Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: L0g1c1ta    02/11/2015    1 recensioni
Settembre 1939, cade la resistenza polacca. La Polonia svanisce dalla cartina geografica. La città di Varsavia viene distrutta, mattone dopo mattone dai tedeschi e dai russi.
Polonia è morto e Lituania non riesce a superare la morte dell'amico. Con la morte nel cuore, lentamente viene guidato verso la follia e gli verranno aperti gli occhi sulla sua vita.
Polonia, fantasma e defunto, accompagnato da un insolito pulcino, osserva, fra le mura della villa di Russia, il dolore di Lituania.
Entrambi ripercorrono un cammino, entrambi si rendono conto di ciò che avevano e di ciò che hanno perso, per sempre...
...
Luglio 1952, la Polonia rinasce sotto una nuova bandiera. Polonia è morto, ma viene accompagnato nel suo viaggio da Toris e da una nuova presenza. Lituania vive la sua nuova vita con freddezza, nonostante i cambiamenti avvenuti in casa di Russia. Ma ogni cosa cambia con una scoperta avvenuta in una casetta abbandonata nel bosco.
Polonia, in questo mondo cartaceo, osserva i ricordi e gli anni che lo hanno separato dalla sua patria. E si rende conto di quanti sbagli abbia commesso in vita.
Entrambi percorrono un secondo cammino. Chi in un treno per Varsavia, chi con frammenti di ricordi perduti.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Baltici, Lituania/Toris Lorinaitis, Polonia/Feliks Łukasiewicz, Russia/Ivan Braginski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lituania vuole morire. Lo desidera molto, troppo. Si sente spaccato in due, non solo nel fisico. Ha freddo, è buio. Non sa dove sia e poco gli importa. Russia viene lì sempre, non sa dire quando e quanto. Sente la schiena rotta e grondante di sangue. Non vuole più vedere Russia. Vuole che lo abbandoni lì e lo dimentichi, per sempre. Vuole sentire la vita scorrergli via. Com’è morire? Dev’essere bello, se tutti se ne vanno, prima o dopo. Proprio come i suoi re. Proprio come i suoi soldati. Proprio come Polska.

È buio. Fa freddo. È legato.

Non sa cosa siano: corde, lacci o stracci aggrovigliati? Non lo sa. I suoi sensi sono troppo deboli per sentirli. Ha le braccia legate dietro la schiena, sanguinanti e spezzate. Le ossa protestano ed escono fuori dalla carne. Fa male, ogni secondo, il suo corpo. Vorrebbe sbarazzarsene e andare via. Ogni luogo è il paradiso, in confronto a quello.

È buio. Fa freddo. È legato. La testa gira.

Anche il cervello è buio e freddo. È come se ci fosse una poltiglia nella sua testa. Non riesce a controllare i suoi tremiti, né a chiudere la bocca che sputa saliva acre. Il naso è pieno di bile e gocciola lungo la bocca. È fastidioso. Vorrebbe tagliarselo, sentire sangue caldo, al posto di bile ghiacciata. Si sentirebbe meglio. Si sentirebbe felice.

È buio. Fa freddo. È legato. La testa gira. Il sangue scotta.

Sarà incredibile, ma il suo sangue brucia nel suo corpo. Ha una caldaia nel cuore, brucia la sua carne e protesta nelle sue vene. È dispettoso, il sangue. Protesta, taglia, scorre come un fiume bollente e raggiunge il cuore, pazzo e instabile. Il sangue è diventato suo nemico. Lo preme anche alla testa. È assillante, desidera uscire dal suo corpo. Liberarsi di lui. Ecco, si, anche il suo stesso sangue lo odia. Si sente male e caldo. Vorrebbe strusciarsi contro i chiodi e vederlo scorrere, libero, fino a non sentirne più nemmeno una goccia. Si sente in gabbia.

È buio. Fa freddo. È legato. La testa gira. Il sangue scotta. La porta cigola.

Russia è tornato. Ovunque si volti, non c’è luce. Se c’è luce, allora lui torna. Comincia ad odiarla, la luce. Sarebbe bello se ci fosse solo il buio, il nero, il nulla. Lituania geme di dolore, sentendo delle mani giganti sulle sue spalle, rosse dalle mazzate e per la carne scoperta. Una mano esita e copre i suoi occhi. Stringe troppo forte. Fa male. Dalla gola escono dei singhiozzi di dolore. Russia non vuole mai che lo guardi in faccia, per questo stringe forte e gli fa ancora più male. Vorrebbe quasi che Lituania sia cieco.

“Sei ancora malato… stai ancora male…” inizia Russia, triste, un bambino tradito dai genitori. Lituania ascolta, ma non sente. Le spalle scricchiolano, la pelle protesta e urla come il sangue. Ha paura, non sa cosa voglia ancora. La seconda mano di Russia carezza i suoi capelli. La porta viene sbarrata dietro di lui. Ora c’è il buio. Il cuore sbatte contro il petto nudo e rosso. Vuole tante cose, ma non può averle. Si sente in trappola, chiuso in una scatola. Si abbandona alle carezze di Russia. Dopotutto, anche il più debole tra i prigionieri desidera anche solo un po’ di affetto. Sente la fronte bollente, ma non se ne cura. Vuole morire, anche di malattia, se possibile. Le mani di Russia sono sempre più dolci.

“Perché mi costringi a farti del male? Perché, Lituania…?” farnetica, chiede le stesse domande, cerca risposte dove non ce ne sono. Questo fa Russia, ogni giorno. Lituania non sa e non vuole risponde. Il non poter rispondere a quelle domande lo fa impazzire. Forse è già impazzito, più di Russia. Non riesce a rispondere, può solo lamentarsi con gemiti di dolore: la mano del russo si fa più aggressiva. Un’aggressività chiusa da anni ed anni.

“Mi odi così tanto…?” chiede le stesse cose, le stesse domande, riceve le stesse risposte. Lituania può solo scuotere la testa, un vano tentativo di dire una bugia. Odia Russia, ma non vorrebbe ucciderlo. Ucciderlo significa vedere sangue e il sangue vuol dire rivedere gli occhi scavati di Polonia, verdi e scuri. Russia si rimette in piedi, respira a fatica.

“Non è vero. Ti ho deluso molto. Ho deluso tutti, per questo mi odi…” continua a parlare, la sua voce è lontana, ma Lituania sente le lacrime nelle sue parole. Russia piange, guarda Lituania e si rende conto di aver sbagliato tutto. Ha sbagliato anche di averlo portato laggiù, in mezzo al nulla, a morire di freddo. Vorrebbe ritornare indietro e non uccidere Polonia. Vorrebbe essere molto più buono e…non fargli più male, non trattarlo più come un prigioniero, come un gioco. Essere un buon padre, amico, fratello. Vorrebbe tante cose e non può averle. E’ andato troppo avanti per tornare indietro. Ora Lituania piange, singhiozza, il collo spezzato in avanti.

“…Russia…”

“Sono un mostro…” tira su il naso, le lacrime scorrono sotto la sciarpa bianca “Questo dev’essere l’Inferno per te, Lituania” continua a vaneggiare, non controllando le lacrime “…dopotutto, gli angeli stanno in Paradiso, no?” non prova nemmeno a ridere, quella non era una battuta.

“Russia… fammi uscire…” supplica tra i singhiozzi, il piccolo angelo senza ali. Russia lo guarda. Gli ha spezzato lui, le ali. E ora ne sta pagando le conseguenze, con la sua mente instabile. Un bimbo a cui è stato insegnato ad ammazzare e ad uccidere.

“…ti prego…” Lituania piange, si sente male, vuole andarsene da quel posto buio, freddo e orribile. Ma non vuole nemmeno tornare a casa di Russia. Vuole librarsi nel cielo e non tornare più. Russia tace per un attimo.

“Gli angeli senza ali non hanno alcun valore” sorride tristemente Russia, tra le lacrime e qualche goccia di vodka bevuta poco fa, per dargli coraggio “Gli angeli, anche se senza ali, sapranno perdonare, Lituania…?” chiede, senza volere una risposta.

Si avvicina, si china. Lituania sente il suo profumo. Russia sa di fiori, di girasoli, di primavera, di estate. Vorrebbe che Russia sia veramente tutte queste cose. Vorrebbe che sia abbastanza buono per ucciderlo, subito, in quel momento. Vorrebbe chiederglielo, ma non ne ha il coraggio. Dopotutto, il suicida tentenna sempre prima di uccidersi. Si abbandona a quel profumo, intriso anche nella vodka, probabilmente deve averne bevuta molta, forse ha anche una bottiglia nella giubba.

Lo abbraccia e gli stringe le spalle, si macchia del suo sangue, affonda il volto nei suoi capelli. Lituania non sa che fare, che pensare. Smette di piangere. Il ragazzo guarda il soffitto, nero, ma non riesce a concentrarsi. Ha il cuore in subbuglio. Guarda il buio e per un attimo si sente come un insetto. Piccolo, disgraziato, schiacciato, morto.

Russia comincia a slegargli le braccia. Si liberano, ma sono ancora spaccate. Per un attimo gli nasce una speranza, di uscire da lì, di fuggire, di volare via. Russia si alza e cammina nel buio. Vorrebbe seguirlo, ma non riesce ad alzarsi, anche le gambe sono spaccate. Fanno male. Si sente bloccato nel suo corpo e non può fuggire da esso. Russia ritorna, gli occhi bassi, colpevoli e lucidi. Gli tremano le mani, mentre lo benda. Lituania si dimena.

“Non guardarmi!” quell’urlo così vicino lo spaventa. Ora è ancora più buio. Russia, con poca fatica, gli mette in bocca un panno. Sa di cenere e muffa, lo disgusta. Ma non può sputarlo: Russia gli benda anche la bocca. Non può nemmeno provare a parlare ora. Geme, piange, ha paura.

“Non urlare… ti prego, non urlare…” supplica tra i singhiozzi, Russia. Lituania non ci riesce. Nemmeno la libertà di urlare di paura gli è concessa. Non ha il diritto di parlare. Prova a mettersi in piedi. Il sangue continua a bollire, ad urlare. Sa che non può fuggire, ma ci prova. Russia lo colpisce, forte. Cade sulle ginocchia, nere per i colpi. Fanno più male di quel che credeva. Ora è terrorizzato. Russia fa dei passi pesanti, come se volesse spaccare anche il pavimento, oltre a lui.

“Cosa stai facendo, Lituania? Vuoi scappare? Volare via…?” l’ultima frase sembra averlo ucciso. Ora piange per davvero, sente i suoi singhiozzi, i suoi gemiti e la rabbia nella voce. Lituania, però, riesce a pensare solo che ha paura. Non ha mai visto Russia piangere e non vuole sapere cosa gli accadrà. Sente le mani giganti cercare qualcosa nella giubba, afferra qualsiasi cosa abbia preso da lì. Sente degli ingurgiti, molti ingurgiti. Alla fine, con la gola in fiamme, Russia tossisce freneticamente. Forse ha veramente portato con sé una bottiglia. I suoi passi traballano, non riescono a tenere il suo pesante corpo. Lituania trema, geme, quando Russia beve non è mai un bene. Fa ancora più male questa consapevolezza.

“Tu… tu vuoi volare via, angelo…?” chiede, senza più lacrime, con una voce diversa da quella che ha ascoltato fino ad ora “Vuoi… vuoi?” sembrava voler aggiungere qualcosa che solo Russia sa. Quel: Vuoi raggiungere il tuo amico? rimane nella sua gola, senza uscire fuori. Oggi non vuole far ricordare a Lituania dove sia Polonia. Vuole ricordargli dove si trova e chi è lui, la Nazione più grande del mondo. Nessuno fugge da lui, nemmeno gli angeli.

“Vuoi volare via, angelo?” chiede ancora, con la vodka in gola, nello stomaco e nella mente straziata. Lituania vorrebbe, vorrebbe volare via. Morire. Vuole vedere Polska e rivivere i vecchi giorni insieme. Vuole essere libero di scappare. Vuole essere libero di morire. Russia si getta su di lui. Lituania scalcia, prova ad urlare. Il suono viene inghiottito dallo straccio che ha in bocca. Le gambe sono spezzate, le braccia rotte. Non riesce nemmeno a difendersi.

Non sa cosa abbia Russia in mano, ma con quello taglia la sua pelle. La schiena viene percossa. Lo sdraia a pancia in giù, con le ferite ancora vive e la carne rossa scoperta dal giorno prima. Continua a fargli del male, Russia. Vedere il suo sangue lo fa sentire felice. Se gli strappa le ali, l’angelo non può volare più, no? Dovrà restare per forza con lui, ma non potrà mai amarlo, volergli bene. Russia lo sa, ma vuole ancora illudersi, così come si è illuso per anni ed anni. Così come pensava che la morte di Polonia avrebbe dato i suoi frutti.

Russia sente la pelle aprirsi, come stoffa. Getta il coltello, per lui è inutile ora. Afferra i lembi della carne, ne affonda le dita e tira, tira, fino a squarciarli, fino a toccare e spaccare le ossa delle spalle, dove ci sono le ali. Ignora il pianto di Lituania, ignora le sue suppliche, vuole solo che resti con lui, per prendere la sua libertà e giocarci fra le mani. Avere la sua fiducia e il suo cuore. Ma lo sa, dentro di sé, che questo non potrà mai averlo.

Per questo smette. Per questo si accascia vicino al suo piccolo giocattolo. Per questo piange e si vergogna. Per questo si dimena del pavimento pieno di sangue, come un verme nel pantano. Lituania continua a piangere, il dolore non passa, anche le sue spalle non si muovono più, distrutte anch’esse. Ora è completamente prigioniero, anche nel suo corpo. Russia, ad un certo punto, ride. Ride come solo un pazzo senza amore potrebbe fare. Lituania ascolta la sua voce da bambino trasformarsi in gracchiante e profonda, come quella di una bestia. Russia lo stringe a sé, due animali sporchi di sangue.

“Ora… ora non potrai più scappare. Ti ho strappato via le ali… vedi? Sarai mio per sempre, angelo” e continua a ridere, mentre alla risata si aggiungono anche le lacrime. Lituania sente di impazzire, non solo dal dolore. Trema, senza sangue in corpo, chiedendo in silenzio di perdonarlo, qualsiasi peccato abbia commesso per finire in quell’Inferno. Per un attimo Lituania crede veramente di aver avuto le ali e di aver avuto la possibilità di scappare, di volare via dalla sua gabbia. Per un attimo ci crede e per questo piange insieme al suo carceriere.

Per questo vorrebbe morire. Una vita del genere non è degna di essere vissuta.

 

 

 

 

 

Nie!!!” urla Polonia, con tutto il fiato che ha, nonostante ne abbia sprecato moltissimo in quei giorni. Ha la gola in fiamme, squarciata e sul punto di aprirsi in due. Gli escono urla secche e sgraziate. È un animale imprigionato in un’altra realtà.

Ha urlato, supplicato, pianto per essere visto, guardato in faccia, ascoltato. Si rende conto solo ora di essere invisibile. Da giorni segue Liet. Lo guarda dimenarsi nel suo sangue, in quella stanza dov’è stato rinchiuso. Lo vede disperarsi, lo sente piangere. Guarda Russia mentre lo sta praticamente tenendo in vita con un filo. Ma non riesce ad odiarlo, pensa più a Liet.

Liet, perché soffri così tanto per colpa mia?

Si mette le mani tra i capelli dorati. Gli tira, straziato dentro, come se volesse tagliarsi la testa in due. Pesa molto, la testa. È un’incudine di pensieri e disperazione. Vorrebbe staccarsela, fa troppo male. La tira all’indietro, continua a tirarla. La sfregia con i guanti della divisa, che lo strazio è troppo grande per lui.

Russia se ne va, decide di tornare a casa, per immergersi tra la vodka e le lacrime, più di quanto abbia fatto con Lituania. Traballa fuori nella neve, continua a piangere. Polonia fa lo stesso. Gli bruciano le lacrime negli occhi. Sono cascate di lava sulle sue guance. Cade in ginocchio, gattona vicino a Liet che, nel frattempo, si è stretto in bozzolo di carne e liquido rosso. Piange ancora e lo farà per tutta la notte. Polonia sporge due dita verso il moro. Queste attraversano la testa del ragazzo, come se fossero fatte d’aria. È anche incorporeo, oltre che invisibile. Questo è una pugnalata al cuore. È una gabbia stretta e soffocante.

“Liet, non mi senti…?” sussurra singhiozzando il polacco.

Non lo potrà mai fare, dice con gli occhi Toris, accucciato tra le travi sconnesse del pavimento, severo coi suoi occhi scuri. La gabbia si stringe ancor di più. Polonia si sdraia vicino all’amico, le labbra quasi toccano l’orecchio stracciato.

“Liet, sono io…” sussurra, un vano tentativo “Sono Polska. Sono qui per te. Non ti ho abbandonato… Liet, mi senti…?” supplica, con gli occhi rossi. Lituania continua a piangere. Si rannicchia ancor di più su sé stesso, in quella pozza di sangue. Ora è disperazione. È un cuore spaccato in due. Polonia soffre. Soffre perché è colpa sua e perché è cattivo. Lo è stato con Liet e non sa cosa fare. Vorrebbe stringerlo al petto, accarezzargli la testa, portarlo fuori di lì, scappare lontani, dove non c’è la guerra e dove possono vivere insieme, senza Russia, senza nessuno. Ma non lo si può fare: lui è morto, non c’è più, e Lituania sta soffrendo per un peccato che lui ha commesso. Sente una vena ingrossarsi, lì, vicino al cuore. Si gonfia e struscia sulla carne.

Ti voglio bene…” non sussurra più, vuole essere ascoltato.

“Io ti voglio bene, Liet. Ti voglio tanto bene…! Ti prego, ascoltami…! Sono qui, vicino a te! Liet, non piangere: sono qui…! Non sono andato via, sono qui, vicino a te! Guardami, Liet, guardami!”

Altre lacrime, altro sangue sul pavimento e tra le assi sconnesse. Altri cuori spaccati, altri sussurri inutili, altre grida, altra sofferenza.

Altra speranza infondata.

Lituania, ore dopo, smette di piangere e si addormenta, cullato dal dolore sulle spalle spezzate. Ha il corpo irrigidito su sé stesso, incurante della carne aperta che tira. Ha ancora il bavaglio e la benda sugli occhi. E’ solo una bambola con sentimenti e sensazioni. Non riesce a muoversi: il corpo è una cella troppo piccola per lui. Si lascia trasportare dal sonno. Il cuore è la sua ninnananna, che batte prima forte poi dolcemente. La sua musica lo calma e lo addormenta.

Polonia ha gli occhi rossi. Ha smesso di piangere e guarda il soffitto buio, senza più lacrime e quieto, quasi spento. La gola non ha smesso di sfogarsi fino ad ora. La sente cruda e scomposta, non prova ad aprire bocca: la mascella gli fa male e la lingua è secca. I capelli cadono all’indietro. Sono sempre biondi e puliti, nonostante il sangue per terra. A fatica, i suoi occhi si tengono aperti, stanchi e affaticati. Toris, piccolo e grassottello, svolazza vicino a lui fino a poggiarsi sulla sua pancia, dove ha posato la sua mano. Struscia le piume sulle nocche bianche, cerca di attirare l’attenzione e la ottiene. Polonia non si muove, ha perso tutte le sue energie.

“Liet sta morendo” afferma al nulla, la voce gracchiante per le urla di poco fa, la mascella dura. È un’affermazione che ha avuto sin da subito, sin dal primo giorno che Russia lo portò lì.

“Per colpa mia Liet sta morendo” un’altra affermazione al nulla. Toris, sulla sua pancia, attende un suo movimento. Guarda le labbra bianche di Polonia, interessato dal suono strano della sua voce martoriata.

“Ma è sempre stato così” continua, parlando con nulla “Liet è sempre stato molto buono con me. Io non ho mai fatto niente di buono per lui” la mano, quella gettata sul pavimento sporco, si poggia lentamente sulle palpebre stanche del ragazzo. Non ha più lacrime, ma ha paura che ne sgorgano altre “Io non gli ho fatto altro che male. Sono cattivo, Toris” il pulcino si sposta sul petto del biondo, avendo sentito il suo nome “Sono cattivo e inutile” singhiozza, qualche lacrime esce, timida, dagli occhi del polacco “Non ho mai fatto nulla di bello per Liet. Lui è sempre stato buono, io sono sempre stato cattivo” un altro singhiozzo lo percuote. Toris fa un saltello, spaventato per quel movimento improvviso “Russia ha ragione: lui è un angelo. Però gli angeli non stanno con le persone cattive come me. Perché continua a piangere per me?” un gemito straziato “Dovrebbe dimenticarmi…” ritorna il pianto e le lacrime. Toris rimane semplicemente lì, piegando la testa di lato e lisciandosi le piume.

Il pianto smette quasi subito. Dopotutto, senza lacrime, non è possibile piangere. Polonia rimane in silenzio per qualche minuto. Ascolta il respiro irregolare di Lituania, straiato vicino a lui. Continua ad ascoltare e ad osservare il soffitto scuro, in silenzio.

“Vorrei che si sentisse meglio, Toris” l’uccellino, sentito di nuovo il suo nome, alza la testolina di scatto “Vorrei abbracciarlo, fortissimo. Vorrei, tipo, accarezzargli i capelli: quando io sto male, mi piace che mi carezzino la testa. Vorrei… non essere invisibile, Toris” l’uccellino saltella giù dal petto del polacco. Le zampette toccano i capelli abbandonati sul pavimento. Sfrega col beccuccio un punto sensibile tra l’orecchio e la radice dei capelli. Continua questo sfregare, imperterrito, usando anche le piume della guanciotta. Per Polonia questo è un solletico, ma non riesce a ridere, non ne ha le forze. Ma apprezza il gesto.

Il pulcino si solleva in aria e svolazza sul corpo angosciato del lituano. Afferra delle piume dal suo collo e ne strappa due. Le lascia svolazzare per poi cadere sulla testa di Lituania. Ritorna a volare sulla testa di Polonia. Si poggia sulla radice dei capelli biondi, sulla fronte. Si aggrappa forte con le unghiette. Strappa altre due piume e le poggia delicatamente sulla fronte di Polonia.

Il polacco sente un bruciore sulla fronte che si quieta subito. Vede luce, la stanza sembra perdere colore ed appallottolarsi su sé stessa, come se fosse carta bianca. Anche il pavimento diventa di carta. È fragile e si rompe sotto la schiena di Polonia che precipita giù nel bianco.

Toris lo raggiunge, calmo, in picchiata. Il suo corpicino grassoccio diventa snello, le ali grandi, le piume ricrescono, lo sguardo severo diventa elegante.

Toris, da pulcino, è diventato una specie di falcone.

 

 

 

 

Lituania si sveglia. Un venticello sfiora il suo orecchio e un sole caldo gli fa aprire le palpebre. Si tira la schiena, stranamente, senza sangue o lacerazioni. Mentre controlla meglio cosa sia accaduto alle sue spalle, si guarda attorno. È un campo di grano, lungo, immenso, infinito, che si estende oltre la sua vista e il cielo chiaro e bollente. Non capisce.

Si alza in piedi, anche il fatto di poterlo fare gli sembra strano. Le spighe di grano gli accarezzano i polpastrelli illesi. Sente i capelli morbidi e puliti. Dov’è il sangue? Dov’è Russia? La stanza dov’era segregato è sparita? Perché non è ferito? Trova strano che sia guarito e che si sia ritrovato in quel posto senza essersene accorto. Si guarda attorno, solo campi di grano e colline gialle.

Decide di esplorare quel luogo. Cammina e cammina, riflette e non ci riesce. Semplicemente si lascia trasportare da quello strano avvenimento. Non ha voglia di farsi domande e di cercare risposte. Vuole solo guardarsi attorno e, se ci riesce, trovare qualcosa di interessante in questo nuovo paesaggio.

Riesce a superare due colline, con poca fatica. È piacevole questa passeggiata, anche se si sente un po’ confuso. Anche se monotono, tutto quel giallo gli piace. È famigliare e gradevole, due aggettivi giusti per tutti quegli anni di bianca neve e foreste nere. Il caldo si poggia sulle sue spalle guarite. È molto più confortevole dell’inverno russo, gli piace. Il vento non è freddo e nemmeno dispettoso, che cerca di strapparti la pelle a morsi. È solo un vento estivo, un vero vento estivo che vorrebbe accarezzarti e stringerti, come in un abbraccio. Qualsiasi cosa di questo posto è piacevole.

Supera un’altra collina, c’è qualcosa di nuovo. Vede sotto di sé una grande tavola, lì in mezzo al grano schiacciato. Si avvicina, interessato. I bordi della tavola scura sono morbidi, cerchiati e coperti da un velo bianco. Ci sono molti posti a sedere, tutti vuoti. Ciò che lo attira di più è il cibo, vario, di tanti tipi. Il suo stomaco si attorciglia su sé stesso. Da quanto tempo non mangia qualcosa? Non lo sa, sa solo che non lo fa da quando Russia lo aveva imprigionato in quella cucina fredda e buia.

Si siede a tavola, alla destra del capotavola, come faceva sempre quando era a corte. Non sa da dove cominciare. I piatti sono d’argento, così come i bicchieri e le posate. Strabuzza gli occhi, felice: c’è un piatto pieno di cepelinai, grandi come una mela, pieni di carne e formaggio e con la panna acida. Si meraviglia che ci siano, effettivamente, solo piatti lituani in quella tavola. Non si fa domande e riempie il suo piatto, affamato come non mai. Con la forchetta d’argento taglia in due il grosso gnocco, lo taglia ancora e cerca di addentarlo.

“Hey, Liet…” sente delle braccia magre e morbide cingergli le spalle. Si meraviglia: non credeva che ci fosse qualcuno oltre a lui. La voce era troppo bassa, sufficiente per comprenderla, ma insufficiente per identificarla. Osserva quelle braccia avvolte nel bianco, una delle due si è spostata sulla sua mano, con la forchetta e il boccone incastrato tra i denti. Non ha paura, né è nervoso, ma quella presenza gli fa sbattere il cuore in gola. La mano è bianca, pulita, gracile e molto piccola. Come quelle di un bambino. Polska ha le mani di un bambino, ricorda. Il cuore fa un altro balzo, lì, dentro il petto. Sente i suoi capelli dorati intrecciarsi coi suoi e il respiro calmo intessersi col suo.

“Questo sembra buonissimo. Ne prendo solo un boccone, va bene?” è un sussurro dolce, quello di Polska. Ora vede chiaramente delle ciocche dorate volare vicino ai suoi occhi, ondeggianti al vento. Le sue dita s’intrecciano con le sue e sollevano la forchetta fin alla testa del biondo. Polska mette in bocca il boccone, sente il sapore della carne e del formaggio e, lentamente, toglie i denti della forchetta dalle sue labbra. Lituania vede chiaramente una guancia bianca e un naso piccolo. Polonia sembra realizzare qualcosa e per questo stacca bruscamente le sue dita con le sue. La forchetta cade in grembo a Lituania, impassibile ed immobile.

“Scusa, era la tua forchetta, scusami…” raramente ha sentito Polska scusarsi per qualcosa e sentirlo ancora è molto strano per le sue orecchie. Lituania osserva l’argento caduto in grembo, con il cervello e il cuore in subbuglio. Lo stomaco si attorciglia su sé stesso, non per la fame. Forse non ha più fame. Le braccia di Polska, con molta timidezza ed esitazione, si stringono vicino all’ombellico. Si sfiorano e si attorcigliano, le dita. Polska dev’essere nervoso.

“Io… Non so cosa dire, Liet” inizia, ancora più imbarazzato e con dell’altra esitazione. Ha la voce inclinata, nota Lituania “Da un lato vorrei ringraziarti per non esserti dimenticato di me, ma dall’altro… ecco, penso che fosse stato meglio se l’avessi fatto, Liet” la sua voce è ora un sussurro dietro la sua nuca. Lituania non risponde, ha gli occhi concentrati sulle dita bianche di Polska attorno alla sua pancia. Il biondo prende un forte respiro.

“Avresti sofferto di meno. Sarebbe stato, tipo, che io muoio, tu ti saresti dimenticato di me dopo una settimana o due e… basta. Non avresti sofferto così tanto per un’imbecille come me” dietro la nuca sente il soffio di una risata, tristissima.

“Ma credimi, Liet: non ti ho mai voluto così tanto bene come ora. Io…” un altro respiro pesante “…io ti voglio bene, Liet. Mi sei mancato tantissimo, anche se ero vicinissimo a te. Non…” un altro respiro, più veloce e straziante “Non credevo che ti saresti sentito così male per me. Io…” esitazione e dei deglutii “…non sono niente in confronto a te. Vorrei poterti stare vicino, ancor di più, molto più di come facevo quando eravamo alla corte. Anzi, lì ho dato il peggio di me con te” un singhiozzo spaccato in due. Polska sta piangendo e Lituania non fa altro che ascoltare, ancora concentrato sulle mani del ragazzo che ora si sono strette a pugno.

“Vorrei che non fossi più solo, Liet. Vorrei ritornare in vita e darti una mano nella casa di Russia. Ti vorrei difendere da quel che ti fa, ma non… non…” un alto singhiozzo. Lituania stringe le mani bianche di Polska con le sue, anche lui trema. Ha le lacrime agli occhi.

“Vorrei tante cose, Liet, ma non posso più averle. Sono stato cattivo con te, sempre, e vorrei tornare in vita soltanto per essere buono con te. Sono un’idiota inutile e cafone… e… e ti voglio tanto bene, Liet” Polonia geme, finalmente gliel’ha detto, ma piangendo… si sente patetico “Te lo dico col cuore, Liet: ti voglio bene. Avrei voluto dirtelo molte più volte, ma pensavo solo a me perchè sono egoista e cattivo e… Riesci a capirmi?”

Lituania stringe ancora più forte le mani con quelle di Polska. Respira a fatica, le lacrime gocciolano sui suoi pantaloni, trema dalla testa ai piedi, col cuore nella gola. Vorrebbe dire tante cose, ma la gola è bloccata. Si è accartocciata e si è chiusa, non escono altro che gemiti, parole a metà, pianti sommessi. Ricorda anche che non ha mai visto Polska piangere, solo una volta, quella volta era morta la sua regina, Polska l’amava e la venerava e non aveva nessun altro se non lui. Polska si vergogna di mostrarsi così debole e ora il suo fantasma lo sta abbracciando. Alza la testa, trovando un po’ di stabilità. Si alza dalla tavola e si volta. Si, è proprio Polska, in lacrime, con lo sguardo basso e vergognoso, i capelli ondeggiano al vento e brillano d’oro. Gli è mancato, anche solo la sua figura gli è mancata.

“Ti voglio bene anch’io, Polska…” dice, con le lacrime che si liberano e le braccia attorcigliate attorno al petto, come se avesse paura che possa cadere per terra. Le unghie s’incastrano nella carne, quando Polska alza gli occhi su di lui. Le lacrime fanno rosse le sue guance e lucidi gli occhi. Gli sono mancati anche i suoi occhi, non verdi e paludosi del cadavere, ma piccoli smeraldi incastrati nel bianco. Il biondo tira su col naso. Le sopracciglia in basso e le labbra timidamente rivolte all’insù.

“…non mi abbracci?” chiede, con un filo di voce e allargando le braccia. Lituania si avvicina lentamente a lui. Ha paura che sia tutto falso, uno stupido sogno come tanti altri che ha fatto in quei mesi. Eppure sembra tutto così vero… Ci vuole credere con tutto il suo cuore, questa volta. Una mano artigliata si stacca dal suo fianco e, tremante, si avvicina alla guancia rossa ed umida di Polska. Si, è vero, è lui ed è vivo. Gli trema il labbro per questa consapevolezza.

“S-Sei tu… veramente?” il sorriso timido di Polonia diventa meno timoroso. Strizza gli occhi, brillano come veri smeraldi.

“Abbracciami, Lietuva!” e lo fa, lo abbraccia così forte che quasi teme di spezzarlo in due. Il naso vuole sentire il suo profumo, la mano i suoi capelli morbidi e dorati, l’altra mano stringe il suo corpo, come per controllare se le sue ossa siano al loro posto. Si, non sono spezzate, le vertebre sono sane e dure, non scollegate e nemmeno frantumate. Vorrebbe quasi prenderlo in braccio, tanto è felice e tanto piange. Lo fa anche Polska: sente le sue lacrime sul suo collo e tenta disperatamente di non singhiozzare e di smettere. Pensa ancora di essere un principe e un principe non piange di fronte al suo cavaliere. Lo trova buffo questo comportamento. Ma qualsiasi cosa di Polska la trova buffa.

Non hanno altro da dirsi, basta solo questo. Quando si ha un vero amico, non servono le parole per comprendersi. Lietuva e Polska non ne hanno bisogno. Continuano ad abbracciarsi, Lituania lo bacia sulla fronte, Polonia sulle guance. Vorrebbero che sia tutto vero e non dover più tornare indietro.

Dopo un po’ si ritrovano sdraiati per terra, uno affianco all’altro, molto vicini, quasi come se temessero di sparire da un momento all’altro. Lituania non riesce a smettere di accarezzare i capelli di Polonia, che si confondono col grano. Il polacco ha gli occhi rossi e si sente molto stanco, non solo per aver piano molto, il moro altrettanto. Mentre gli pettina i capelli con le dita, si meraviglia che siano così dorati e puliti. Ricorda il colore ramato del suo cadavere, sulla sua pelle e su i suoi vestiti. Era come aveva detto Russia: bianco e rosso, come la sua bandiera. Non fu solo un’osservazione crudele.

“Com’è possibile…?” chiede, di punto in bianco, Lituania. Polonia continua a guardarlo negli occhi. Non sorride, né si sforza di fare qualcosa. Capisce cosa intende dire, non c’è bisogno di aggiungere altro.

“Non lo so, Liet. In qualche modo sono qui e non vorrei più tornare indietro…” afferma, stanco e triste. Lituania non ricorda di averlo mai visto così serio o triste per così tanto tempo.

“Stai… stai bene, almeno?” Polonia annuisce dopo un po’ e non aggiunge nulla per qualche minuto. A Lituania basta questo, è semplicemente felice di averlo vicino e di sapere che sia tutto vero.

“Posso, tipo…” un sospiro “Erm… tenerti la mano?” abbassa gli occhi, imbarazzato. Lituania non pensa che bisogna vergognarsi di qualcosa. Dopotutto, lui stesso, da quando lo ha abbracciato, non fa altro che carezzare i suoi capelli. E lo fa anche ora. Annuisce con un sorriso all’amico e gli tende la mano. Il biondo, timidamente, molto timidamente, la sfiora e la tiene stretta forte, molto forte. Passa un minuto di imbarazzo per Polonia.

“Scusa è che… potrei anche non poterlo fare mai più…” sussurra, col cuore nella gola. Deglutisce, sentendo la saliva secca ed acerba in bocca. Lituania lo ascolta, vorrebbe non perdersi nemmeno una parola. Sarà strano, ma anche la sua voce gli era mancata.

“Che vuoi dire?” Polonia ha sempre avuto lo sguardo basso e continua ad averlo. Col pollice percorre le nocche rosate di Liet. La mano è morbida e senza alcun graffio, come ha voluto Toris che ora lo osserva, da lontano, sorvolando il cielo. Da lassù percorre le nuvole, leggiadro, veloce ed elegante. Lituania non lo vede, ma Polonia sente la sua presenza lì, in alto, sopra la sua testa.

“Non so per quanto tempo posso restare qui. Forse sarà l’ultima volta che ci vediamo, forse non lo sarà, forse me ne dovrò andare via, proprio ora. Non so cosa posso o non posso fare qui con te, Liet” le orecchie di Lituania affondano nelle sue parole, abbracciate e cullate dolcemente. Questi ragionamenti non lo sorprendono, aveva una consapevolezza del genere già da tempo, forse da quando si era seduto a quella tavola, forse da quando Polonia lo ha abbracciato. Ma viene comunque trascinato dalla tristezza.

“Spero che non sia l’ultima volta. Mi sei mancato tantissimo” lo dice col cuore. Polonia lo capisce, per questo sorride, per questo tiene ancora più stretta la sua mano.

“Lo spero anch’io, ma non lo decido io” guarda negli occhi il moro, con occhi lucidi “Te l’avevo detto col cuore: io ti voglio bene, Liet” sospira una risata malinconica “Avrei voluto dirtelo prima, tante volte…” Lituania lo osserva, anche lui con occhi lucidi. Il ragazzo poggia un braccio sulla schiena del biondo e lo trascina a sé. Lo abbraccia nuovamente, ricambiato da Polska. Gli lascia un bacio sulla fronte, impietosito e commosso. Anche lui avrebbe voluto dirgli tante volte che gli voleva e gli vuole bene. Non ne ha mai avuto l’opportunità e ora lo ricorda in ritardo. Il cielo diventa velocemente scuro, s’ingrossano le nuvole, ma i due ragazzi non lo notano. Non subito.

Si sente un fischio nell’aria. Polonia alza al testa di scatto: Toris sta volando in cerchio, sopra di loro, vicino alle nubi nere. Il sole è scomparso, il vento è ghiacciato, sferza e taglia. Polonia si scioglie dall’abbraccio e si alza in piedi. Si guarda attorno: non c’è più la tavola, nemmeno il grano è giallo. È scuro, quasi nero. C’è qualcosa che non va. Polonia sente un pericolo invisibile avvicinarsi a Liet. Non vuole che gli accada qualcosa.

Lituania avverte anche lui il pericolo, per questo alza il busto, occhieggiando attorno a lui. Un brivido gli percorre la schiena. Sente un vento ghiacciato scivolargli sotto i vestiti. Sulla schiena sente qualcosa aprirsi, sulla pelle. È quasi fastidioso, questa sensazione. Si sfiora la schiena, la trova bagnata. Ritira la mano e rimane sbalordito di trovarla rossa ed umida. Ricorda Russia e le coltellate dietro la schiena, le mazzate e le parole distrutte dalla vodka.

Trema, ha paura. Guarda quella mano come se non fosse la sua. Il sangue sulle dita scivola via e macchia anche i pantaloni. Più ricordi reali ritornano alla luce. Non dovrebbe trovarsi lì, in quel campo di grano. Ricorda il buio, la paura, Russia, le sue mani da gigante e il freddo di quel posto. Gli trema la mano, sente gli occhi lucidi, il cuore scoppiare. Polska gli afferra la mano, la tiene stretta nella sua, bianca e splendente. I suoi occhi s’incrociano con i suoi azzurri, ma non riesce a guardarli.

“Liet, va tutto bene, qui ci siamo solo io e te. Va tutto bene” lo dice così fermamente che vorrebbe crederci, con l’anima e il cuore, ma non ce la fa. Altri ricordi. Il nulla, la consapevolezza di non udire né sentire. Il bavaglio sporco in bocca, la testa che gira, il sangue sulla schiena. Ha paura e non vuole tornare da Russia. Polonia si getta vicino a lui. Lo abbraccia forte e invita la sua testa a nascondersi nel suo collo.

“Liet, non devi avere paura, non c’è niente di cui aver paura” lo dice con molta più convinzione. Lituania non lo sa, ma Polonia ha visto e sente la presenza di Russia, lì fuori dalla mente del ragazzo. È entrato nella stanza e Liet, ovviamente, la sente. Eppure non si sveglia.

Polonia vede, tutto ad un tratto, senza averci riflettuto prima, un via d’uscita da quel girone infernale dove Lituania è finito per sbaglio. Osserva Toris in cielo che volteggia nervoso sopra la sua testa. Polonia non sa se il suo piano possa essere un successo. Si sente solo, vedere Liet in quello stato lo ha ucciso, non vuole più vederlo così. Dicono che la morte sia la medicina migliore mai creata. Polonia sente queste parole, rimbombano nella sua testa. No, non è vero, ci dev’essere un altro modo! Non la vede, una seconda possibilità. Stringe più forte Liet. Non riesce a pensarci.

Qualcosa si rompe, sotto i piedi di Lituania, sotto il suo peso. Il terreno si è spaccato e si è creata una crepa, abbastanza grande da far cadere dentro Lituania. Polonia non riesce ad afferrarlo in tempo, che cade dentro, un tunnel infinito, coronato da buio e dagli urli di Polonia. Russia lo ha portato indietro, nel modo più violento possibile.

Lituania si sveglia, apre le palpebre e non riesce a vedere niente. Tutto è buio o sfocato, ha il cuore nelle orecchie. Ha paura. Immediatamente sente le mani di Russia sulle sue spalle. Riesce a vederlo ora: è di fronte a lui, lo tiene sollevato. Gli fa male la schiena, gocciolante di sangue. Le ferite si sono riaperte. Nella mente malata di Russia, sbattere Lituania contro i muri come se fosse un giocattolo è normale, soprattutto se, oltre alla psiche, ad essere annebbiata è anche la mente. C’è puzza di vodka, terribile ed insopportabile. Lituania si sente soffocare, anche per la confusione. Non capisce: era in Paradiso, perché ora è ricaduto all’Inferno?

Prova a liberarsi, ci riesce. Le sue braccia e le sue gambe non sono guarite, ma ancora paralizzate e spezzate. Cerca di gattonare lontano. Un fluido di nero veleno scorre nelle sue vene. Implora di scappare e di nascondersi. Lituania non può fare altro. Vede un bancone e, ingenuamente, si nasconde dentro, tremante. Si poggia le mani sulla testa, si copre il volto. Tenta di convincersi che, no, quello non è vero, è tutto falso, è solo un incubo. Sa che non è vero, sa che è spacciato. Il silenzio che segue è assillante e pericoloso. Lituania si tappa le orecchie, terrorizzato più dal silenzio che dal caos. Tenta di non piangere. La puzza di vodka si avvicina sempre più. Vede un piede di Russia avvicinarsi al suo nascondiglio. Russia dev’essere confuso, colpa dell’alcool, per questo non riesce subito a vederlo. Un pesante colpo fa tremare il bancone, sulla testa del ragazzo.

“Lituania…” strascica una voce non umana. Il ragazzo reprime un sobbalzo nell’udirla “Piccolo, dove sei…?” strascica ancora la voce confusa e spezzata dalle lacrime. Russia non vorrebbe fargli del male, ma il suo corpo e la sua mente glielo obbligano, un ritornello che deve compiere ogni volta. Un piccola vocina gli supplica di smetterla, l’angelo non può più volare e ha capito il suo sbaglio, perché continuare il martirio? Un’altra voce, più energica e disumana, grande e potente per gli anni e per l’infanzia distrutta, risponde che non c’è una vera ragione. Russia lo vuole e basta, l’istinto glielo grida. Perché dovrebbe fermarsi? Perché Polonia ha Lituania anche dopo la morte? Per quale incantesimo o per quale maledizione? Perché il polacco ha un angelo, il suo angelo, e lui invece è solo? Queste domande lo fanno arrabbiare e il non poterle rispondere lo fa piangere.

Lituania geme e ha paura. Russia lo ha trovato. Lo afferra per una gamba e cerca di trascinarlo fuori da quel buco. Il ragazzo, però, è terrorizzato e il terrore è più potente della paura. Ti spinge a fare di tutto per la tua sopravvivenza. Lituania afferra la prima cosa che ha vicino. È qualcosa in acciaio e duro, sufficiente per tenersi aggrappato. Sente le ossa spaccate delle braccia lamentarsi ed irrigidirsi. La soglia del dolore di Lituania, tuttavia, è molto alta, quindi ingoia il dolore e si tiene stretto. Lo fa, fino a che Russia non lo strattoni altre tre volte. Fino a che alla quarta non riesce a trascinarlo fuori con quel pezzo di metallo.

Russia sembra una bestia. Nell’oscurità gli brillano gli occhi di una luce violacea, crudele, arrabbiata, disperata. Lituania non riesce più a tenere in mano il pezzo di metallo, quindi lo lascia e cerca di sgattaiolare di nuovo nel suo nascondiglio, il posto più vicino dove ripararsi dalla furia del russo. Russia afferra quel pezzo di metallo staccato e colpisce Lituania.

Il sangue schizza sui muri e sul pavimento. Sente le sue urla. Continuano fino a quando la gola non ha più forza né voce. Lo colpisce ancora, ancora e ancora. Non smette. Più supplica il ragazzo, più lo colpisce. Più urla, più i colpi diventano potenti. Più piange, più spacca le sue ossa. Lituania comprende in ritardo questa cosa. La comprende quando si rende conto di voler rivedere Polonia e di voler morire. Questa volta per davvero.

Con questa consapevolezza, smette di urlare, di dimenarsi e di pregare il pazzo di non fargli del male. Russia continua a colpirlo col rubinetto della cucina. Non sente più nulla, per questo si ferma, confuso. Un animale senza vista né udito. Lituania rimane fermò lì, nel pantano. Anche lui non sente né ode nulla e, sinceramente, non gli importa.

È completamente bloccato nel suo corpo e non riesce a fare nulla, né ci prova. Rimane a fissare Russia, e quel ‘perché’ non riesce a volare via dalle sue labbra. Vorrebbe chiedergli perché gli fa questo. Perché vorrebbe ucciderlo e perché, se lo desidera, non lo fa subito. Vorrebbe sapere dove sia Polska e spera che non lo abbia visto in quello stato. Spera di no, è certo di essere una carcassa aperta e scuoiata.

Avrebbe pianto se avesse saputo la verità. Polonia dovette guardare anche questa tortura, questa punizione senza perché. Gli escono fiamme dagli occhi, nel volto scuro e nascosto fra i capelli dorati e le mani bianche. Decide che Lituania non merita questi castighi. Decide di portarlo via da Russia. Non deve nemmeno toccarlo lui, maiale. Una bestia non deve nemmeno guardare un angelo. Che muoia nella solitudine, quel cane da porci sovietico, pensa. Lituania è e sarà suo.

Avrebbe dovuto soltanto pregare Toris per un’ultima volta, un’ultima volta nei suoi sogni e, questa volta, Liet non si sarebbe più svegliato in quell’Inferno. Avrebbe avuto il Paradiso che merita, insieme a lui, com’è giusto che sia.

L’avrebbe avuto soltanto lui e si sarebbe salvato, per sempre.

 

 

 

 

 

 

Lituania sente un bisbiglio dolce vicino al suo orecchio. Apre gli occhi, si rende conto di essersi salvato una seconda volta da Russia e di essere scappato di nuovo in quel luogo misterioso, questa volta mutato dal giallo al verde. Gli piace quel colore. Affianco a lui, seduto sulle ginocchia, c’è Polska, sorridente e con un’aria pacata. Non ci fa caso, lo stomaco e il cuore si attorcigliano di nuovo.

Ricorda meglio Russia e di quel che gli ha fatto. Non vuole più tornare indietro. Polska lo ha salvato di nuovo. Gli occhi lacrimano, senza un vero perché. Prende le mani del biondo, veloce, e, in grembo, le bacia, più volte. Ha avuto paura del gigante bianco e non vuole altro che il suo amico. Le mani di Polonia si muovono un po’, commosse.

“Liet, non piangere…” in effetti è vero, sta piangendo, eppure non singhiozza né fa rumore, è solo molto felice di avere di nuovo la libertà. Ha un buon sapore, la libertà. Una mano bianca si libera e carezza la sua testa castana. Ricorda che Polonia non lo faceva mai, ma non ci fa caso, è scosso da quel gesto. Dopo un po’, smette di piangere, sazie le lacrime. L’amico riesce ad abbracciarlo.

“Non tornerai più laggiù. Sarai qui, quanto vuoi, va bene?” chiede, gentilmente. Lituania annuisce, asciugandosi le lacrime. Polonia fa lo stesso con le sue. Aveva pianto anche lui, di nascosto. Non vuole staccarsi da Lituania. Forse perché teme che possa andarsene come l’ultima volta. Se le cose andranno bene, allora starà con me per sempre, pensa, eccitato e felice. Si alzano in piedi, ancora con le mani strette le une alle altre. Non riescono a fare a meno di toccarsi. Forse temono che scompaiano di nuovo o che sarà davvero l’ultima volta che possono guardarsi, parlarsi, abbracciarsi, toccarsi. Anche Lituania non vorrebbe andarsene, teme anche lui che possa accadere qualcosa e tornare in quell’Inferno. Polonia si stacca dolcemente, prendendolo ora per le spalle.

“Ti va di giocare?” chiede, con un tono diverso e più allegro. Questo cambio improvviso di atteggiamento è quasi sospetto, ma nei sogni non ti chiedi nulla né vorresti delle risposte. Per questo Lituania annuisce, anche perché vorrebbe stare con Polska per più tempo possibile. Annuisce ancora, più forte di prima.

“Che ti va di fare?” Polonia indica dietro di sé. Non l’aveva notato, ma dietro di loro c’è un lago, ancora più famigliare. Lituania non si chiede niente, quel paesaggio verde e blu gli piace e questo basta. È incredulo per la bellezza di quel luogo. Polonia sembra molto più allegro.

“Andiamo a nuotare? Non lo facciamo da anni” il suo sguardo diventa supplichevole quando nota l’esitazione del moro. Lituania trova quell’ espressione semplicemente molto buffa “Dai… Andiamo, Liet!” gli esce una risata, sincera, rara in quegli anni.

“Non ho mai detto di no” Polska sembra scoppiare di gioia.

“Va bene! A chi arriva per primo!” senza aggiungere nulla, il polacco inizia a correre verso l’acqua. Lituania, d’istinto, lo insegue. Si lasciano dietro parti di vestiti e alfine si gettano entrambi in acqua, nudi. Polonia inizia già a bagnarlo e a spruzzargli contro. Non si agita né si sente preoccupato. Si lascia semplicemente andare. Dopotutto, si sta bene lì: l’acqua è calda, c’è il sole, non c’è una nuvola in cielo ed è felice di rivedere e giocare con Polska, come facevano un tempo.

Gli piace stare lì, non vorrebbe andarsene da nessun altra parte. Oltretutto, Polonia sembra molto più affettuoso di come lo ricordava…

 

 

 

 

 

Russia riapre, anzi, sfonda la porta. Si regge a malapena sulle gambe. Si tiene in piedi sorreggendosi alla porta cigolante. Si sente male e ha bevuto ancora troppa vodka. Ma non può farne a meno: non riesce a guardare Lituania se non con un piccolo aiuto.

La stanza è ancora buia, la luce è nascosta dietro le travi di legno, la cucina cade a pezzi, così come il tavolo e il pavimento di assi crepitanti. Lituania è lì dove l’aveva lasciato: sotto al bancone della cucina, sdraiato sulla schiena ancora sanguinante ed aperta, braccia abbandonate e gocce di sangue sui muri. In un piccolo momento di lucidità, si rende conto di quanto sia orribile quel che sta guardando. Entra dentro, ancora traballante. Si getta sul tavolo e, con molta fatica, si siede sulla sedia. Questa volta vuole essere calmo.

Guarda Lituania, perplesso di non vederlo muoversi o tremare per il freddo. Lo ammette lui stesso: quella stanza è terribilmente fredda. Si sente in colpa solo per questo. Lituania è ancora immobile, stracciati i vestiti, per terra, immerso nel sangue che gli fa da indumento. Russia inizia ad avere un minimo di lucidità. Si chiede per quanto tempo ancora abbia intenzione di tenere prigioniero Lituania. Si risponde che, no, non troppo tempo, solo qualche giorno e poi basta. Ha patito a sufficienza.

Non ha bevuto così tanta vodka come nelle ultime volte, ma si sente molto più sveglio. Non è arrabbiato e nemmeno trova un motivo per farlo. Metà corpo del ragazzo steso lì è avvolto nell’oscurità, sotto al bancone, quasi invisibile. Si chiede se sia stato per altri due giorni là sotto, a patire e ad aspettarlo. Si risponde di si, notando che non ci sono impronte sul sangue per terra. Oltretutto, Lituania non potrebbe ancora muoversi o trovare un motivo per farlo. Il cuore torna umano e caldo. Decide di portarlo a casa, via. Ha sofferto abbastanza, basta così.

Si avvicina, senza più troppo alcool nel sangue e si china vicino al ragazzo. Sembra dormire, pensa Russia. Lo troverebbe tenero, se Lituania non avesse tutto quel sangue sul corpo e non vedesse quella carne aperta e straziata. Riesce a poggiare una mano sulla sua pancia. Lentamente inizia a premere e a scuoterlo un po’, quel che basta per svegliare una persona. Non ha più lacrime, non ne vuole più avere. I suoi occhi sono stanchi, chiedono anche loro la parola fine a questo strazio.

“Piccolo, svegliati. Ti riporto a casa. Estonia e Lettonia ti stanno aspettando” ha detto quelle parole d’istinto, non rendendosi subito conto della poca importanza che potrebbe avere per il ragazzo l’ultima frase. Lituania non si muove, ancora fermo nel suo sangue. Russia si avvicina ancora di più. Vorrebbe guardargli il viso, ma è troppo buio. La mano inizia a fare dei movimenti circolari, quasi come se fosse una carezza.

“Piccolo, andiamo a casa. Ti preparerò del buon borscht e poi andiamo a riposarci in un bel letto caldo. Va bene?” chiede, con molta più gentilezza e calore di quel che credeva di usare. Lituania ancora non si muove. Russia è perplesso, ma non è arrabbiato. Nota che la pelle, quella salva dal rosso, è bianca. Troppo bianca, grigiastra quasi. Avvicina la testa all’oscurità, sotto al bancone.

“Lituania?” ancora nessuna risposta. Russia è ancora più perplesso e una piccola consapevolezza si sta formando nel suo cuore. Il gigante bianco inizia ad aver paura. Nota un particolare: il petto del ragazzo, sin da quando è entrato, non si è né alzato o abbassato. Trascina velocemente il ragazzo fuori dal buio. Il volto di Russia è impassibile, scavato di nero dall’oscurità e dalla paura. Lituania è molto più magro di come lo ricordava. In realtà, ricorda, per tutti quei giorni non gli ha dato mai da mangiare. Se fosse stato umano, sarebbe morto il primo giorno, per colpa delle torture. Russia gli afferra le spalle e lo scuote, nervoso.

“Lituania, ti prego, svegliati. Dobbiamo andare a casa. Fa troppo freddo…” il corpo non ha alcuna reazione. La consapevolezza nel cuore di Russia, da piccola, diventa grande. Rimane immobile per qualche minuto, con occhi sbarrati. Quella stanza è talmente silenziosa da poter udire il suo cuore martellante, implorante di altre spiegazioni.

Russia poggia dolcemente un orecchio sul petto di Lituania. Attende un battito, un segno, della vita. La attende per vari minuti ancora. Non sente niente. La testa color cenere si alza di scatto, la sciarpa si macchia del sangue del ragazzo. Si sfila velocemente un guanto. Poggia la mano sul collo e preme lievemente sulla vena più grande. Ancora nulla. Un tremito accompagna il cuore, impazzito e incapace di fermarsi. Anche il fiato è straziato e scattante.

Poggia ancora le dita, questa volta, sul polso bianco. La vena è senza sangue e senza battiti. Ora Russia ha veramente paura. La consapevolezza cresce ancora nel suo cuore. Le mani tremano nel spostarsi sulle ciocche ghiacciate. Dalla gola cercano di uscire delle sillabe spaccate, senza alcun significato né voglia di essere significate. Non vuole urlare né ci riesce. In quella posizione, Russia cerca di non far scorrere le lacrime, invano. La luce violacea dei suoi occhi macchia anche le lacrime salate.

No, Lituania non può morire, non è vero, pensa. Eppure la realtà è proprio lì, vicino a lui. E’ tanto difficile cercare di accettare l’idea di aver ucciso un angelo? Sembrerebbe di si, se a farlo è il generale di tutte le russie. Ma non vuole accettarlo. Per questo afferra il corpo del ragazzo e lo scuote, lo sbatte e lo trascina per la stanza, macchiando ancor di più di sangue il pavimento e le pareti. Ignora e scaccia via i topi che osservano Lituania, affamati. Non deve averlo nessun altro se non lui. Ha lottato tanto per avere quell’angelo, eppure tutto ciò non è servito a niente. Continua a prendere il corpo e a gettarlo contro le pareti, come se fosse una bambola.

Non vuole perderlo.

Non vuole perdere contro Polonia.

Non vuole ammettere che Polonia gli stia portando via il suo angelo.

 

 

 

 

 

“Polska, non ce la faccio più, sono stanchissimo” dice ad un tratto Lituania, galleggiando a pancia in su nell’acqua. Polonia, bianco come la neve, lentamente nuota verso l’amico. Lo osserva interessato e premuroso.

“Vuoi riposare?”

“Si, scusa, ma la schiena comincia a farmi male…” mormora, sentendo chiaramente le spalle diventare dure e rigide. Polonia ascolta quelle parole come se fossero oro. Due gemme smeraldine brillano nei suoi occhi. Toris, sulla riva, appollaiato ad un albero, osserva i due ragazzi in acqua, interessato e serioso. Polonia afferra piano per le spalle Liet.

“Ti trascino a riva, va bene?”

“Si. Grazie, Polska. Mi sento molto stanco, scusa…”

“No, no, lascia stare. Ora ti porto a riva e ci riposiamo. Ci siamo, tipo, divertiti abbastanza” Lituania non si chiede perché Polonia cerchi di soddisfarlo in tutti i modi e di non criticarlo o scherzarci su. Polonia, quello che ha sempre conosciuto, gli avrebbe dato della ragazzina frignona e lo avrebbe costretto a giocare ancora. Forse sono stati in acqua per molto più tempo di quel che credeva o forse Polska è stanco anche lui.

Polonia fa passare un braccio sotto l’ascella del lituano e con l’altro braccio si trascinano fino a riva. Lì Polska lo fa sdraiare. Lituania è felice di sentire sotto la schiena sia dell’acqua che della terra. Non riesce ad alzarsi ed è troppo stanco anche per provarci una seconda volta. Polonia si stende vicino a lui. La luce tocca la sua pelle bianca, rendendola quasi trasparente. Gli sorride, premuroso. Lituania lo trova quasi buffo.

“Ti vuoi addormentare?” chiede, piegando le ginocchia al suo petto. Il moro annuisce, cominciando a sentire la stanchezza ancor di più. Polska vede con la coda dell’occhio Toris volare verso di loro e posarsi su un tronco spezzato, a qualche metro dalla riva. Lituania non lo vede, ma Polonia ne sente la presenza forte ed elegante.

“Aspetta, metti, tipo, la testa qui: sarai più comodo” Lituania osserva con gli occhi appannati dal sonno Polonia mentre gli sposta la testa sul suo braccio bianco. Lituania, però, ha sempre pensato prima agli altri che a sé stesso. Particolarmente a Polonia.

“Polska… ti faccio del male” il biondo comincia a stringerlo a sé, con molta più possessione. Gli carezza i capelli con le dita.

“No, continua a dormire. Dormi, Liet, dormi…” Lituania osserva i suoi occhi smeraldini e pensa che anche quegli gli siano mancati, tantissimo. Pensa anche che l’acqua che lo avvolge dal petto in giù sia calda e comoda come una coperta. Non vuole muoversi, sta bene lì.

“Una cosa, Liet” gli sussurra Polska, continuando a giocare coi suoi capelli “Ti piacerebbe restare qui per sempre, con me?” questa domanda lo coglie alla sprovvista. Ma non ha bisogno di rifletterci per rispondere. Gli sorride, molto assonnato.

“Lo vorrei tantissimo, Polska”

“Dici, tipo, per davvero? Ne sei sicuro?” Lituania inspira un po’ di aria d’acqua dolce con il sussurrare delle foreste attorno ad esso.

“Non vorrei mai più tornare indietro. Qui si sta benissimo…” sussurra e, questa volta, chiude gli occhi. Dopo un po’ si addormenta, cullato dalle mani di Polska che, ricorda, non sono mai state così dolci. Li piacciono e non vorrebbe altro di più.

Polonia sorride con un po’ di malizia. Questa volta è stato Liet stesso a dirglielo, vorrebbe restare con lui e non con Russia. Ne è felice, così non deve obbligarlo a scegliere. Non deve scegliere né fare la scelta sbagliata. Forse non è del tutto giusta come soluzione, ma Polonia non ne vede altre e non vorrebbe vederne altre, in verità. Stringe Lituania ancora più a sé, con una certa malinconia nel cuore.

Sarebbe stato con lui per sempre, non avrebbe avuto altri problemi o preoccupazioni. Sarebbe stato felice con lui. Sarebbe stato molto più buono e gentile. Sarebbe stato perfetto questa volta. Non sarebbe stato più egoista e cattivo, ci sarebbe stato un nuovo lui. Sarebbe diventato qualcun altro per non vedersi più così maledettamente stupido e superficiale. E dannoso per Liet. Liet merita il meglio. Dopotutto, gli angeli stanno con gli angeli, no?

Continua ad accarezzargli i capelli, sperando che continui a dormire, Liet. Toris, preoccupato più di prima, vola vicino ai due, questa volta dietro la schiena di Lituania. Guarda Polonia, ma Polonia non lo guarda.

È troppo concentrato sull’amico per notare un scintillio incredulo negli occhi neri del volatile.

 

 

 

 

“Lituania! Lituania, svegliati, piccolo. Svegliati!” non lo ascolta, l’unico che lo ascolta è il buio della cucina. Lituania, nonostante lo abbia scosso e lo abbia gettato contro muri e oggetti, non si sveglia. È ridicola questa situazione: una Nazione non può morire, così, come se nulla fosse. Non lo crede possibile. Forse è solo uno scherzo. Ma anche questo è ridicolo: perché Lituania dovrebbe scherzare con lui? E perché non si sveglia ora, avendogli sfracassato altre ossa? Continua a credere che sia solo svenuto o che non voglia svegliarsi, il ragazzo. Gli s’ingrossa una vena, per il panico.

“Bambino, basta dormire. Basta, svegliati!” ora urla, non riuscendo a controllare la paura. Ora che ci riflette, che diranno i suoi due fratelli, Estonia e Lettonia? Russia non ne ha idea, non riesce nemmeno ad immaginarlo. Non riesce ad immaginarli piangere per Lituania, ma nemmeno rimanerne indifferenti. Aveva sempre creduto che tra Lituania e Polonia ci fosse un’amicizia fragile o falsa. Credeva che, dopo la sua morte, Lituania lo avrebbe dimenticato. Invece l’ha spezzato e ucciso. Quindi può anche aver torto sui due Baltici rimasti. Verranno spezzati anche loro. Avranno gli occhi spenti, non avranno più vita, non saranno più suoi. Lo sente, l’errore, farsi più vivo di fronte ai suoi occhi. Infatti, Lituania non si è ancora svegliato.

Sente il cuore in agitazione e le mani tremare, come se stesse ricevendo una scossa elettrica. Dalla fronte vengono sputate valanghe di sudore. Sente il naso colare e la bocca grondante di saliva. La stanza diventa improvvisamente calda, bollente ed insopportabile. Vorrebbe uscire da lì, di corsa. Ma, se andrà via, Lituania rimarrà incastrato in quel caldo atroce. Guarda il corpo, gettato contro la parete macchiata di colante liquido rosso. Il grigio della pelle del ragazzo è più che evidente. Le ossa sporgono ancor di più, ne vede le nocche della mano sporgere in senso contrario, contro il palmo e non il dorso. Anche le occhiaie sotto agli occhi sono quasi nere. Ha spezzato anche il suo corpo.

È morto, gli sputa una voce dentro di sé, è morto per colpa tua. Hai ucciso un angelo. Quest’ultimo pensiero lo fa scuotere fin dentro le membra. Il suo sguardo si abbassa alle mani, macchiate del sangue del ragazzo. Ogni cosa là dentro è rossa e sporca. Scuote la testa, non vuole ancora crederci. Lituania non si muove ancora. Anche i capelli sono macchiati di rosso, sporchi e liquidi.

Russia non vorrebbe piangere, cerca di trattenersi con tutta la sua buona volontà. È anche stupida la sua reazione: non è nemmeno la prima volta che uccide qualcuno. Tante volte è stato il boia, il tagliagole degli zar o il generale dei loro eserciti. Lituania non fa un’eccezione, pensa una vocina cattiva nella sua testa, è solo un morto come tanti, non ha molta importanza. Russia risponde di no, prontamente. Fin da quando era ragazzo aveva ucciso. Aveva ucciso demoni, umani e fantasmi senza vita. Non ha mai ucciso un angelo, mai nella sua vita. L’averlo fatto è doloroso e sbatte contro la sua coscienza.

Si stringe il petto, vorrebbe spezzarlo così come ha spezzato la schiena e le gambe di Lituania. Vorrebbe non averlo mai portato lì, vorrebbe non aver mai visto quello sguardo di fuoco verso di lui, in quella stanza. Vorrebbe che Lituania non sia mai stato un angelo e che Polonia non lo abbia mai avuto con sé. Vorrebbe tante cose e non può averle, e fa male il sapere che non può averle più.

Si trascina vicino al corpo del ragazzo, ancora sporco e freddo. Sembra calmo e sereno, di sicuro il Paradiso è molto più adatto per lui di quel posto. Russia non avrebbe mai voluto fargli del male, né spezzare la sua anima. Forse sarebbe stato meglio rifiutare la proposta di Prussia. Avrebbe potuto lasciare in vita Polonia. Tanto, ormai, il polacco aveva già vinto il cuore dell’angelo. Lo possedeva già e non poteva averlo mai più. Si avvicina al ragazzo, sovrastandolo con la sua ingombrante ombra.

E, ironia, Polonia ha vinto anche dopo la morte.

Polonia ha portato via con sé quell’angelo.

Una lacrima ribelle scappa dal suo occhio e cade sulla fronte di Lituania. Le altre sue sorelle, incoraggiate dal suo esempio, cadono anche loro, fuggendo dalla sua forza di volontà. Singhiozzi potenti lo scuotono e lo stracciano in due. Sono così forti da farlo piegare e toccare la fronte del morto con la sua. Lituania è morto e non ci crede ancora.

 

 

 

 

 

 

L’aria è così calda che Polonia, se non fosse stato coperto dall’acqua per metà, sarebbe impazzito per il sudore. Liet fa bene a dormire, non c’è niente di meglio da fare. Una piccola onda riesce a fare una breve rincorsa e riesce a toccare qualche ciocca bruna. Lituania non si accorge di nulla, troppo stanco e sereno. Polonia continua a stringerlo, si sente molto più docile degli anni precedenti. Gli è mancato così tanto Liet… Vorrebbe renderlo ancora più felice. Sente Russia protestare lassù, nel cielo, ma non c’è alcun cambiamento nell’aria. Quindi va tutto bene, Lituania vuole per davvero restare con lui. Inizia a canticchiare, quasi senza pensarci.

 

Kocham Cię Kochanie moje
Kocham Cię a Kochanie moje
To polana w leśnym gąszczu schowana
Kocham Cię Kochanie moje
Kocham Cię a Kochanie moje
To sad wiosenny rozgrzany i senny
Kocham Cię a Kochanie moje
To rozstania i powroty
I nagle dzwony dzwonią i ciało mi płonie
Kocham Cię tak

 

Lituania l’ha sentito cantare solo un’altra volta, tanti, tanti anni fa. Non ci aveva nemmeno pensato e, credendo di non essere sentito né visto da nessuno, aveva canticchiato una vecchia canzone d’amore. Liet ha cuore, anima e orecchie per tutti. Gli aveva detto che era bravo. Dovresti cantare più spesso, gli aveva detto. Polonia non aveva più cantato da quel giorno. Non sa nemmeno il perché, forse si vergognava, nonostante non avesse nulla da temere. Ora gli escono fiumi di parole dalla bocca.

 

Kocham Cię Kochanie moje
Kocham Cię a Kochanie moje
To oczy Twoje we mnie wpatrzone
Kocham Cię Kochanie moje
Kocham Cię a Kochanie moje
To tęsknota nieskończona

 

Lituania sospira di piacere. Sembra un bambino abbracciato al fratellino. Polonia gli carezza col pollice il petto nudo, senza pensarci, senza notare la mano molto più gentile del solito. Quasi se ne stupisce. Lituania era strano quando dormiva. Sembrava cercare tutto l’affetto che dava agli altri. La prima notte insieme la ricordava male. Liet gli era stato abbracciato per tutte quelle ore e, addirittura, la mattina aveva trovato la sua testa incollata al petto del principe polacco e il corpo sdraiato totalmente su di lui. Erano strani, ma piacevoli ricordi. Anche ora Liet cerca affetto: con la mano desidera la sua. Gliela concede, Lituania merita ogni cosa che desidera.

 

 Kocham Cię a Kochanie moje
To rozstania i powroty
I nagle dzwony dzwonią i ciało mi płonie
Kocham Cię tak tak tak

 

La testa del moro si muove un po’ verso le sue ciocche bionde. Aspira il loro profumo, ammaliato dalla dolcezza dei capelli biondi. Polonia a malapena si accorge che siano ancora nudi, in acqua, sulla riva. Gli spunta un sorriso. Se qualcuno ci beccasse qui, fraintendirebbe tipo tantissimo, pensa con un sorriso un po’ nervoso, ma sincero.

 

Kocham Cię Kochanie moje
Kocham Cię a Kochanie moje
To przypominanie pierwszej pieszczoty
Kocham Cię Kochanie moje
Kocham Cię a Kochanie moje
To noce z miłości bezsenne
Kocham Cię a Kochanie moje
To rozstania i powroty
I nagle dzwony dzwonią i ciało mi płonie
Kocham Cię tak tak tak tak

 

Ma è stupido un pensiero del genere: chi potrebbe mai venire lì a dargli fastidio? 

“…cosa fai, Polonia?” gli occhi si voltano di scatto. Non ha paura, ma un brivido gli è sceso sulla schiena e ha preso le gambe, scosse. Ha preso un colpo, per fortuna Liet non si è svegliato. Lituania ha sempre avuto il sonno pesante. Polonia non vede nessuno, c’è solo Toris che, fiero, si mostra dietro di loro, su un ceppo. I suoi occhi seri lo scrutano un po’ preoccupati. Polonia non si chiede nulla, da quando è diventato un fantasma nulla lo sorprende troppo.

“Se le cose vanno bene, Toris, Liet starà con noi, per sempre” l’idea, detta ad alta voce, sembra veramente buona. Polonia sente gli angoli della bocca alzarsi verso le guance. Rivolge di nuovo lo sguardo al suo amico, beato nel sonno “Non dovrà più soffrire. Sarà per sempre felice con me, non dovrà più preoccuparsi per qualcosa. Avrà, tipo…”

“Che egoista…” questa voce rude lo prende di sorpresa. Si volta di nuovo all’indietro. Si stupisce di vedere, alzato sopra al ceppo dove prima stava il volatile, un bambino. Per un attimo si vergogna di vedersi nudo a quell’improvvisa apparizione. Il piccolo, coi capelli rossi macchiati un po’ di nero e fasciato in un bianco pigiamino, lo squadra con occhi neri e severi.

“Toris…” mormora con poche forze Polonia, sinceramente stupito.

“Vorresti ucciderlo per così poco?” tutto lo stupore scema. Viene sostituito con la rabbia.

Così poco? Stai, tipo, scherzando…?” il bambino non fa una piega. Quegli occhi inflessibili e quasi crudeli non gli piacciono e, in realtà, gli fanno abbastanza soggezione. Gli tremano le spalle, ha ancora paura degli estranei, non si è ancora scrollato dal cervello questa piccola fobia. Quello è Toris, non ci sono dubbi. Eppure ha pur sempre paura di quella creatura apparsa all’improvviso di fronte ai suoi occhi. Gli occhi neri sono ancora duri.

“Stai uccidendo, Polonia, riesci a rendertene conto?” il vento comincia a soffiare più forte, tanto da gettargli negli occhi delle gocce d’acqua. Polska si sfrega gli occhi, con poca pazienza. Dà delle carezze a Liet, molto profonde, alle spalle. Il vento si placa, pericolo cessato. Polonia non stacca gli occhi da Lituania.

“Lo so, Toris. Ma è per una cosa buona” e ci crede con tutta l’anima, Polonia. Lituania non ha niente da fare o da concludere in quel mondo bianco e spaccato. La guerra non lo guarda in faccia, nemmeno la furia di Russia che, per gioco, lo sta distruggendo. Meglio non soffrire per queste cose. Gli occhi neri si scongelano dalla severità. Assumono un’altra forma, molto più irritante: la schiettezza di quel sopracciglio alzato fa crescere una fiammella di rabbia nello stomaco di Polonia.

“Uccidere è diventata una cosa buona?” gli fa da pappagallo. Polonia continua a guardare Liet, cominciando a sentire un breve cedimento.

“Si, se facendo questo lo libero da tante ingiustizie” il breve cedimento passa subito, così com’è venuto. Il bambino lo guarda con qualcosa di simile al disgusto. Anche questo fa arrabbiare Polonia.

“Non hai il diritto di portarlo qui” scende dal ceppo, lentamente fa dei passetti e lo guarda, faccia a faccia “Non puoi portare qui una vita soltanto per il tuo egoismo” una risata disprezzante nasce e cresce nella gola del biondo. Si propaga ed esce, lungo la lingua, i denti e poi fuori, all’aria aperta. Gli ci vuole poco per fermarla e per continuare a guardare Toris, molto più corrucciato di prima.

“Io sono un’egoista? Non sto facendo nulla di egoista, Toris” fa un respiro profondo, cercando di avere del tutto la calma. Questa conversazione lo sta sfinendo “Non hai visto cosa gli accade tutti i giorni? Da quando me ne sono andato, le cose non sono andate altro che male per Liet. Sta morendo giorno dopo giorno e Russia lo sta ammazzando totalmente ogni santa giornata” poca, pochissima calma “Quindi, io sarei, tipo, egoista?! Io lo sto salvando, Toris! Non vedi come sta bene? Ora lui è felice e può stare qui tutto il tempo che vuole, anche per sempre…” molla un singhiozzo. Sta per piangere e se ne vergogna moltissimo. I principi non piangono di fronte ai bambini. Il piccolo continua a guardarlo con un velo di cattiva serietà negli occhi.

“Vuole stare lui qui, oppure sei tu quello che vuole Lituania?” un battito manca nel petto del biondo. Non sa che rispondere, quindi sta zitto. Il tempo passa e la testa di Polonia si fa sempre più vuota. Sente solo il fruscio del vento avanzare nelle sue orecchie e spaccare i timpani. Sente l’acqua fare delle onde sul suo fianco e sui capelli di Liet. Non riesce a pensare e non vuole nemmeno provarci. La verità è dura da digerire.

Dietro di lui, il bambino continua a fissarlo, forte nello sguardo. Per la seconda volta se lo chiede: chi o che cos’è Toris? Perché lo ha sempre seguito per tutto quel viaggio? Perché lo sta trattenendo con Liet? Perché fa tutto questo? Non riesce a trovare le risposte e, semplicemente, non le cerca più.

Sente gli occhi bruciare nel vedere agitarsi vicino a lui Lituania.

La consapevolezza di essere stato nuovamente egoista lo uccide.

Una goccia d’acqua, salata, cade sulla sua guancia. Un’altra sua amica sbatte sulla testa bionda. Un’altra sul braccio e un’altra ancora sulla schiena. Scendono giù dal cielo, in una folle corsa. Sta piovendo, il cielo è scuro e le nuvole lo avvolgono in una soffice coperta grigia. Polonia è meravigliato e spera in qualcosa di diverso. Spera che qualcosa non stia facendo pressione sul corpo di Liet.

“…qualcuno sta piangendo…” Polonia getta lo sguardo sotto di sé: Liet si è svegliato. Le sue palpebre sono gentilmente aperte e curiose. Le due pupille azzurre guardano il cielo, lo ammirano, sentono la presenza di qualcosa di diverso e triste. Polonia ha paura, non vuole che Liet vada via, di nuovo. Lo vuole solo lui.

“Liet, torna a dormire, non è niente” sussurra, cercando di essere forte e calmo. Non ci riesce o forse Lituania non vuole per davvero dormire.

“Qualcuno sta piangendo per me” ripete con più sicurezza. Polonia, col cuore in gola, lo vede alzarsi lentamente e continuare a fissare il cielo, come se attendesse un segnale, un suono, un segno. Polonia ha paura, per questo gli afferra la mano. La stringe forte, con una nota di supplica poco nascosta.

“Liet, ti prego, torna a dormire. Resta con me” suona come una supplica e Polonia lo sa. Se ne vergogna, ma non ne può fare a meno. Lituania lo ignora, vorrebbe ascoltarlo e dormire, ma non ce la fa. Qualcuno lo sta chiamando, qualcuno lo pensa. Quella voce lo chiama e non riesce ad ignorarla. Ne è ammaliato, quasi stregato. Non sa da dove proviene. Qualcosa dentro di lui lo obbliga ad ascoltarla e a cercala. Polonia è quasi nel panico. Si alza di scatto, prende fra le mani il volto di Lituania e lo fa voltare verso il suo viso, tremante e supplichevole.

“Liet, non te ne andare… Resta con me: non avrai più paura, sarai felice. Sar… Saremo felici tutti e due…” qui, Polonia si odia, molto. Quel ‘saremo felici tutti è due’ è egoistico. Quel reale ‘Sarò felice anch’io’, sulla sua lingua, bloccato appena in tempo, lo odia. Si rende conto quanto abbia avuto ragione Toris. Si odia, si disgusta. Lituania non merita lui. Un demone disgustoso ed egoista come lui non merita un angelo puro e buono. Ma nemmeno un gigante mostruoso come Russia lo merita. Per questo vorrebbe che stia lì con lui. Se non lo farà per sé stesso, lo farà per Lituania. Sarà felice senza Russia e Polonia si aggrappa a questo pensiero.

Lituania non riesce a guardarlo in faccia, le pupille sono biglie metalliche attaccate ad una calamita, che è il cielo scuro. Per colpa della pioggia, ora sono bagnati come pulcini. Lituania sente il braccio strano e leggero. Lo alza. Di fronte ai loro occhi, le dita e le nocche di Liet si spezzano. Diventano bianche, si frammentano e volano via come pezzi di carta. Polonia sa cosa sta succedendo, non totalmente, ma lo immagina. Lancia un gemito acuto. Si aggrappa voracemente a Liet, lo stringe forte. Lituania né è meravigliato. Ma sbaglia, Polonia. Lo stringe troppo forte, così tanto da spezzarlo in due. Il corpo diventa bianco, si frammenta e vola via, in tanti pezzetti di carta. Polonia ne è sconvolto, incredulo. Ha fallito di nuovo, Lituania non è ancora suo. Toris, muto fino a quel momento, guarda i pezzi di carta che volano verso le nuvole.

“Non potresti comunque avere Lituania, Polonia” afferma con severità. Polska è troppo scosso per aprire bocca “Tu non andrai nello stesso luogo dove andrà lui…” si sentono piccoli passetti allontanarsi dalle orecchie del polacco. Polonia volta la testa di scatto. Quest’ultima frase lo agita ancor di più.

“C-Cosa vuoi dire…?” Toris non risponde, semplicemente continua ad allontanarsi, imperterrito. Polonia ha il cuore galoppante, maledetto, che brucia nella gola. Cosa significa ‘Non andrai nello stesso luogo dove andrà lui’? Una piccola e spietata paura cresce nel suo stomaco. Gorgoglia e passa subito al cuore. Cosa significa questa frase? Cosa significa?! Polonia vede il bambino mutare di nuovo in un falcone rosso e nero. Vola via, senza degnarlo di uno sguardo. Lo lascia semplicemente così, nudo, zuppo di acqua e con una paura nel cuore. Vede delle piume cadere dal cielo. Pauroso ed agitato, le raccoglie, come se fossero un’ancora di salvezza. Mentre il paesaggio muta attorno a sé, e mentre i suoi vestiti ritornano a ricucirsi sulle sue carni bianche, ha un crollo e cade sulle ginocchia. Toris è sparito, non sa dove sia.

Che cosa significa quella frase? Cosa vuol dire?

 

 

 

 

 

 

Le palpebre di Lituania sbattono, tante volte. Sono appannate, ma sane. L’ambiente è ancora buio e freddo. Sa di non essere del tutto nudo, ma ha più freddo qui che nell’acqua del lago. Si chiede tante cose. Si chiede come stia facendo a sentire il suo corpo così dolorante. Si chiede come mai la stanza abbia questa gran puzza, molto più disturbante, di ferro. Si chiede che cosa stia facendo Russia, perché schiacci la sua fronte contro la sua. È lui, senza alcun dubbio, lo riconosce, sente il freddo delle sue mani, la sua voce infantile spaccata dai singhiozzi, una sua mano da gigante sul suo petto e le sue lacrime salate che scendono dalla fronte fino ai suoi capelli. È confuso ed incredulo.

“Russia…?” nonostante la sua voce quasi roca ed incomprensibile, Russia lo sente. Sa che lo ha sentito. Smettono i singhiozzi, le lacrime non scorrono più, il silenzio ritorna nella stanza. Lituania non avverte il pericolo, ancora provato per il viaggio che ha fatto. Sulla sua fronte sente un brontolio roco, che man a mano diventa un ringhio. Russia alza lentamente la testa dalla fronte del ragazzo. Lituania, vedendo i suoi occhi, sente di nuovo il pericolo.

“Hai detto qualcosa, Lituania…?” sussurra un frammento di calma del russo. Lituania non può far altro che guardarlo negli occhi. Vorrebbe chiudere le palpebre o guardare qualcos’altro, ma non ci riesce, non ha le forze per farlo. Russia rende la mano sul suo petto una trivella che scava nella sua carne. Urla, vede schizzi nuovi di sangue tranciare la parete. Russia lo prende per le spalle, strappando la mano che ha bucato il suo stomaco. Le sue mani stringono troppo forte, lo strattona troppo velocemente. Ha le vertigini, gli gira la testa.

Lo sbatte contro qualcosa. Quel qualcosa si rompe dietro la sua schiena. Quel qualcosa che si è rotto s’incastra nella sua carne scoperta. Trapanano la sua schiena. L’affondano pesantemente, complice anche la forza con cui Russia lo sta spingendo. Ha ancora le vertigini, quindi non sente quasi nulla. Russia lo nota, per questo allontana il suo corpo e lo sbatte con più forza. Quei qualcosa s’incastrano ancora più a fondo nella sua carne e tanti altri si aggiungono nelle sue ferite scoperte. Russia lo fa strusciare contro quello che doveva essere un vecchio specchio. I cocci di vetro, tagliano la carne viva. Da rossa diventa blu e violacea. Lituania geme e trema, altro sangue tocca la parete e scorre giù in piccoli canali e fiumiciattoli rossi. Russia è fuori di sé, la voce è infantile, ma gli occhi brillano nell’oscurità.

“Ti piace scherzare con me? Ti sei divertito? È stato divertente farmi sentire così male?” afferra la sua testa e la sbatte contro i resti dello specchio. Lituania chiude gli occhi di scatto, i denti escono fuori dalle labbra. Una, due, tre, quattro, cinque volte sbatte la sua nuca contro il vetro. S’incastrano, invece, nelle sue spalle e lì restano, facendo compagnia alle scapole scoperte. Lituania si sente confuso, la testa gira, ma il dolore è assillante. Russia ritorna bestia, malato e crudele.

“Bene: anche a me è venuta voglia di scherzare!” esclama, gioioso, con un ringhio sotto la voce dolce. Lituania lo guarda negli occhi, cerca di scorgere un pizzico di umanità. La cerca con disperazione. Non la trova, Russia è tornato bestia e continua a fargli del male. Lituania dimentica i sogni, dimentica le brevi libertà concesse, dimentica Polska.

No!!!” urla, mentre riafferra il rubinetto che lui stesso ha strappato, mentre lo percuote allo stomaco, mentre gli organi si riempiono di sangue che sale per la sua gola e macchia i denti e le labbra.

No!!!” urla Polonia, ritornato indietro, stravolto e tremante. Ha peggiorato la situazione, l’ha resa da orribile ad infernale. È tutta colpa sua. Avrebbe voluto migliorare e ripagare il suo errore, invece l’ha peggiorato. Si sente cattivo, crudele, egoista, malvagio, sporco e indegno, indegno per Lituania. Toris è andato via, gli ha lasciato solo quel mucchietto di piume, troppo piccole per qualsiasi cosa, ma anche troppe per un bastardo come lui. Non è mai stato un principe, è sempre stato un bastardo menefreghista e cattivo. Ora se ne rende conto e, nel frattempo, piange ancora per Liet, che sta scontando una pena invisibile, creata da lui stesso.

Si, Lituania, si!!!” urla Russia, estasiato. Una vena è tornata a scoprirsi, vecchia e cattiva. Ha avuto paura, non ha apprezzato lo scherzo. Ha pianto e si è disperato. Aveva anche pensato di far uscire il ragazzo quel giorno stesso. No, Lituania sarebbe rimasto lì dentro ancora per un’altra settimana. Avrebbe dovuto comprare altra vodka. Avrebbe dovuto mostrare di nuovo a Lituania quanto abbia sbagliato, di nuovo.

Si compiace del sangue che sporca le labbra del ragazzo. È rosso e frizzante e a lui piace. Nei giorni precedenti ha ignorato le sue urla, ora le ascolta, come se fossero musica. Lo rendono calmo e felice. È una consapevolezza: Lituania è vivo e non ha mai ucciso un angelo. È felice di sapere ciò.

Significa che Polonia non ha vinto.

Significa che Lituania è ancora suo.

 

 

 

 

 

 

DIARIO DI LETTONIA

Ho tanta paura, ma credo che questa non sia una novità.

Quando mi sono svegliato, dopo quella sera di cui ti ho raccontato, ho visto che Lituania non c’era nel suo letto. Lì non ho fatto una piega. Credevo che si fosse addormentato da un’altra parte o che forse non aveva proprio dormito, così come Russia. Mi erano usciti di testa i particolari della sera prima.

Poi, però, mi ero reso conto che qualcosa di strano ci fosse. Io ed Estonia siamo andati a mangiare e abbiamo visto che Lituania non c’era. Non abbiamo chiesto nulla perchè Russia era con le sue sorelle e lui non vuole che gli diciamo nulla di strano di fronte a loro. Quindi siamo stati zitti per tutto il giorno. Abbiamo fatto le nostre faccende e fin lì tutto ok. Però, la sera, quando non avevo niente in testa, mi sono ricordato che Lituania non lo vedevo da tutto un giorno. Anche Estonia, andando in camera, aveva notato che Lituania era sparito.

Ne abbiamo parlato fra di noi e ci siamo ricordati del fatto di quella sera e di Russia che lo aveva portato via. La prima cosa che abbiamo pensato è che Russia lo doveva aver punito per qualcosa quella notte, ma le cose non quadravano: perché era sparito? Non ci abbiamo capito molto, ma eravamo così stanchi che ci siamo addormentati.

La mattina dopo fu come quella di prima: Lituania non c’era e Russia non faceva o diceva nulla di strano. Allora io ed Estonia ci siamo spaventati. Abbiamo anche pensato al peggio, che fosse morto o che Russia lo avesse cacciato via da casa e altre cose che non avevano né capo né coda. Quando potevamo, cercavamo di parlare con Russia, ma non ci siamo mai riusciti e ci dava così tante cose da fare che non avevamo nemmeno il tempo di sederci. Ora che sto scrivendo tutte queste cose, mi rendo conto di quanto la cosa sia stata strana.

Le cose andarono così per almeno tutta la settimana e non ci siamo mai sentiti più male di così. Avevamo tante domande e nessuna risposta. Avevamo paura anche di trovare Lituania e di vederlo peggio di come lo era nei mesi prima. Però una cosa cambiò. Non l’ho scritto, ma talvolta mi sveglio di notte per gli incubi. Niente di importante, comunque. Ero uscito dalla stanza per prendere un po’ d’acqua e guarda chi vedo fuori dalla finestra con quel freddo e a notte fonda? Russia e anche abbastanza nervoso, per come si muoveva.

Quella cosa mi ha fatto pensare un bel po’, soprattutto perché Russia usciva fuori di notte molto spesso (mi sveglio quasi ogni notte, niente di strano per me) e ritornava dopo tanto tempo, come se niente fosse. E la mattina è come ogni giorno.

Ne avevo parlato con Estonia e lui era d'accordo con me: qualsiasi cosa fosse, riguardava Lituania. Non ci abbiamo pensato molto, perché poi Russia, dopo due settimane dalla scomparsa di Lituania, ci parla e ci dice di andare a prendere dei fucili che aveva in una vecchia casa che un tempo era la sua, o cose del genere. Qui ci siamo insospettiti, intendo, tantissimo. Primo: quella casa non l’avevamo mai sentita nominare e nemmeno ci eravamo mai andati prima. Secondo: perché mandare noi fuori, quando ha le sorelle che escono sempre a comprare quel che vuole e che possono andare fino in America per lui? Ma non potevamo farci un granchè e quindi ci siamo andati.

Sarebbe difficile da scrivere… anzi, non voglio. Non ce la faccio. Finisco qui, poi credo che riuscirai a capire. E credo che se leggerò di nuovo questo diario riuscirò a capire quel che ho visto, anche senza scrivere nulla.

Sai, sto iniziando veramente a scriverti come se fossi vivo. Forse sto impazzendo. Ma non è importante. Forse dovrei darti un nome o qualcosa del genere. O forse dovrei chiamarti solo Diario e basta. Anche se Diario è assai brutto come nome, poi ci penserò…

 

 

 

 

 

 

E non c’era veramente molto da dire riguardo la scoperta che fecero i due Baltici. Non c’era niente di sbagliato in Lettonia, nel desiderare di fermare la sua narrazione. Aveva ragione: non c’era niente da dire, ma solo da guardare.

Trovarono nella casetta Lituania, incatenato al centro della grande stanza con delle cinghie di cuoio, avvinghiate a lui come una seconda pelle. Di sicuro stava lì da quando era sparito. Non c’era niente da dire riguardo il suo aspetto. Basti dire che non fu facile distinguere la pelle dalla carne. E nemmeno fu facile ricucire e disinfettare tutte le cicatrici aperte sulla schiena. Non fu nemmeno facile togliere i pezzi di vetro incastrati nelle ferite e levigate tanto da essere diventati degli spilli.

Non fu nemmeno facile tranquillizzare Lituania e convincerlo, la notte, che nessun gigante sarebbe giunto nella loro stanza per ucciderlo.

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: L0g1c1ta