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Autore: Tigre Rossa    11/11/2015    4 recensioni
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
Sfioro la sua guancia per quella che, lo so, sarà per lungo tempo l’ultima volta.
Il mio piccolo mezzuomo chiude gli occhi e, perdendosi in quella carezza fugace, mi stringe la mano tra le sue, cercando di far durare quel flebile contatto il più a lungo possibile, prima che l’oblio ci separi.
‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’
Sussurra, la voce spezzata di chi ha smesso di sperare.
Incapace di sentirlo parlare in questo modo, gli sollevo delicatamente il mento con due dita ed aspetto che riapra esitante quei grandi occhi blu di cui mi sono innamorato.
‘Posso, invece.’
Mormoro dolcemente, affidandogli il mio giuramento.
Non lo perderò, non più, mai più.
‘Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’
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Reincarnation AU-Bagginshield
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6- Seconde possibilità sul palmo di una mano

 

 

 

 

“E dimmi che un giorno ci ritroveremo. Dimmi che ritorneremo, magari anche più invincibili di prima. Dimmi che ancora non è finita, dimmelo amore mio.”

 

-          Il giovane Holden

 

 

 

‘Mio cugino più giovane è tornato un paio di mesi fa, più o meno, da un lungo servizio in Afghanistan.’

 

 

 

Accanto a me, l’uomo dai capelli color della notte si alza, lo sguardo fisso sul grande orco pallido, ed il mio cuore resta senza battiti.

 

Lo seguo con gli occhi mentre avanza, fiero e senza paura, tra le fiamme, la sua spada stretta in una mano ed un ramo di quercia nell’altra, simile ad un eroe leggendario il cui nome è stato smarrito nei secoli.

 

Veloce, sempre più veloce, corre contro il nemico sotto i nostri sguardi intimoriti, e tutti noi tratteniamo il fiato quando vediamo il bianco lupo e il mostro dal cuore di tenebra saltargli addosso.

 

Il mondo attorno a loro trema, mentre il guerriero dagli occhi di ghiaccio si rialza con fatica, ma deciso a non cedere, ma viene ributtato a terra da un violento colpo di mazza.

                                                                                                                                   

Una voce, alle mie spalle, grida anche per me, ormai senza più fiato.

 

Mi alzo in piedi sul legno instabile, le labbra strette tra loro, e trattenendo un gemito quando sento l’urlo di dolore dell’uomo dai capelli corvini, stretto nelle mandibole possenti di quel lupo albino.

 

Qualcuno prova a sollevarsi, ad intervenire, ad andare in suo aiuto, ma non può, e nella sua voce sconfitta che grida il suo nome sento tutta la disperazione che mi sta straziando l’anima.

 

Il lupo lo agita in aria, le sue zanne che penetrano ancora di più nelle sue carni, per poi lanciarlo contro un masso e lascialo lì, stordito ed indifeso.

 

L’orco si rivolge ad uno dei suoi seguaci, e sibila in quella lingua maledetta una frase che può avere un solo significato, che diventa anche fin troppo chiaro quando quell’ultimo si avvicina a lui, l’arma che brilla di una luce malvagia stretta in pugno.

 

Prima che possa pensare lucidamente, la mia mano corre all’elsa del mio piccolo pugnale, che estraggo senza esitazione.

 

No.

 

Prendo un respiro, mentre quell’orrida creatura gli poggia con gioia maligna la lama sulla gola, che poi solleva in aria per sferrare il suo attacco letale.

 

I miei piedi si muovono senza bisogno di alcun comando, mentre la lama brilla malvagia nella notte, promessa di morte e di buio, e brilla nei suoi occhi ancora pronti ad un’ultima resistenza, e non alla sconfitta.

 

Non posso guardarlo morire.

 

Non posso!

 

E con questo pensiero, mi lancio contro la creatura che ha avuto l’arroganza di sfiorarlo.

 

Lo butto a terra con me, e quando prova ad attaccarmi grido con una rabbia finora sconosciuta e rispondo con la mia spada, per poi salire su di lui e piantargliela dritto nel cuore, rubandogli l’ultimo grido della sua vita infame.

 

Mi rialzo, la mia arma sporca di sangue fermamente stretta in mano, e con un ringhio mal trattenuto mi posiziono davanti al corpo senza forze dell’uomo dai capelli color della notte, frapponendomi tra lui ed un branco di lupi ed orchi che aspettano solo di saltargli alla gola.

 

Non l’avranno.

 

Non avranno Thorin.

 

Dovessi proteggerlo con la mia vita, non gli permetterò di portarmelo via.

 

Mai.

 

 

‘Ah, forse ci sarà anche lo zio. L’ho invitato, oggi pomeriggio, e stranamente sembrava propenso a venire.’

 

 

Il mio cuore è stretto in una morsa dolorosa, mentre guardo l’uomo dai capelli corvini osservare l’orizzonte scuro con lo sguardo di chi si è smarrito molto, troppo tempo fa.

 

Mi avvicino piano a lui, e la voce mi esce incerta dalle labbra, nel certo inutile tentativo di raggiungerlo lì dove si trova ora.

 

“Thorin?”

 

Egli resta in silenzio per un attimo, ma poi lentamente si volta verso di me, l’accenno di un sorriso sul volto stanco e teso.

 

“Bilbo.”

 

Pronuncia il mio nome, solo il mio nome, come fa di raro, quando siamo soli, e dentro di me un piccolo pezzo d’anima trema.

 

“Credevo fossi addormentato da tempo, ormai.”

 

Il suo sguardo mi trafigge, ma è come se lui non fosse realmente qui, come se fosse altrove, in un altro tempo, in un altro posto.

 

“No, a dire il vero io, io… tu, sembri pensieroso, ed io . . . io volevo solo sapere se è tutto a posto.”

 

Balbetto, mentre un grande calore mi avvolge le orecchie e mi pizzica le guance.

 

Lui sbatte le palpebre, una volta, due, tre volte, e finalmente sembra aver messo a fuoco il mondo che ci circonda.

 

Muove appena la testa, in un cenno che non so interpretare.

 

“Sto bene.”

 

Mormora, la voce bassa e così dannatamente lontana.

 

Faccio un passo in avanti, improvvisamente senza più imbarazzo o timore.

 

“No, non è vero.” obbietto, il cuore che batte come un tamburo impazzito “Tu non stai bene. Non ora, almeno. Il tuo corpo è qui, ma la tua mente è altrove, persa nei giorni lontani che non hai mai abbandonato, e la tua anima corre verso la Montagna, spinta dal desiderio di ciò che è andato perduto e che mai hai smesso di desiderare. Non stai bene, Thorin, e non devi fingere il contrario. Non con me, almeno.”

 

Lui mi guarda come se fossi impazzito, ma dura solo per qualche momento. Poi, la sua maschera cade, e posso leggere nei suoi occhi la profondità del suo dolore.

 

Mi avvicino piano a lui, e dopo un istante di esitazione gli afferro la mano e la stringo forte tra le mie.

 

“Resta qui.”

 

Gli sussurro, senza mai staccare gli occhi dai suoi, confusi e persi.

 

“Il passato è passato, ormai. Non inseguirlo. Resta qui con noi. Resta qui con me.”.

 

Lui mi guarda, mi guarda a lungo, e pian piano l’ombra che gli oscura lo sguardo scompare, e la mano libera sale a posarsi sulle mie.

 

Sussurra lentamente, avvicinandosi ancora di più a me, tanto che i nostri respiri finiscono per mischiarsi.

 

“Sono qui.”

 

 

‘E questo, zio, è il famoso Bilbo Baggins!’

 

 

“Thorin..”

 

L’uomo dai capelli corvini si volta verso di me e mi scruta con i suoi occhi color del ghiaccio, che come sempre mi fanno tremare dentro.

 

“Mastro Baggins.”

 

Risponde, studiandomi con lo sguardo e facendosi più vicino.

 

Stringo tra le mani con più forza la ciotola che porto con me, per poi porgergliela in un gesto orami familiare.

 

“Ti ho portato la cena. E’ da quando siamo arrivati qui che non tocchi cibo e ho pensato, beh, che avessi fame.”

 

Lui fa scorrere lo sguardo da me alla zuppa fumante che gli ho offerto, per poi riportarlo sul mio viso.

 

“Ti ringrazio, ma non ce n’è bisogno. Sto bene così.”

 

Dice, mentre un riflesso dell’antico calore gli illumina per un attimo il volto.

 

“Non dire stupidaggini, non puoi stare bene. Non mandi giù qualcosa di decente da giorni.” obbietto seriamente, sbruffando “Devi mangiare, Thorin. Hai bisogno di tutte le tue forze, in questo momento.”.

 

Il guerriero aggrotta la fronte “Non posso perdere tempo con qualcosa di così poco importante come il cibo, ora. L’arkengemma . . .“

 

Il gelo mi attraversa il cuore, mentre quella maledetta pietra sembra diventare ancora più pesante all’interno della mia tasca.

 

Ancora l’arkengemma. Sempre l’arkengemma.

 

“L’arkengemma non va da nessuna parte, Thorin. Se è in questa Montanga, la troveremo presto. Stiamo cercando tutti, giorno e notte, in ogni angolo di Erebor. Ma certo tu non faciliterai le cose se ti rifiuti di mangiare e poi cadi a terra come un sacco di patate.”

 

Lui mi lancia uno sguardo a metà tra l’irritato ed il divertito.

 

“Io non cado a terra come un sacco di patate, Bilbo.”

 

Obbietta, gli angoli delle labbra atteggiati in un principio di una risata trattenuta.

 

“Ma succederà, se ti ostini a non mangiare. Che devo fare per convincerti, imboccarti io stesso?”

 

Sbruffo, alzando gli occhi al cielo e fingendo un faccia da esasperazione, nemmeno troppo finta tra l’altro.

 

Il principe dagli occhi di ghiaccio mi osserva per qualche secondo, per poi domandare con aria quasi dolcemente sorpresa “Ti interessa così tanto la mia salute?”

 

Quella domanda mi prende alla sprovvista.

 

“Co . . .? Certo che la tua salute mi interessa, andiamo! Insomma, io . . . Perché non . . . oh, lasciamo stare.”

 

Scuoto la testa, imbarazzato e confuso, mentre le gote iniziano a pizzicarmi.

 

“Senti, facciamo così: tu mangi con calma la zuppa e io vado a vedere come vanno le ricerche e mi fermo a dare una mano, d’accordo?”

 

Tento, cercando almeno di ottenere il mio obbiettivo con questo compromesso.

 

Lui storce la bocca, ma poi allunga la mano ed afferra ciotola e cucchiaio.

 

Sorrido vittorioso e faccio per andarmene, ma la sua voce profonda mi blocca.

 

“Resta qui.”

 

Mi volto verso di lui, certo di non aver capito.

 

“Cosa?”

 

“Resta qui” ripete il guerriero, afferrando il cucchiaio e prendendo un po’ di zuppa “Gli altri non hanno bisogno del tuo aiuto nelle ricerche. Hai fatto già più di quanto dovessi, per tutti noi.”

 

Mi regala un piccolo sorriso, e per un attimo mi sembra di rivedere il mio Thorin, quel Thorin che non vedevo più da quando siamo entrati in questa maledetta Montagna.

 

Ed il mio cuore si spezza un altro po’.

 

 

‘P-piacere di c-conoscervi, signor . . .’

 

‘…Durin.’

 

 

Un vecchio dalla lunga barba bianca si avvicina piano a me, tormentandosi le mani rovinate quasi con ansia.

 

“Allora?”

 

Domanda, preoccupato.

 

“Sono riuscito a convincerlo a mangiare la zuppa. Ho provato a mandarlo anche a dormire, dopo, ma ha detto che riposerà solo quando le ricerche saranno ultimate.”

 

Spiego con un pizzico di tristezza, stringendomi nelle spalle.

 

Lui sospira, un po’ sollevato.

 

“Almeno sei riuscito a farlo mangiare. Ormai erano tre giorni che non toccava cibo.”

 

“Lo so.” commento con fatica, mordendomi il labbro.

 

L’anziano deve notare il mio sconforto, perché mi posa una mano sulla spalla.

 

“Hai fatto più di quanto siamo riusciti tutti noi messi insieme in questi lunghi giorni. Tu sei l’unico che ancora riesce a farlo ragionare ed a toccare il suo cuore, ormai. Sei una benedizione, Bilbo. La nostra unica, piccola luce in queste ora di oscurità.”

 

Commenta con dolcezza, tentando di tirarmi su.

 

Abbasso lo sguardo e stringo con forza i pungi, mentre la mia mente torna agli occhi dell’uomo dai capelli corvini, più freddi e lontani che mai.

 

“Vorrei solo fare di più, Balin. Vorrei . . .”

 

La voce mi si spezza, ma lui annuisce, cogliendo anche quelle parole chiuse nella mia gola e troppo dolorose per riuscire ad uscire.

 

“Lo so, ragazzo. Lo vorremmo tutti.”

 

 

‘Dunque, questo è lui.’

 

 

‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’

 

La sua mano mi sfiora dolcemente la guancia, e io la copro con le mie, cercando di trattenerla con me il più a lungo possibile.

 

‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’

 

Una lacrima mi scivola via dal cuore.

 

E’ una lacrima di sangue.

 

I suoi occhi color del ghiaccio mi trafiggono per l’ultima volta.

 

‘Posso, invece. Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’

 

 

Mi sveglio di soprassalto, il cuore che batte come un tamburo impazzito ed il respiro affannoso, mentre davanti ai miei occhi continua a bruciare quello sguardo che fino a pochi secondi fa mi attraversava l’anima.

Nell’aria rimbombano con ironica allegria le note della mia suoneria, ma io resto a fissare il vuoto ed a cercare di calmarmi fino a quando non diventano troppo fastidiose per essere ignorate.

Mi alzo dal divano, facendo cadere almeno tre decine di fogli, cinque o sei penne nere e blu ed un blocchetto degli appunti, per poi arrancare fino alla poltrona dove il mio cellulare continua implacabile a suonare.

Lo afferro e sblocco lo schermo, per poi ritrovarmi davanti la faccia sorridente di un ragazzo che mi fissa con aria quasi complice e sotto un nome che lampeggia fino a far male agli occhi.

Alzo lo sguardo al cielo ed accetto con un sospiro la chiamata.

“Kili.” gemo mentre mi passo una mano sulla faccia, il principio di un’emicrania che inizia a farsi sentire.

“Allora sei vivo!” esclama la voce squillante del giovane Durin dall’altra parte del telefono “Sono secoli che busso alla porta, ti credevo a terra con la testa spaccata.”

“Non sono mo- aspetta, sei fuori dalla porta?” domando confuso, mentre tra me e me mi domando se addormentarmi durante i mie tentativi di scrittura stia diventando un’abitudine.

“Si, ed a proposito, ti dispiacerebbe aprire? Dopo venti minuti passati a fissarla, la tua interessantissima porta sta diventando abbastanza antipatica e potrei finire per prenderla a calci.” sbruffa il ragazzo, e posso immaginarlo con chiarezza tirarsi indietro i lunghi capelli scuri per lanciare uno sguardo assassino in direzione del mio ingresso.

“Ok, arrivo.” chiudo la telefonata e vado alla porta, dove mi ritrovo un vispissimo e giusto un po’ infreddolito Kili che mi saluta con uno strillo – Dio, perché i miei amici hanno tutti questa propensione al gridare?- e si infila dentro casa senza nemmeno aspettare un cenno da parte mia.

Sospiro e richiudo l’uscio, mentre l’adolescente si precipita in salotto, dove fa un fischio di ammirazione.

“E poi Fili dice a me che sono disordinato!” esclama, indicando il mio divano ed il tavolino, ricoperti di fogli, appunti e quaderni “Tu mi batti alla grande, amico.”.

Arriccio l’angolo delle labbra nel fantasma di un sorriso  “E’ solo il casino pre-stesura.” spiego “Il resto del tempo la mia casa splende di pulizia ed ordine.”.

“Si, ed io ci credo.” si butta sulla poltrona, per poi lanciarmi uno sguardo confuso “Ma perché, stai scrivendo? Balin non ti aveva dato un periodo di pausa, una volta tanto?”.

Mi mordo l’interno della guancia. Ecco il problema di avere la maggior parte dei propri amici che fanno parte della tua vita lavorativa; sanno tutto quello che vorresti nascondere.

“Si, ma preferisco sfruttare questo tempo per buttare giù qualcosa.” rispondo quasi con esitazione “E poi non so stare con le mani in mano.”.

Non è questo il vero motivo, e io lo si bene. Ma non è importante, non ora.

Kili fa una smorfia, ma non mi contraddice “Come preferisci. Ah.” si toglie il borsellino di pelle che porta addosso e inizia a trafficarci “Stavo per dimenticarmelo ... sono venuto a riportarti questo da parte di mamma. Si scusa per non avertelo restituito di persona, questa volta, ma aveva un altro impegno importante.”.

Estrae dalla minuscola borsa un ancora più piccolo romanzo, che riconosco come la mia copia di ‘Coraline’, e me lo porge.

“L’ha finito solo ora?” domando incuriosito, afferrando sorpreso il volume “Glielo avrò prestato come minimo due settimane fa. Di solito divora libri grandi come grattacieli alla velocità della luce.”.

“Lo so, ma sta avendo molto da fare a casa ed a lavoro, ed ha poco tempo per letture di diletto.” solleva gli occhi al cielo, seccato “Non fa che lamentarsene. Comunque, come ti è sembrata la festa, ieri? Ti sei divertito?” domanda di nuovo allegro.

 

Al pensiero di ieri sera, e soprattutto di chi ho incontrato ieri sera, mi corre un brivido lungo la schiena. E’ da quando sono uscito dal locale di Gloin, la scorsa notte, che non ho smesso di pensarci.

Quel volto. Quegli occhi. Quel nome.

 

Thorin Durin.

 

Ieri sera ho incontrato l’uomo dei miei sogni. Oddio, detto così sembro una qualche sedicenne depressa e con gli ormoni a mille che ha letto troppe volte ‘Romeo e Giulietta’, ma è davvero così. Ieri sera ho incontrato l’uomo che continuo a vedere ogni volta che mi addormento, ogni singola volta che chiudo gli occhi.

 

E, come al mio solito, ho rovinato tutto dando retta alla mia solita testa calda.

 

Bravo Bilbo, davvero bravo. Beh, bisogna dire che non è che lui si sia comportato tanto meglio di me. Quel commento se lo poteva davvero risparmiare.

Però .  . .

 

 

“S-si, è stata carina.” esito, incerto se osare o meno. Mi basta ripensare a quegli occhi color del ghiaccio per decidermi  “A proposito, quell’uomo che mi avete presentato ieri . . .”

Lascio la frase a metà, ma sembra quasi che Kili abbia aspettato quella domanda da quando ha messo il piede in casa, perché i suoi occhi si illuminano di quella luce maliziosa che ho imparato ad associare alla parola ‘guai’ e le sue labbra si piegano in un sorrisetto furbo.

“Ah, era mio zio Thorin.” fa in un finto tono indifferente “Dubito che io o Fee te ne abbiamo mai parlato, a dire il vero.”.

Scuoto la testa “No, non l’avete mai fatto.” Altrimenti me lo ricorderei. Oh, se me lo ricorderei.

Lui annuisce “Beh, sai che non parliamo molto della nostra famiglia. Comunque è il fratello minore di mamma e zio Frerin. E’ un capitano, sai? O meglio, era un capitano.” Il suo viso si scurisce un po’, ed i suoi occhi diventano malinconici, il che fa quasi paura, visto che si tratta di Kili, il sempre allegro e spensierato Kili, la risata vivente, il sorriso che cammina, il luminoso e semplicemente Kili.

“Cosa è successo?” domando, quasi con paura di chiedere troppo.

Il ragazzo si stringe nelle spalle “Si è lanciato davanti ad un novellino per proteggerlo durante un attacco a sorpresa, prendendosi una pallottola dritto nel fianco. Si è salvato miracolosamente, ma le sue condizioni di salute non sono molto buone, e così l’esercito l’ha rispedito a casa.” Stringe le labbra in una smorfia mal trattenuta, per poi sospirare “Non l’ha presa molto bene. Nessuno di noi l’ha presa bene. Ma la vita va avanti, no?”

Annuisco, mentre dentro di me inizio a collegare i puntini. Le parole di Balin. La sua aria severa e quasi fuori posto quando è entrato ieri sera. Il suo portamento militare. Il taglio di capelli corto e curato. Le piastrine, al loro posto ancora dopo settimane dal congedo.

Kili si passa una mano tra i capelli, prima di fare un sorrisetto e continuare “Comunque scusalo per ieri, ma vedi, lui tratta così tutti. Non è mai stato molto socievole, nemmeno prima di entrare nell’esercito. Dopo che è stato rimandato qui poi, non ne parliamo. Ha ridotto i contatti umani a quelli strettamente necessari, parla a monosillabi ed esce solo per i controlli all’ospedale, trascinato dalla mamma e da me e Fili. Credo che quella di ieri sera sia stata la prima vera uscita da quando è ritornato. Dwalin l’ha dovuto praticamente trascinare in macchina.”.

Ah.

“Io ... non importa, anzi, f-forse ho esagerato a prendermela così tanto.” borbotto, mentre nuove vergogna ed imbarazzo si aggiungo a quelle che mi porto dietro dalla sera precedente.

“Oh no, hai fatto bene.” ribatte il ragazzo allegramente, finalmente di nuovo sereno “E’ rarissimo trovare qualcuno capace non solo di tenere testa allo zio, ma anche di zittirlo. Io e Fili non riuscivamo a credere alle nostre orecchie! A proposito . . .” e si, quel sorrisetto che gli si è appena formato sul volto promette male, molto male “E’ strano che tu abbia chiesto di lui.”.

“Perché?” domando, aggrottando la fronte.

Il suo sorriso diventa ancora più grande “Perché lui ha chiesto di te, stamattina.”.

Il mio cuore perde un battito “C-come?” chiedo, certo di aver capito male.

“Mentre facevamo colazione, ci ha domandato se ‘il signor Baggins’ se l’era presa davvero così tanto per il suo commento di ieri. “ spiega, mentre gli occhi gli brillano. “Aveva una faccia tesissima e degli occhi da cucciolo bastonato. Da come ce l’ha chiesto, sembrava che fosse una questione di vita o di morte. Non l’ho mai visto… beh, in quel modo.”.

 

Non riesco a crederci. Lui . . . lui ha chiesto di me. Voleva sapere se me l’ero presa per ieri.

Lui ha chiesto di me.

Di me.

 

“Davvero?” mormoro, non riuscendo a credere alle miei orecchie.

L’adolescente annuisce, con un sorriso che va’ da un orecchio all’altro, stile Stregato di Alice nel Paese delle Meraviglie. O Joker di Batman, forse. Si, è molto più simile a Joker. Ha lo stesso sguardo che promette male. Molto, molto male.

“Mm-mm. Noi gli abbiamo detto che forse, sul momento, si, perché sei abbastanza suscettibile sul tuo lavoro –non guardarmi così, è la verità-, ma che probabilmente entro poco tempo ti saresti dimenticato tutto. E lui ha sospirato. Sospirato. Lui non sospira mai.” Mi lancia un sguardo a metà tra il complice, lo stupito ed il malizioso “Abbiamo fatto colpo, eh?”.

Le guance iniziano a pizzicarmi, e io mi passo imbarazzato una mano tra i capelli “M-ma cosa dici? Ci siamo a malapena rivolti la parola. Per insultarci, poi.”.

Il ragazzo annuisce “Già, e so quanto ti da’ fastidio avere cattivi rapporti con qualcuno. E credo proprio che in questo caso anche il nostro particolare qualcuno voglia una seconda chance.”.

Aggrotto la fronte, confuso “Che cosa vuoi dire?”.

Lui sorride di nuovo “Solo che, a volte, bisogna iniziare una seconda volta per far si che le cose vadano per il verso giusto.” I suoi occhi parlano più delle sue labbra, e la mia anima trema un po’ a quello che mi sta proponendo.

Kili si alza, stiracchiandosi appena “Beh, io vado a casa, ora.” borbotta, rinfilandosi il borsellino, per poi voltarsi verso di me e lanciarmi un ultimo sguardo pieno di aspettativa.

 

Io rimango in silenzio per un attimo, la mente confusa e divisa tra le due diverse strade che mi si stanno aprendo davanti. Le mie due possibilità. Le vaglio attentamente per qualche secondo, il mondo immobile assieme al mio respiro, ma mi basta un battito del cuore e il ricordo di quei pochi istanti in cui i nostri occhi si sono incontrati, per spingermi verso quella che, in realtà, dentro me è stata sempre l’unica vera opzione.

 

‘Bilbo . . .’

 

Mi alzo di scatto, stringendomi forte le mani.

“Aspetta.” rispondo, la voce insolitamente ferma “Vengo con te.”

 

 

o0O0o.

 

 

“Thorin?”

 

Una voce mi riscuote dai miei pensieri, ed io alzo appena lo sguardo su mia sorella Dis, che mi osserva con aria interrogativa.

”Cosa?” domando, costringendomi a prestarle attenzione.

Lei sbruffa, alzando per un attimo gli occhi scuri al cielo e tirandosi indietro un ciuffo ribelle di capelli biondi sfuggito alla lunga coda ”Si può sapere che cos’hai? È tutto il giorno che sembri perso in un mondo tuo.” commenta, con quel tono che da adolescente tanto mi infastidiva e che non è da meno ora.

Scuoto appena la testa “Non è niente.” rispondo freddo, mentre la mia mente ritorna inevitabilmente ad un paio di occhi blu scuro e un nome dal suono familiare, le cause della mia distrazione.

 “Certo, e io ci credo.” si mette ad armeggiare con la sua borsa, alla ricerca delle chiavi di casa, senza aggiungere altro.

Fin da quando eravamo piccoli è sempre stata lei l’unica capace di vedere attraverso la mia armatura d’acciaio e leggermi dentro, ma quando non voglio assolutamente parlare di qualcosa è inutile tentare di farmi cambiare idea, e lei lo sa anche fin troppo bene.

E quello che è successo ieri sera non è assolutamente qualcosa di cui mi va di discutere.

Deglutisco, mentre il mio pensiero si rivolge ancora agli eventi della sera precedente.

 

 

‘E questo, zio, è il famoso Bilbo Baggins!’

 

 

Dio, se avessi saputo che, che . . . oh, ma chi voglio prendere in giro.

Sapevo che avrei trovato lui lì.

Lo sapevo.

È per questo che mi sono fatto convincere da Fili a considerare la sua proposta di raggiungerlo a quella maledetta festa. È per questo che alla fine mi sono fatto trascinare da Dwalin fino a quel dannatissimo locale.

Per questo.

Per trovarlo, finalmente.

Per poterlo vedere.

Per poterlo incontrare.

Per poter sentire la sua voce.
Per poter sfiorare con i miei i suoi occhi.

 

Per lui

 

Semplicemente per lui.

 

Un sospiro mal trattenuto mi sfugge dalla gola, attirando l’attenzione di mia sorella, di cui però fingo di non vedere lo sguardo pieno di parole e sospetti

 

Era lì.

Era veramente lì, dopo settimane passate a vederlo nei miei sonni e in rapidi riflessi durante il giorno, era lì, davanti a me.

Dopo tanto tempo, finalmente era davanti ai miei occhi, vivo e concreto e reale, così vicino che se solo avessi alzato la mano avrei potuto toccarlo.

Era davanti a me, lo sguardo pieno di aspettativa, come se sapesse, come se anche lui avesse aspettato tanto.

Ed io ho rovinato tutto, come al mio solito.

Quel commento incontrollato e senza senso, sfuggito dalle mie labbra quasi contro la mia volontà, per paura, per ansia, per cosa io non lo so, ha spezzato quel momento, e per un attimo ho potuto vedere lo stupore, il dolore ed infine la rabbia riflettersi in quegli occhi blu che la mia mente ha impresso a fuoco dentro, prima che mi rispondesse con voce ferma e poche parole ed andarsene, lasciando il vuoto sia fuori che dentro me.

 

Un breve rumore mi ritrascina quasi benevolmente al presente, e mi ci vuole qualche secondo per realizzare che Dis ha finalmente trovato le chiavi ed aperto la porta, e mi sta fissando in attesa che mi decida ad entrare.

Facendo finta di niente mi infilo con aria seria nell’appartamento, fortunatamente vuoto, ed alle mie spalle sento la porta chiudersi.

Inizio a sfilarmi la giacca, mentre mia sorella si butta con aria noncurante sul grande divano al centro del salotto, e si scioglie i capelli con un sospiro.

 

Le lancio uno sguardo a metà tra l’infastidito e l’affettuoso.

 

Anche adesso, con due figli ormai grandi ed una grande fama di critica letteraria alle spalle, oltre ad una serie di lutti che porta stretti nell’anima come se fossero tesori preziosi da custodire e proteggere, Dis sembra la ragazzina libera e spumeggiante dei miei ricordi.

Bellissima ed intelligente, con quel suo cervello da genio che si ritrova, i lunghi capelli biondi, il sorriso sarcastico e quegli occhi da aquila, è sempre stata considerata la principessa della nostra famiglia. Una principessa guerriera, ovvio.

Da piccola faceva a botte con i bulletti della scuola, mandandone a casa piangendo la maggior parte, frequentava corsi di difesa personale e se ne fregava altamente di tutte quelle cose che interessavano alle sue coetanee, come i fiori, le fatine o i vestiti. Da adolescente girava in motorino, studiava ad un college per cervelloni e passava il suo tempo libero ad insegnare a me ed a Frerin le basi della lotta, per poi accompagnarci ogni pomeriggio a lasciare dei fiori sulla tomba della mamma.

Poi, quando nostro padre scomparve, Dis abbandonò il titolo di principessa, per essere esclusivamente una guerriera.

Lottò a lungo per avere la custodia mia e di Frerin, prese a fare due lavori allo stesso tempo e la notte, quando Balin e Dwalin davano una mano a finire le faccende ed a tenere d’occhio noi due, si metteva sui libri per andare avanti con gli studi.

Alla fine, terminato il college con il massimo dei voti, iniziò a lavorare nella casa editrice dei nostri cugini e su vari giornali e quotidiani con articoli di critica, ed iniziò rapidamente a farsi un nome.

Divenne la famigerata Dis Durin, il terrore degli scrittori, l’esigente critica letteraria che, con arguzia ed un pizzico di ironia, riusciva a scovare i veri capolavori dalla massa di opere di poco conto, gettando nell’ovvio e nello scontato le altre e distruggendo intere carriere per portare alla luce gli autori che davvero contano.

Certo, una vita del genere, con una carriera bella ma complicata, due fratelli ancora giovani a casa e due figli piccoli arrivati da poco, più un marito assente sposato a poco più di vent’anni, non era facile.

Ma lei sembra fatta per le cose difficili.

Anche adesso, sembra soltanto una normalissima giovane donna appena tornata da una mattinata noiosa, e non una che sta cercando di riprendersi dall’ennesimo colpo basso di questa guerra chiamata vita.

 

“Allora” fa, stiracchiandosi “non è andata molto male, no?”

Aggrotto la fronte “Definisci ‘non molto male’, prego.”.

Lei alza gli occhi al cielo “Come sei drammatico. Andiamo, il medico ci ha dato solo belle notizie.”

“Il suo alito puzzava ancora di alcool.” obbietto quasi con astio, incrociando le braccia “Non so quanto le sue belle notizie siano affidabili.”

“Oin avrà anche bevuto, ieri sera, ma è stato professionale ed attento come sempre, ” ribatte fredda, lanciandomi un’occhiata di ammonimento. “ La situazione è sotto controllo, i valori sono stabili anche se la conta dei globuli bianchi è ancora molto bassa, soffri di debolezza persistente ma superabile e le tue possibilità di recupero sono sempre più rosee. Cosa vuoi di più?”

Cosa voglio di più?

Vorrei non essermi mai ritrovato in questa situazione.

Vorrei che quella maledetta pallottola avesse fatto bene il suo lavoro.

Vorrei essere morto sul campo, quando ancora ero me stesso e non ridotto ad una semplice ombra.

Ecco cosa voglio.

Trattengo a stento un ringhio e resto in silenzio, le mani strette forte a pungo e le parole non dette bloccate a metà strada tra cuore e gola, ma a Dis basta uno sguardo dei suoi occhi d’aquila per capire.

Sospira, il volto teso “Lo sai che, se ti curi bene e se la situazione continua a migliorare, c’è ancora una possibilità di poter fare ritorno nell’esercito.”.

Se gli sguardi potessero uccidere, adesso mia sorella sarebbe stesa per terra in una pozza di sangue, una pozza di sangue pericolosamente grande “Lo sai che è una possibilità praticamente impossibile. I medici sono stati chiari.” ribatto con voce tagliente, mentre le parole di quei demoni vestiti di bianco mi tornano alla mente, crudeli come pugnali.

 

 ‘La sua salute è irrimediabilmente compromessa. Il suo sistema immunitario non sarà mai più come quello di una volta, così come le sue abilità, e la debolezza sarà una costante nel suo corpo.’

 ‘Purtroppo, alla luce di questa nuova situazione, per lei anche un paio di giorni sul campo di battaglia sarebbero fatali.’

 ‘Mi state dicendo che non potrò . . . non potrò più combattere.’.

 ‘Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo.’

 

“Anche troppo chiari.” concludo, le unghie così conficcate all’interno del mio palmo da farmi male.

Dis scuote la testa “Forse. Ma Oin ha detto che, se il tuo sistema immunitario risponde bene alle cure e riuscirai a rimetterti in forze, potresti ritornare al tuo stato normale di salute, e da lì, tentare di essere riarruolato. Ma se continui a deprimerti ed a ripeterti che non c’è alcuna possibilità di guarigione e di ritornare alla tua vecchia vita, questa evanescente e remota possibilità diventerà sul serio impossibile.”.

Trattengo a stento un moto di stizza.

 

È da quando sono tornata che, fedele al suo ruolo di brava sorella maggiore, continua a ripetermi questa specie di favola della buonanotte per convincermi a seguirla tra medici, centri ed ospedali, a perdermi tra nutrizionisti e farmaci, a tirarmi avanti un giorno dopo l’altro. Continua a fare forza su questo mio desiderio di ritornare a prima, ma non capisce che quel prima non esiste più.

Lei non vede, non può vedere.

Lei non può, perché lei, per sua fortuna, non è me.

Non sa che questo mio corpo, che vede come una macchina semplicemente un po’ rovinata e da riparare, ormai non mi appartiene più. Non sa che, anche se venisse aggiustato, non potrei comunque ritornare, perché l’esercito non prende mai gli scarti, soprattutto quelli creati da lui stesso. Non sa che, se non posso ritornare, non ha senso continuare a tirarsi avanti in questa vita che sa di grigio, di monotonia e di vuoto.

E io vorrei dirglielo tutto questo, davvero. Vorrei gridarle tutto quanto e travolgerla e farla sentire, e vedere, e capire.

Ma non dico niente, nemmeno stavolta.

Perché lei, nonostante tutto, a quella favola della buonanotte ci crede. E se questo può aiutarla ad affrontare i giorni che continuano a scorrere, allora fingerò di crederci anche io.

Almeno fino a quando questo bel castello di vetro si romperà e, come al solito, io sarò lì per prendermi al posto della mia famiglia tutti i frammenti infranti.

 

“E cosa dovrei fare per ritornare magicamente in sesto?” le domando, non senza un pizzico di dolorosa ironia ed amarezza “Fare quelle passeggiatine obbligatorie che oggi mi ha tanto raccomandato il dottor Oin?”.

È da quando il mio sistema immunitario ha iniziato a dare segni di miglioramento che il medico continua a spingermi a fare queste uscite giornaliere di almeno mezz’ora all’aperto, per rinforzare fisico e salute. Inutile dire che non gli ho mai dato retta. Ma oggi ha insistito così tanto che Dis ha iniziato a farmi una testa tanta fin da quando siamo usciti dall’ambulatorio, per ‘convincermi’ a seguire gli ordini da bravo soldatino.

Mi fulmina con lo sguardo “Smettila di fare il martire. È importante per la tua salute, e poi non è niente di che. Cosa vuoi che sia passare mezz’ora fuori? Non è mica come andare in guerra.” ribatte, per poi bloccarsi come congelata quando realizza le parole che le sono appena sfuggite di bocca.

I suoi occhi si allargano, e le sue labbra si muovono, forse per cercare di rimediare a quel commento fuori luogo, ma prima che possa parlare la blocco con un cenno della testa.

“Preferirei che lo fosse.” rispondo semplicemente, sedendomi accanto a lei.

Dis sposta ansiosamente lo sguardo al mio viso, il rimorso e il rimpianto dipinti in volto “Scusami, io . . .”

Dimentico sempre che per te combattere era tutto il tuo mondo.

Non riesco a comprendere veramente che il campo da battaglia sia ancora al centro dei tuoi pensieri, nonostante tutto quello che ci ha portato via.

Tento di ricordare che a te la guerra manca, e non ti tormenta come tormenta me, ma non ci riesco, perché per me è stata la causa di tutto quello che è andato storto nella nostra vita.

Ci sarebbero così tanti modi in cui potrebbe terminare quella frase, e glieli leggo tutti negli occhi da aquila, ma prima che possa farlo, la porta dell’ingresso si apre.

La voce allegra e squillante di Kili si espande nell’aria, mentre lo vediamo trafficare con chiave e borsellino ed infilarsi in casa.

“No, non preoccuparti, Fili è ancora al lavoro, non torna nemmeno per pranzo ora che sta uscendo con quella Sigrid. Pessima scelta, secondo me, insomma, ha solo un bel visino e nient’altro, come fa a starci insieme proprio non lo so. . .” chiacchiera ad alta voce mio nipote, e ho appena un paio di secondi per realizzare che deve esserci qualcun’altro con lui prima di riuscire a vedere di chi si tratta.

 

Ed il mio cuore, improvvisamente, si ferma.

 

Mia sorella si alza di scatto, andandogli incontro ed esclamando ad alta voce quel nome che è la conferma inutile di quello che la mia anima ha intuito ancora prima di vederlo del tutto in viso.

 

“Bilbo!”

 

Dentro di me, tutto va in subbuglio, e le mie mani si stringo a pungo, mentre i miei occhi vagano su quella figurina minuta che no, non mi ha ancora visto, ma che è qui, a pochi passi di me.

 

Bilbo Baggins.

 

È qui.

Lui è qui di fronte a me, con la sua camicia stropicciata, i riccioli disordinati ed il volto stanco, ma gli occhi luminosi.

Lui è qui.

 

La mia mente viene trascinata indietro, alla scorsa sera, quando per la prima volta ho potuto osservare sul serio il suo volto, incontrare i suoi occhi, sentire la sua voce, ed a molto prima, in un tempo passato e forse a lungo dimenticato che, non so come né so perché, sta lentamente tornando a galla.

 

“P-piacere di c-conoscervi, signor . . .”

 

“…Durin.”

 

 

‘Thorin!’

 

‘Oh, Thorin.’

 

‘Th-Thorin, per favore . . .’

 

‘Smettila, Thorin.’

 

‘Thorin, io . . .’

 

‘Mi hai fatto chiamare, Thorin?’

 

‘Tu sei cambiato, Thorin.’

 

 

‘Thorin! Ti prego, non lasciarmi, Thorin!’

 

 

Deglutisco, mentre lotto contro me stesso per ritornare qui, adesso, e con difficoltà i miei occhi tornano a vedere Dis che lo abbraccia come se fosse il più caro degli amici, e Kili cercarmi con lo sguardo e farmi un segno di intesa che non riesco e non voglio interpretare.

“E’ da un secolo che non ci vediamo!” dice sorridendo mia sorella, mentre si tira indietro, e per un attimo il suo viso diventa serio “Come stai? Balin mi ha detto del tuo blocco . . .”.

Lui si stringe nelle spalle, come a voler dissimulare un peso troppo grande “Non è niente di che,

 non preoccuparti.” fa, e per un attimo nel risentire la sua voce mi manca il fiato “I ragazzi si stanno impegnando parecchio per non farmici pensare troppo, ad essere sincero.”.

Dis ride, scuotendo al testa “Si, Fili e Kili non hanno fatto che parlare della loro famosa festa a tradimento da giorni. Sarei voluta venire, ma dovevo terminare una recensione importante e . . .”

Fa un gesto di diniego “Non preoccuparti, non è un problema. Beh, forse avrei preferito avere al mio fianco un’altra persona sana di mente durante la serata, ma beh, ormai è andata.” scherza, e delle piccole rughe gli si formano agli angoli degli occhi mentre lo fa, e quasi mi spaventa il fatto che riesca a riconoscerle una per una.

“A proposito, com’è stata?” domanda mia sorella, infilandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio “Stamattina Fili e Kili erano stranamente criptici, Balin è andato subito a lavoro e Thorin . . . beh, ormai dovrei rinunciare a chiedergli le cose, visto che è più muto di un morto.” fa, indicando quasi senza pensarci con il capo verso di me.

Quando sente il mio nome, lui sobbalza, ed il suo sguardo corre a cercarmi, e quando mi trova le punte delle orecchie gli si colorano di una lieve tonalità di rosa.

Deglutisco e, quasi facendo violenza contro il mio corpo, mi alzo dal divano e mi avvicino lievemente al gruppetto, mentre Dis mi osserva interrogativa e Kili sorride in un modo a dir poco inquietante.

“Salve, signor Baggins.” mormoro, la voce rauca ed il cuore improvvisamente più vivo che mai “Sono sorpreso di vedervi qui.”.

Lui muove la bocca una, due, tre volte prima che la voce gli esca finalmente dalle labbra “S-signor Durin . . . “ i suoi occhi sfuggono ai miei, come se cercasse in ogni modo di non incrociarli, e dentro di me qualcosa per un attimo si spezza.

Con la coda dell’occhio vedo Dis voltarsi verso Kili, che le si avvicina ed inizia a sussurrarle qualcosa all’orecchio, ma la mia attenzione è tutta su di lui, che ha preso un grande respiro ed ha ricominciato a parlare.

 “Ecco . . . sono venuto per scusarmi per il mio comportamento di ieri.” borbotta abbassando appena lo sguardo, le guance tinte di un bel rosso vivo “Non ero al mio meglio, e il vostro commento mi ha preso male, ecco. Mi spiace.” dice tutto di un fiato, e per un attimo posso leggere sul suo volto profondità, e sincerità, e . . . e . . .

Scuoto la testa, un po’ imbarazzato “Di grazia, non importa.” rispondo in modo forse un po’ troppo rude, tentando di controllare il mio cuore che, davvero, adesso sembra impazzito  “Io . . . credo di dovervi delle scuse anch’io.” aggiungo poi, ripensando al modo in cui ieri sera mi sono rivolto a lui, a quelle parole crudeli ed inadeguate pronunciate senza davvero volerlo.

“Ah, questo è sicuro.” alza il mento in un moto spontaneo quasi d’orgoglio ”Non dovevate avere la delicatezza di un rinoceronte su una lastra di ghiaccio, ma beh, non è che io mi sia comportato tanto meglio.”

Un rinoceronte. . .?

La mia faccia deve riflettere il mio stupore e la mia confusione, perché accenna ad un sorriso, ed i suoi occhi, finalmente, accettano di sfiorare i miei.

 

Ed è . . . è molto più intenso della scorsa sera.

 

Quando i nostri sguardi si incontrano, tutto, attorno a me, svanisce, e resta solo lui che mi restituisce lo sguardo, ed i suoi occhi che avvolgono tutto, e quell’incendio che è partito dal petto e sta stringendo tutto il resto nelle sue spire in una morsa soffocante ma proprio per questo travolgente.

È . . . è . . Non so spiegarlo. È come se conoscessi già questo sguardo, queste emozioni, questa situazione. È come se ci fossi già passato, ed allo stesso tempo non l’avessi mai fatto. È come se avessi sempre saputo che questo momento sarebbe arrivato, eppure non ci avessi mai sperato fino in fondo.

È come se ... se tutto questo, io lo stessi aspettando da sempre.

Ma poi, l’incanto finisce quando lui distoglie lo sguardo, imbarazzato, prende a torturarsi le mani e resta in silenzio, ed io so cosa gli sta passando per la testa, perché è lo stesso che sta tormentando me.

 

E adesso?

 

 Un forte rumore di mani sbattute esplode come un petardo, e ci voltiamo quasi contemporaneamente verso Dis, che ci osserva con un sorriso gigantesco che conosco fin troppo bene – un sorriso che ha sempre e solo un significato- e le mani unite.

“So io come risolvere questa situazione.” esclama, e dentro di me inizio ad avere paura.

Lui fa una faccia confusa “Scusa, Dis, ma qual situ-“ non ha il tempo di finire che Kili lo blocca “Oh, sai, l’esservi quasi sbranati ieri ed adesso non sapere come rimediare e ricominciare, eccetera eccetera.” fa con quasi con noncuranza, avvicinandosi in modo circospetto a me.

“Esatto.” fa Dis affiancandosi a lui, e dio, non mi ero mai accorto di quanto i ghigni suoi e di mio nipote fossero simili “Visto che il mio signor fratello qui deve uscire per la sua passeggiata obbligatoria, e che uscire da soli è così noioso ...”

“E visto che entrambi vorrete di certo farvi perdonare e ricominciare da capo . . .” continua per lei Kili, raggiungendomi e mettendosi esattamente alle mie spalle “fare una bella passeggiatina insieme può essere un ottimo modo per ottenere tutte e due le cose.”.

Mi ci vogliono un paio di secondi per permettere al mio cervello di comprendere le loro folli intenzioni, e prima che decida quale sia l’opzione migliore tra strangolarli o buttarli giù dalla finestra, lui apre la bocca per obbiettare.

“N-non mi sembra il caso, a dire il vero...” balbetta, innervosito, rivolgendosi a Dis che, guarda caso, è proprio dietro di lui e lo sta spingendo abbastanza insistentemente verso la porta, esattamente come sta facendo con me Kili.

Mia sorella sorride “Oh, ma invece si.”.

 Spalanca velocemente l’ingresso e prima che uno di noi possa fare dietro front lei ed il suo diabolico figlio ci spingono fuori e la richiudono alle nostre spalle.

Io e lui ci voltiamo di scatto, increduli della strana ed innaturale svolta che hanno preso gli eventi, e mi trovo a tiare un maldestro pungo alla porta ed ad tuonare “Aprite, voi due!”.

Da dietro l’uscio, giungono le risate mal trattenute dei miei parenti.

“Certo zio” questo è Kili –cielo, perché non l’ho affogato quando era ancora nella culla? Mi sarei risparmiato molte di queste situazioni- “quando la mezz’ora sarà finita e sarete ritornati da una piacevole passeggiatina amichevole.”.

“Già” ed ecco mia sorella “divertitevi, ragazzi!”

Mi correggo: non sono dei parenti, sono dei demoni travestiti da esseri umani.

Riprovo a colpire la porta, ma la mano inizia già a tremarmi e la abbasso prima che possa diventare evidente, chiudendola stretta a pungo, e con un sospiro mal trattenuto mi volto verso di lui, che sta ancora osservando la maniglia con incredulità.

“Non ci credo.” borbotta tra sé e sé, portandosi una mano alla fronte “Ci hanno buttati fuori. Letteralmente.”.

Mi stringo nelle spalle, un po’ imbarazzato ed ancora parecchio arrabbiato “Si, e se li conosco bene ci lasceranno marcire qui fuori per la prossima mezz’ora, ed anche di più.”.

Lui mi lancia uno sguardo sconfortato e scuote appena la testa “Questa è pura pazzia.”.

Sollevo un sopracciglio “Benvenuto nel mio mondo.”.

Per qualche strano motivo, le orecchie gli si colorano di un rosa leggero e lui fa un piccolo sorriso imbarazzato e . . . com’è possibile che mi sembri tutto così dannatamente familiare?

“Q-quindi...” fa, abbassando lo sguardo a terra e mordicchiandosi appena il labbro “..visto che dobbiamo aspettare comunque, c-che ne dite di f-farla davvero, questa passeggiata?”.

Per un momento, tutto attorno a me si ferma, ed io trattengo il fiato, senza riuscire davvero a credere che me l’abbia chiesto sul serio.

Il mio prolungato silenzio deve in qualche modo allarmarlo, perché solleva ansioso lo sguardo e solo allora, quando incontro di nuovo i suoi occhi blu, quegli stessi occhi blu che tormentano le mie notti ed i miei giorni, riesco a riscuotermi dal mio stupore.

“Sarebbe bello.” rispondo e, per la prima volta da quando sono tornato, parlo senza fingere.

Il suo viso si illumina, e la tensione sembra svanire dal suo sguardo mentre ci avviamo, lentamente e non senza imbarazzo, verso l’uscita.

 

 

Non camminiamo a lungo, alla fine. Arriviamo nel cortile della casa, per poi sederci su una vecchia panchina semidistrutta a rigirarci i pollici ed a non sapere cosa dire o fare.

La vergogna è forte, e la mia mente è completamente vuota. Non so cosa dire, non so come comportarmi. Riesco solo a concentrarmi sul mio respiro, ed a rubare con timore ed esitazione frammenti di sguardi al mio giovane accompagnatore, che sembra ancora più imbarazzato di me.

 

Cosa dovrei fare? Iniziare un discorso? Fare una battuta? Comportarmi come se non fosse successo niente?

Non so, non ne ho idea.

Non sono mai stato bravo in situazioni del genere.

Non sono un tipo adatto alle parole, alle relazioni umane e roba simili.

Anzi, non sono proprio adatto alle persone.

Non lo sono mai stato.

Era uno dei tanti motivi per cui mi trovavo tanto bene in guerra. Lì non devi stringere legami, devi solo pensare a come restare vivo.

 

Per cui, sono veramente sollevato quando è lui, di nuovo, a prendere in mano la situazione.

 

“Sa, su una cosa Kili ha ragione, però.” borbotta, fissandosi le mani.

Aggrotto la fronte, abbastanza confuso da questo suo commento “Su cosa?” domando.

Lui fa un movimento strano, come se si stesse mordendo l’interno della guancia ed allo stesso tempo stesse cercando di non farlo, ed aggiunge “Sul ricominciare. Non è che la scorsa sera abbiamo, ehm, fatto proprio un buon inizio. Con l’insultarci e tutto, ecco.”.

Qualcosa mi si inizia a muovere nello stomaco, e oh, a quanto pare sa anche mordere.

“Io, a dire il vero, non intendevo sul serio quello che ho detto ieri sera, comunque.” faccio, stringendomi le mani in una morsa.

Alza appena la testa ed annuisce “Lo so, e nemmeno io.” risponde, alleviando per un momento la fitta che mi attraversa lo stomaco  “Ed è per questo che dico che, beh, dovremmo ... non so, tipo cancellare ieri e comportarci come se niente fosse accaduto ed oggi fosse la prima volta che ci incontriamo?”.

La proposta, bislacca ma non del tutto senza senso, mi prende alla sprovvista per qualche secondo, ma poi annuisco, con quasi un pizzico di sollievo.

“Va bene.” concedo, guadagnandomi così un’altro, sorprendente e mozzafiato sguardo da parte sua.

Si gira verso di me, gli occhi illuminati di una luce finalmente rilassata, ed i lati dei suoi occhi si increspano.

“Allora, ricominciamo da capo.”esclama, allegro, per poi fare un piccolo cenno amichevole con la testa “Bilbo Baggins, lieto di conoscervi.”

Per un attimo resto sorpreso ed incerto su come comportarmi, ma i suoi grandi occhi speranzosi mi osservano fissi, e non posso fare a meno di cedere.

“Thorin Scudodiquercia Durin.” rispondo tutto di un fiato, la voce un po’ strozzata.

Lui aggrotta appena la fronte “Scudodiquercia?” ripete, confuso.

Oh.

“E’ . . . era il modo in cui mi chiamavano i miei ragazzi, sul campo di battaglia.” mormoro, non senza un pizzico di dolore e nostalgia.

Le pupille di lui si dilatano, ma solo per un secondo. Poi annuisce tranquillamente, come se si trattasse della cosa più naturale del mondo.

“Ah, giusto. Voi siete un capitano, dopotutto.” commenta, passandosi una mano tra i capelli.

Per un attimo mi chieda come lo sappia –probabilmente avrà parlato con Kili-, ma tutto passa in secondo piano rispetto al nodo fastidioso mi si forma in gola.

Io sono un niente, in realtà.

“Ero un capitano.” lo correggo, per quanto faccia male.

Lui mi lancia uno sguardo a metà tra il comprensivo e . . .  possibile, il dolce?, per poi scuotere appena la testa.

“Oh, non direi così. Un soldato resta sempre un soldato, anche senza pistola e tuta mimetica. E, anche lontano dal campo di battaglia,  un capitano resta sempre un capitano.” commenta con un pizzico di dolcezza, per poi alzare lo sguardo al cielo “Le etichette e gli abiti non cambiano le vere essenze delle persone, in fondo. Voi eravate e siete un capitano, e lo sarete sempre, dentro.”.

 

Qualcosa, dentro di me, improvvisamente si alleggerisce, come se fossero queste le parole che avevo bisogno di sentire, da quel maledetto giorno di tanti mesi prima.

Come se la mia anima stesse aspettando queste parole, vuote di qualsiasi pietà e sincere fino all’inverosimile, da tanto, troppo tempo.

 

“Io . . .” vorrei dire qualcosa, ma la mia voce rifiuta di collaborare, e così mi limito a stringere forte i pugni ed restare a guardarlo, mentre lui osserva con serenità il cielo.

Restiamo così a lungo, ma l’imbarazzo di prima è scomparso, per lasciare posto solo ad una placida calma, una calma che non provavo da non so nemmeno io quanto.

Restiamo così, l’uno seduto acanto all’altro, lui ad osservare il cielo ed io ad osservare lui, in silenzio, e va bene, sul serio.

Dopo un bel po’, come colto da un pensiero improvviso, lui distoglie lo sguardo dalle nuvole e si stiracchia, e dopo domanda con voce leggera “A proposito, cos’è questa storia delle passeggiate obbligatorie? È un’altra delle chiacchiere senza senso di Kili?”.

In un altro momento, con un’altra persona, mi rifiuterei di aprire bocca, e mi limiterei ad ucciderlo con lo sguardo anche solo per aver osato pensare di chiedere una cosa così vicina alla mia sfera personale. Ma adesso, con lui, questo sconosciuto dagli occhi blu scuro, non riesco a tirarmi indietro. Non so perché, non so cosa mi spinge a farlo, cosa mi porta contro ogni mio istinto e barriera. Semplicemente, dopo un breve momento di indecisione, parlo.

“No, purtroppo. Io... non sto molto bene fisicamente e devo fare per un po’ di tempo delle passeggiate all’aria aperta per rafforzare corpo e sistema immunitario.” spiego, non senza fatica, facendo violenza contro il mio corpo e la mia natura.

Il suo volto si trasfigura “Oh, mi spiace, non immaginavo . . .” sussurra, dispiaciuto dalla sua domanda infelice “Io.. ecco, ci mancava la mia solita figura di merda giornaliera. Vi chiedo scusa, non ho pensato . . .” si passa una mano tra i capelli, ed i suoi occhi sono sul serio dispiaciuti di aver toccato un tema tanto delicato e privato, così sul serio da farmi per un attimo male al cuore.

Scuoto appena la testa “Non si preoccupi, non poteva sapere.” ribatto con qualcosa che si avvicina stranamente alla tranquillità “E la smetta di darmi del voi, mi fa sentire vecchio. Ho trentacinque anni, non novanta.”.

Le orecchie gli si colorano di un rosso intenso, ma dopo un momento l’angolo destro della bocca si solleva in un accenno di sorriso “Allora dovrete chiamarmi per nome, visto che siamo quasi coetanei. Io ne ho trenta e si, lo so, sembro più giovane, ma non tanto da assomigliare ad uno scolaretto, comunque.”.

Quella frecciatina, che è più una battuta uscita male che altro, in un’altra occasione mi prenderebbe male, molto male. Mi sentirei attaccato, o preso in giro, o roba simile, e reagirei in modo aggressivo e scontroso. Ma, stranamente, adesso non succede. Adesso, di fronte a quei occhi blu che si, ho già visto prima - lo so, lo sento- semplicemente mi solletica l’anima, e prima che posso rendermene conto mi scappa una risata.

Piccola, breve, esitante e timida, ma pur sempre una risata.

 

È la prima volta che rido da quando sono tornato.

 

Gli occhi di lui si illuminano, nel sentire la mia risata, e quando questa si spegne da sola lancia uno sguardo vago all’orologio e mormora, a metà tra l’incerto ed l’imbarazzato “Beh, forse, visto che la mezz’ora è passata da un po’, adesso quelle pesti travestite da persone normali ti faranno entrare.”.

Noto con un pizzico di sorpresa che ha preso sul serio la mia affermazione di prima, utilizzando il tu, e ciò mi fa piacere in modo a dir poco strano.

“Forse, ma non ci conterei troppo.” faccio, per poi aggiungere, ricambiandolo con la stessa moneta “Tu non entri?”.

Lui si stringe nelle spalle “Sinceramente, ho un po’ paura di Dis e Kili quando sono insieme, potrebbero essere capaci di distruggere l’intero continente in meno di mezz’ora. Non dirgli che l’ho detto, però, o me lo rinfaccerebbero per l’eternità.”.

Accenno ad un sorriso “Tranquillo, il tuo segreto è al sicuro con me.”

Dio, ho detto davvero una cosa del genere? Ma cosa mi è preso?

Lui ridacchia “Ci conto, eh.” si solleva dalla panchina, ed io faccio altrettanto.

Ci guardiamo attentamente per qualche secondo, imbarazzati, come se nessuno di noi due sapesse come continuare, e così, almeno per una volta, provo a prendere io l’iniziativa.

 

“Allora, arrivederci . . . Bilbo.”

 

Lui mi fissa stupito per qualche secondo, come se non riuscisse a credere che il suo nome sia realmente uscito dalle mie labbra, ma poi sul suo viso si forma un sorriso grandissimo e sincero.

Un sorriso stupendo, che mi accende qualcosa dentro e mi brucia l‘anima, non di un calore fastidioso, ma rassicurante e travolgente.

Un sorriso vero.

Un sorriso che ho già visto.

Che sento di aver già visto.

 

“Arrivederci, Thorin.”

 

Sussurra, gli occhi che gli brillano come diamanti.

Mi fa un cenno di saluto e due passi esitanti verso il cancello, per poi bloccarsi e restare a fissare il vuoto davanti a sé per un paio di secondi.

Lo osservo, confuso, mentre si volta e mi raggiunge di nuovo quasi di corsa, sfilandosi dalla tasca interna della giacca una penna a dir poco minuscola.

Dopo un attimo di esitazione, mi afferra con delicatezza la mano destra – e sentire la sua pelle contro la mia mi fa correre piccoli brividi lungo tutta la spina dorsale- per poi scarabocchiarmi un serie di numeri sul palmo, la grafia frettolosa e tremante ma chiara.

“Se . . .” inizia, tendendo lo sguardo fisso sul mio palmo, per poi deglutire e ricominciare “.. se avessi bisogno di un po’ di compagnia per queste tue passeggiate obbligatorie.”.

Spalanco gli occhi, stupefatto e senza parole, ma prima che possa fare qualsiasi altra cosa lui mi lancia uno sguardo che mi toglie il fiato e poi mi lascia quasi con fatica la mano, si volta e se ne va senza dire nient’altro.

 

Rimango per qualche minuto a fissare il punto dove è scomparso, solo con quelle poche cifre scritte sulla mia pelle, il cuore che batte come se fossi di nuovo sul fronte.

I miei occhi corrono sul mio palmo, dove quel numero di telefono sembra bruciare come una ferita, ma di un dolore dolce e rassicurante.

 

La stretta attorno alla mia anima che da tanto, troppo tempo non mi da’ più pace, si allenta finalmente un po’.

 

 

 

 

La tana dell’autrice

 

E rieccomi qui, finalmente!

 

Si, lo so, vi ho fatto aspettare un secolo, ma questa volta si è trattato di un parto, non di una stesura. Un dannatissimo parto. Non finiva più, diavolo, e non è venuto per niente come lo volevo, tranne qualche piccola parte –come i ricordi di Bilbo o la descrizione della cara Dis-, ma spero che possa piacervi comunque.

 

Ok, cosa dire . . . i nostri piccioncini finalmente hanno risolto, ovviamente grazie a Bilbo, perché lo sappiamo che se aspettiamo il nostro bel tenebroso diventiamo vecchi. Ma si darà da fare anche lui, non preoccupatevi. Quei grandi occhioni blu hanno fatto colpo, oh si. :)

Kili e Dis, che ha fatto oggi la sua prima apparizione, sono ovviamente dei diabolici fanboy e fangirl con un piano malvagio in mente, ma in ogni fan fiction che si rispetti ce ne vogliono almeno due così, andiamo! E poi, la piccola peste dovrà pur aver preso da qualcuno, no?

Ah si, per motivi pratici ho trasformato Thorin dal fratello maggiore in casa Durin al minore, ma vi spiegherò meglio il perché in seguito, promesso.

Inoltre, volevo avvisarvi che i prossimi aggiornamenti probabilmente saranno lenti sia per i miei problemi con il computer –ora ho un vecchio pc passatomi da mio cugino, ma ha anche lui qualche difetto ed ancora non funziona come si deve, quindi probabilmente dovrò farlo aggiustare -, sia perché ho iniziato un’altra fic, ‘Figlio di Erebor’, sempre su questo fandom e ne devo continuare altre due su due fandom diversi, sia perché, ragazzi, il 19 esce l’ultimo di Hunger Games e sarò ovviamente a lutto. E sclererò. E piangerò. E scriverò quei finali che tutti avremmo voluto vedere. E piangerò di nuovo. E dedicherò sfoghi a Finnik, ad Annie, a Prim, a Gale, a Johanna, al mio povero Peeta –Katniss no, ha avuto tre libri per sfogarsi-. E piangerò ancora ed ancora. Oh, piangerò tanto questo mese, già lo so.

 

Comunque, tornando a cose serie, questo aggiornamento è un po’ particolare, una sorta di regalo commemorativo possiamo dire: oggi infatti la mia pagina, dopo mille avventure, peripezie e problemi, spegne la sua terza candelina. Ho voluto ‘festeggiare’ questo giorno pubblicando questo capitolo lunghissimo e sudatissimo, anche perché sinceramente non pensavo di arrivare fino a questo punto, io che ho così poca perseveranza e mi butto giù facilmente, insicura come sono. Eppure eccomi qui, dopo così tanto tempo.

Mi piace pensare di essere cresciuta non solo stilisticamente, ma anche psicologicamente ed umanamente in questo lungo arco di tempo: quando ho iniziato ero una tredicenne ingenua, appena entrata al liceo, troppo fiduciosa verso il mondo che mi circondava e con uno stile a dir poco infantile ed imbarazzante. Ed ora sono qui, a poco meno di due settimane dal mio 17esimo compleanno, alla penultima classe di superiori, il cuore segnato dalle cicatrici lasciate di questi anni di delusioni e disillusioni, ma che batte più forte di quanto abbia fatto prima, e, spero, un po’ meno imbranata con le parole di allora.

Quindi, questo è il mio regalo per voi, per quanto ci sia poco da festeggiare.

 

Un abbraccio

 

Tigre Rossa

 

 

 

Note

 

Coraline: bellissimo e tremendo romanzetto dell’orrore, è stato scritto per bambini più grandi o pre-adolescenti ma è abbastanza macabro –geniale e grande successo letterario comunque, ma davvero macabro- anche per me. Ci è stato fatto anche un film di animazione e, vi giuro, quando io e mio fratello l’abbiamo visto per la prima volta non abbiamo dormito per tre giorni di seguito; vabbè, io avevo dieci anni e lui otto, ma è stato comunque un trauma. Soprattutto perché stavamo anche noi per traferirci, esattamente come la protagonista della storia. Pensate che ha terrorizzato così tanto mio fratello che ancora adesso, se solo glielo nomino inizia a tirarmi addosso tutto quello che trova. Non mi hai mai perdonato per averlo costretto a vederselo con me, mi sa. Oh beh, è a questo che servono le sorelle maggiori, dopotutto. A traumatizzare a vita i più piccoli, ahahah.-

Stregatto: uno dei personaggi simbolo del libro ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’, dubito che abbia bisogno di presentazioni.

Joker: ok, credo di non aver nemmeno bisogno di spiegarvi chi sia Joker. Penso che sia l’unica cosa che mi fa apprezzare Batman, supereroe da me abbastanza odiato - non so nemmeno il motivo, sinceramente-

Numero scritto sulla mano: probabilmente un altro vecchissimo clichè, degno dei più sdolcinati ed adolescenziali romanzetti rosa, ma che usato nel modo giusto fa sempre nascere un sorriso sulle labbra. Ho immaginato che Bilbo tenga sempre in tasca un block note e una penna per segnare spunti improvvisi, da bravo scrittore, e da qui è uscita fuori l’idea del numero di telefono segnato sul palmo della mano del nostro Thorin. Ripensandoci somiglia un po’ ad una scena di Percy Jackson, dove Rachel gli scrive sulla mano il suo numero . . . ma il riferimento non è assolutamente voluto, anche perché io detesto Rachel –Annabeth forever!!-

  
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