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Autore: HolyBlackSpear    12/11/2015    1 recensioni
La bella regione della Mega Evoluzione, in antichità, non è sempre stata rigogliosa e pacifica come oggi. Teatrino di guerre e conflitti, il suo passato ha molto più da raccontare di quanto in realtà non sia scritto sui libri di storia o inciso nella memoria delle persone.
Perché ciò che va oltre la comprensione umana sparisce nel tempo, la certezza presto diventa la mera proiezione dell'onirico. Ci sono però delle anime, dei ricordi rinchiusi nel cuore della mente, che non sono ancora pronti ad andarsene, che resistono strenuamente e che presto si desteranno.
Un figlio sacrilego, un’antica profezia, il divino che si confonde all'umano, giudice e giudicato che si fondono in un unico errore.
Benvenuti nella Kalos di 3000 anni fa.
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Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Elisio, Professor Platan
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Videogioco
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Foedus ineo.
{La miglior garanzia.}
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Il Bisharp stava chiaramente mentendo, ma non poteva certo mettersi a discutere con un guerriero capacissimo di aprirlo in due come una mela.
Si limitò quindi al silenzio, i loro passi che rimbombavano nei corridoi vuoti. Ricordava che non troppo tempo prima erano pieni di gente e di Pokémon; ora erano a malapena visibili le ombre sul muro lasciate dai Gastly che si muovevano, credendosi invisibili.
I tendaggi bianchi e limpidi di un tempo erano stati cambiati con alcuni marroni, che davano allo spazio un senso di pesantezza e oppressione non indifferenti. Nel passarvi di fianco, la Bisharp femmina andò a sfiorarsi appena il collo con il braccio mutilato, parendo essere a corto d'aria.
Le porte nere e immense della sala del trono si stagliarono contro ai suoi occhi in lontananza. Non ne fu certo, ma gli parve sentire i due Pokémon fremere al suo fianco, come se aspettassero qualcosa.
Quando si aprirono, tuttavia, la persona seduta sul trono pareva più stanca che minacciosa. La barba incolta da diversi giorni iniziava ad accarezzargli il petto e la mano poggiata sul viso a nascondere gli occhi sembrava invecchiata di cent'anni.
Bastò che sollevasse il viso, però, perché i suoi occhi scuri di sempre lo accogliessero, caldi e sicuri.
Bastò una parola, una sola, perchè i portoni venissero chiusi e le due guardie sparissero nell'ombra del trono, scorta personale dell'imperatore.
Bastò un gesto, perchè le sue gambe scattassero e si ritrovasse fra le braccia del re, affondando il viso nel suo petto.
«Figliolo.»

__

Il rumore di una frusta sferzò il silenzio della cella, seguito da un già previsto gemito che fece ridacchiare le due guardie di fronte a lui. Nonostante il corpo tremasse, a causa delle numerose percosse e l'odore del sangue stesse iniziando ad impregnare l'aria, non avrebbe dato loro la soddisfazione di pregarli di smettere. Mai.
La cosa probabilmente più asfissiante di quel luogo era l'odore di muffa e di chiuso. La fiamma che ardeva sulla sommità di una torcia, retta da uno dei due uomini, produceva una continua striscia di fumo che andava ad allargarsi non appena sfiorato il soffitto, decisamente poco lontano dalle loro teste. Quando loro sarebbero usciti quel fetore sarebbe rimasto, lì soltanto per essere inalato dai suoi polmoni. L'unica finestra, più simile a un buco accidentale, non lo avrebbe salvato dalle ore di soffocamento che lo attendevano. Il lato più crudele della faccenda, tuttavia, era che sarebbe arrivato qualcuno a medicarlo e a ripulire l'aria, con l'aiuto di un Pokémon fidato.
Una bambolina sistemata e pulita per il turno di violenza successivo.
«Guarda un po' i suoi capelli, Seth, guardali! Sono così neri, non lo trovi ridicolo? Sembrano i capelli di un principe.»
Il tono di scherno con cui lo aveva pronunciato gli diede il voltastomaco. Lo strattone che diede improvvisamente alle catene servì soltanto a mozzare il respiro già fin troppo precario. L'acciaio affondò nei polsi e del collo, ferendolo più di quanto già non fosse. Si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto a morire per un'infezione se nessuno fosse venuto a curarlo, oppure quante spinte avrebbero preceduto l'asfissia o la recisione definitiva di qualche vena.
«Sono bellissimi, è vero. Ma i suoi occhi, li hai visti? Coraggio, signorina, facci vedere gli occhi!»
Una mano sudicia e ruvida, dalle dita grossolane e rovinate, lo afferrò con violenza per gli zigomi, in una sorta di schiaffo interrotto. Più o meno nello stesso istante, serrò con ancora più prepotenza le palpebre già chiuse perchè essi non avessero ciò che volevano. Non lo avevano mai visto negli occhi. Né mai lo avrebbero fatto.
Un mormorio di delusione sembrò farsi strada sulle labbra di entrambi. Se li immaginò bene, i loro volti delusi, e non potè fare a meno di sorridere e provare pena nei loro confronti. Non avevano la più pallida idea di chi stessero sbeffeggiando.
La frustata questa volta gli arrivò dritta in faccia. Una striscia infuocata di dolore gli esplose sul volto, poco sotto agli occhi, facendolo tremare da capo a piedi. Solo l'orgoglio gli impedì di emettere un qualsivoglia gemito. E la fiamma che gli ardeva nel petto, ben più pericolosa di quella del lume che a volte utilizzavano per scottarlo.
«Ti ho detto di aprire gli occhi, schifoso prigioniero!»
Ci furono altri colpi, altre frustate ovunque. Gli piaceva quando si arrabbiavano e scaricavano così la loro ira. Progressivamente il dolore diventava così insopportabile da non essere più percepibile, e la sua mente restava lì a fluttuare, come se il corpo fosse svenuto e l'anima vagasse al di sopra di esso. L'unico vero sacrificio a cui doveva obbligare se stesso era il buio a cui era costretto.
Intanto, fra i colpi, i due uomini di fronte a lui continuavano a inveire. Le sue orecchie, tuttavia, per quanto avessero imparato ad essere distaccate, non eran sorde.
«Schifoso verme, topo di fogna! Proprio non capisco cosa aspetti il re ad ucciderti! Per quale motivo si è lasciato abbindolare in questo modo da suo fratello? Tu non vali assolutamente niente, niente!»
E quelle affermazioni, nel profondo, non potevano che divertirlo. Non potevano nemmeno immaginare cosa stesse succedendo in quegli anni sotto al loro naso.

__

Incassato in una poltrona grossa quasi il doppio di lui e di un colore che ben poco gli si addiceva, il servitore si rigirava nervosamente una ciocca di capelli fra le dita da più di mezz'ora, cercando di guardarlo quando lui non poteva accorgersene.
Aegislash, poco simpaticamente, gli stava piantato dietro e lo osservava pigramente, le mani che di tanto in tanto parevano tentate di fargli uno scherzo per vederlo saltare in aria. Da bravo Pokémon di tipo Spettro qual'era, il giovane non covava il minimo dubbio che ci fosse qualcosa alle sue spalle, e lui si divertiva a fingere di accarezzargli i capelli, oppure si esibiva in smorfie inopportune. Si chiese se la Neropietra con cui si era evoluto avesse qualcosa che non andava.
«Dunque, uhm...»
La voce del ragazzo ruppe finalmente il silenzio, attirando l'attenzione degli altri tre membri della stanza. Pyroar, ai suoi piedi, alzò la testa di scatto, fissandolo interessato.
«Aegislash ha espresso la sua opinione su di te. Sono disposto a credergli, mio malgrado, ma voglio che tu mi convinca. Provami che non aprirai la bocca su ciò che hai sentito.»
La spada spettrale alle spalle del ragazzo assunse un'espressione sdegnata, incrociando le braccia con un'occhiata allibita. Ignorarlo non fu difficile, contando su anni di allenamento alle spalle, benché il Pokémon fece di tutto per farsi vedere bene in faccia mentre gli mandava occhiate del tipo “non ti meriti i miei consigli, brutto malfidente”.
Gli occhi del ragazzo, ad ogni modo, erano completamente spiazzati. Appena dilatati, lo fissavano di striscio come se gli avesse appena chiesto di sbudellare suo fratello mentre dormiva solo perchè gli aveva rubato una fetta di torta. Evidentemente, si disse Elisio con un che di esasperato, non era ancora molto abituato agli intrighi di corte veri e propri cui lui era sottoposto grossomodo da quando era un bambino.
Il leone dimenò la coda con un verso sommesso, più simile a un sospiro che a un ringhio. Evidentemente anche lui aveva avuto lo stesso pensiero, e trovava snervate quell'attesa silenziosa e imbarazzante. Cosa lo trattenesse dal tagliargli la lingua non lo sapeva.
«Io ... Beh, ecco ... Ah, sì, io farò ... cioè dirò ...»
Aegislash stesso, alle sue spalle, avrebbe aggrottato le sopracciglia se le avesse avute. Il suo sguardo, tuttavia, fu abbastanza eloquente e grave da comunicare cosa stava pensando. Era una sorta di "va bene che sembrava scemo, ma non fino a questo punto". Se il momento fosse stato meno grave avrebbe riso.
Battè nervosamente il piede a terra, facendo ritrarre la schiena del servitore che gli puntò gli occhi addosso per la prima vera volta da quando lo aveva portato in quel salottino privato e relativamente angusto. Le mani strette attorno alle ginocchia avevano le nocche bianche ed erano scosse da un lieve tremito. Il rosso ebbe quasi paura che avrebbe lasciato il segno nelle gambe, tanto stringeva forte.
«Si potrebbe parlare di un contratto vincolante.» - Suggerì Elisio per lui, rilassandosi appena nel vederlo annuire con foga, il viso che si illuminò appena all'eco di un "Ecco, sì, quello!".
La proposta che aveva avanzato non era una garanzia vera e propria -tagliare lingua e mani era l'unica sicura-, ma affiancata alla parola di Aegislash in cui credeva quasi ciecamente era una soluzione più che buona. Aggiungendo anche il fattore della pericolosità dell'essere in questione: gli doleva ammetterlo, perchè aveva imparato a non giudicare le persone per il proprio aspetto, però ... non sembrava affatto il tipo di persona capace di creare zizzania all'interno della corte con una rivelazione shock. Gli sembrava molto più il tipo di persona che fuggiva sotto al tavolo minacciato dal cuoco con in mano il mestolo.
Contando il cuoco che avevano a corte, pensò con un lieve sorriso, era un'immaginazione più che plausibile.
«Si potrebbe parlare di credermi e basta. Insomma, chi ti vorrebbe affianco per tutta la vita? Che condanna  spietata e crudele.»
Ignorò la frecciatina imbevuta di fiele che gli venne lanciata dal Pokémon spettro, che probabilmente si sentiva in debito per la sfiducia nei suoi confronti. Piuttosto rivolse lo sguardo al moro sulla poltrona rossa, che non pareva aver udito le stesse parole che avevano raggiunto la sua mente.
«Io ... Ne sarei onorato, sire, per davvero!» - Allo sguardo che gli rivolse per via di quell'epiteto, tuttavia, si affrettò a correggersi - «Voleva dire ... signor principe.»
«Avanzerò la proposta a mio padre.»
La replica così improvvisa e sicura, apparentemente indisturbata dall'errore commesso in precedenza, sorprese molto il giovane servitore. Gli occhi grigi al di là delle spesse lenti ebbero un guizzò quasi incredulo.
«Se avrò la sua approvazione si procederà all'investitura. Penso sarà felice di vedermi finalmente accettare l'idea di un servitore privato. Ma tu stai pronto, Augustine. Non hai nemmeno idea di quali giochi di corte sarai costretto ad affrontare, se deciderai di metterti al mio servizio fino alla fine dei giorni.»

__

Nella sala del trono, intanto, il re era chino sul grosso tavolo d'oro massiccio, intento ad osservare le carte di guerra.
«Presupponendo che voi vogliate attaccare da est, vostra maestà, bisognerà schierare anche un esercito marittimo, in modo da impedire la fuga lungo le coste. Vostro fratello...»
Un gesto sdegnato zittì il consigliere, che serrò le labbra con distaccato astio. Il sovrano, tuttavia, non lo degnò nemmeno di uno sguardo, troppo intento a dire il suo piano.
«Attenderemo l'avvento della maturità di mio figlio per fare qualsiasi mossa. Qualche settimana non farà la differenza, servirà solo a dare più tempo a mio fratello per arrendersi. Solo un folle si lascerebbe invadere quando la sua regione è già stata spazzata da tali conflitti, messa in ginocchio dalla continua guerra. In questo tempo potrà riflettere meglio sulla mia proposta di resa incondizionata della sua nazione e passaggio della corona da lui a me. In caso contrario...»
Le parole svanirono silenziose nell'aria, lasciate in sospeso ma perfettamente concepibili a tutti. Il re, tuttavia, si sentì in dovere di concludere per bene il proprio pensiero, e l'ululato improvviso dell'Houndoom ai suoi piedi non aiutò il clima di tensione generale.
«Useremo quello
Un mormorio generale si diffuse nella sala, assenso e dissenso che parvero divenire una cosa unica e difficilmente distinguibile. Il sorriso maligno che si aprì sul volto del sovrano sarebbe dovuto venir dipinto e riprodotto ovunque nel castello, pensò lo stesso tutto gonfio nel petto.
Per ricordare agli altri che lui era l’unico, sommo signore di quelle terre. Per ricordare che il suo dominio era un sogno, ma poteva tranquillamente trasformarsi in un incubo, di quelli peggiori causati da Darkrai.
«Sire … quello non ha nemmeno una vera e propria utilità. Li sentite, i collaboratori di corte. Le pare forse che possa essere sfruttato in guerra?»
La voce del consigliere iniziava a giungergli fastidiosa. Pregò che cercare conforto nel corpo caldo di sua moglie potesse togliergli dalla testa l’idea di farlo ammazzare. C’erano giust’appunto un paio di potenziali sostituti che senza dubbio conoscevano meglio il proprio posto.
«Malachia, mi pare che nel castello ci fosse una voce interessante sul conto di tua moglie. Vuoi che io personalmente la confermi, infamandoti, o preferisci tacere una volta per tutte?»
La forma della mascella già squadrata dell’uomo si indurì ancora di più, mentre nei suoi occhi balenava una scintilla d’odio e di imbarazzo. Il suo viso prese un’amorevole tonalità rossa, intensa come una ciliegia matura. La vergogna era l’arma migliore.
La minaccia che gli aveva fatto era pesante. Malachia aveva nella sua famiglia una decina di figli, ma probabilmente solo un paio erano suoi. Inoltre, la donna talvolta compiva lunghi viaggi, tornando dopo mesi con nuovi pargoletti fra le braccia. Che li avesse raccattati  ai bordi dei bordelli o che li avesse partoriti lei stessa dal suo ventre ingordo nessuno lo sapeva.
Convinto di averla avuta vinta, il sovrano si raddrizzò sulla sedia, sistemandosi con un gesto spocchioso il fazzoletto che aveva al collo. Quando la sua voce gli giunse di nuovo alle orecchie, però, gli parve un affronto oltremodo villanesco.
«Vogliamo parlare del vostro figlio, vostra maestà? Quello che ha…»
Non ebbe mai l’opportunità di finire. Con un solo gesto della mano due Gallade scattarono da contro il muro, afferrandolo per le braccia. Gentilmente, uno provvide immediatamente a colpirlo con violenza sul volto, aprendogli un labbro.
«Cinquanta frustate, in stanza col nostro più illustre prigioniero. Che impari il suo posto, e che rivaluti il peso della mia parola contro alla sua.»
La riunione riprese come se nulla fosse successo non appena il corpo tramortito dell’uomo venne portato oltre i pesanti battenti dell’ingresso.

__

Seduto compostamente sulla poltrona stava ancora respirando a fatica. Il principe si era alzato, al verso sommesso di un Pokémon, si era avvicinato alla finestra per rivolgere una carezza al Gyarados fuori di essa.
Lasciato momentaneamente da solo nei propri pensieri, Augustine non era certo di sapere se dovesse sentirsi profondamente sollevato o irrimediabilmente condannato.
Un contratto vincolante era un patto molto serio all’interno della loro corte. Veniva stipulato solitamente fra un plebeo e un nobile, e aveva carattere permanente.
Il servitore diventava lo stretto collaboratore del proprio signore, che aveva pieno potere decisionale sulla vita del sottoposto. Quest’ultimo era tenuto ad obbedire a qualsiasi ordine impostogli e doveva provvedere non solo alla protezione fisica del padrone, ma anche a quella psicologica, dissipando le infamie e dovendogli fedeltà infinita.
L’idea di per sé gli sembrava fantastica. Attualmente viveva in una sorta di capannetta quasi ai piedi del castello assieme alla propria famiglia fin troppo numerosa; all’occorrenza, però, si accontentava anche di dormire nelle cucine, infastidendo il biondissimo cuoco che scorrazzava sempre a destra e a sinistra. Di frequente lo trovava addormentato vicino a sé, seduto con la schiena contro al muro.
Il contratto vincolante, al contrario, offriva al servitore uno stile di vita pari a quello di un nobile. Si sarebbe trasferito in pianta stabile nel castello, avrebbe avuto dei suoi alloggi, vestiti, cibo e acqua calda a volontà. Avrebbe potuto dormire in un vero letto, con pesanti coperte d’inverno e morbidi piumini di seta d’estate e…
«Di’ un po’, pensi davvero che vivere a palazzo sia così?»
Una voce improvvisa gli invase la mente, facendolo sobbalzare. Si girò di scatto, cercando di vedere chi avesse parlato, ma vide soltanto un’ombra proiettata sul tappeto da una figura ai suoi occhi invisibile. Aegislash.
«Beh … sì. Conosco diversi servitori, qui al castello, e tutti mi sembrano trovarsi bene. Anche mio padre lavora qui e non fa una piega quando torna a casa.»
Gli parve di sentire una specie di gemito nella testa quando rivolse un sorriso innocente al nulla che aveva davanti, più o meno dove doveva esserci il Pokémon.
«Ricordati che tutti portano i vestiti.»
Aggrottò le sopracciglia, a quelle parole, parendo seriamente confuso. Cosa voleva dire quella metafora strana? Ovviamente portavano le loro vesti, come in qualsiasi altro luogo del mondo ... salvo forse i selvaggi. Quelli non li portavano, secondo gli esploratori.
Il ritorno del principe che si massaggiava appena la base del naso con aria stanca interruppe il suo desiderio di fare domande. Non pareva aver badato troppo al fatto che aveva tecnicamente parlato da solo. Sembrava piuttosto immerso in pensieri difficoltosi.
Un’ultima frase, però, gli giunse alla mente, prima che la voce sparisse così come era venuta, rimanendo silente per il resto del tempo.
«Ricordati di guardare la schiena.»




{Post Scriptum:

Un saluto particolare a tutti i lettori che sono giunti fino a questo terzo capitolo, appena in ritardo rispetto alla mia tabella di marcia mentale!
Ringrazio prima di tutto i recensori dei precedenti capitoli, che mi hanno lusingata mostrandomi i loro pareri e consigli. Infinitamente grazie!

Che dire, dunque? Spero che questo capitolo ricco di mistero vi abbia incuriosito riguardo al futuro di questa storia. Il tenore di narrazione è variato, quando si parlava del re, perché ho cercato di dare un’atmosfera più cupa e pesante. Spero di esserci riuscita, almeno quella era la mia intenzione.
Vi aspetto al prossimo capitolo e vi ringrazio fin da adesso se avrete voglia di lasciare un commentino, o di seguire lo sviluppo di questa complessa matassa!

Foedus ineo = Stringere un patto
   
 
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