogno di seguirla, di capire che cosa andava combinando quella ragazza.
“sembra che lo scarico del mangime lo abbia stancato, stavolta.” Richard sollevò la tazza con la tisana con molta calma, i baffi che si arricciavano sotto il suo sorriso. Emily guardò prima il marito, cercando di capire a cosa alludesse, poi di scatto voltò la testa verso il corridoio, appena in tempo per vedere la scarpa elegante di Alex salire l’ultimo gradino visibile della scala.
 
Alex percorse il corridoio rasentando il muro, frenando di colpo di fronte alla stanza di Tris. Alzò una mano, piegandone le dita, battendo la nocca dell’indice destro sul legno avorio della porta.
Il ragazzo tese l’orecchio, aspettando una risposta, ma nessuno suono provenne dall’altro lato dell’uscio. Bussò di nuovo, leggermente più forte, nel dubbio che Tris non avesse sentito al primo colpo e la porta s’aprì, con la sorpresa di Alex.
“Tris?” il ragazzo aprì di più la porta, guardandosi attorno nella stanza buia, aspettandosi di carpire anche solo un piccolo rumore che gli desse un indizio su dove la ragazza potesse trovarsi. Entrò definitivamente, socchiudendo la porta dietro di sé. Di colpo sentì una fresca corrente d’aria solleticargli il collo, facendolo voltare di scatto verso la finestra. Le ante erano scostate, aperte sul balconcino di pietra e mattoni rossi che decorava il retro della casa. Alex si avvicinò lentamente, temendo di essere scoperto, cercando di non fare rumore mentre si spostava.
In pochi passi aveva raggiunto il profilo della finestra, ma non si spinse oltre. Tris era lì, seduta con la testa appoggiata alla cornice spessa della finestra. Le gambe incrociate, i piedi nudi, la salopette slacciata. Il vento della sera soffiò ancora, scostandole i capelli dal viso, rivelando quello sguardo assorto che la caratterizzava. La Luna era ben alta in cielo e tingeva di quel pallore la pelle della ragazza, rendendola diafana.
Senza smettere di guardarla, quasi senza accorgersene, si mosse, sedendo accanto a lei.
Tris voltò lo sguardo su di lui, alzando la testa, per poi abbassarla, seguendo i suo movimenti.
“ciao”
“ciao”
“certo… potevo inventarmi qualcosa di meglio..”
“che?” Tris lo guardò senza capire cosa intendesse. Alex sorrise, poi parlò di nuovo.
“invece di ‘ciao’… avrei potuto avere un po’ più di fantasia.. non so tipo… non hai freddo?”
“sai, nemmeno quella è una cosa originale da dire quando si trova una ragazza seduta sul pavimento di un balcone al chiaro di Luna…”
Alex rise scuotendo la testa, ma rideva soltanto della sua goffaggine, perché di Beatrice, come dipinta in un quadro notturno, non avrebbe mai potuto ridere.
“probabilmente hai ragione. Non sono mai stato troppo bravo in queste cose.”
Tris levò un sopracciglio, rivolgendogli uno sguardo.
“quali cose?” Ma Alex non rispose, restituendole solamente uno sguardo un po’ imbarazzato.
“volevo solo sapere cosa ti spinge a rannicchiarti qui fuori, se non è questa bellissima stellata” Tris continuò a guardarlo, attonita. Le sembrava strano che qualcuno volesse capire. Si sentiva come spaesata, disorientata da quella domanda, a cui nemmeno lei avrebbe saputo rispondere con precisione.
“stavo solo pensando.”
“già. Tu dai l’idea di una che pensa.”
“io do l’idea di una che pensa..?”
“decisamente.- Alex fece una pausa, come a riflettere su ciò che gli aveva dato quell’impressione.
Le cascate…- cosa hai visto alle Swallow Falls?” quando riprese a parlare, la sua voce era ridotta ad un sussurro azzardato, come si stesse avvicinando ad un animale selvatico, con la paura di spaventarlo. Non voleva fare errori, solo capire.
Beatrice si voltò con lentezza verso di lui guardandolo con occhi indagatori, anche se languidi. Poi le labbra le si incresparono in un sorrisetto storto, mentre ritornava a fissare le fughe dei pietroni sul pavimento.
“cosa dovrei averci visto? Ci sono solo rocce e acqua per parecchie iarde.”
In effetti sono uno stupido. Alex si maledisse mentalmente, ragionando sul fatto che –s’anche a quelle benedette cascate fosse successo qualcosa- Tris non avrebbe di certo avuto voglia di parlarne… di certo non con un quasi estraneo. Il ragazzo sospirò silenziosamente, ripensando all’espressione sul viso della ragazza mentre s’avvicinava alle scuderie in quel galoppo impazzito.
Ci fu un lungo momento di silenzio in cui Tris aveva alzato la testa per guardare il cielo. Alex seguì la linea che seguiva quello sguardo smorzato fino alla volta celeste.
“hai ragione” disse di colpo, restando a fissarsi sulla luce di una stella.
“che?” Tris parlò senza distaccarsi da quella cupola blu lucente.
“sono stato incauto.” Il ragazzo si alzò in piedi, appoggiandosi al muro con il fianco. “è solo che siete tornati come un uragano, tu e Ashes. Credevo foste sereni, prima…” Alex ora guardava la ragazza, recependo l’espressione scura del suo viso. D’un tratto, sembrò Tris gli rivolgesse particolare attenzione, fissando quegli occhi fulvi nei suoi, freddi.
“prima che mi accorgessi di quanta fatica facessi a restare in piedi.. perché diciamocelo, se non fossi stata in sella… forse avresti avuto bisogno di una sedia.”
La ragazza schiuse leggermente le labbra, come a prendere fiato, raccogliendo le forze per parlare.
“si. Sei stato incauto.” E la frase, detta in quel tono piatto, funzionava da ammonimento. Alex la osservò, sostenendo quello sguardo di ghiaccio e fuoco mescolati insieme per qualche secondo. Poi annuì.
“mi dispiace, non avrei dovuto addentrarmi così nei tuoi pensieri” e, per quanto potessero sembrare di scherno, le parole del ragazzo portavano la forza di una considerazione più che valida. Tris non aveva smesso di guardarlo fino a quel momento.
“forse no.”
 
***
 
 
La partita a biliardo era giunta ormai alla fine e Andrea ebbe la meglio, come sempre. Bekka protestò sonoramente, sbattendo l’estremità piatta della stecca sul legno del palchetto. Il ragazzo rise della permalosità dell’amica, che imprecò a bassa voce.
“Dannazione” un suono che aveva più l’intonazione di un insulto, che altro, mentre affrancava la stecca negli appositi spazi al muro.
“ah, dai, Bekka… non prendertela… cos’è il biliardo, in fin dei conti!” ma la ragazza non era rimasta ad ascoltarlo. Aveva sceso i gradini, ritornando al tavolo per indossare la giacca.
“Bekka!” Andrea la chiamò di nuovo, mentre mollava la stecca sul tavolo e cercava di raggiungerla prima che uscisse dal Red Dragon. Ma la ragazza aveva già lasciato che la porta si chiudesse dietro di lei, ritrovandosi nel freddo della sera. Andrea emise un respiro stizzito, tornando a recuperare la propria giacca e seguirla. All’esterno il cielo si era rannuvolato e, nel buio della notte, la pioggia cadeva densa, in piccole goccioline scure. Con una strana sensazione addosso si guardò attorno, in cerca della ragazza. I lampioni accesi creavano delle pozze di luce sui pietroni di cemento del marciapiede, accentuando  il vuoto della strada.
Allora Andrea prese a camminare, mentre sentiva l’umidità di quella pioggerellina fitta passargli attraverso i vestiti, cominciando ad intaccargli anche le ossa. All’incrocio successivo si fermò, cercando di capire in quale vicolo si fosse cacciata Bekka. Si voltò verso destra, incontrando la strada principale, che scartò subito. Di riflesso, volse lo sguardo a sinistra, dove il marciapiede si faceva improvvisamente più scuro. Un lampione non funzionava, rimanendo spento e dando un senso spettrale al grigiore delle vecchie case del vicolo. Senza pensarci, imboccò quella straducola, sicuro che si sarebbe ritrovato la ragazza di fronte, se solo avesse continuato a camminare.
In effetti non si sbagliava.
Appoggiata alla ringhiera della casa scampata alla luce del lampione che non funzionava, Andrea riconobbe la figura di Bekka. Nonostante il cappuccio tirato sulla testa, i capelli le si erano bagnati e gocce d’acqua piovana cadevano dalle estremità, sfracellandosi sul cemento per gravità.
“Bekka.”
“ah, allora ti importa ancora qualcosa di me” il tono tagliente della ragazza lo confuse.
“cosa ti ha fatto credere il contrario?” Bekka gli rivolse uno sguardo furibondo, parandoglisi davanti, senza smettere di fissarlo.
“il solo fatto che per sapere che diavolo ti stia succedendo io debba vincere una stupida scommessa per esempio”. Andrea si limitò ad abbassare lo sguardo sulle proprie scarpe, senza risponderle.
“forse sono… cambiate delle cose tra noi” Bekka indietreggiò di un passo, cercando la distanza che lui aveva messo con quei silenzi.
Andrea si dondolò sulle gambe, cercando di guardare ovunque tranne che negli occhi della ragazza.
“allora non lo neghi” sussurrò, più a sé stessa che a lui, prendendo coscienza del fatto. Ma il ragazzo notò la consapevolezza crescere nello sguardo dell’amica e allungò una mano, afferrandole il polso con forza.
“non ho detto questo” la voce celava rabbia, le parole strozzate dai denti stretti. Il respiro che tremava mentre buttava fuori l’aria, come le dita a contatto con la pelle di Bekka.
Lei spalancò gli occhi, restando immobile. Sollevò il mento, con sicurezza, cercando di contrastare la forza dei muscoli di Andrea con la propria. Cercò di ritirare il braccio, opponendosi alla sua stretta. Il ragazzo si trovò preso alla sprovvista. Perse un po’ l’equilibrio, costretto a un passo in avanti.
“puoi fare quello che ti pare per farti odiare anche da me. Ma te lo assicuro- Bekka parlava a pochi centimetri dal viso del ragazzo, lo sforzo chiaramente udibile nella voce- non ci riuscirai. Ti starò vicino. Fosse l’ultima cosa che faccio, mi hai sentita?” non aveva mai smesso di tirare il braccio verso di sé, anche se la stretta di Andrea non accennava a diminuire.
Il braccio cominciava a farle male, i tendini della spalla bruciavano e i muscoli sembravano contrarsi all’inverosimile. Il fatto era che non le importava. Non le importava un accidenti del dolore, della pioggia, o di qualunque altra cosa non riguardasse Andrea in quel preciso istante. D’improvviso la pressione sul braccio svanì e Bekka si sentì avvolta da una sensazione di totalità che la sbalestrò. Andrea la stava abbracciando. L’aveva attirata a sé prendendola per i fianchi, incastrando le mani dietro la sua schiena. Ed era rimasto così, a stringerla al petto, con il mento appoggiato alla testa di lei.  
 
   
 
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