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Autore: StellaDelMattino    16/11/2015    1 recensioni
Ognuno possiede un po' di oscurità in sé. Semplicemente perché è nella nostra natura: ogni persona, anche la più buona, ha nell'anima una macchia scura che contamina ciò che avrebbe potuto essere perfetto.
Madison Huddle è solo una ragazza dal passato turbolento e con uno sguardo ironico sul mondo, quando arriva nella Città, ma da quando incontra Red, tipo eccentrico e misterioso, capisce che non è e non sarà mai normale.
Eppure, il vero problema non è questo, bensì il fatto che nella Città nessuno è normale.
Basti pensare a Gianduiotto, mutante che ama prendere la forma di un macaco e braccio destro di Red, o a Zwinky e Twinky, bariste del "De Vil", o ancora a Maude Maggots, strega della congrega della Mezzaluna, brillante e combattiva.
Per non parlare di Alexander Morales, l'uomo (se si può definire così) forse più potente e spietato, il capo della Famiglia, l'affascinante giovane che Madison non riuscirà mai a capire.
Dal primo capitolo:
"Che ne dici, tesoro" disse una voce sconosciuta attirando la sua attenzione e facendola fermare "se ti do qualche spiegazione sul perché ti sei svegliata in mezzo a una marea di matti?"
Genere: Dark, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 7

Smile, the worst is yet to come

 

“Perché non me lo hai fatto uccidere?” gridò Amon, camminando a grandi passi verso Alexander. Stringeva i pugni e i suoi occhi scuri erano pieni di rabbia.
L'incontro era ormai finito da qualche ora, ma non riusciva a passar sopra al fatto di non aver potuto uccidere quell'impertinente.
Alexander alzò un sopracciglio, vagamente annoiato. Si girò verso di lui, con calma, ed incrociò le braccia sul petto.
“Perché lo volevi uccidere così tanto?” chiese allora di rimando.
Felix avrebbe voluto rispondere con un banale “L'ho chiesto prima io”, ma sapeva che sarebbe risultato infantile. Già solo con la prima domanda, Alexander lo aveva messo in un angolo, facendolo sentire stupido. Strinse i pugni e serrò la mascella, soppesando le parole da pronunciare.
“È di protocollo: uccidere i temerari e i troppo vili per insegnare agli altri ad essere cauti.”
Alexander sorrise e si avvicinò a Felix, dandogli qualche leggera pacca su una spalla.
“Per questo ti ammiro molto e so di poter contare su di te, tu riesci a vedere il motivo dietro a un assassinio” disse a voce bassa, fissandolo negli occhi, sapendo così di addolcire l'umore dello scontroso Amon. “Ma ho pensato di fare un esperimento oggi: ora devi capire che a volte c'è un motivo anche dietro a un salvataggio. Semplice: i più stupidi penseranno semplicemente che abbiamo compassione, poveretti. Gli altri avranno compreso anche meglio che la loro morte o sopravvivenza dipende da noi ancor più che da loro stessi.”
Felix non replicò. Il suo animo era ancora turbato: ogni volta che si sentiva placato rivedeva gli occhioni insolenti di Virgil, ma sapeva bene che la risposta di Alexander era definitiva e non ammetteva repliche.
Era stato più che altro un dialogo fra bugiardi: risposte plausibili, giustificazioni che loro stessi si davano a una domanda a cui non era ancora tempo di dare una risposta.

***

Per quanto Mad si aspettasse di passare la notte in bianco, in realtà sia lei che Connie si addormentarono non appena toccarono il letto.
“I nostri cervelli saranno stati un po' traumatizzati e si sono presi una pausa fino a mezzogiorno” disse Mad alla coinquilina il giorno dopo, guardando l'orologio. Aveva mal di testa e si sentiva terribilmente giù di morale.
“Avrei preferito si prendessero una pausa di un anno almeno, mi sarebbe servita” replicò Connie. Aveva un velo di tristezza, negli occhi, ma sorrideva leggermente.
Con il suo passo fluttuante, la ragazza si diresse in cucina e Madison la seguì in silenzio. Si sedette a tavola mentre l'altra cucinava, con i lunghi capelli raccolti in una coda disordinata.
“Ora come prima cosa dobbiamo capire cosa siamo. Anche se non so come possiamo fare...” disse Mad, passandosi una mano sulla fronte.
Connie annuì. “Ho paura che l'unica cosa che possiamo fare è aspettare.”
In quel momento qualcuno bussò alla porta.
Davanti all'entrata dell'appartamento c'era Gianduiotto, in forma umana.
Madison, di primo istinto, gli chiuse la porta in faccia.
Connie alzò le sopracciglia e sorrise. D'un tratto, il suo sguardo si era illuminato.
“Non ti sembra di esagerare un pochino?” chiese ridacchiando.
Mad scosse la testa. “Non mi aspettavo di vederlo.”
Gianduiotto bussò di nuovo e questa volta la ragazza lasciò la porta aperta, senza però farlo entrare.
“Se Red ti ha mandato qui per convincerci a cambiare idea, puoi anche tornare da dove sei venuto” gli disse, decisa.
Lui scosse la testa. Teneva lo sguardo fisso su Mad, ma spesso lanciava occhiate a Connie, che stava dietro di lei.
“Io sono un mutante, lo sapete, quindi perché non posso entrare?” chiese con voce neutra e uno sguardo di ghiaccio, come al solito.
“Perché sei il braccio destro di Red, i suoi occhi, la sua spia, il suo cagnolino, dillo come ti pare. Avere te qui è come avere Red” replicò Madison.
“E voi allora non ditemi niente. Voglio solo assicurarmi che non moriate.”
“Perché?” Quelle parole sembravano aver fatto arrabbiare Mad, più che mai. Vedeva in esse tutto l'utilitarismo che fin da subito le aveva impedito di fidarsi di Red e, ora che finalmente si era liberata di lui, il suo cagnolino voleva entrare in casa sua. “Perché vuoi che non moriamo, a cosa ti serviamo? Quali sono i piani di Red per noi?!” urlò quasi. La cosa che forse le faceva più male era che in fondo sapeva bene che Connie non aveva a che fare con il progetto di Red, era stata lei, cercando di aiutarla, a metterla in quel pasticcio, ma Mad non pensava di essere abbastanza forte per conoscere l'oscurità in sé, sopravvivere e resistere ai misteriosi piani dell'eccentrico Red da sola.
Gianduiotto la fissò per qualche istante, nel suo sguardo c'era una vivida scintilla di dubbio, confusione. Come se lui stesso si stesse chiedendo quale fosse la risposta.
“Non lo so” disse.
Connie le mise una mano su una spalla. “Parliamone un attimo” le sussurrò.
Di nuovo, chiusero la porta lasciando Whisky fuori.
“Non possiamo lasciarlo entrare o aver mandato via Red non sarà servito a nulla” disse Madison.
“Sì, però sai bene che quel pazzo è potente e se vuole controllarci, un modo lo troverà in ogni caso. Se lasciamo che sia Gianduiotto a controllarci almeno sappiamo chi ci controlla: un mutante. In più, lo conosciamo, anche se non molto. Potrà sembrare poco, ma poco è sempre meglio di niente” replicò Connie. Madison, suo malgrado, riusciva a capire tutte queste ragioni e sapeva che lasciare entrare Whisky era la loro migliore possibilità per avere il controllo.
Annuì con il capo, quindi andarono ad aprire al mutante e, questa volta, lo fecero entrare.
Quella sera, Madison doveva andare a lavorare al De Vil per la prima volta. Una grande serie di preoccupazioni si fece spazio nella sua mente. Al primo posto sicuramente stava Connie, che non sapeva se fosse più al sicuro con Gianduiotto o da sola. Poi, beh, a giudicare dal drink che aveva bevuto solo un paio di sere prima, di certo avrebbe avuto molte cose da imparare e sperava di non combinare guai.
Una vocina le suggeriva che un altro suo timore era quello di incontrare Alexander: cosa gli impediva di andare lì, magari tutte le sere? Di sicuro non il fatto che lei, una nuova con cui aveva parlato una volta, lavorasse lì.
Mad si costrinse a pensare che non importava, ma in cuor suo rimaneva un po' di ansia.
Dopo essersi preparata, aveva deciso di mandare via Gianduiotto, almeno per quella sera, ma quando vide che lui, trasformatosi in un panda, e Connie erano addormentati sul divano, mentre una cassetta riproduceva un vecchio film in bianco e nero sul televisore quasi rotto, si addolcì.
Sorrise, pensando a quando Gianduiotto l'aveva abbracciata mentre era un panda, dopo l'omicidio della ragazza gatto. Quello non glielo aveva ordinato Red, o almeno così credeva.
Alla fine il mutante era vivo, vivo davvero. Ed era possibile che a loro ci tenesse veramente, magari per ora solo limitatamente, ma comunque le sue emozioni non erano tutto o niente. Un po' gli doveva importare.
Madison uscì di casa, piuttosto tranquilla, dopo aver lasciato un post-it sul frigorifero.
“Sono andata a lavoro, ci vediamo domani. Mad” diceva.

La serata al De Vil fu più tranquilla di quanto si aspettasse.
Quella sera c'era Twinky, la gemella con i capelli rosa, che le spiegò con molta calma che per il primo periodo Mad non avrebbe dovuto occuparsi dei drink, almeno finché non li avesse imparati. Inutile dire che la ragazza ne fu enormemente sollevata.
In ogni caso osservava ogni cosa che Twinky preparava, con avida curiosità e vera voglia di imparare, e alla fine della serata già aveva capito un paio di cosette nuove.
Perlopiù puliva i bicchieri e gestiva quel poco cibo che richiedevano, che consisteva soprattutto in patatine fritte. Bevevano più birra di quanto pensasse, così Mad ebbe il suo daffare anche senza preparare cocktail.
Chiusero a un orario della notte che poteva esser considerato già mattina.
Madison uscì dal De Vil che il sole cominciava a sorgere. Era di buon umore e la stanchezza non le pesava molto, anche se ben sapeva che, una volta arrivata a casa, sarebbe crollata.
Sotto il cielo rosato, si incamminò verso l'appartamento, con un sorriso.
Quella sera non aveva visto Alexander. Si chiese se fosse stato solo un caso che due giorni prima fosse andato al De Vil: il capo della Famiglia probabilmente non andava al bar, non si comportava come una persona normale.
Chi fosse normale, in quella città, poi, era impossibile dirlo. Sembravano tutti stravaganti, eccentrici, misteriosi e spesso inquietanti: quella notte ne aveva ben vista gente strana, avevano tutti lo stesso sguardo gli occhi, uno sguardo che diceva “abbi paura” e chiedeva “dovrei aver paura?”. Bene o male, però, ognuno si faceva i fatti suoi. Il locale era ospite di svago e, almeno per ora, non di guerre. Mad sperava che non lo sarebbe mai stato.
In cuor suo, però, sapeva che da qualche parte la guerra si doveva pur svolgere e, da quello che aveva visto, sospettava che si combattesse proprio nelle vie della Città.
Era giusto così probabilmente: loro, gli abitanti della Città, erano al sicuro finché erano nelle proprie case, insieme ai propri simili o da soli, ma rischiavano la vita non appena si incrociavano con altri nello scheletro dell'oscurità che altro non era che la Città stessa. Lì morivano, all'aria aperta, sotto quel cielo che doveva appartenere anche agli umani, ma con le membra percosse dalla risata macabra di quella città che li voleva rendere mostri.
Mad scosse la testa. Da dove venissero quei pensieri, lo ignorava, eppure le venne l'istinto di passarsi le mani sulle braccia, per riscaldarsi, come se fosse penetrato fra le sue ossa il sibilo della voce della Città, che sussurrava qualcosa che non capiva.
Di nuovo, Mad scosse la testa e finalmente si riscosse dal torpore in cui l'avevano portata questi pensieri. Guardandosi intorno, alzò un sopracciglio. Dov'era finita?
Davanti a lei si stagliava una grande casa all'apparenza abbandonata. Prima di essa, un enorme cancello arrugginito sembrava aprire i suoi artigli verso chiunque volesse entrare. Poi un giardino, composto solamente da rami, con spine grandi come non ne aveva mai viste, dai quali sbocciavano rose rosse come il sangue da cui sembrava colare del liquido dello stesso colore. Come se non bastasse, l'alba aveva abbandonato il cielo, dove ora si addensavano minacciose nuvole scure che minacciavano tempesta e già mandavano i primi fulmini.
Madison scoppiò a ridere.
La protagonista stupida di un film horror sicuramente sarebbe entrata in quella casa, ma lei non aveva alcuna intenzione di farlo. Quando qualcosa ti manda così tanti segnali di pericolo, non stuzzica la curiosità, solo il tuo suicidio. Mad non desiderava di certo la morte.
La ragazza si girò e iniziò a camminare, ma la sua mente dopo qualche secondo ricominciò a vagare e, persa nei suoi pensieri, si ritrovò di nuovo davanti alla casa. Così successe per tre o quattro volte. Sembrava che qualcosa volesse che lei entrasse, ma Mad aveva paura di sapere che cosa.
Non poté far altro che entrare, suo malgrado, così superò il cancello e camminò lungo lo stretto percorso lasciato libero dai rovi. Arrivò dunque davanti al grande portone di legno. Si sentiva la protagonista stupida di un film horror.
Ispirò e spinse.
Andò a sbattere contro qualcuno, cadendo nel panico e cadendo anche letteralmente. Il cuore sembrava uscirle fuori dal petto, i suoi neuroni già elaboravano una fuga o una difesa, quando si accorse che una ragazza la guardava.
“Pessimo tempismo” disse la sconosciuta. “Stavo giusto uscendo.” Vedendo che Madison la fissava imbambolata, alzò un sopracciglio. “Ci conosciamo? Non ti ho mai vista nella congrega.”
Mad finalmente si calmò. Respirò a fondo, poi si alzò, passandosi le mani sui vestiti per pulirli.
“In realtà mi sono persa” disse scrollando le spalle. “Stavo tornando da lavoro, mi sono ritrovata qui e non riesco ad andarmene, ecco.” Sembrava piuttosto stupido da dire, effettivamente, e già si aspettava che la sconosciuta scoppiasse a ridere.
Quella, invece, si limitò a sorridere.
“Sei nuova, ora si spiega tutto.”
Le fece segno di entrare, ma Mad esitò, non si fidava. Non aveva altre alternative, però, quindi dovette entrare comunque.
La stanza in cui entrò era tutto l'opposto dell'esterno: era una stanza ampia, illuminata, con le pareti e il pavimento di un caldo beige chiaro. Ai lati c'erano due scale, mentre appeso al soffitto c'era un meraviglioso lampadario enorme.
“Mi chiamo Maude Maggots e sono una strega della congrega della Mezzaluna, che ha sede in questa casa” chiarì la sconosciuta, con un sorriso affabile. I suoi piccoli e vispi occhi scuri esprimevano sicurezza e intelligenza.
Madison avrebbe descritto una strega proprio com'era Maude: aveva abiti scuri, dei jeans neri e una canottiera dello stesso colore, con sopra una camicia blu scuro, al collo portava delle collane lunghe composte da un filo nero sottile e diversi ciondoli, fra i quali Mad notò un paio di mini boccette. Molti erano anche i suoi anelli e braccialetti e ai piedi aveva degli stivaletti con qualche centimetro di tacco.
Quello era decisamente uno stile che a Mad piaceva, e anche molto.
“Non so se per te sia una buona o una cattiva notizia” continuò Maude “A volte succede che i nuovi arrivati siano attirati da un branco o da una congrega, questo perché ne è attirata la loro oscurità. Quindi... probabilmente stai per diventare una strega.”
Questa era davvero una buona notizia. Essere una strega voleva dire essere viva, quindi in un certo senso più vicina all'umano, senza considerare che non sarebbe dovuta morire.
“Come ti chiami?” le chiese Maude, che era molto felice di vedere la nuova così contenta e sollevata all'idea di diventare una strega.
“Madison Huddle” rispose. Si strinsero la mano e già provavano simpatia l'una per l'altra.
“Purtroppo non puoi stare nella congrega se non ne fai parte, quindi dovrai aspettare che si mostri la natura di strega per entrare a farne parte, però almeno sai cosa aspettarti. Ah, a differenza di quello che si pensa, non hai bisogno di bacchette o manici di scopa, né altro. Ogni incantesimo ha bisogno di parole, ma per quelli basi basterà una parola da pensare” spiegò Maude con un sorriso gentile.
Madison storse il naso. “E come farà la mia natura di strega a... manifestarsi se non so gli incantesimi?” chiese.
“Una parte di te già li conosce, diciamo che ti sembrerà naturale. Almeno per i più semplici.”
Se non altro era un buon inizio.
D'un tratto, Mad aveva dimenticato la sua preoccupazione. Lo scenario da film dell'orrore che le si era presentato poco prima sembrava essere lontanissimo. Non vedeva l'ora di dirlo a Connie.
Per un secondo si incupì, pensando che non avrebbe dovuto dirlo a Gianduiotto, così che non lo sapesse anche Red. Il primo segreto, insomma, anche se aveva la sensazione che lo avrebbero seguito molti altri. In ogni caso, non era quello il momento di pensarci.
Senza troppi convenevoli, Mad chiese alla strega di indicarle come tornare a casa.
“Ti consiglio di non passare all'interno del territorio del branco di Connor, quindi devi allungare la strada. Appena uscita di qui vai dritta, invece di girare a destra alla prima via, gira alla quarta. Percorri la via e poi dovresti trovare la zona del De Vil.” Da lì, Mad sapeva come orientarsi.
La ragazza uscì dalla casa, dopo aver salutato Maude.
Era davvero contenta di essere una potenziale strega.
Essere in una congrega, pensò, doveva anche essere più sicuro. Se non altro in caso avrebbe avuto qualcuno che la proteggesse. Nell'impeto di ottimismo, Mad si disse che la congrega avrebbe di sicuro garantito la propria protezione anche a Connie, sempre che anche lei non fosse una creatura da congrega o branco.
Dovevo girare alla terza o alla quarta?, si chiese quando fu davanti alla terza via. Alla fine decise di girare lì, sentiva la stanchezza che le pesava sulle spalle, quindi era meglio non allungare la strada. In ogni caso avrebbe fatto in fretta per evitare eventuali pericoli.
Non si era accorta di esser caduta nuovamente nel torpore dei pensieri, che tante volte l'aveva portata verso la congrega. Questa volta, condotta dallo spirito della Città, non stava tornando alla casa, ma fu forse in quel primo momento che Madison Huddle veniva sospinta verso il proprio destino. Da quando era arrivata nella Città, Mad aveva già imparato molto, era già cambiata molto, ma ciò che stava per succedere era ciò per cui quella Città stessa esisteva. La Città dei mostri sorrideva maligna, nella sua forza trascinava Madison, le annebbiava la mente e la spingeva verso quello stesso punto in cui anche un'altra persona era spinta.
La Città rideva, mentre Madison finalmente si risvegliava da quel torpore, rideva mentre un lupo mannaro, l'altra anima destinata a quel momento, le andava incontro, chiedendole cosa ci facesse nel territorio di Connor.
La Città si vantava della propria forza, mentre il lupo mannaro accusava Mad di essere un gatto lì per trovare informazioni.
“Non è vero!” gridava Mad, nel tentativo inutile di fargli cambiare idea, di fargli capire. Cercò di spiegargli, ma lui non ascoltava. Quando vide che gli occhi dell'uomo avevano cambiato colore, quando capì che i suoi arti stavano iniziando a mutare, Madison scappò.
Corse, ma dopo non molto capì che non ce l'avrebbe mai fatta, il lupo l'avrebbe raggiunta. Si infilò in un condominio apparentemente abbandonato, tanto simile a casa sua, e salì le scale, guidata da nient'altro che l'istinto di sopravvivenza. Non aveva un piano, non aveva nessuna possibilità di sopravvivere e questa consapevolezza la schiacciava e la uccideva. Ma non poteva fermarsi, non aveva alternative.
Entrò in un appartamento e in un istante seppe che il lupo era dietro di lei. Questi cercò di colpirla con un artiglio, ma Madison si tolse velocemente. Poi il mannaro avvicinò le sue fauci a lei, ma prima che mordesse ancora una volta la ragazza si era spostata. Mad arretrava, velocemente, finché non si trovò su una terrazza, gemella a quella che aveva nel suo appartamento. Con due artigli il lupo la ferì su un braccio e la ragazza non pensava di aver mai sentito un dolore più lancinante, fece per urlare, ma l'animale stava per attaccare di nuovo, così dovette spostarsi. Il lupo finì contro la ringhiera, ma aveva dato troppo impulso all'attacco, quindi essa si era rotta e minacciava di farlo cadere.
Madison non ebbe il tempo di pensare, eppure scelse comunque.
La Città in quel momento le stava chiedendo a gran voce che cosa lei fosse, ma Mad non sentiva, non poteva sentire. Eppure rispose comunque.
Poiché l'unica domanda che ti pone la Città è se sei una vittima o un mostro, Madison rispose che era un mostro.
Spinse il lupo, che cadde con la ringhiera e si infranse al suolo. Immobile rimase lì, poi lentamente riprese la forma umana. Allora, solo allora, dal suo capo si espanse un alone di sangue rosso.
La Città rise.

 

   
 
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