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Autore: Curleyswife3    05/11/2015    1 recensioni
[M.A.S.K.]
[M.A.S.K.][M.A.S.K.]Il 30 settembre 1985 veniva trasmesso negli USA il primo episodio di M.A.S.K.
Oggi, trent'anni dopo, fioriscono le iniziative per festeggiare un compleanno tanto impegnativo e io voglio dare il mio piccolo contributo con questo racconto.
Che è soprattutto una storia d'amore, ma non solo. È anche una storia sull'amore, il monello con le ali che tutto vince e tutto sconvolge. Sulle sue sorelle maggiori - colpa, redenzione, speranza - e sul suo fratello più ingombrante, il dovere.
Su ciò che siamo o non siamo disposti a mettere in discussione per amore.
Un racconto che ha l'ambizione di dare alla serie ciò che gli autori non hanno ritenuto necessario, vale a dire un finale. Un finale vero, corale, in cui ciascuno trova il suo posto come le tessere di un puzzle riuscito.
Al racconto è agganciata una playlist di canzoni (a ogni capitolo corrisponde un titolo) che potete già ascoltare su youtube nel mio account, che ha lo stesso nickname: è una specie di "sommario emozionale" della storia, fatemi sapere se l'idea di piace! Vi lascio di seguito il link.
https://www.youtube.com/playlist?list=PLTL5afe9YpdjzGwDOuNpkZymR_g9EL4qp
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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TOO LITTLE, TOO LATE
 
Come innumerevoli altre persone su entrambe le sponde dell’Atlantico, anche Thomas Killian era in debito con Matt Trakker.
Se non fosse stato per la borsa di studio della Trakker Foundation infatti, lui, figlio di una modesta famiglia di operai di Detroit, non avrebbe mai avuto la possibilità di laurearsi ad Harvard realizzando, così, i sogni suoi e di suo padre. Ma non era solo quello: Matt aveva voluto conoscerlo di persona, incuriosito dai suoi brillanti risultati, e dopo la laurea gli aveva offerto un lavoro nell’ufficio legale di una della sue società.
Il giovane avvocato ricordava perfettamente la prima volta che era entrato nella sua tenuta in Nevada: un mare di marmo conduceva a una grande scala curva con una balaustra di legno chiaro, legno chiaro ovunque e un tavolo riccamente ornato con un vagone di fiori bianchi emergenti da un grande vaso.
Solo quell’ingresso pareva abbastanza vasto da ospitare tre delle casette dove ancora abitavano i suoi nell’East Side, ed era soltanto un ingresso.
Aveva sentito dire che certa gente viveva così, sul tetto del mondo.
Un’altra stanza, ancora legno chiaro: certo, doveva essere il soggiorno. Enorme, ci stavano tre o quattro angoli di conversazione fitti di mobili e poltrone: il tipo di locale dove uno entra e subito abbassa la voce fino a bisbigliare.
Ricordava di aver camminato col naso per aria, intimidito, guardandosi intorno come un dannato turista.
Dall’espressione lievemente ironica della cameriera in uniforme che lo accompagnava si era reso conto di quanto fosse evidente che per lui era la prima volta che metteva piede in un posto del genere.
D’un tratto, da una porta aperta ebbe l’ampia visione di una grande stanza inondata di luce dalle finestre più alte che Killian avesse mai visto in una casa privata.
Eppure, alla fine di tutto quello sfarzo ad accoglierlo aveva trovato un uomo dal sorriso aperto, forse un tantino distaccato ma gentile, che gli aveva stretto la mano energicamente guardandolo dritto negli occhi. Sulle prime si era meravigliato che una persona tanto potente riuscisse a essere, in qualche modo, anche così alla mano.
Amichevole, persino.
Conoscendolo meglio, però, si era reso conto che Matt si serviva di quei modi come di un’armatura, per evitare che la gente gli si avvicinasse troppo. C’era infatti in lui come una distaccata malinconia che, talvolta, traspariva dai suoi gesti, dalla sua espressione; era però quasi impercettibile, celata dietro un’apparenza di signorile affabilità, tanto che a Thomas c’erano voluti molti mesi e un’osservazione attenta per rendersene conto.
Era andato in cerca di notizie sulla sua famiglia, scoprendo così la tragedia della prematura morte di sua moglie Claire, e si era convinto inizialmente che quella fosse la ragione; poi, però, aveva capito che c’era anche altro.
Proprio così: Matt Trakker, il milionario filantropo, nascondeva dei segreti.
Segreti che ogni tanto gli lasciavano sul viso i segni della preoccupazione e dell’ansia. Che lo facevano apparire esausto, come se portasse sulla spalle il peso di responsabilità troppo gravose per un uomo solo.
Ed era stato proprio quel lato del suo carattere, così nascosto che l’avvocato si era convinto fosse sfuggito alla maggior parte delle persone che Matt frequentava, a trasformare l’ammirazione e la gratitudine in affetto vero.
Anni dopo, quando si era stufato di avere e che fare con brevetti e acquisizioni ed aveva deciso di tornare alla sua prima passione, ovvero il diritto penale, il loro rapporto anziché indebolirsi si era rinforzato, diventando qualcosa di più simile a un’autentica amicizia.
Aveva iniziato a collaborare con lui alle varie iniziative benefiche di cui le sue fondazioni sparse per il mondo si occupavano e ancora adesso, nonostante dovesse destreggiarsi tra i mille impegni del suo accorsato studio legale, la partita a tennis del venerdì con Matt era uno degli impegni fissi nella sua agenda.     
Era però solo martedì pomeriggio quando la segretaria gli annunciò una sua telefonata; Killian sollevò la cornetta e lo salutò allegramente. All’altro capo dell’apparecchio, tuttavia, la voce dell’amico suonò tesa. Parlava velocemente, a scatti, come tentando di controllarsi senza riuscirci del tutto.
“Ehilà, Matt” chiese “giochiamo a tennis venerdì?”
L’altro non rispose subito e, dopo qualche secondo, disse solo: “Devo parlarti”.
“Uhm… Ok” fece l’altro, drizzando le antenne “Dimmi pure, ti ascolto”.
 “No” replicò secco il milionario “Non per telefono, dobbiamo incontrarci di persona”.
Se fino a quel momento il giovane aveva avuto la sensazione che qualcosa non andava, adesso i suoi sospetti avevano trovato piena conferma. 
“Nessun problema” rispose “oggi sono in studio fino a tardi, ti aspetto”.
Anche se non poteva, ebbe chiaramente la sensazione di aver visto che Matt a quel punto aveva scosso la testa, seccato.
La sua voce adesso era imperiosa e Thomas si disse che finalmente stava avendo un assaggio del Matt Trakker spietato capitano d’industria.
“Ci vediamo al Regent’s Park alle sette” disse, con un tono che non ammetteva repliche.
 
***
 
Guidando verso il carcere di Fort Leavenworth, Thomas Killian ebbe il tempo di ripensare per l’ennesima volta alla stranissima conversazione che aveva avuto con Matt un paio di giorni prima.
Il Regent’s Park era grande, sontuoso, luccicante e solenne, con tanto marmo dentro e fuori; il loro tavolo era vicino alla grande finestra da cui si scorgeva il parco, nel suo splendore autunnale.
Il suo amico gli era apparso fin da subito strano, proprio come al telefono. Turbato, come non l’aveva mai visto prima di allora.
Era come se le preoccupazioni che fino a quel momento era riuscito egregiamente a tenere a bada fossero esplose tutt’a un tratto, diventando impossibili da controllare in maniera razionale.
Ecco, conversazione forse non era la parola giusta per descrivere il loro incontro: a parlare era stato quasi solo Matt e lo aveva fatto brevemente, in un tono così teso che  non era riuscito a interromperlo nemmeno una volta per fargli qualche domanda che andasse al di là delle questioni strettamente pratiche.
Del resto, sarebbe stato inutile: era infatti evidente che non aveva intenzione di dirgli una parola di più rispetto a ciò che già gli aveva detto. Niente di più oltre a ciò che doveva sapere poter per agire come gli aveva chiesto.
Perciò si erano salutati lasciando l’avvocato con un sacco di domande e nessuna risposta degna di questo nome: cosa aveva a che fare uno come Matt con Vanessa Warfield? Era qualcosa che aveva a che vedere con i segreti che il milionario pareva custodire così gelosamente? Oppure era qualcosa di completamente diverso? E, in quest’ultimo caso, poteva veramente essere che il suo irreprensibile amico fosse coinvolto in qualche maniera con quella donna… profondamente, tanto da convincerlo a chiedergli una cosa del genere, che sembrava così contrastante con tutto ciò di cui aveva fatto, negli anni, la propria personale bandiera?
Vanessa Warfield: mentre i suoi contatti in Texas lavoravano per fargli avere al più preso un colloquio con lei, aveva cercato quante più informazioni possibile sul conto della giovane ladra che solo pochi giorni prima aveva deciso di costituirsi, spiazzando l’FBI.
Non era stato facile, giacché sembrava che la notizia fosse stata tenuta segreta nella speranza che la ragazza collaborasse, aiutando gli investigatori a mettere le mani sulla famigerata banda di delinquenti mascherati chiamata Veleno.
Il suo informatore gli aveva raccontato che Weiss l’aveva affidata a quel gran bastardo di Larry Kramer; lo conosceva bene, quel mastino, eccome se lo conosceva! Più di una volta gli era capitato di controinterrogarlo in aula e fin da subito gli era risultato odioso… così pieno di sé, così arrogante persino con lui e con il giudice! Del resto, quella sicumera gli veniva dall’essere considerato uno degli agenti più abili nel torchiare i prigionieri, uno che di rado falliva.
E invece in questo caso il grande investigatore se n’era tornato a casa con le pive nel sacco perché la ragazza non solo non aveva collaborato, ma anzi - gli avevano raccontato, tra le risate - era riuscita a far perdere la calma al federale, provocandolo e mettendolo in ridicolo sotto gli occhi del suo capo.
Poi però s’era vendicato, usando tutto il suo potere perché la Warfield - nonostante ancora non fosse stata formulata alcuna accusa precisa contro di lei - fosse sbattuta immediatamente nel peggior carcere federale di tutti gli States.
E c’era da giurare, conoscendolo, che aveva fatto di tutto affinché la vita lì dentro fosse un inferno per lei, tanto da convincerla a implorare per avere un colloquio con lui e spifferargli ciò che sapeva.   
Insomma, Killian non sapeva quasi niente di lei, però dalla sua aveva almeno due punti di vantaggio: un grande come Matt Trakker si era scomodato per lei ed era riuscita a mettere nel sacco quello stronzo di Kramer.
Non appena Vanessa varcò la soglia della piccola stanza adibita a parlatorio, il giovane avvocato si rese immediatamente conto del reale motivo per cui il suo amico l’aveva mandato lì.
Con la sua massa disordinata di capelli splendenti, la pelle candida e gli occhi verde foglia dal taglio allungato…ecco, sembrava un raro e bellissimo uccello tropicale che svolazzava proprio di fronte a lui.
Completamente fuori posto, in quel luogo grigio e triste.
Si muoveva lentamente, con grazia, nonostante avesse i polsi serrati dalle manette che solo dopo le insistenze di Killian l’agente che l’accompagnava acconsentì a toglierle.  
Quando uscì, la ragazza mosse le braccia indolenzite e poi lo guardò, con manifesta curiosità.
Ora erano uno di fronte all’altra e lui abbassò lo sguardo su di lei, sedendosi a sua volta. Lasciò che i suoi occhi si concentrassero in quelli della ladra, prima di appuntarsi sulla tuta arancione che l’avvolgeva.
Le tese la mano.
“Mi chiamo Killian, Thomas Killian e… mi spiace sia stata questa l’occasione di conoscerla” farfugliò. Immediatamente sentì di avere detto una sciocchezza. Forse lei avrebbe dovuto concludere che in altre circostanze sarebbe stato lieto di conoscerla?
Lei aveva il più meraviglioso lungo collo d’avorio immaginabile e le sue labbra erano socchiuse. Gli occhi verdi sembravano poterselo bere in un sorso solo. Di colpo si sentì eccitato, nervoso.
Non riusciva a immaginare cosa dirle, adesso.
Vanessa gli risparmiò il difficile compito.
“Non occorre che mi dica altro” disse, con freddezza “può esserci solo un motivo se un avvocato da duecento dollari all’ora come lei mette piede in questa topaia”.
La sua voce roca, nonostante tutto, non riusciva a smettere di suonare sensuale.
“Sono qui per aiutarla” replicò lui, ritrovando d’improvviso la parola “Ho dato un’occhiata al suo fascicolo e posso dirle che con un po’ di fortuna e sfruttando i canali giusti potrei riuscire a farla uscire di qui molto presto…”.
Lei lo fissò, mentre negli occhi le passava una luce strana.
“Anzi” aggiunse, senza distogliere lo sguardo “tenerla qui dentro ancora prima che il Procuratore formuli un’accusa circostanziata contro di lei è un abuso, potrei tentare un ricorso in via d’urgenza”.
Vanessa per tutta riposta scosse la testa e si alzò in piedi di scatto.
“Guardia!” chiamò con tono imperioso “Abbiamo finito, qui!”.
Killian era senza fiato e non spiccicò parola mentre l’agente penitenziario di poco prima le rimetteva i ferri e l’accompagnava verso la porta.
Mentre gli passava accanto, disse a bassa voce, con un sorriso coraggioso: “Dica a Matt Trakker che non ho bisogno del suo aiuto”.
“Anzi, gli dica che non voglio niente da lui”.
 
NOTE&CREDITS: anche qui trovate qualche citazione dal romanzo di Wolfe e il nome dell’avvocato amico di Matt è ripreso da lì. Come vedete, i protagonisti partono da due mondi lontani anni luce e, pian piano, stanno compiendo un doloroso percorso l’uno verso l’altra. Lei fa i conti con i suoi sbagli, lui abbandona il suo rigore morale.
Prima o poi s’incontreranno a metà strada?
 
   
 
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