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Autore: Cat in a box    24/02/2009    3 recensioni
Da anni una nuova minaccia spinge sull’orlo della distruzione il popolo degli Elfi Necromanti. Creature con membra umane e animali, create grazie alla suprema Scienza di folli scienziati, assediano le terre delle Tempre d'Ombra. I popoli circostanti sono stati costretti a lasciare le proprie terre, o a perire sotto le mostruose fauci di queste creature infernali. Il Mondo sanguina. L’ultima stirpe superstite al massacro, gli Elassar, provano a fronteggiare la minaccia…ma lo scontro ne determina la morte di ambi due gli avversari. La guerra non è ancora vinta, molto presto…ne torneranno degli altri. L’unico sopravissuto è il piccolo Principe Luthien, che viene affidato alla Bianca Madre, poiché possa crescerlo e allevarlo…cossichè un giorno possa rivendicare il trono del defunto Padre , difendere i popoli attaccati e salvare la donna che ama.
Genere: Dark, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eccomi con un nuovo capitolo^^! Vi ringrazio per i precedenti commenti, questo mi ha dato in qualche modo una spinta per andare avanti, e scrivere qualcosa di meglio per me e per Voi. In questo capitolo subentreranno molti personaggi nuovi. Mi sono data molto da fare per decidere i nomi, e ho deciso di realizzare una piccola legenda in fondo alla pagina, che illustra il significato dei nomi elfici che ho scelto. Tutte le parole contrassegnate con un ( * ), sono in fondo a questa pagina. Potrete notare, che ogni nome è stato scelto con cura. Non a caso, mi sono affidata ai nomi Elfici, secondo il mistico J.R.R. Tolkien! Altri invece, sono di mia invenzione^^. Come promesso, i personaggi saranno descritti in maniera molto più dettagliata. Questa capitolo lo ritengo fondamentale, poiché spiega molti avvicendamenti che coinvolgeranno il resto della storia. Vi auguro buona lettura!

 

Capitolo II – La seconda Luna – Preludio d’Amore

 

Il vento stava soffiando impetuoso contro la porta del vecchio maniero di Minuial. Le nuvole avevano cominciato ad ammassarsi in cielo, mentre il bagliore dei lampi illuminava le vecchie case dei contadini. Era ormai notte fonda, e nessuno girava per le strade della città a quella ora. Le luci delle taverne e delle case erano spente. Silenzio e ombra serpeggiavano per i vicoli della città. La timida Luna di plenilunio che si nascondeva tra le nuvole, pareva uno specchio d’acqua argentea, che si rifletteva sulle grigie pietre della cattedrale di Oldrid. Una possente sagoma nera  si stava dirigendo verso la cattedrale. Si avvicinava lentamente, a passo silenzioso, come se cercasse di non dare nell’occhio. Tra le braccia portava qualcosa, avvolto in un mantello scuro. Giunse all’uscio e bussò più volte, finché una donna bassa e tozza non gli venne ad aprire. Questa indossava una vestaglia da notte, di color crema. I capelli erano legati in due lunghe trecce castane che scendevano lungo le spalle. I lineamenti del viso parevano irrigiditi. Il mento e il naso erano pronunciati. La mascella era squadrata, come quella di un uomo. Non era una bella donna. “Chi siete straniero? Parlate, cosa volete?”. Replicò per prima la donna. La sagoma nera dinanzi a lei, si tolse il cappuccio del mantello, che ricadeva dalle spalle larghe sul resto del corpo fino alle caviglie. Una liscia chioma bionda cadde lungo i fianchi. La donna con sorpresa lo riconobbe. Era un Elfo Elementare, e poiché portava sotto l’occhio sinistro il tatuaggio del *Drago di Valdah, era anche un membro di una delle dieci nobili casate degli Elfi. “Misericordia siete giunto *Calimon! A tarda ora, ma immagino che debba essere stato tortuoso il viaggio. Desiderate restare per la notte e ristorarvi?”. Chiese la donna, facendo gentilmente strada con la lanterna che teneva in mano.

***

 

“E’ meglio per me andarmene al più presto. Non ho tempo per restare, sono qui per affidarvi la vita di *Eledhwen, mia Sorella.”. Lei si voltò improvvisamente, e con occhi spalancati notò quel fagotto che teneva con delicatezza tra le braccia. Con premura scoprì il volto di quella piccola creatura, e lo porse tra le forti braccia di quella donna. “Oh è meravigliosa! Non avevo mai visto una creatura più bella di questa. Perché me la volete affidare, buon Elfo?”. Chiese, mentre accarezzava dolcemente la fronte della pargoletta che era ancora addormentata. “Sono stato richiamato insieme a mio Padre, a proteggere la famiglia Reale, a costo della mia stessa vita. Il destino per me è giunto, e questo impedisce alla mia spada di proteggere la vita di mia Sorella. Desidero affidarla a voi, Matrona di Oldrid, affinché possiate crescerla e allevarla come se fosse figlia vostra. Tornerò a riprenderla, non appena sarà abbastanza grande per venire con me.”. La donna incrociò gli occhi del colore dell’ametista, di quel Elfo. Erano *profondamente viola, parevano quasi due violette, di quelle che crescono in primavera nei boschi ombrosi. Mai aveva visto occhi similmente belli, che entravano in perfetto contrasto con il lieve candore della pelle e il biondo chiaro dei capelli. Senz’altro era la creatura più magnifica che avesse mai potuto vedere. “Nobile Calimon, vi prometto che mi prenderò cura di questa piccina, come meglio potrò. La proteggerò e la alleverò come fosse da sempre stata mia figlia. Le insegnerò le nobili arti dell’Alchimia e i segreti delle erbe medicinali. Diventerà degna persino di sposare un membro della famiglia Reale!”. Disse con grande soddisfazione la donna, senza accorgersi che il volto di Calimon si era per un attimo irrigidito. “Lei non è destinata alla famiglia Reale…”. Disse in tono cinico, voltando le spalle. “Eledhwen è stata destinata a sposare me, poiché siamo gli ultimi superstiti della nostra nobile stirpe, è stato deciso questo per volontà di nostro Padre.”. L’Elfo si tirò il cappuccio in avanti, e si coprì il volto. “Tornerò tra più di una decina d’anni, per portarla via.”. Aggiunse, e si avviò verso il suo cammino. La Matrona restò a fissarlo per qualche minuto, mentre la sua sagoma nera si dileguava tra le ombre della notte e della Luna, come un’evanescenza spettrale.

***

 

Da quella notte, passarono i giorni, i mesi e le stagioni. Eledhwen era cresciuta, ed aveva già poco più di dodici anni e mezzo. Nonostante passasse la maggior parte del suo tempo rinchiusa nella sua camera, a giocare con le bambole in pezza che la Matrona le regalava, era conosciuta da buona parte dei contadini che vivevano nei dintorni della città. Era diventata una bella bambina, ormai una signorina, che spesso le contadine invidiavano alla Matrona. I suoi capelli biondo chiaro erano quasi sempre sciolti sulle spalle, lunghi appena da arrivare fino alla schiena. Erano ondulati o ricci, ma comunque una caratteristica abbastanza rara negli Elfi. I suoi occhi ricordavano quelli del Fratello. Erano due viole selvatiche, ma brillanti quanto l’ametista al riflesso della Luna. La pelle era nivea, ma rosea in prossimità delle guance. Tuttavia il suo corpicino era esile, forse anche più di quello delle altre ragazzine della città. Spesso la Matrona la affidava alle sue serve, poiché avendo altri da fari che le occupavano la giornata, non poteva sempre prestarle occhio. Accadde in una soleggiata giornata di fine primavera, che Eledhwen si allontanò più del dovuto, dal cortile della cattedrale. La serva che la badava, non l’aveva notata, dal momento che era impegnata a stendere i panni del bucato. Cosicché ella si allontanò parecchio, fino a giungere alla stalla di un vecchio maniero.

***

 

Dalla stalla si potevano udire dei leggeri nitriti di cavalli, il che attirò molto la sua attenzione. Purtroppo lei era poco più alta di un metro e un spanna, e lo steccato era troppo alto perché lei potesse vedere i cavalli. Si aggrappò con le mani allo steccato, cercando di sollevarsi con le braccia,  fino a che non riuscisse a vederli; ma in quel momento, uno stridulo grido la spaventò. “Che stai facendo!?”. Eledhwen si sbilanciò, e cadde a terra, sbucciandosi rovinosamente le ginocchia. Si guardò intorno, e vide un ragazzino, più o meno della sua età, che le stava davanti a distanza di pochi metri. Era poco più alto di lei. Aveva dei lunghi capelli nero corvino, che scendevano lungo le spalle, e splendevano alla luce del sole. Labbra sottili e rosee, e occhi color dello smeraldo. Pelle bianca come il marmo, e lineamenti tipicamente elfici. Fino ad ora non aveva mai visto un ragazzo del genere, probabilmente, perché non aveva ancora incontrato i suoi simili. “Ti sei fatta male?”. Chiese, mentre si avvicinava di corsa verso di lei. “Mi fa un po’ male, ma non è niente.”. Rispose con tono orgoglioso, alzandosi cercando di sopportare il bruciore delle ferite che sanguinavano. “Non volevo spaventarti, mi dispiace.”. Chiese, con la stessa espressione in viso, di chi avesse fatto chissà quale torto. In quel momento arrivò Yluna, che aveva osservato metà della scena da lontano. “Tutto bene piccina?”. Esordì con la sua voce melodiosa. Eledhwen rimase stupita per qualche minuto, non aveva mai visto altra creatura degna della sua bellezza. I lineamenti del suo viso erano morbidi e delicati, la pelle era di un colore ambrato, e i capelli bianchi si trovavano in perfetto contrasto. La figura longilinea di quella donna, era simile alla rappresentazione della Venere Protettrice della cattedrale, che da sempre aveva visto con ammirazione. “Come ti chiami?”. Aggiunse ancora quella misteriosa donna. “Eledhwen.”. Rispose con un filo di voce. “Io sono Yluna, lascia che ti medichi le ferite, non vorrei farti tornare a casa in questo brutto stato.”. In qualche modo si sentì rapire dalla sua voce. Non aveva mai udito voce più carezzevole di quella. Era piacevole, quanto il canto di un usignolo. Non era come le voci che aveva sempre udito dalle serve che la sorvegliavano, e tanto meno somigliava a quella rauca voce da cornacchia della Matrona! Sapeva che sarebbe stato meglio tornare alla cattedrale, prima che la serva si rendesse conto della sua assenza, ma qualcosa la tratteneva e avrebbe preferito restare lì per ancora un po’ di tempo.

***

 

“Io mi chiamo Ysuran, mi dispiace ancora.”. Disse ad un tratto il ragazzino, con voce timida, mentre stava appresso alla Bianca Madre. Pareva abbastanza timido, ma dimostrava parecchio riguardo nei confronti di Eledhwen. All’interno del maniero, giunsero in una stanza abbastanza illuminata. Le candide pareti bianche erano decorate da alcuni affreschi. Nature morte, Veneri e vicende di epiche imprese, erano dipinte sulle pareti. Era poco arredata, nonostante non fosse molto grande, rispetto alle altre stanze del palazzo. C’erano forse due o tre mobili in legno scuro, due poltrone e qualche cuscinetto da genuflessione. Vi era una grande finestra, che si affacciava proprio sul centro della città. E da lì era anche possibile vedere la cattedrale. Yluna la fece accomodare su una delle poltrone, posandole sotto le gambe un cuscino da genuflessione, in modo che potesse stendere le gambe. “Vado a prendere le erbe, Ysuran tienile compagnia e comportati bene.”. Esordì, prima di scomparire dietro alla porta. “Che cosa sei?”. Chiese incuriosita. “In che senso?”. Ribatté lui. “Non sei come gli altri, hai qualcosa di diverso da loro…”. Disse lei indicandoli le orecchie a punta. “Sono figlio di un Elfo, e come tale rimango. Anche tu lo sei, a quanto sembra.”. Disse indicando le sue orecchie a punta, che nascondeva dietro alla folta chioma di boccoli biondi. “Io non sono un Elfo! Non posso essere come te…mia madre è la Matrona di Oldrid.”. “Come vuoi, ma il colore innaturale dei tuoi occhi, come lo spieghi?”. In quel momento Yluna entrò, e i due tacquero. “Ho portato delle erbe medicinali che ti faranno passare il bruciore, e ti dovrebbero anche togliere il rossore. Mi auguro che non sia stata colpa di Ysuran…”. Disse lanciando un’occhiataccia verso di lui, mentre si nascondeva dietro la spalliera della poltrona. “Non è stata colpa sua, mi sono distratta.”. Rispose velocemente Eledhwen, per difenderlo. “Grazie.”. Sussurrò Ysuran al suo orecchio, mentre si scambiarono un occhiolino. Le ferite furono subito pulite e medicate, con grande cura. Nel frattempo il sole stava calando dietro alle montagne, e poiché si stava velocemente facendo tardi, Yluna chiese dove abitava in modo che potesse riaccompagnarla a casa.

***

 

In tanto qualcuno stava già bussando insistentemente al portone, tanto che Minuial andò ad aprire. Una donna vestita in nero e bianco, ovvero con la divisa delle serve della Matrona, era giunta fin lì per cercare Eledhwen. “Saggio Minuial! Oh Saggio Minuial! La figlia della Matrona è scomparsa, per caso l’avete vista!? Vi prego, ditemi dove si trova o la Matrona mi fustigherà!”. Con occhi sorpresi, vide quella povera donna accasciarsi a terra, tra le lacrime e i singhiozzi. “Non c’è bisogno di preoccuparsi tanto, la Bianca Madre l’ha accompagnata in una delle stanze per ripulirle delle ferite.”. La serva lo guardò con occhi speranzosi. “Sta bene.”. Aggiunse, per non farla preoccupare più del dovuto. Fece accomodare la serva, e Eledhwen fu presto accompagnata da Ysuran nei piani terreni. “Ti chiedo scusa per essermi allontanata troppo.”. Disse, non appena vide la serva ormai col viso consumato dalle lacrime. “Non lo farò mai più.”. La serva corse ad abbracciarla. “Oh finalmente ti ho trovata! Adesso torniamo alla cattedrale, la Matrona era molto in pena per te.”. Disse, mentre si stava alzando in piedi. L’afferrò per un braccio con una certa forza. “Mi fai male!”. Gridò la ragazza. “Forza, dobbiamo andare.”. Aggiunse, con un tono più severo di quello di prima. Ysuran le corse dietro, non voleva che se ne andasse. “Eledhwen quando tornerai la prossima volta?”. Lei si voltò, con il volto rigato dalle lacrime. “Non lo so! Ma spero presto.”. La serva la trascinò via, quasi con violenza, e se ne uscirono così dalla porta d’ingresso. Ysuran avrebbe voluto che rimanesse ancora per un po’, dopotutto era l’unica che era riuscita ad avvicinarsi a lui. Non aveva amici e non aveva persone con cui giocare, poiché i figli degli Elfi erano discriminati dai figli degli Uomini. E ora che aveva trovato una compagna di giochi, non voleva perderla.

***

 

La Matrona fu severa, e decise di chiudere a chiave nella stanza Eledhwen. Mentre la serva fu sottoposta ad una pesante punizione. Venne fustigata dalla Matrona stessa, per più di mezz’ora. Nonostante non volesse che Eledhwen assistesse alla punizione, le urla e i gemiti della povera serva, si sentirono fino alla sua stanza. La piccola pianse quasi per tutta la notte, sentendosi tremendamente in colpa per la sua fuga. Non sarebbe mai più tornata da Ysuran. Il mattino dopo Ysuran uscì presto, prima che il sole sorgesse. Il cielo purpureo all’orizzonte, era ancora assai lontano, e la coltre della Notte copriva ogni ombra che si aggirava a Oldrid. Giunse sino alla cattedrale, ma la porta era chiusa e non poteva entrare. Ad un tratto osservò che un piccolo lume era rimasto acceso, in una delle finestre. Raccolse una manciata di sassolini, e iniziò a lanciarsi verso la finestra, cercando di farsi aprire. Ad un tratto la finestra si spalancò, e proprio colei che desiderava vedere, si affacciò. “Eledhwen! Sono tornato, puoi uscire?”. Chiese Ysuran, entusiasta di esser riuscito a trovare subito la sua finestra. “Come hai fatto a sapere che questa era la mia finestra?”. “Sono andato per intuito, sentivo che era quella.”. Rispose sorridendo. “Non posso uscire, mi hanno chiusa a chiave…”. Al ripetere queste amare parole, si sentì risalire le lacrime. Ysuran la guardò con dispiacere, poiché anche lui sapeva bene che non ci sarebbe stata soluzione per farla uscire. “A questa ora non c’è mai nessuno, vero?”. Chiese, dopo qualche secondo di silenzio. “No, perché?”. “Allora ti verrò a trovare tutti i giorni a questa ora. Promettimi di non mancare!”. A queste parole Eledhwen si sentì stracolma di felicità, anche se non sarebbe potuta uscire, almeno avrebbe potuto godere della sua compagnia. E per lei, questo in qualche modo era già tanto.

***

 

I giorni passarono, e Ysuran la andava a trovare tutte le mattine, come promesso. Nonostante il sole avesse cominciato a sorgere prima, lui era sempre lì, prima dell’alba. Restavano a parlare per qualche ora, e si confidavano ogni momento della giornata che passavano. Ormai erano diventati buoni amici, e non c’era verso di separarli. Certo, proprio quando tutto sembrava andar bene…una mattina, una delle serve che faceva le pulizie attorno alla porta di Eledhwen, si accorse dei suoi strani colloqui, con una voce che non le pareva affatto familiare. La serva lo andò a riferire alla Matrona, che furibonda decise di spostare immediatamente Eledhwen in un’altra stanza. La Matrona era consapevole del fatto che Eledhwen, non avrebbe potuto innamorasi di altra persona al di fuori di Calimon, per questo cercava a tutti i costi di allontanare chiunque da lei. Tuttavia, quella povera ragazzina innocente, che era ancora all’oscuro di tutto sulle sue origini, non sarebbe potuta perdurare ancora a lungo. Tanto che la Matrona stessa si decise a raccontarle la verità. Quel giorno stesso venne accompagnata dalle serve, nelle stanze della Matrona, dove la stava aspettando. Eledhwen tremava ed era a dir poco tesa, temeva di aver fatto chissà quale terribile sbaglio, per meritarsi una punizione. Pensava costantemente a Ysuran, pregava tra i denti che domani non venisse a trovarla, o pensava ad escogitare un modo per avvisarlo. Ma tutto sembrava vano. Erano giunte dinanzi alla porta, e le due serve che la tenevano per mano la lasciarono entrare, chiudendo la porta dietro di lei. Il suo cuore batteva all’impazzata dalla paura, che cosa le sarebbe aspettato? La Matrona era proprio dinanzi a lei, seduta su una sedia imbottita e tappezzata di stoffe pregiate, con lo schienale alto. Si trovava dietro ad una scrivania, e stava scrutando un mucchio di scartoffie. Ad un tratto ripose tutti i fogli in un angolo del tavolo, e volse il suo sguardo di ghiaccio, verso di lei.

***

 

 “Vieni avanti cara, puoi metterti a sedere se desideri.”. Eledhwen avanzò solo di pochi passi, e stette in piedi, ritta e immobile, come se cercasse di non farsi schiodare dal pavimento. “Mia cara, c’è una cosa importante di cui io ti avrei dovuto parlare già molto tempo fa…”. Prese una pausa per organizzarsi il discorso, e poi proseguì. “A dir la verità, avrei preferito aspettare che tu avessi l’età giusta, ma viste le circostanze…non mi lasci altra scelta. Mia cara, in tutti questi anni sei stata il mio orgoglio. Mi chiamavi ‘mamma’, nonostante io non lo fossi realmente. Mi hai portato gioia e piacere, ma io ho dovuto ricambiarti con la menzogna. Mia cara, tu mi sei stata affidata dal Nobile Calimon, tuo Fratello e futuro Sposo, che mi ha chiesto di proteggerti e di allevarti come meglio potevo. Tu sei l’ultima discendente della quarta nobile casata dei *Mìriel, Elfi Elementari. Sei stata portata qui, dalle lontane Terre del Crepuscolo, in modo che potessi crescere in tranquillità. Calimon ha giurato che sarebbe tornato per riprenderti tra una decina d’anni, a suo fianco, come sua sposa. Il tuo destino è deciso, e non posso permettere che tu ti innamori di qualcun altro, capisci cara? Meglio prevenire che curare, no? E penso che faresti anche bene a smettere di incontrare quel tuo amico alla finestra…”. Eledhwen si sentì profondamente disgustata alle tali parole. Trattenne una smorfia di spregio, e corse via in lacrime uscendo dalla stanza. Non poteva credere che la Matrona avesse potuto mentire proprio a lei! Non avrebbe mai voluto come sposo un essere tanto crudele, da averla abbandonata nelle mani di una chierica, tanto insensibile da non permetterle di avere degli amici. Le aveva rovinato l’infanzia! Voleva solo scappare per non tornare più. L’unica cosa che desiderava in quel momento, era di andare da Ysuran, a raccontargli tutto. Non le importava il resto, non si sarebbe mai innamorata di nessuno, pensò. Tra le lacrime e i singhiozzi, uscì di corsa nel cortile della cattedrale e scappò via, verso il centro della città.

***

 

Raggiunse di corsa il maniero di Minuial, e bussò insistentemente al portone. La Bianca Madre venne ad aprirle. Quando la trovò, aveva i vestiti per la maggior parte bagnati dalle lacrime. “Sei ancora tu, cosa ci fai qui?”. Chiese, facendola entrare. “Volevo parlare con Ysuran.”. Yluna la osservò sorpresa, ma poiché aveva fatto tanta strada e sembrava di fretta, decise di accontentarla. La accompagnò fino ai piani superiori, dove Ysuran stava studiando un *Necronomicon, seduto su una poltrona. “Prosegui pure, io ho altro da fare per ora.”. Disse la donna sorridendole. “Ysuran!”. Gridò entusiasta Eledhwen. “Come hai fatto a scappare?”. Chiese lui sorpreso, mentre chiuse con incuranza il libro poggiandolo sul tavolino affianco. Lei non riuscì più a trattenersi dall’emozione, e corse ad abbracciarlo. “Presto mi troveranno, sono venuta a parlarti di una cosa importante!”. Disse velocemente scostandosi da lui. “Racconta pure.”. Purtroppo la sua mente era ancora confusa dalle lacrime, e raccontò tutto alla rinfusa, tanto che per quel poco che era riuscito a capire lui, intese solo che non sarebbero più riusciti a vedersi per un bel po’ di tempo. “Non ti preoccupare Eledhwen, ci rivedremo un giorno! E sarò io a portarti via con me. Te lo prometto!”. Furono le sue ultime parole, le parole che Eledhwen non avrebbe mai scordato. Ysuran si tolse il pendente che portava al collo, e lo mise e lei. “Questa è *Miriam, mi era stata affidata da Minuial come amuleto porta-fortuna. Ma non ne avrò bisogno, puoi tenerla tu finché non ci rincontreremo.”. I due si abbracciarono per un’ultima volta, prima che i loro destini venissero separati. Eledhwen tornò da sola, di sua spontanea volontà, alla cattedrale. Era sicura che Ysuran non avrebbe mancato alla sua promessa, e non vedeva l’ora che quel giorno arrivasse.

 

 

*Drago di Valdah, inventato di mia spontanea fantasia. Mi sono ispirata al fatto che le famiglie nobili degli Elfi, fossero rigorosamente separate in dieci casate, di cui ognuna di esse, aveva dei legami di parentela con la famiglia Reale (i Supremi, citati nel primo capitolo). Questo tatuaggio tribale è rappresentato da un drago purpureo, con le ali spiegate, mentre tra le zampe sostiene una rosa nera (che rappresenta la famiglia Reale). Coloro che portano questo marchio, sono destinati a proteggere a costo della vita la famiglia Reale. Non si possono sottrarre alle guerre, e possono sposare solo fanciulle appartenenti alla propria casata, perché devono mantenere la tradizione del purosangue.

*Calimon in elfico significa Splendente, un nome degno di un Principe. Ma la mia scelta, è stata molto condizionata anche dal fatto, che il nome alludesse in qualche modo a Lucifero (uno dei miei Paladini!).

*Eledhwen, che in elfico significa Splendore degli Elfi. Unica figlia della quarta nobile casata degli Elfi Elementari, sorella di Calimon. L’unica superstite al massacro nelle terre del Crepuscolo.

*Profondamente viola, piccola allusione ai Deep Purple! Uno dei miei gruppi preferiti^^. Da lì mi è partita l’idea degli occhi viola.

*Mìriel, significa gioiello. Nonostante il significato non sia abbastanza azzeccato, mi suonava assai troppo bene come nome per una nobile casata di Elfi, di cui anche diretti discendenti della famiglia Reale! In qualche modo, mi dà l’idea di qualcosa di ‘Nobile’.

*Necronomicon, chi di voi non ne ha ancora sentito parlare!? Il libro dei Morti, per eccellenza. Nato dalla fantasia del celebre Howard Phillips Lovecraft, e ripreso in uno dei miei film Horror preferiti degli anni ’80 “La Casa” di Sam Raimi. 

*Miriam, goccia di mare. Un nome bellissimo a mio parere. Ho deciso di chiamare così, il ciondolo con una pietra di acquamarina, che Ysuran regala a Eledhwen come pegno d’Amore. Ops! Non devo dirlo…comunque si era capito che lui si innamora di lei, anche se Eledhwen è ancora troppo giovane per comprendere i suoi sentimenti. Si scoprirà più avanti^^.

   
 
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