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Autore: potterfanlalla17    02/11/2015    3 recensioni
Dopo il peggior finale di sempre nella storia di pap, ho deciso che il personaggio di Gaetano meritava più di quanto ha avuto. Questa è la mia personalissima visione di come dovrebbe proseguire il rapporto schizofrenico tra Gaetano e Camilla, sempre che tra i due un rapporto sia ancora possibile.
Un paio di avvertimenti: primo, non ho idea di come andrà finire, perciò non assicuro il lieto fine da favola come tutti vorrebbero vedere oggi. E secondo, astenersi fan sfegatati di Camilla Baudino: la prof. questa volta mi ha proprio deluso e non credo che sarà facile per lei recuperare la mia fiducia....figuriamoci quella del povero Gaetano.
A tutti coloro che invece vorranno seguirmi auguro buon viaggio insieme a me in questa nuova avventura targata pap.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Camilla Baudino, Gaetano Berardi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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IL PRIMO PASSO

Livia posò sul vassoio un piatto di pasta fumante fatta da lei; non era mai stata una grande cuoca, né aveva mai avuto il desiderio di diventarlo (o quantomeno di provarci), ma da quando si era sposata si era sforzata di apprendere quel minimo di nozioni di base per riuscire ad essere una buona madre ed una moglie decente. Per sua fortuna, la piccola Camilla si nutriva unicamente di latte materno che non necessitava di particolari preparazioni, ma George non era stato altrettanto fortunato: lui aveva dovuto subire i primi tentativi da casalinga disperata di Livia, ma non aveva mai avuto il coraggio di rimandare indietro uno dei piatti cucinati dalla sua neosposa, benché molti di questi fossero davvero immangiabili.

Esattamente come il piatto di pasta che Livia aveva appena posato sul vassoio: sapeva di aver esagerato con il sale e che il sugo che aveva sperimentato non aveva raggiunto il risultato sperato, ma non poteva permettere a sua madre di saltare un altro pasto. Quando era rientrata per pranzo, l’aveva vista correre come un lampo verso la sua camera da letto e chiudercisi dentro, lasciando fuori persino Potty, che ormai stazionava da ore davanti alla porta della stanza in attesa che la padrona venisse ad aprirgli. Ma Camilla non era mai uscita da lì, né per bere, né per mangiare, né per vedere la piccola di casa. Niente.

Verso le quattro del pomeriggio, Livia comprese il perché di quel comportamento. Anna Ronco, la collega di sua madre, aveva telefonato per parlare con Camilla e per sapere da lei se il commissario Berardi avesse qualche ipotesi su cosa potesse essere successo a suo marito. Eccolo il problema: Gaetano. A quanto pare il destino aveva una predilezione per sua madre: rimettere Gaetano sulla sua strada proprio nel giorno in cui aveva creduto di averlo perso per sempre. Se non era fortuna questa! Qualcosa, però, non doveva essere andato per il verso giusto, vista la situazione attuale di sua madre, che viveva praticamente da reclusa nella sua stessa casa.

Livia lasciò passare ancora qualche ora, giusto per vedere se Camilla sarebbe riemersa dalla stanza di sua spontanea volontà, ma quando sua madre non comparve nemmeno per la cena, comprese che il primo passo sarebbe spettato a lei.

Così, lasciata la piccola tra le braccia del padre, Livia afferrò il vassoio carico del suo piatto di pasta immangiabile e si decise a bussare alla porta della camera di sua madre.

Dall’interno non giunse alcun rumore, ma Livia era assolutamente certa che la donna non stesse affatto dormendo: era solo un tentativo per tenerla lontana. Sua madre doveva conoscerla davvero poco se credeva che si sarebbe arresa al primo ostacolo!

Bussò di nuovo e attese ancora qualche secondo per una risposta che tardava ad arrivare.

-Mamma, lo so che sei sveglia. Adesso entro- avvisò spazientita, prima di aprire la porta.

Quello che trovò dietro quel pezzo di legnò le spezzò il cuore: aveva già visto sua madre in lacrime, a Barcellona, quando Renzo le aveva comunicato l’intenzione di andarsene per stare con Carmen, ma allora era piccola, praticamente ancora una bambina, e non aveva compreso appieno la portata di quella scena (anche perché a dire il vero Camilla cercava di nascondere il più possibile le crisi di pianto). Ora era tutto diverso: adesso era una donna adulta, che poteva capire tutto quello che si agitava nel cuore di sua madre. Amore, delusione, paura di soffrire, dolore, insicurezza: aveva sperimentato lei stessa questi sentimenti negli ultimi anni e per esperienza sapeva che non era facile rialzare la testa in certe occasioni.

-Ti ho portato la cena- disse appoggiando il vassoio sul comodino che un tempo era appartenuto al padre; ora era stato ricoperto di foto sue, di George, e della piccola Camilla, come a voler cancellare il passato lasciando posto unicamente al futuro.

La donna si mosse controvoglia sotto le coperte e la chioma riccioluta spuntò da sotto il cuscino.

-Grazie, ma non ho molto appetito- la voce nasale ed impastata di chi non ha fatto altro che piangere nelle ultime ore.

-Devi mangiare qualcosa, mamma! È da ieri sera che praticamente non tocchi cibo solido.

-Sto bene così.

-No! Non stai bene!- sbottò infine Livia: ma era stata anche lei così sfibrante dopo le delusioni subite con Ricky, Bobo, Greg? Cominciava a chiedersi come avesse fatto sua madre all’epoca a non mandarla a quel paese. –Scusa, non volevo urlare. È solo che è…

-…sfiancante?

Livia annuì sorridendo, visto che anche la madre sembrava aver preso a ridere il suo piccolo attacco d’ira di poco prima.

-Adesso so come vi siete sentiti tu e papà quando dovevate avere a che fare con me dopo Ricky e Bobo. Vale se chiedo scusa con un paio d’anni di ritardo?- abbozzò con quell’aria ingenua che a Camilla ricordava la Livietta di una decina d’anni prima.

Camilla riemerse definitivamente dall’involucro di lenzuola in cui si era rifugiata, mettendosi a sedere; indicò con la mano il vassoio che prontamente sua figlia le allungò e, esaminato il piatto di pasta, si decise ad assaggiarlo anche se l’odore che emanava non era dei migliori. Apprezzava comunque lo sforzo della figlia che pian piano stava migliorando anche ai fornelli; e se padelle alla mano Livia era ancora un piccolo disastro, come mamma si era rivelata migliore e più preparata di quanto avesse mai potuto immaginare. Lo stava dimostrando anche in quell’occasione, prendendosi cura di Camilla, come lei un tempo aveva fatto con Livietta.

La ragazza si sedette accanto alla madre, osservandola mentre cercava di ingoiare la prima forchettata di pasta.

-Troppo sale, vero?- chiese notando gli occhi di Camilla spalancarsi sempre più mentre il boccone scendeva.

-Un po’- ammise la donna. –Ma stai migliorando.

-Continua a ripeterlo anche George, ma credo sia solo per farmi piacere.

-Anche io all’inizio ero pessima. Di fatto cucinava tutto tua nonna e me lo portava di sopra prima che tuo padre arrivasse per cena. È andata avanti così per un paio d’anni. Poi mi sono decisa ad imparare.

-Quindi ho ancora un paio d’anni per mettermi in pari, in sostanza.

Camilla sorrise: le sembrava di aver finalmente ritrovato sua figlia. Non che con Livia non andasse d’accordo prima di Londra, George e della gravidanza, ma avere a che fare con la Livia adolescente era stato davvero più complicato del previsto, e le chiacchierate mamma e figlia cuore a cuore, come erano solite fare molti anni prima, erano solo uno sbiadito ricordo. Ora sembrava tornata la Livia di un tempo, anche se con qualche anno in più e con problemi più seri del modello di bambola da comprare per Natale: non era solo sua figlia, era anche un’amica, una confidente, qualcuno su cui poter contare nei momenti più difficili…come quello che stava passando.

Il ricordo di quanto accaduto poche ore prima in commissariato, accantonato per un istante grazie alla presenza di Livia, tornò prepotente come un’ondata di mare grosso: lo stomaco le si chiuse nuovamente, il nodo in gola sembrava non volerla far respirare e le lacrime minacciavano di esplodere. Livia se ne rese conto e sfilò dalle mani della madre il piatto prima che fosse troppo tardi.

-Mamma- sussurrò sdraiandosi accanto a lei e appoggiando la testa sulla sua spalla. Percepì i tremori del corpo di sua madre che aveva cominciato a singhiozzare in silenzio, tentando di non farsi scorgere da lei, ma era impossibile. –Perché non mi racconti quanto successo oggi con Gaetano?

Livietta non dovette nemmeno alzare la testa per immaginare l’espressione stupita sul volto della madre.

-E tu come…

-…lo so? Ha chiamato oggi pomeriggio la tua collega di inglese.

-Ah.

-Quindi?

-Non c’è molto da dire.

-Io invece credo di sì.

-Livietta…

-Mamma…- la rimbeccò la figlia.

Camilla si rese conto che sarebbe stato inutile cercare di convincerla che non avrebbe parlato, così alla fine seppur a malincuore vuotò il sacco.

***

-Volete che vi porti dell’altro ghiaccio per la guancia, dotto’?

La premura di Torre era l’unica cosa che il vicequestore Berardi avrebbe salvato di quella giornata infernale. La discussione con Camilla lo aveva stremato, ma d’altra parte era quasi felice di essere riuscito finalmente a tirare fuori tutto quello che sentiva e pensava ormai da settimane. Forse questo era ciò che gli serviva per mettere un punto a quella storia che si portava dietro da dieci interminabili anni; forse era pronto per andare avanti davvero e lasciarsi Camilla alle spalle.

Forse.

In realtà, si sentiva uno schifo. Non era mai stato tanto diretto con una donna in vita sua, tantomeno con Camilla. Nemmeno nei suoi peggiori momenti con Eva, durante i loro furiosi litigi degli ultimi mesi prima della separazione, era stato in grado di essere così brutalmente sincero. E mentre si massaggiava la guancia con il sacchetto di ghiaccio che Torre gli aveva prontamente portato, non poteva fare a meno di chiedersi se avesse esagerato. Sperava e temeva allo stesso tempo e con la medesima intensità di aver allontanato definitivamente Camilla dalla sua vita.

-Dotto’?

-Cosa, Torre?

-No, chiedevo…volete che vi porti dell’altro ghiaccio?

-No, grazie, Torre. Va bene così.

Il sottoposto fece una sorta di piccolo inchino e fece per allontanarsi dalla stanza, ma Gaetano lo bloccò.

-Torre, potresti farmi un favore?

-Tutto quello che volete, dotto’!

Gaetano frugò nel cassetto della scrivania fino a trovare ciò che cercava: un mazzo di chiavi che lanciò a Torre attraverso la stanza. L’ispettore le afferrò con aria perplessa.

-Sono le chiavi del mio appartamento…il mio vecchio appartamento- si affrettò a precisare il vicequestore. Non aveva ancora avuto modo di comunicare al collega l’avvenuto cambio di domicilio, perciò l’espressione stupita e corrucciata di Torre non lo colse di sorpresa. –Prima che tu possa dire qualunque cosa, Torre, la risposta è sì…mi sono momentaneamente trasferito altrove. Sto al residence La Mole e avrei bisogno che tu passassi da casa e prendessi alcune delle mie cose: camice, cravatte, giacche…insomma dei cambi per i prossimi giorni.

Torre lo fissò esitante per alcuni istanti prima di annuire timidamente; Gaetano sapeva per esperienza che i tentennamenti del suo collega erano di solito segno di un disaccordo tra loro.

-Avanti, Torre, che c’è?- chiese l’uomo invitando Torre a sedersi davanti a lui, per poi mettersi in ascolto dell’amico appoggiandosi con i gomiti alla scrivania.

-Niente, dotto’. Però, non mi avevate detto del trasferimento.

-Che c’è, Torre? Fai l’offeso, adesso?- scherzò Gaetano, ben sapendo quanto l’amico fosse suscettibile sull’argomento. –Mi sono deciso solo ieri sera. Un’idea dell’ultimo minuto. Non prendertela, te lo avrei detto questa mattina, ma siamo stati presi in contropiede da questo nuovo caso. Te lo sto dicendo ora, però.

Il tono accomodante e sincero di Gaetano ebbe l’effetto sperato su Torre che accennò ad un sorriso all’angolo della bocca e fece spallucce.

-E’ solo che se me lo aveste chiesto, vi avrei dato le chiavi del mio vecchio appartamento, quello dove abitavo prima del matrimonio con la Lucianona. Non è molto grande, ma sempre meglio di un residence.

Fu il turno di Gaetano di sorridere: -Hai ragione. La verità è che non ho pensato granché su “come” trasferirmi o “dove”. Ho solo pensato che dovevo andarmene da lì il più in fretta possibile.

-Sempre per la prof.?

Gaetano non dovette nemmeno rispondere; si limitò a guardare fisso Torre che comprese lo stato d’animo del suo superiore senza che fossero necessarie altre parole.

-Per questo volete che torni io nel vostro appartamento. Avete paura di incontrarla di nuovo…e dopo oggi, anche io ne avrei- scherzò Torre rammentando lo schiaffo di qualche ora prima.

Il ricordo di quanto accaduto solo poche ore prima cancellò il già debole sorriso che era comparso sul viso del vicequestore; istintivamente, la sua mano andò a sfiorare la porzione di pelle che Camilla aveva colpito e il dolore che ne scaturì fu immenso, anche se Gaetano non avrebbe saputo dire se fosse più fisico o morale.

-Non vi preoccupate, dotto’! Ci penso io. Magari mi porto la Lucianona con me…sapete, in fatto di abbigliamento le donne c’hanno più occhio, vero, dotto’?

Gaetano annuì, ma quando vide che Torre non accennava ad alzarsi dalla sedia davanti a lui fu costretto a continuare: -C’è altro che mi devi dire?

-In effetti…posso parlare liberamente, dotto’?

-Cambierebbe qualcosa se dicessi di no?- chiese scherzosamente il commissario.

-Per carità, dotto’, se non volete, io…

Torre scattò in piedi come una molla, gli occhi bassi e l’espressione triste.

-Dai, Torre, lo sai che scherzo! Puoi dirmi tutto quello che vuoi!

L’ispettore sembrò doverci riflettere per qualche secondo ancora prima di dare voce ai suoi pensieri.

-Voi sapete che io vi stimo molto, però…

-Però…? Avanti, Torre, che mi devi dire?

-Però non è che state un poco esagerando con la prof.?

Per quanto Gaetano si aspettasse che l’argomento di conversazione con Torre sarebbe stato in un certo senso il suo rapporto con la professoressa Baudino, non avrebbe mai pensato che il suo amico più caro potesse in qualche modo non comprendere il suo punto di vista sull’intera faccenda. Aggrottò la fronte, più seccato che pensieroso, sentendosi improvvisamente solo a dover reggere il peso della fine di quello pseudo-rapporto durato dieci anni.

-No, dotto’, non fraintendetemi. Voi c’avete ragione: la professoressa si è comportata male con voi e fate bene a pretendere i vostri spazi…

-…però?- ribattè asciutto Gaetano.

-Però…- il tono sempre più intimidito di Torre fece ammorbidire l’espressione dura che era dipinta sul volto del commissario. –Però lei vi ama molto, dotto’. Dico davvero. Io l’ho vista stamattina a scuola e poco fa nel vostro ufficio e credetemi se vi dico che è innamorata di voi tanto quanto voi lo siete di lei.

Il vuoto nello stomaco nel sentire pronunciare quelle parole: quanto avrebbe voluto poter credere che Torre stesse dicendo la verità! Gli tornarono alla mente gli occhi scuri e lucidi di Camilla: sembrava sincera mentre gli stava chiedendo scusa, poco prima. Sembrava davvero aver capito di aver commesso un errore imperdonabile, ma credeva anche che lui avrebbe trovato il modo di superare anche questo nuovo dolore, questa nuova batosta. Invece cosa aveva fatto? L’aveva respinta. Duramente e senza possibilità di appello. Del resto, era già successo troppe volte: lei lo feriva a morte, chiedeva scusa a modo suo, e tutto tornava come sempre. Ma ogni volta che lui decideva di chiudere un occhio sui colpi che Camilla gli infliggeva, Gaetano sentiva di perdere una parte di sé, di lasciare indietro un pezzo del suo spirito. E gli era sempre andato bene, tutto sommato, perché la vicinanza di Camilla riempiva quei vuoti che lui contribuiva a creare con la sua debolezza. Ma ora? Forse aveva perso troppi pezzi di sé per strada e sembrava che nulla riuscisse più a tenere unito ciò che restava di lui, del suo cuore, della sua anima. Nemmeno quegli occhi scuri e caldi che tanto amava. Anche ora, nonostante tutto.

-Vedi, Torre, io posso anche credere a quello che mi dici…e Dio solo sa quanto vorrei crederti. Ma il problema non è questo- gli sembrava di rivivere la discussione avuta con Tommy l’ultima volta che era stato in quell’ufficio con lui. Anche allora gli era parso impossibile spiegare cosa lo stesse allontanando da Camilla, per quanto la amasse e la desiderasse più di ogni altra cosa al mondo. –Il punto è che lei non è in grado di dimostrarlo. Tutto quello che ha fatto nelle ultime settimane, forse anche mesi, mi ha semmai convinto che nella sua vita non c’è posto per me. Che sono e sarò sempre l’ultima ruota del carro, o peggio la ruota di scorta. L’uomo da cui andare se e quando non ha nulla di meglio o di più importante da fare. E, credimi, capisco che voglia mettere al primo posto Livia e la piccola, ma Renzo? Michele? Potty? Carmen e Lorenzo? Gli studenti? Tutti i casi di omicidio da qui a Timbuktu? Io questo non posso tollerarlo. Lei per me è tutto insieme a Tommy, ma io per lei…

Le parole gli morirono in gola, incapaci di trovare luce. Si era già mostrato debole una volta davanti a Torre e non avrebbe mai permesso che la cosa si ripetesse.

Anche Torre aveva gli occhi lucidi in quel momento e faticava ad articolare una frase che potesse dare un minimo di sollievo alle pene del suo più caro amico.

-Io vi capisco, dotto’, davvero. È solo che voi siete un uomo di altri tempi, come non ce ne sono più, mentre la prof...

-…è una donna moderna?

-No! Cioè, sì. Ma quello che sto cercando di dirvi è che non siamo tutti coraggiosi come voi, dotto’!- disse infine Torre con un filo di voce e distogliendo lo sguardo dal commissario.

A Gaetano non sfuggì quello strano plurale, che sembrava voler accumunare Torre e Camilla in un modo che ancora non gli era riuscito di comprendere.

-Coraggioso? Semmai vorrai dire ingenuo!

-No, voi non siete ingenuo. Vi siete innamorato di una donna e avete sempre lottato per lei, per dieci anni, senza mai arrendervi anche quando sembrava che non sarebbe mai stato possibile nulla tra di voi. Ma non tutti hanno la fortuna che avete voi, dotto’! Ci sono persone, come….me e anche come la prof., che quando incontrano persone come voi si sentono….piccole e inadeguate, ecco.

-Ma che stai dicendo, Torre? Io ti faccio sentire piccolo e inadeguato?

Torre spalancò gli occhi terrorizzato per il tono stupito e anche ferito del suo superiore: -No! Che avete capito! Intendevo dire che voi sapete sempre quello che volete: siete deciso e non avete mai paura di niente. Invece guardate me…per decidermi con il matrimonio ho dovuto perdere prima la Lucianona. Perché ho avuto paura. Non credete che magari anche la prof. possa avere avuto paura?

-Di me?

Torre alzò le spalle senza però riuscire a guardare in faccia il suo superiore.

-Dici che l’ho spaventata con i discorsi sul matrimonio?- continuò Gaetano, in preda ad un nuovo stato di agitazione: fino a pochi istanti prima aveva solo desiderato che Camilla uscisse per sempre dalla sua vita; ora quasi si ritrovava a sperare che il discorso di Torre avesse un senso, che in qualche modo ci fosse ancora una possibilità di rimettere insieme i pezzi della sua vita, che in sostanza non avesse buttato via gli ultimi dieci anni della sua esistenza per niente. La sua mente ed il suo cuore erano in tumulto: voleva, anzi doveva restare lucido, ma il pensiero che non tutto poteva essere perduto faceva battere il suo cuore così velocemente che quasi non riusciva a respirare.

-Dico che voi siete in questa relazione da dieci anni. La prof. da dieci minuti.

-Ma Renzo…Michele…mi ha sempre allontanato- balbettò Gaetano. La sua ragione continuava ad elencargli tutte i motivi per cui era una pessima idea fare tanto affidamento sulle parole di Torre, ma il suo cuore…per lui era tutta un’altra storia. Gaetano chiuse gli occhi e cercò di controllare quell’organo impazzito dentro di lui: non poteva permettersi di illudersi di nuovo, non dopo quello che aveva già passato. –E’ vero, forse ho corso troppo, Torre, ma ciò non toglie che io abbia comunque bisogno di qualche certezza da parte sua per poter continuare su questa strada. Non pretendo le nozze domani, ma vorrei che chiunque mi incontrasse per strada sapesse senza ombra di dubbio che IO sono il compagno di Camilla Baudino. Invece, agli occhi della gente io sono solo uno dei tanti…se mi va bene l’amante. E io non voglio essere questo.

Torre annuì, ben capendo che l’argomento doveva ritenersi chiuso: era convinto che quei due si appartenessero, che prima o poi avrebbero ritrovato la strada per riunirsi, ma non stava certo a lui forzare la mano. Aveva detto quello che voleva e doveva, ma il resto dovevano farlo da soli. Si alzò a prese congedo dal suo superiore, stringendo tra le mani quelle chiavi che gli pesavano come un macigno. Avrebbe di certo incontrato la prof. sul quel pianerottolo mentre portava via le cose del commissario dall’appartamento: che le avrebbe detto allora? Avrebbe continuato ad indossare la maschera del duro che difende a spada tratta il suo capo (oltre che amico) o avrebbe provato a convincere anche lei dell’errore che stavano commettendo continuando a negare quello che c’era tra di loro?

Torre non dovette mai scoprirlo. Gaetano lo bloccò prima che potesse uscire dall’ufficio.

-Torre?

-Comandi, dotto’.

-Dammi quelle chiavi. Ci vado io a casa mia- disse con un sorriso.

Forse dopotutto non aveva parlato al vento.

 

Angolo dell’autrice:

dunque, che dire? Il mitico Torre non delude mai. Forse ha appena risolto il caso più importante della sua carriera? Chissà…anche se i due sono piuttosto testoni. Intanto ha almeno ottenuto che sia Gaetano a tornare nell’appartamento e chissà che lì non sia costretto ad incontrare di nuovo la sua prof.

A presto.

L.

 

   
 
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