CONTROPROPOSTE
Era piuttosto insolito che
il commissariato si riempisse dei vagiti di un neonato.
Forse per questo non appena
Livia varcò la soglia di quel luogo spingendo la carrozzina con dentro la sua piccola
Camilla, fu attorniata da un capannello di poliziotti, perlopiù in divisa, che
smaniavano per dare un’occhiata a quel fagottino rosa che, incurante delle
attenzioni, dormiva beatamente. Del resto, si era aspettata una accoglienza
simile: la maggior parte di quegli uomini sapeva esattamente chi lei fosse e
quali rapporti avesse con il loro superiore. Era una di famiglia, per loro: non
che lei avesse mai messo piede con grande frequenza in commissariato, ma era
capitato di vederla spuntare ogni tanto a fianco della madre, anche se molto di
rado negli ultimi tempi.
-Allora? Cos’è questo caos?-
la voce del commissario Berardi sorprese molti degli uomini presenti, che
sobbalzarono quando il loro superiore spuntò alle loro spalle. Erano giorni,
anzi settimane, che Berardi era assolutamente intrattabile e questo dettaglio
non era sfuggito a nessuno di loro, ma tutti tenevano la bocca più che chiusa,
ben sapendo a cosa era dovuto il pessimo umore dell’uomo.
Un’occhiataccia da parte di
Torre convinse tutti che era meglio girare al largo: un Berardi e due “Baudino” nella stessa stanza (per di più una si chiamava
pure Camilla) erano un mix più che esplosivo. Persino la Lucianona,
che normalmente aveva il coraggio (o la faccia tosta, questo non era ancora
chiaro) di ficcare il naso nella vita privata del commissario, ritenette
opportuno allontanarsi dal luogo alla velocità della luce.
Invece, tutti restarono di
sasso quando alla vista di Livia e della piccola Camilla il viso del
vicequestore si aprì in un sorriso luminoso, come non vedevano da tempo.
-Livia! Ben arrivata! Anzi,
dovrei dire ben arrivate!- disse Gaetano stringendo la ragazza in un abbraccio
affettuoso.
-Quando un vicequestore
chiama, non credo si possa ignorare- ribatté Livia non appena l’uomo sciolse il
contatto. Gaetano dovette ammettere che Livia assomigliava sempre di più a sua
madre, non certo fisicamente quanto più nel carattere: la sua capacità di
tenergli testa e di rispondergli a tono erano pari solo a quelli di Camilla.
-Ti dispiace se ci accomodiamo
nel mio ufficio?- disse facendo notare gli sguardi curiosi dei presenti puntati
su di loro.
Per tutta risposta la
ragazza spinse la carrozzina di Camilla nella direzione indicata da Gaetano,
che la seguì, lo sguardo rapito dagli occhioni scuri della piccolina ora
sveglia.
Non riusciva a smettere di
guardare quella copia di Camilla in miniatura: uno scherzo del destino. Gli
stessi occhi scuri, gli stessi ricci, la stessa espressione ingenua e allo
stesso tempo intelligente. Bellissima, proprio come la nonna.
-Vuoi prenderla in braccio?-
chiese Livia avendo notato con quale adorazione Gaetano stesse osservando sua
figlia.
Gaetano scosse il capo con
decisione: -No, ti ringrazio. Non sono mai stato molto bravo con i bambini
piccoli.
-Con Tommy vai benissimo, mi
pare.
-Tommy è cresciuto-
puntualizzò Gaetano, restando poi ancora in silenzio mentre, allungando un dito
verso la piccola, le sfiorò la guancia suscitando un sorriso sdentato.
-Assomiglia alla nonna,
vero?
Non era una domanda
innocente né casuale e Gaetano lo comprese non appena vide l’espressione
divertita e anche provocatoria dipinta sul volto di Livia.
-Cominciamo subito con le
ostilità, ragazzina?- ribatté Gaetano nell’accurato tentativo di sviare ogni
discorso che potesse condurlo a parlare di Camilla. Quella adulta (almeno
anagraficamente).
-Ragazzina?
-Per me resterai sempre la
ragazzina che ha atterrato mio nipote al corso di karate.
-Era judo. E ancora mi
spiace di aver ferito l’orgoglio di Nino.
Gaetano alzò le mani in
segno di resa: discutere con Livia era una battaglia persa in partenza.
-Allora…vogliamo parlare del
motivo per cui mi hai convocata qui?- era sempre Livia a rompere i silenzi che
calavano tra loro, con una leggerezza e semplicità che il commissario le
invidiava. Adorava Livia sin da quando era una bambina, ma nel tempo i loro
rapporti erano stati un po’ oscillanti: alti e bassi dovuti all’adolescenza e,
a dirla tutta, anche alla strana relazione che lui aveva sempre intrecciato con
sua madre. Insomma, tra Gaetano e Livia si era sempre trattato di odio e amore:
si piacevano, si tolleravano ma entrambi erano di fatto un ostacolo per la
piena felicità reciproca. Con la differenza che Gaetano non era mai riuscito ad
avercela con la piccola di casa Ferrero, mentre Livietta aveva più volte
dimostrato la sua insofferenza per la presenza costante di quell’uomo nella sua
vita (e in quella di sua madre soprattutto).
-Non posso semplicemente
avere voglia di rivedere te e questa piccolina?- chiese con aria da finto
innocente il commissario, sempre più stregato dagli occhi della bimba.
Per tutta risposta Livia
inarcò il sopracciglio ad una altezza francamente allarmante, mentre
un’espressione, che definire scettica sarebbe stato riduttivo, si faceva strada
sul suo volto.
-Ok, va bene. In realtà ci
sarebbe una cosa che vorrei darti- confessò l’uomo, che nel frattempo era
riuscito (con non poca difficoltà) a distogliere gli occhi dalla piccola
Camilla per dedicarsi alla ricerca di qualcosa nel primo cassetto della sua
scrivania. Dopo qualche istante allungò sulla scrivania un mazzo di chiavi.
-Che significa?- chiese
Livia afferrando l’oggetto ed esaminandolo da vicino.
-Sono delle chiavi.
-Fin qui ci ero arrivata,
grazie- rispose sarcastica la ragazza provocando il sorriso divertito del commissario.
-Sono per te. E anche per
George e la piccola, ovviamente. È il mio vecchio appartamento- precisò Gaetano
quando gli occhi azzurri di Livia si piantarono dritti nei suoi.
-Mi stai dando casa tua?- il
tono ora era genuinamente sorpreso. Quell’uomo che per lei era, tutto sommato,
un estraneo (anche se presente nella sua vita da dieci anni) le stava regalando
una casa?
L’uomo annuì cercando di
intuire dall’espressione del viso di Livia la sua risposta.
-Io…mi dispiace ma…è troppo.
Non posso accettare- disse infine la ragazza tornando a posare le chiavi sulla
scrivania. -Sei molto gentile, Gaetano, ma non posso, davvero.
Livia tutto si aspettava
tranne che la risata allegra del commissario.
-Sapevo che avresti
rifiutato.
-E allora perché me lo hai
chiesto, scusa?- domandò imbarazzata e anche seccata per essere stata presa in
giro.
-Per passare alla
controproposta- ammise l’uomo.
-Quella non dovrei farla io,
semmai?
-Giusto. Vuoi farne una tu,
allora?
Livia cominciava a capire
cosa attraesse tanto sua madre. Gaetano non era solo obiettivamente un
bell’uomo (e del resto come già aveva detto a sua madre tempo prima Gaetano era
sì invecchiato, ma nel minore dei modi; cosa che non poteva certo dire di suo
padre che, certo, restava ancora un uomo affascinante, ma il fisico aveva un
po’ ceduto ed erano comparsi anche alcuni tic nervosi), ma era anche
intelligente, acuto, simpatico, divertente…insomma un uomo affascinante, nel
senso più generale e completo del termine. Sì, ma allora perché se lo era
lasciata scappare?
-Va bene, mi arrendo. Quale
è la tua controproposta?- chiese Livia.
Gaetano riafferrò le chiavi
e le fece penzolare davanti al volto della ragazza: -Allora, diciamo che non ti
regalo l’appartamento, ma te lo lascio in affitto compreso di tutti i mobili, a
condizione che mi paghiate solo quando avrete un’occupazione stabile. E non
prima di almeno tre anni a partire da oggi.
-Due- propose Livia entrando
nello spirito della contrattazione.
-Due e mezzo- ribatté il
commissario divertito da quel botta e risposta, ben sapendo che alla fine non
avrebbe accettato un euro prima di almeno cinque o sei anni. E forse nemmeno
allora.
Livia sembrò doverci
riflettere.
-Mia madre mi ucciderà-
disse infine afferrando le chiavi che Gaetano ancora teneva tra le mani.
-Penso potrà sopportare che
la sua bimba se ne vada di casa. E poi vai a stare davanti a lei, non
dall’altra parte della città.
-Non è per quello che mi
ucciderà. Se accetto, vorrà dire che tu ti trasferirai definitivamente. E non
penso me lo perdonerà mai.
Gaetano sorrise, ma Livia
notò un velo di tristezza farsi strada in quelle iridi azzurre.
-Se è questo che ti
impedisce di accettare, puoi stare tranquilla. Mi trasferirei altrove comunque,
a prescindere dal fatto che tu accetterai o meno.
-Ne sei proprio sicuro,
Gaetano? Perché guarda che mia madre…
Gaetano la fermò con un
cenno gentile della mano: non voleva offendere Livia, che, ne era certo,
avrebbe preso con grande vigore le difese della madre, ma non poteva sopportare
di sentir parlare ancora di quella donna che aveva giocato con i suoi
sentimenti senza il minimo riguardo.
-Ho bisogno di allontanarmi
da quel posto, Livia. Credo che tu possa anche capirmi. E comunque devo ancora
farti un regalo per le tue nozze, se non sbaglio- continuò il commissario con
un tono più leggero.
-Un regalo? Hai fatto in
modo che Holly potesse venire al mio matrimonio! Quello per me è stato davvero
importante, Gaetano!
-Quello era lavoro- disse
Gaetano. Poi indicando le chiavi proseguì: -Questo è un regalo.
Livia sentì un nodo
stringerle le gola: quell’uomo, che non le doveva niente e che anzi con tutta
probabilità avrebbe dovuto detestarla perché senza di lei sua madre non avrebbe
mai continuato a tenere in piedi un matrimonio finito anni prima, la stava
trattando esattamente come se fosse almeno in parte figlia anche sua.
-Io…davvero, Gaetano, non so
cosa dire- riuscì infine ad articolare, quando riprese il controllo dei suoi
pensieri.
-Dì che accetti la mia
proposta.
Livia fissò il suo
interlocutore mentre la sua espressione mutava da sorpresa a maliziosa:
istintivamente Gaetano comprese che questo non poteva essere un buon segno.
-Controproposta- proclamò la
ragazza, provocando la risata sincera di Gaetano.
-Avanti, sentiamo.
-Accetto la tua proposta ad
una condizione. Non negoziabile.
L’uomo sospirò: decisamente
Livia aveva ereditato l’abilità della madre nelle trattative.
-Quale condizione?
-Organizzerò una festa per
inaugurare casa. Voglio che tu ci sia.
La smorfia soddisfatta di
Livia non scalfì il sorriso che campeggiava sul volto di Gaetano: aveva
previsto un minimo di resistenza e persino un tentativo di convincerlo a
riappacificarsi con la madre. Ma non aveva preventivato una sorta di ricatto.
Obbligarlo a stare nella stessa stanza con Camilla. Non era una buona idea.
Tutto il contrario. Magari pure con Renzo e persino con Michele. No,
decisamente una pessima idea!
-Livia…
-Ho detto che non è
negoziabile- sentenziò Livia irremovibile.
-Non pensi sia rischioso avere
me e tua madre nella stessa stanza?
Livia scrollò le spalle come
se la prospettiva non la preoccupasse minimamente.
-Ci saranno anche altre
persone, non sarai costretto a parlare con lei. E poi sarai lì per me e per la
piccola, giusto?
-Tu non ti arrendi mai,
vero?
-Mai- ammise la ragazza con
un’espressione di trionfo dipinta sul viso. -Lo prendo come un sì, allora?
Gaetano dovette arrendersi a
quegli occhi azzurri che nonostante tutto lo facevano sentire a casa, in
famiglia.
-D’accordo. Ci sarò.
Quasi come se fosse stata
partecipe della conversazione, la piccola Camilla decise di manifestare la
propria approvazione con un gridolino che attirò l’attenzione dei due adulti su
di sé.
-Vedi? Anche lei ti vuole
alla festa- commentò Livia mentre con delicatezza afferrava la bimba e la
sollevava dalla carrozzina prendendola in braccio. La fece quasi sedere sulle
sue gambe, per quanto possibile a soli pochi mesi di vita. Ora quei due fari
cioccolato erano puntati dritti verso il commissario e lo fissavano incuriositi.
Gaetano ne fu attratto come una calamita e, circumnavigata la scrivania, si
sedette accanto a Livia prendendo tra le sue mani quella piccola e paffuta di
Camilla.
-Non è questa la Camilla di
cui ho paura- disse l’uomo sovrappensiero, dando voce ad un’idea che nelle sue
intenzioni doveva restare ben chiusa nella sua mente. –Scusa, io non…
-Non devi scusarti, Gaetano.
Senti, so tutto, ok? Mia madre mi ha raccontato tutto e per quello che vale
penso che tu abbia tutte le ragioni per fare quello che hai fatto. Dico
davvero. Anzi, io probabilmente avrei fatto di peggio. Però Gaetano…
-Livia, ti prego…
-No! Lasciami parlare,
Gaetano- disse Livia, il tono imperioso di chi non vuole essere interrotto,
tantomeno contraddetto. -Mia madre ha sbagliato, lo so, ma ti ama, moltissimo.
Io lo vedo quanto sta soffrendo. Se potesse tornare indietro, farebbe tutto in
modo diverso. E non mi riferisco solo alle ultime settimane. Se potesse
cambiare gli ultimi dieci anni della sua vita, lo farebbe. Sei l’uomo più
importante della sua vita e non vuole perderti.
-Ha uno strano modo di
dimostrarlo, Livia- Gaetano si era irrigidito ma non riuscì ad evitare che la
voce gli si incrinasse per il dolore sentendo le parole della ragazza: erano
allo stesso tempo inferno e paradiso. Ogni volta che pensava di andare oltre,
qualcuno o qualcosa lo ancorava ancora saldamente a lei.
-Lo so. È assurdo, se ci
penso! È capace di dimostrare empatia per chiunque tranne quando si tratta di
te.
-Grazie- esclamò sarcastico
l’uomo, senza però prendersela sul serio.
-Quello che voglio dire è
che lei ci tiene tantissimo a te e so che non lo riesce a dimostrare ma se tu
le concedessi un’altra occasione…
-Ho già buttato via dieci anni
di vita e due matrimoni per lei, Livia. Mi sembra di averle concesso più di
un’occasione- replicò con un tono più duro di quanto avrebbe voluto.
-Lo capisco…davvero. È solo
che mia madre non ha mai amato nessuno come ama te. E fidati, non mi è facile ammetterlo,
perché non ha mai provato nulla del genere nemmeno per mio padre. Non te ne
faccio una colpa, Gaetano. Né a te, né a lei, perché non si sceglie chi si ama.
Adesso lo so, questo. Vorrei solo che tu sapessi…qualunque sia la tua decisione
su di lei, sulla vostra relazione…vorrei solo che tu sapessi cosa sei davvero
per lei, anche se lei non riesce a dirtelo.
Nella concitazione della
strenua difesa della madre, Livia aveva inavvertitamente scosso la piccola
Camilla, che dopo un paio di singhiozzi iniziali si era lasciata andare ad un
pianto disperato. Senza nemmeno rendersene conto e senza chiedere il permesso a
Livia, Gaetano d’istinto prese tra le braccia la piccola Camilla portandosela
al petto, mentre girovagando per la stanza la cullava passando la sua grande
mano sulla schiena della piccola. Al suo tocco Camilla cominciò a calmarsi e
pian piano, terminate le lacrime, anche i singhiozzi si acquietarono.
-Tranquilla, non è successo
niente- mormorava il commissario in modo che solo la diretta interessata
potesse sentirlo. Poggiò un bacio delicato sulla testa della piccola,
inspirando quel tipico profumo di bambino che era una delle poche cose che
ricordava dell’infanzia di Tommy.
Quante volte aveva sognato e
sperato di poter coccolare nuovamente un figlio tutto suo? Un figlio che fosse
anche della sua Camilla? E aveva creduto che questo potesse in qualche modo
diventare realtà nelle ultime settimane, anche se sapeva che l’età della
professoressa rendeva difficile ma non impossibile questo suo progetto. Il
pensiero lo richiamò alla realtà: quella non era la sua bambina e di certo il
suo era stato un gesto del tutto inappropriato data la situazione.
-Ti prego, Livia, perdonami-
disse in imbarazzo porgendo la piccola alla ragazza.
-E di cosa? Sei riuscito a
consolarla in meno tempo di quanto ci avrei impiegato io! Vedi che sei portato
a stare con i bambini?- rispose Livia cercando di stemperare quel tumulto di
emozioni che leggeva negli occhi del commissario.
Torre bussò giusto in tempo
per evitare a Gaetano di abbozzare una risposta, che effettivamente gli
mancava.
-Dotto’, mi scusi, ma c’è il
pm per il caso Ronco.
Gaetano annuì e ringraziò il
collega congedandolo.
-Sarà meglio che vada,
allora- disse Livia riponendo con cura la sua bambina nella carrozzina. Poi
afferrò le chiavi che aveva lasciato sulla scrivania di Gaetano: -Io le prendo,
ma tu ricordati la promessa.
-Ci sarò- si limitò a dire
il commissario. Non era convinto che fosse una buona idea rivedere Camilla,
tanto più se in compagnia di Renzo o Michele, ma del resto, rifletté, sarebbero
passate settimane prima che Livia e George terminassero il trascolo: settimane
in cui lui avrebbe tentato di riprendere il controllo della sua vita e delle
sue emozioni. Non era affatto facile, ma da qualche parte doveva pur cominciare
per rimettersi in piedi.
***
-Tommy, sbrigati! Siamo in
ritardo!
Il piccolo Berardi sbuffò
mentre con un gesto di stizza spense il televisore proprio quando la storia si
stava facendo interessante.
A passo militare raggiunse
il padre nella sua nuova stanza, che proprio non riusciva a farsi piacere. Cosa
c’era che non andava nella vecchia cameretta? E soprattutto cosa c’era che non
andava nella vecchia casa?
-Ancora così stai?- disse
Gaetano quando lo vide spuntare dietro la porta, con ancora i vestiti sgualciti
della giornata indosso.
Per tutta risposta Tommy
alzò le spalle, ricordando a Gaetano i tempi in cui aveva appena ripreso i
rapporti con il figlio e quest’ultimo parlava a stento e comunicava il suo
disappunto per la nuova convivenza con una scrollata di spalle.
Il commissario sollevò il
figlio da terra e lo fece sedere sul letto in modo da poterlo guardare dritto
negli occhi.
-Mi vuoi dire che ti
succede? È da quando sei arrivato dalla Svezia che sei arrabbiato!- in realtà Gaetano
aveva un’idea di cosa poteva nascondersi dietro al cattivo umore del figlio, ma
sapeva, anche per esperienza personale, che era meglio per il bambino dare voce
ai suoi pensieri.
-Non mi va di andare alla
festa- ammise Tommy.
-Non ti va di vedere Livia e
la piccola Camilla?
-Sì, loro sì!- disse Tommy
con uno slancio che fece sorridere il padre. In effetti, quando avevano
ricevuto l’invito di Livia per la festa di inaugurazione della nuova casa,
Tommy aveva subito manifestato una sincera gioia al pensiero di poter passare
del tempo con Livia e con la piccola Camilla, presto sostituita da una smorfia
di preoccupazione e di sofferenza. Gaetano non aveva dovuto faticare poi molto
per capire a cosa fosse dovuto quel cambiamento: come per lui, anche per il
figlio il problema non era la Camilla bambina, ma quella adulta. Della serie, talis pater, talis filius.
-E allora perché non vuoi
andare? È per Camilla?- chiese con dolcezza il commissario.
Il bambino si limitò ad
annuire tenendo gli occhi bassi mentre si tormentava le mani. Gaetano le prese
tra le sue, costringendo il figlio ad alzare lo sguardo verso di lui.
-Tommy, Camilla ti vuole
bene e sono sicuro che non vede l’ora di vederti!
Gli occhi di Tommy si fecero
lucidi nel tentativo di trovare le parole adatte per rispondere al padre.
-Se mi vuole bene, perché
non vuole più stare con noi?
Una stretta al cuore colpì
Gaetano nel vedere il figlio soffrire così tanto per quello che stava accadendo
tra lui e Camilla. Era già abbastanza difficile affrontare questa situazione
per se stesso, se poi doveva andarci di mezzo anche suo figlio…
-Tesoro, Camilla vuole stare
con te. Il fatto che lei ed io non stiamo più insieme non significa che lei non
voglia più passare del tempo in tua compagnia. Noi siamo comunque rimasti
amici- Gaetano avrebbe voluto mangiarsi la lingua piuttosto che definirsi
“amico” di Camilla, ma non poteva fare diversamente. I suoi sentimenti, i suoi
rancori, le sue delusioni nei confronti di Camilla non dovevano condizionare
anche l’esistenza di Tommy.
-Ma io lo so che tu sei
triste perché lei non c’è più.
Mentire o dire la verità?
Quanto poteva comprendere un bambino così piccolo dell’amore? Gaetano fu
tentato di ricorrere alla frase di sicurezza che tutti i genitori sfoderano nei
casi estremi: “sono cose da grandi. Non puoi ancora capire”, ma Tommy meritava
qualcosa di meglio di frasi fatte e risposte vaghe.
-Senti, Tommy, è vero che
sono triste, ma se tu vuoi passare del tempo con lei per me va bene! Davvero.
-Quindi non devo essere
arrabbiato con lei?
Gaetano lo fissò con un
sorriso: -Sei arrabbiato con Camilla?
-Un po’. Però le voglio bene
lo stesso.
-E allora penso che dovresti
andare alla festa e fare la pace con lei.
-Anche tu farai pace con
lei?- chiese Tommy, gli occhi pieni di speranza.
-Tommy- Gaetano si sedette
accanto al figlio passandogli un braccio attorno alle spalle. –io voglio molto
bene a Camilla e gliene vorrò sempre…
-…e anche lei ne vuole a te-
intervenne il piccolo con convinzione, enunciando quella che per lui era una
verità assoluta.
-Certo, anche lei ne vuole a
me, ma in modo diverso.
-Che vuoi dire?
Il commissario non sapeva
proprio come poter spiegare al figlio la differenza tra amicizia e amore, per
lui evidentemente troppo complessa da comprendere.
-Vedi, io vorrei sposare
Camilla, ma lei non se la sente. Per il momento preferisce restare da sola- “a
fare la nonna single e indipendente” avrebbe voluto aggiungere con una
tonnellata di sarcasmo nella voce.
-Non vuole vivere con noi?
Perché?
“Bella domanda” si chiese
Gaetano.
-E’ perché sono disordinato
e mangio sul divano?- continuò il piccolo facendo mente locale sui rimproveri
più frequenti che riceveva dalla madre e anche a volte dal padre.
Il commissario sorrise: -No,
no, Tommy. Tu vai benissimo. Credo che il problema sono io, ma questo discorso
lo affronteremo un’altra volta, d’accordo? Altrimenti non arriviamo più da
Livia! E zio Renzo si finisce tutta la torta!- concluse afferrando Tommy per la
vita e sorprendendolo con un attacco di solletico.
Tommy aveva altre mille
domande, ma comprese che per il padre il discorso doveva ritenersi chiuso.
Saltò giù dal letto come un fulmine, non prima però di aver stretto il padre in
un forte abbraccio, il più forte di cui era capace.
Gaetano lo guardò
allontanarsi: di fatto, si ritrovava a dover gestire i postumi di una
separazione e di un divorzio, senza nemmeno aver goduto dei benefici e dei
piaceri di un matrimonio! Afferrò la prima cosa che trovò, il dinosauro di Tommy,
e lo scagliò attraverso la stanza. Non avrebbe mai maledetto abbastanza il
giorno in cui aveva incontrato Camilla Baudino.
Angolo dell’autrice:
che dire? Prima di tutto ho
deciso di riportare alla sanità mentale Livietta: se è abbastanza matura per
sposarsi e figliare, deve esserlo anche per affrontare il rapporto allucinante
tra la madre ed il commissario. E a parte questo credo che lei e Tommy siano
gli unici che possano fare da intermediari per i due tontoloni.
Quanto a Tommy…lo adoro, è
stato sfruttato poco e malissimo a mio avviso nella sesta stagione, quindi
adesso bisogna recuperare.
Insomma, non vi ho dato la
cena romantica a due, ma una festa di inaugurazione per la nuova casa di Livia.
Ed è solo l’inizio.
Spero che vi sia piaciuto e
grazie a tutti coloro che leggono e che trovano il tempo di lasciare un pensiero.
A presto.
L.