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Autore: Clara_Oswin    09/11/2015    4 recensioni
Storie di pescatori narrano la presenza nelle acque di Deep Alley, di creature dal corpo per metà umano e per metà pesce. Nuotando un giorno in quelle acque Elena, trasferita da poco in quella città con la madre, terrorizzata vede qualcosa, non sa che quell'incontro cambierà per sempre il corso della sua vita. Segreti e verità mai svelate la catapulteranno in un mondo estraneo dal suo, dove alla fine anche lei si ritroverà a scegliere tra la vita e la morte.
Per saperne di più: Pubblico in questa sezione perché la storia si ispira molto ai personaggi originali di Ariel ed Eric, presenti nel corso della trama e durante la loro storia, questo però è un punto di partenza per qualcosa di nuovo, in cui la fiaba originale della disney si intreccia in un racconto di sirene come non l’avete mai letto.
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ariel, Eric, Re Tritone, Ursula
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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 Capitolo 7 La botola

 

Quella notte passò in maniera inesorabilmente lenta, Elena aveva avuto un innumerevole serie di incubi e dopo l’ennesimo brutto sogno che l’aveva svegliata alle 6 del mattino aveva deciso di alzarsi e prepararsi per andare a scuola; dovette caricare un bel po’ di copri-occhiaie su quei solchi violacei che le erano venuti, aveva un aspetto orribile ma quella non era una scusa abbastanza valida per saltare un giorno di scuola. 
Come diretta al patibolo si era poi incamminata verso l’edificio con la mente alla chiave che aveva ritrovato nell’armadio di suo padre che le aveva sconvolto la vita. Aveva scelto quel giorno di indossare un ciondolino al collo, una medaglietta con una foto di lei sua madre e suo padre al suo primo compleanno; a quella stessa catenella aveva inserito poi, la chiave scura per tenerla sempre sott’occhio e a portata di mano.

La mezza giornata di scuola era passata in maniera piuttosto tranquilla, lei era persa nei suoi pensieri, aveva innalzato una barriera invisibile contro chiunque cercasse di parlarle, il suo volto emanava un’aurea del tipo “lasciami in pace, oggi non sono dell’umore!” e a parte Nick, il più temerario che si arrischiò a chiederle il motivo di quel suo strano malumore, nessun coraggioso s’avventurò ad instaurare una discussione con lei, le sue compagne di classe non provavano nemmeno a coinvolgerla, l’avevano etichettata come fuoridalgruppotrendy e se non eri come loro eri fuori dal loro super esclusivo club. Persino i professori quel giorno l’avevano lasciata in pace, forse il suo umore nero era arrivato sino a loro…

Durante la ricreazione era rimasta seduta al suo banco a sbocconcellare qualche crekers, non aveva voglia di mangiare, non aveva voglia di far niente ma doveva comunque evitare di passare per ancora più strana di quanto non fosse già.

“Ehi Greene, che fai non mangi? Sei a dieta?” la prese in giro un compagno di classe sfilandogli un creckers dal pacchetto.

“Mark, lasciala stare!”

Non si aspettava che qualcuno intervenisse a difenderla, ma una ragazza dai capelli lunghi e neri e gli occhi verdi si avvicinò cacciando in malo modo il ragazzo. Era alta e slanciata, il viso spigoloso e un po’ troppo magro, ora che l’osservava bene le sembrava davvero troppo magra, era pelle ossa e il suo colorito che prima le sembrava diafano mutò in un grigio pallore.

“grazie” si affrettò a ringraziare la compagna di cui in quel momento le sfuggiva il nome, non era mia stata brava a memorizzarli ed in più era sicura di vedere quel volto per la prima volta.

“non ringraziarmi” disse sfilando una sedia per sedersi di fronte al suo banco. “divento una belva quando si tratta di cibo”.

Aveva gli occhi infossati, ma non poteva dire se ciò derivasse dalla mancanza di sonno o da altri motivi…

“ne vuoi uno?” le offrì il crakers

All’inizio storse il naso ma poi quasi per forza si costrinse a prenderne uno. “il dottore dice che devo forzarmi a mangiare… non importa cosa… purchè mangi.”

E da lì Elena capì che il discorso stava prendendo una piega insolitamente confidenziale.

“non mi sembra di averti vista spesso in classe, io sono nuova e non conosco ancora tutti.”

“Lara” disse dando un morso al biscotto salato.

“Elena o Elly se preferisci” la ragazza le sorrise di rimando.

“sono stata ricoverata in ospedale per un po’, anche se non sono molto sicura di stare del tutto bene adesso.”

“oh… mi dispiace molto”

Lara alzò gli occhi al cielo come a dire -si, dite tutti così –

“no, davvero. So cosa significa stare lontano dalle persone a cui vuoi bene” con un’occhiata si rivolse alla classe e al gruppetto di ragazze che spettegola vicino alla porta.

“è una fortuna allora che io non abbia legami con nessuno.”

Ad un trattò passò un ragazzo e si sentì un coro di gridolini e risate d’eccitazione.

“ma tu non sei come loro Elena Greene, tu sei diversa. Tu sei come me”

Non sapeva bene cosa intendesse con quella frase, aveva un’accezione positiva ma anche ambigua allo stesso tempo.

“dovresti mangiare di più” le disse porgendole il pacchetto.

“vorrei avere un buon motivo per farlo”. E le sue parole fredde e glaciali rimasero sospese nell’aria.

Aveva capito ci fosse qualcosa di diverso in lei sin dal primo momento in cui si era accostata al suo banco, adesso vedeva la situazione in maniera più distinta, era stata ricoverata perché non mangiava, senza più motivi per andare avanti aveva smesso di alimentarsi lasciandosi andare, il perché le rimaneva ignoto.

E poi, dopo quell’illuminazione improvvisa la guardò con occhi diversi, “si trova sempre un buon motivo” le sorrise con più impegno non ritraendo la mano, dopo qualche istante in cui la fissò con insistenza la ragazza cedette e prese un altro crekers.

“suppongo di si” aveva poi sussurrato mentre la campanella suonava e lei ritornava al suo banco.

Chissà perché, sentiva che era nato un legame tra lei e la ragazza dai capelli corvini, se si trattasse di amicizia era ancora troppo presto per dirlo, ma la barriera dell’estraneità era rotta… incredibile che fosse stato colpa di un crekers… Lara le aveva detto che loro due erano in qualche modo simili, si riferiva probabilmente al fatto che nessuna delle due avesse molto in comune con le loro compagne di classe ma era come se ci fosse un messaggio velato al suo interno. Quegli occhi freddi come biglie l’avevano guardata per un istante e l’avevano letta dentro come un cartellone pubblicitario, non si erano fermati ad un’analisi esteriore, l’avevano analizzata a fondo.

 

Le ore a scuola quando si hanno altri problemi a cui pensare volavano come foglie al vento, giusto il tempo di ritornare a casa e attendere pazientemente che sua madre uscisse nuovamente per il turno serale come aveva programmato e la ragazza si ritrovò nuovamente sola.

La porta della cantina si aprì con il solito cigolio sinistro, la luce si accese dopo qualche istante iniziando a generare un rumore simile ad un ronzio sommesso; Elena si mise davanti quella che doveva essere l’entrata alla botola, si piegò sulle ginocchia scrutando ogni asse con attenzione.

“a noi due” pensò sfilandosi il ciondolo dalla testa.

Nessuno l’avrebbe interrotta.

Prese un respiro profondo, poi infilò la chiave nella serratura.

Una piccola parte di lei sperò che la chiave fosse sbagliata, che aprisse qualunque altra cosa tranne quella botola, solo per avere la possibilità di buttare all’aria tutto con una semplice e banale scusa, correre via lontano e dimenticare tutta quella faccenda.

Il meccanismo prese a rumoreggiare concludendo i suoi giri con un rumoroso «Clak».

La chiave era davvero quella giusta.

Era giunto il momento per lei di affrontare le sue paure.

Dopo una breve esitazione tirò verso l’alto la pesante porta di legno, adagiando il portellone sul lato opposto del pavimento; sotto vi era il buio più totale, un pozzo nero in cui solo un folle si sarebbe calato senza una luce come guida.
Elena si sporse per vedere meglio, la catenella che teneva ancora in mano le scivolò giù, risucchiata in quel buio; nel vano tentativo di recuperarla, in una frazione di secondo si sporse per afferrarla alla cieca, ma era troppo tardi, un tonfo sordo e poi degli spruzzi d’acqua le assicurarono l’arrivo a destinazione del suo prezioso ciondolo.

Indubbiamente lì sotto vi doveva essere una fonte d’acqua, aveva chiaramente sentito il rumore di qualcosa caduto in acqua, come all’interno di una pozza.

Se prima aveva avuto qualche dubbio o incertezza, adesso era costretta a calarsi lì giù per recuperare il ciondolo e soprattutto la chiave che vi era ancora legata.

Sporgendosi si era accorta che vi era una scala in metallo che dall’ingresso della botola scendeva verso l’oscurità, “devo assolutamente recuperarla…” pensò sempre più determinata a scendere. Si alzò e iniziò a cercare in giro per la cantina una torcia, era sicura di averne vista una quando era scesa qualche giorno fa; ed eccola lì, impolverata e piuttosto vecchia, proprio sopra una mensola della scaffalatura.

Con la torcia stretta nella mano e la paura nel cuore, lentamente, gradino dopo gradino, Elena iniziò a calarsi giù nel bel mezzo dell’oscurità; lei non sapeva ancora che quella sera, laggiù sarebbero successe molte cose, e tutto grazie a quello sfortunato incidente.

 

Dopo essere scesa alcuni metri finalmente toccò il fondo, non era un pavimento, sembrava più roccia o comunque un fondo terroso, con la torcia si mosse a tentoni facendo attenzione a dove mettesse i piedi aiutandosi con la mano sinistra appoggiata alla parete; sembrava essere una grotta sotterranea, probabilmente era collegata con il mare perché poteva udire il rumore d’acqua farsi sempre più forte. Mosse qualche passo ancora in avanti, la sua mano toccò un filo e per un momento sussultò pensando potesse essere qualche animale dalla coda lunga e viscida, illuminò il punto incriminato stringendosi nelle spalle, era effettivamente un filo, bianco e lucido che indicava poco più avanti la presenza di un interruttore. L’idea che lì potesse esserci luce le fece tirare un sospiro di sollievo, mosse le dita abilmente su uno strato spesso di polvere e salsedine e lo schiacciò.

Non successe nulla.

“ovvio… figurati se qua sotto poteva esserci la luce…” si lamentò lei.

Ad un tratto un fortissimo rumore rimbombò per tutta la grotta, Elena sobbalzò dallo spavento lasciando cadere la torcia sul pavimento che si spense all’istante. Il buio l’avvolse repentinamente tutt’intorno, spaventata si chinò gattonando per cercare la torcia, quando ad un tratto le mani non trovarono più il sostegno del rigido suolo sprofondando in quella che doveva essere acqua. Per il contrappeso Elena cadde completamente dentro quella pozza, provò a puntare i piedi per darsi la spinta nella speranza che l’acqua fosse abbastanza bassa da permettergli quella manovra, ma essa si rivelò più profonda del previsto, e dopo essere risalita a galla, iniziò ad annaspare con i vestiti che la trascinavano verso il fondo. Voleva tentare di ritornare verso il punto da cui era caduta ma con quel buio non era in grado di orientarsi, non riusciva a capire dove fosse la riva.

Mentre si affannava a restare a galla, sbattè la testa contro una roccia che sbucava fuori dall’acqua facendole perdere i sensi.

“Aris” fu l’ultima cosa che pensò sprofondando in quell’abisso oscuro. Una forza misteriosa la tirava verso il basso, sempre più giù. Incosciente e senza più aria chiuse gli occhi. Stava morendo affogata, non c’era più nulla che potesse fare se non sperare in un miracolo.

Ed eccolo lì, il miracolo in cui tanto sperava, qualcosa la stava riportando verso la superficie. Non aveva neppure la forza di aprire gli occhi per tentare di capire nell’oscurità chi o cosa le stesse salvando la vita. Un tocco saldo le irradiava calore attraverso i vestiti freddi che le avvolgevano il corpo come spira affamate.

I suoi sensi erano ovattati, ma ebbe comunque la sensazione di risalire verso la superficie, sospinta da qualcosa o meglio qualcuno; il suo viso era appoggiato su qualcosa di caldo che batteva con un ritmo irregolare, sentì gridare più volte il suo nome da una voce familiare.

Una leggera pressione sulle sue labbra e poi le sembrò di acquistare di nuovo i sensi, le tenebre di quell’incubo andavano dissipandosi.

La ragazza riaprì gli occhi, la vista era confusa ma indubbiamente era a riva; Aris la teneva stretta tra le sue braccia mentre la guardava preoccupato, urlava il suo nome invano, la scuoteva ma sembrava troppo tardi; “A…AR…I..S” la sentì sussurrare il suo nome e il suo cuore fece una capriola.

La gola e i polmoni erano in fiamme, il sale le bruciava come fuoco ad ogni respiro. Il tritone dagli occhi celesti le stringeva la mano, era la prima volta che avevano un contatto così diretto, così intenso.

Nella grotta, poco alla volta si stavano accendendo lampadine poste ad una distanza regolare sulle pareti; quel forte rumore che l’aveva spaventata doveva essere il generatore elettrico che si stava accendendo dopo così tanto tempo.

Elena aprì gli occhi, era stretta tra le braccia di quel tritone, il volto adagiato sul suo petto, il cuore di lui che batteva così veloce… a malincuore e con grande fatica la ragazza si mise a sedere, non aveva capito molto bene cosa fosse successo, ma di una cosa era certa, Aris le aveva salvato la vita.

“stai bene?” la sua voce ansiosa le arrivò da sopra la sua spalla sinistra.

La bionda tossì ancora prima di annuire incerta, si sentiva debole e frastornata, ma il suo cuore si riempì di gioia quando lui si sporse per abbracciarla. Sapeva che era sbagliato, che lei non doveva amarlo, ma si arrese al suo abbraccio che l’avvolgeva protettivo sostenendola, abbandonandosi a quella dolce sofferenza.

Aveva poggiato il suo capo sul suo torace. Era la prima volta in cui avevano un contatto così ravvicinato, la ragazza ringraziò mentalmente di avere il volto nascosto dai capelli bagnati che le ricadevano sparsi sulle guance e che coprivano i suoi occhi cerchiati di rosso dal pianto e le sue gote che avevano preso ad imporporarsi del medesimo colore.

Fratello o no, si sentiva al sicuro.  

“cosa credevi di fare!” la voce di lui le arrivò severa e arrabbiata “potevi morire! Stavi affogando Elena! Stavi morendo!” una volta accertatosi che lei stesse bene iniziò la sua sfuriata, senza però accennare a sciogliere quel contatto.

Lei non rispose inizialmente, sentiva gli occhi riempirsi di lacrime, lo shock di quello che le era successo le stava piombando addosso, e non solo quello. Non lo vedeva da quel giorno sulla spiaggia in cui avevano avuto quel brutto litigio e in cui lui le aveva promesso di non rivederla mai più, com’era possibile che adesso si trovava fra le sue braccia? Era forse un sogno? Uno di quelli splendidi probabilmente, da cui non ci si vorrebbe più svegliare.

Ma da quel giorno erano passati molti giorni e le cose si erano complicate sempre di più.

“credevo che non ti avrei mai più rivisto” farfugliò con gli occhi colmi di lacrime, e sapeva che quella era la verità. “mi dispiace” disse tentando di asciugarsele prima che lui potesse capire quello che le stava succedendo.

Il tritone la guardava preoccupato, quando l’aveva vista sprofondare inerme priva di sensi gli si era quasi fermato il cuore, l’aveva afferrata e portata più velocemente che poteva a riva, era già scesa di alcuni metri e non sapeva se sarebbe sopravvissuta, e per salvarle la vita le aveva dato un bacio, sperando che quella leggenda che si tramandava sin dall’antichità secondo cui un bacio di una sirena salvasse dall’annegamento non fosse solo una storia per giovani tritoni.

“tu non hai idea della paura che ho avuto”. Le disse a voce più bassa. In fin dei conti doveva farle capire che era ancora arrabbiato con lei per quello che era successo sulla spiaggia,

Elena tossì scostandosi un poco da lui, giusto per fissarlo negli occhi. Quanto le era mancato quello sguardo profondo, “credevo non ti importasse più niente di me”.

Lui la guardò con attenzione, aveva gli occhi cerchiati di rosso e gonfi, doveva aver pianto molto… chissà se quelle lacrime erano state versate per lui…

Il ragazzo dai capelli color rame la trafisse con lo sguardo quando si ricordò di quell’altro ragazzo “hai già chi si preoccupa per te… ciò non significa che io non mi preoccupi ugualmente se commetti delle stupidaggini”.

Elena strinse la sua mano cercando il suo sguardo che era diventato sfuggente “io e quel ragazzo non stiamo insieme” il suo tono era sommesso, Aris non capì se fosse triste per lui, e ricondusse l’origine delle sue lacrime a quell’amore non corrisposto. “Sarebbe uno stupido a non volerti” gli sfuggì di bocca prima di poter pensare.

Lei lo guardò con aria interrogativa “cosa vuoi dire?” un brivido le percorse la schiena.

“niente di più di quello che ho detto… mi sembra abbastanza chiaro” le sue guance si imporporarono di quello che sembrava un velato imbarazzo, non l’aveva mai visto reagire in quel modo, che lui provasse qualcosa per lei…?

Lacrime calde iniziarono a sgorgare dai suoi occhi. Lui sollevò lo sguardo e le sorrise impacciato, a quel punto non avevano importanza le parole, lui le aveva fatto capire che era ovvio, il motivo per cui si era arrabbiato quella volta, il motivo per cui le aveva salvato la vita, anche lui provava qualcosa per lei e quella consapevolezza di essere ricambiata le spezzò il cuore.

Aris l’attirò nuovamente a sè affondando il viso nei suoi capelli biondi. “se ti avessi perso non me lo sarei mai perdonato”.

El si scostò un momento per guardarlo negli occhi “tu…” il tritone l’interruppe “non m’importa delle regole, al diavolo tutto!” dopodiché fece congiungere le loro labbra.

***

Ebbe un momento d’esitazione, non si aspettava quel gesto così all’improvviso, il suo istinto di fuggire lontano l’aveva portata a ritrarsi leggermente, ma ormai era troppo tardi, le loro labbra come due magneti si erano congiunte. Baciarlo era la cosa più bella che avesse mai provato, tutta quella paura dell’ignoto, del suo primo bacio, improvvisamente scomparvero per fare prendere il posto a quel calore che sentiva crescere dentro. Ma il ragazzo a cui era stretta, e che la stava baciando era suo fratello e non era giusto. Si destò dal torpore in cui era piombata e per quanto bello fosse dovette fermarsi e scostarlo da lei. Lo allontanò da sé mentre riprendeva fiato imbarazzata ed impaurita, sul volto di Aris comparve uno sguardo confuso.

“non… non possiamo” Da quando aveva trovato quella foto si era sempre chiesta se lui ne fosse a conoscenza, conoscesse il grave ostacolo alla loro relazione.

“lo so” lui abbassò lo sguardo.

“allora lo sai?”

“certo che lo so… siamo un tritone ed un umana, chiunque se ne accorgerebbe” le sorrise. “ma se tu provi gli stessi sentimenti che provo io non m’importa di infrangere le regole.” Le disse determinato.

Elena scosse la testa, per quanto belle fossero le sue parole, per quanto lei l’amasse, toccava a lei informarlo di quella notizia, proprio adesso che sentiva che si sarebbero potuti riappacificare che tra di loro le cose sarebbero potute funzionare, stava sorgendo un altro ostacolo, questa volta insormontabile.

“no Aris, non è questo” le lacrime ripresero a sgorgarle dagli occhi, lui le portò una mano sulla guancia e asciugò con le dita quelle che vi si posavano.

La guardò pensieroso, impaziente di conoscere i pensieri che tanto la turbavano.

“Noi siamo fratelli”

 

 

  
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