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Autore: QWERTYUIOP00    04/11/2015    2 recensioni
Un complotto svelato.
Un emissario attaccato.
Due città in rivolta.
E tanto, tanto sangue.
Seconda storia della serie "Downfall"
Genere: Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Downfall'
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Leyawiin era ormai in vista.
Si vedevano le i bastioni della cinta muraria che emergevano dal verde della Foresta Nera.
La colonna procedeva silenziosa immersa nello scrosciare della pioggia che picchiettava sorda sugli elmi e sulla strada o cadeva silenziosa sull’erba, o si congiungeva rumorosamente con le acque del Niben.
La sella cominciava ad essere scomoda e S’virr continuava ad aggiustare la sua posizione e a massaggiarsi le cosce doloranti mentre con la testa guardava dritto avanti a sé. 
“Tsavi”, il suo unico pensiero.
“Sto arrivando”
“Pane” sussurrò Nelles, al suo fianco, legato e caricato sul cavallo di un caduto.
Non aveva ancora parlato da quando aveva giurato vendetta contro Caro: se aveva sete, alzava la tesa e apriva la bocca, o succhiava l’umidità dalle foglie e se doveva liberarsi, strisciava sulla riva del fiume e faceva quello che doveva fare, mentre una guardia lo sorvegliava perché non si buttasse in acqua.
Ma lui non si era buttato. Doveva vivere per la sua vendetta.
Riguardo alla fame… aveva resistito due giorni, ma poi aveva ceduto.
Un cavaliere si girò e o guardò divertito, mentre S’virr non si mosse.
“Ancora poco e sarò tornato”
Sentiva lo sguardo carico d’odio di Nelles su di lui, gli occhi erano folgoranti.
Non voleva ripeterlo. Non voleva prolungare la sua umiliazione.
Il comandante dei maghi guerrieri chinò il capo, per poi rialzarlo.
“Pane” disse di nuovo “Ho fame”
Scocciato, il Khajiit volse lo sguardo sul prigioniero, poi prese dalla borsa appesa al fianco del cavallo un pezzo di pane e glielo tirò, poi tornò a fissare innanzi a sé e accelerò il passo.
Nelles divorò il magro pasto poi tornò a guardare S’virr.
“Chi ti aspetta? Famiglia? Una donna?” chiese.
“I prigionieri dovrebbero rimanere zitti” replicò acido il Khajiit.
“Una donna” ridacchiò l’altro.
“Avevo anch’io una donna” disse poi “la amavo tantissimo, tanto che, quando mi arruolai nei maghi guerrieri, scelsi la pattuglia. Rinunciai alla gloria, ad una promettente carriera, ad una grassa paga per un servizio tranquillo, mal pagato. Per stare con lei!”  e scosse la testa.
Non vedendo una reazione nel suo carceriere continuò: “Io feci tutto quello per stare con lei e lei cosa faceva? Passava i tempi delle mie pattuglie con altri uomini! Io… io…” ricominciò a ridacchiare “Mi lasciò perché ‘ero una persona senza prospettive’! Oh, da quel momento io cambiai. Entrai nel reparto dei maghi guerrieri da battaglia, non rinunciai ad una missione. E feci strada, oh se la feci.
“Senza prospettive’. Era lei la mia prospettiva!
“Quello… quello che ho fatto… era la mia pensione, sa? Mia e dei miei uomini. Noi siamo uomini da macello per l’Impero, peggio della fanteria. Beh, quella ricchezza ce la eravamo guadagnata!”
“Ora appartiene al Diarcato del Niben” ripose freddo S’virr “e tu sei un tuo prigioniero, farai meglio a ricordartelo, ora mangia e taci, per gli dei!”
“Oh” sorrise lui “non ho insinuato niente sulla tua donna”
“Taci!” lo zittì il Khajiit, schiaffeggiandolo col guanto d’acciaio.
Nelles sputò un dente spargendo sangue sul terreno.
“Farò meglio a stare zitto” concluse goffamente.
Il portale di Leyawiin era in vista, i cavalieri percorsero al trotto la spianata antistante ai cancelli accolti dalle urla delle vedette sulle mura che si gridavano ordini.
I portali si aprirono mostrando le strade della città, ai cui lati si ergevano gli imponenti palazzi vivacemente colorati che si stagliavano sul cielo grigio.
La gente era tutta radunata all’ingresso della città per dare il glorioso benvenuto al conte vittorioso.
Con gli abiti fradici, alzavano le braccia al cielo ed esclamavano al passare del loro signore nella sua fulgida armatura.
La colonna sfilò tra le vie della città, fino ad arrivare al castello.
Una volta arrivati alla corte della fortezza, si fermarono e scese il silenzio.
Un fulmine lacerò il celo, mentre il suo rimbombo riecheggiò tra le mura.
Dal portale del castello emerse la sottile figura della contessa Alessia Caro, sorridente, accompagnata dal giovane figlio Lucien Caro.
Le trombe squillarono e il conte scese da cavallo.
“Bentornato, mio amatissimo signore” lo accolse la moglie, vestita con un lungo abito verde decorato con fantasie bianche ed oro.
“Sono tornato” rispose sorridendo Marius Caro e, girandosi verso il popolo annunciò “Sono tornato vittorioso. Ma questa gloria non è che un granello in confronto a quella del mio prossimo ritorno, alla conquista della Città Imperiale!”
Il boato delle urla riuscì a sovrastare i rumori della tempesta imminente.
Ridendo, il conte varcò la soglia del palazzo accompagnato a braccetto dalla contessa e seguito dall’erede e dalle urla di giubilo.
S’virr cominciò  salire i gradini, ma venne subito fermato da dei soldati.
Imprecando si volse verso di loro domandando quale fosse il problema.
“Calma, gatto” risero i suoi compagni “non rischi di perderti il banchetto, è tra due ore. Ma devi portare il prigioniero”
Nelles venne spinto verso il khajiit e i soldati si diressero ridendo alla torre del corpo di guardia.
“Beh, salve ancora” disse il bretone ironico “temo dovrai spettare ancora un po’”
S’virr non rispose e, prendendolo per un braccio, lo spinse dentro il castello.
Attraversarono la sala grande e, raggiunta la sala del trono, voltarono a destra verso uno stretto corridoio che conduceva alle segrete.
Queste erano a malapena illuminati dalle torce.
S’virr trascinò per il braccio il prigioniero per tutto il corridoio nella penombra fino al tavolo dell’annoiato carceriere.
“Bentornato, eroe!” esclamò sprezzante quello, una volta visto il Khajiit “Hai trovato un nuovo amichetto?”
“Mettilo al fresco e, per una buona volta, taci” replicò S’virr spingendo Nelles in avanti.
“Agli ordini, messer micio!” ridacchiò il carceriere.
“Vedo che l’ultimo ordine ti riesce molto difficile” sibilò il Khajiit.
“Non immagini quanto” rispose il carceriere prima di prendere il bretone per un braccio e condurlo alle celle.
“Finalmente!” esclamò S’virr, ringraziando gli dei.
Si diresse nella sala del trono e, da lì, ai sotterranei.
Si sedette ed aspettò.
E lei non tardò ad arrivare.
 “Tsavi!” esclamò il Khajiit andandole in contro.
“S’virr!” gli rispose lei.
I due innamorati si abbracciarono, avvolti dalle loro code che si dibattevano felpate fendendo l’aria.
“Sei tornato.
“È vero quello che dicono quindi? Siamo in guerra?”  domandò lei preoccupata.
S’virr annuì gravemente.
“Sarà uno sterminio” pensava.
“Abbiamo buone possibilità, devi avere fiducia del conte” diceva invece.
La donna lo guardò contrariata.
“Smettila di mentirmi” sussurrò, stretta nell’abbraccio “ma cosa è passato nella testa di Caro quando si è unito a questa faccenda?!”
“Non lo so” sospirò S’virr “non lo so”
“Tu sei molto vicino a lui, perché non gli hai parlato!?” lo assalì ”Perché non gli hai fatto capire che era una pazzia?!”
“Sono soltanto un soldato” ribatté S’virr “soltanto un soldato Khajiit”
I loro respiri erano diventati coordinati, e rimasero in silenzio per qualche secondo.
“Io sono appena tornato dalla guerra” ricominciò il Khajiit “e non voglio parlare di guerra. Non con te. Non adesso”
Tsavi annuì pensierosa.
“Ma cosa faremo?” chiese.
“Perché mi vuoi rendere le cose più difficili, Tsavi?” pensò S’virr “non lo vedi che non lo so?”
“Non con te. Non adesso” rispose.
E la baciò
 
 
 
Dagli appartamenti privati si potevano distinguere le voci nella sala del trono.
Tutti i soldati e alcuni cittadini benestanti erano accorsi al castello per partecipare al banchetto e in quel momento stavano tutti attendendo il conte e la contessa.
S’virr avanzava fiero nel corridoio spoglio della fortezza; dalle poche finestre si vedeva il cielo tetro e i primi segni dell’imminente tempesta.
Una volta raggiunta la camera del lord il Khajiit si fermò sulla soglia e batté ritmicamente il guanto d’acciaio sul legno tre volte.
La porta si aprì rivelando la figura della contessa, abbigliata con un suntuoso abito da cerimonia blu con decorazioni bianche avvolto da un largo mantello bianco tenuto fermo sulla spalla destra grazie ad un fermaglio raffigurante una quercia bianca in campo blu.
“Khajiit” lo apostrofò lei.
“Contessa” disse S’virr inchinandosi rispettosamente “avete scelto i colori di Chorrol” osservò.
“E il fatto che io abbia scelto i colori di mia madre ti causa qualche problema?” ribatté quella scocciata.
“Affatto” si ritrasse il Khajiit, ritenendo opportuno non mettere troppo alla prova la pazienza della contessa.
“Bene” rispose indignata “è già tanto che mio marito il conte abbia concesso l’investitura di un’istituzione secolare e onorevole ad uno della tua razza, devo anche farmi dire come devo vestirmi?”
“Nient’affatto” concordò il soldato.
“S’virr!” lo salutò il conte, vestito con un’elegante abito ricamato in oro “è tutto pronto?”
“Mancate solo voi” gli rispose ossequioso il Khajiit.
“Magnifico, vieni cara” esclamò il Caro, prendendo a braccetto la moglie.
S’virr fece strada per il corridoio, seguito dalla copia e dal giovane Lucien, che avanzava  passo fiero.
La porta per la sala del trono si aprì; il Khajiit si fece di lato e un soldato annunciò: “Il conte Marius Caro e la contessa, Alessia Caro”
Tutti i presenti si alzarono e si inchinarono, i soldati appena tornati addirittura urlarono, mentre gli uomini della guarnigione rimanevano fermi ai lati della stanza, la mano sull’elsa della spada.
I Caro scesero la scalinata e presero posto sui troni rialzati, a cui erano stato affiancato un tavolo d‘ebano.
I commensali presero posto nelle varie tavolate e cominciarono a consumare il banchetto.
In tutta la stanza si percepiva l’odore della carne rosolata, del pesce o del vino.
Le caraffe di vino finirono molto presto, ma furono rimpiazzate da altre ancora più grandi.
S’virr era seduto all’angolo di una tavolata, di fianco al carceriere che aveva tutta la tunica imbrattata di vino o pezzi carne.
“Che, c’è micio, non sei affamato?” domandò quello dopo un po’.
“Ho già mangiato abbastanza” rispose secco l’altro.
“Oh oh oh” ridacchiò l’Imperiale, facendo cadere pezzi di una coscia di vitello sulla già sudicia tunica “ad un banchetto non devi mangiare perché hai fame” sentenziò sputacchiando “devi mangiare perché è buono. E perché paga il conte. Almeno un po’ di vino? Oh hai paura?”
“Non bevo” tagliò corto S’virr, mentre cercava con lo sguardo Tsavi, seduta al tavolo delle cortigiane dall’altra parte della sala.
Il suo sguardo scocciato e quello rilassato, ma con una vela di preoccupazione di Tsavi si incrociarono.
E rimasero così per minuti interi.
Ad un certo punto, Alessia Caro si alzò, reggendo un calice intarsiato di smeraldi.
“Vorrei ringraziare tutti voi” esordì con voce melliflua mentre innalzava il calice “per aver partecipato a questo gioioso banchetto. Vorrei ringraziarvi per essere andati in guerra con mio marito. Vorrei ringraziarvi per essere uomini e donne fedeli verso mio marito.
“Ma tutto questo non può essere comunicato a parole, o almeno io non ne sono capace. Perciò vi offro semplicemente un brindisi. Grazie tutti voi!”
Tutti insieme, nella sala ormai silenziosa, gli invitati bevvero un calice.
Il vino era molto forte e amaro, e S’virr rimase stordito dopo un solo bicchiere.
“Per la contessa lo bevi, eh?” ridacchiò strascicando le parole il carceriere, completamente ubriaco, come la maggior parte dei presenti.
“Ed ora” continuò la contessa “vorrei proporre un brindisi per il mio amatissimo marito, il conte”
“Sei, troppo gentile, cara” ringraziò il conte, rosso in faccia per i troppi bicchieri, mentre si alzava.
“Al conte!” urlarono i commensali.
“A te, mio marito” disse sorridendo e porgendo con una mano il calice a Marius Caro.
Il conte bevve, seguito dai soldati.
“Goditi il tuo ultimo brindisi, traditore!” urlò la contessa tirando fuori un pugnale e puntandolo alla faccia del conte.
Le guardie, rimaste finora silenti e vigili, sfoderarono le loro spade e cominciarono a mulinare fendenti sui soldati, ubriachi e intontiti dal cibo, mentre alcune andarono ad aiutare la contessa per catturare il conte.
S’virr scattò in piedi e impugnò la sua lama, parando un affondo di una guardia, mentre il carceriere, tentando di alzarsi, inciampò e cadde a terra.
“Tsavi, devo trovarla” pensò subito il Khajiit, mentre con un assalto decapitò il nemico.
Un’esplosione di fuoco si udì dall’altra parte della sala e tre guardie caddero davanti alla maga di corte Tsavi.
Il Khajiit scattò verso la donna, schivando colpi e mozzando arti vaganti.
La maga di corte, vedendolo, cominciò a lanciare palle di fuoco aprendosi la via verso S’virr.
Quando finalmente si congiunsero, corsero subito verso l’uscita, con Tsavi che faceva strada e dietro S’virr che la proteggeva.
Ma un gruppo di soldati li vide e corsero verso di loro.
Una volta superata la sala grande vuota, nella quale riecheggiavano le urla della sala dei banchetti e i tuoni della tempesta arrivata con tutta la sua terribile potenza.
Il portale del castello si chiuse dietro di loro e, credendosi salvi, i Khajiit corsero nella corte, bombardati dalla pesante pioggia.
Il gruppo di guardie uscì nel cortile e imbracciarono gli archi scagliando una decina di frecce sibilanti nella tempesta.
S’virr cadde a terra, colpito alla gamba.
“Forza, S’virr, dobbiamo andare!” gridò disperata Tsavi, che per la prima volta aveva il terrore negli occhi, mentre lanciava un incantesimo di Cura sulla gamba ferita.
“Non… non ce la faccio” gridò S’virr arrancando, quando le guardie li raggiunsero.
Due lo superarono raggiugendo Tsavi; il Khajiit ne decapitò uno con un largo fendente, ma prima ti attaccare l’altro venne fermato da una guardia che lo tirò afferrandogli la coda.
S’virr cadde a terra e venne trascinato lontano da Tsavi che stava lottando contro tre nemici, mentre artigliava il terreno e urlava.
La spada della guardia calò mozzando la coda del Khajiit che gridò per il dolore.
“Un gattino senza coda, questo è molto comico, non trovi?!” urlò gioiosa la guardia che teneva in mano la coda dalla quale zampillava sangue.
Con un ultimo disperato sforzo, S’virr affondò la spada nell’addome del nemico, che cadde sopra di lui.
Scansando il cadavere, il Khajit si alzò e cominciò a correre verso Tsavi…
Era quasi arrivato quando la maga, vedendolo, si distrasse un attimo… abbastanza per essere poi sgozzata da una guardia.
“Tsavi…”
Non aveva neanche la forza di urlare ormai.
Un’altra freccia lo colpì alla gamba.
E non vide più nulla.
 
 
 
 
 
   
 
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