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Autore: Adeia Di Elferas    17/11/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Papa Sisto IV aveva voluto vedere Caterina per motivi di salute.
 Come molti conosceva le capacità curative della giovane e si fidava dei suoi intrugli molto più di quanto non si fidasse delle polveri e delle radici che gli venivano propinate dai medici di corte.
 In particolare quella volta le chiese qualcosa che lo aiutasse a dormire e che gli lenisse il dolore alle articolazioni. Caterina si congedò e subito dopo tornò con le pozioni migliori del suo repertorio.
 Solo quando fu il momento di salutarsi per la notte il papa ebbe il coraggio di fare un accenno alla partenza di Girolamo: “E così domani mio nipote raggiungerà il campo degli Orsini...”
 “Era quello che volevamo tutti, no?” chiese Caterina, mentre versava la prima delle pozioni al papa.
 Sisto IV restò particolarmente colpito dalla freddezza con cui Caterina aveva parlato. Tanto che decise all'istante che, per quella sera, era meglio non toccare più l'argomento.
 Così, prendendo il calice, disse, cambiando argomento con disinvoltura: “Questo intruglio ha anche un odore gradevole... Un giorno mi dovrete spiegare come fate a rendere delle medicine tanto gradevoli...”
 Quella notte Caterina non si oppose alla compagnia di Girolamo. Egli era troppo scosso e non pareva particolarmente padrone di sé, quindi Caterina aveva temuto di scatenarne la violenza in caso gli avesse opposto resistenza.
 Per contro a Girolamo non sfuggì l'indifferenza con cui sua moglie ne accettò la presenza, tuttavia non ebbe a lamentarsene, dato che da troppo tempo da Caterina non riceveva altro che aperte minacce e insulti.
 Era quasi l'alba, e Girolamo ancora non dormiva. Caterina si svegliò improvvisamente, scossa da un brivido di freddo. Tirò verso di sé ancora un po' la coperta e fu allora che, nell'ombra delle braci praticamente spente, vide che Girolamo stava seduto alla scrivania, i gomiti sulle ginocchia e la schiena curva.
 La tentazione di voltarsi e tornare a dormire fu molto forte, ma le parole che sua madre Bona le aveva rivolto anni prima, le tornarono in mente e così fece uno sforzo per appoggiare il marito come meglio poteva.
 Si mise a sedere sul letto, tirandosi la coperta fin sotto al mento e chiese: “Cos'è che non ti fa dormire?”
 Girolamo sussultò. Era tanto immerso nei suoi pensieri da non essersi accorto che la moglie si era svegliata. Fece un profondo sospiro, aprì la bocca, ma, appena prima di dar voce alle sue paure, si risolse a dire solo: “Nulla. Tornate a dormire.”
 Caterina dapprima si ricoricò, ma poi non riuscì a tacere: “Se sei in questo stato è solo colpa tua.” lo rimproverò: “Non era affatto il caso di soffiare ancora su un mare in tempesta.”
 Girolamo dette in una risata bassa e sinistra che Caterina non gli aveva mai sentito fare. Con quel buio e a quell'ora era molto inquietante.
 “Tornate a dormire.” ripeté Girolamo: “Tanto so che non accetere mai di venire con me al campo.”
 Caterina attese un momento, ma alla fine si rimise davvero sdraiata e fece del suo meglio per riprendere sonno.
 Senza successo.

 Il Conte Girolamo Riario era partito senza spiegamento di folla, né con grandi discorsi o suoni di tromba.
 Dopo la notte insonne era salito sul suo cavallo e assieme a una manciata di Orsini era partito verso il campo in cui era già stato montato il padiglione dello stato maggiore.
 Caterina passò una giornata terribile, chiedendosi se mai stesse sbagliando con suo marito e riconvincendosi, ogni volta di più, di aver fatto la cosa giusta a non seguirlo.
 A sera, però, quando si trovò sola con i propri figli, il più grande dei quali aveva nemmeno quattro anni, si sentì talmente impotente e inutile da rimpiangere di non essere partita con Girolamo quella mattina stessa.
 Ottaviano giocherellava con un cavallo intagliato nel legno, dono del papa in persona.
 Cesare, invece, saltellava sui disegni del tappeto, seguendo un percorso che esisteva solo nella sua mente.
 La piccola Bianca si guardava in giro, gli occhietti da lattante stretti nella luce delle candele. Stava cercando il padre.
 Caterina li osservò per tutta sera, incapace di interagire con loro come avrebbe fatto in una serata normale. Si mordeva il pollice, mentre si chiedeva che mai stesse facendo in quel momento sua madre Lucrezia, e i suoi fratelli e le sue sorelle e si chiese anche se Bona era davvero ancora viva.
 Alle volte le sembrava che la corte di Milano così come l'aveva conosciuta lei non fosse mai esistita, e con essa tutte le persone che ne facevano parte.
 Per un lungo periodo aveva chiesto al papa e a suo marito di tornare a Milano anche solo per qualche settimana, ma non le era mai stato concesso. Ora che, forse, ne avrebbe avuto il permesso, se non altro per motivi diplomatici, non aveva alcun desiderio di tornare al palazzo di Porta Giovia.
 Chi avrebbe trovato, là, delle persone che aveva amato?
 Lucrezia viveva ora con suo marito, e Bona era a Pavia. I suoi fratelli e le sue sorelle, per quel che ne sapeva, erano un po' in carcere con Bona e un po' a casa di Lucrezia. Perfino Cicco Simonetta non c'era più. La Milano che aveva amato da bambina era finita per sempre con la morte di suo padre Galeazzo Maria e lei se ne rendeva conto solo quella sera.
 Bianca, che le stava in braccio, allungò una manina verso la sua guancia, come ad asciugarle la piccola lacrima che le stava rigando la pelle chiara e liscia.
 Caterina fece un debole sorriso e la piccola ricambiò con una di quelle smorfiette che fanno i bambini molto piccoli.
 Mentre la guardava fissa negli occhi, Caterina ebbe un'idea che non le era ancora venuta. Un modo per sentire più vicina la sua famiglia e la sua stessa infanzia.
 Richiamò l'attenzione di Ottaviano e di Cesare e tenne ancor più stretta a sé Bianca, come se anche lei potesse capire alla perfezione quel che stava dicendo, e cominciò a raccontare una storia che sua nonna Bianca Maria le aveva narrato mille e mille volte: “C'era una volta un nobile soldato, un uomo valoroso e pieno di coraggio. Il suo nome era Francesco Sforza, ed era il vostro bisnonno.”

 Passarono le prime settimane e Girolamo teneva informata la corte di Roma e la moglie su tutto quello che accadeva. In realtà, per il momento, non era successo molto.
 Anche Paolo Orsini mandava puntuali resoconti, spiegando con maggior dovizia di particolari quel che stava capitando e lamentandosi, sempre meno velatamente, della mancanza di impegno e dell'assenza – ormai impossibile da non notare – di Girolamo nelle brevi battaglie che si stavano consumando in quei giorni.
 Nel frattempo da Ferrara arrivavano notizie poco rassicuranti. Dopo un primo momento di pace, Venezia aveva ricominciato a insidiare Ercole d'Este, evidentemente pentita della tregua accordata al papa in cambio del ritiro della scomunica.
 Sisto IV perdeva autorità a vista d'occhio, assieme alla salute. Caterina aveva interpellato più volte i pochi medici di corte che non le parevano prezzolati e fedeli a questa o quell'altra famiglia che sperava di prendere il posto dei Della Rovere, e questi non facevano altro che rassicurarla.
 “Il Santo Padre sta solo passando un momento difficile, mia signora – dicevano – solo stanchezza, il brutto tempo... Vedrete che con l'arrivo della primavera, tutto andrà meglio!”
 Perfino Giuliano Della Rovere, che stupido non era, si era lasciato convincere dai medici e aveva ripreso i suoi viaggi, confidando in una pronta ripresa di suo zio.
 Ma la primavera si stava avvicinando e la neve non cadeva più da tempo, eppure il papa non migliorava.
 A rendere la situazione ancora più pesante, per Caterina, arrivò la certezza di essere incinta per la quarta volta.
 Da almeno un paio di mesi ne aveva il dubbio, ma ormai ne era sicura. Non aveva ancora detto a nessuno di essere di nuovo in stato interessante e, come ormai era consuetudine, le sue abitudini non erano cambiate. Cavalcava, si addestrava e non aveva per sé alcun riguardo particolare.
 'Se questo figlio sopravviverà come gli altri – si diceva – allora è uno Sforza. Altrimenti, se ha in sé solo il sangue dei Riario, meglio per lui morire ancor prima di venire al mondo.'

 “Caterina...” sussurrò il papa, facendole segno di avvicinarsi.
 La giovane si accostò a Sisto IV con passo veloce. Il papa era molto stanco, quel giorno, e i suoi occhi erano appesantiti da profonde occhiaie.
 Caterina l'aveva visto anche più provato, in quei giorni, ma non poté fare a meno di preoccuparsi per il suo stato.
 “Paolo Orsini mi ha scritto questa mattina – fece Sisto IV, non appena la ebbe accanto – e non ci sono buone notizie.”
 Caterina sentì il cuore perdere un colpo e istintivamente si portò una mano al ventre.
 Gli occhi spenti e appesantiti di Sisto IV ebbero un veloce guizzò e furono attraversati da un repentino lampo di comprensione. Forse ora anche lui aveva capito che Caterina aspettava un altro figlio.
 “Cos'è accaduto?” chiese la giovane, in apprensione.
 “Mio nipote Girolamo continua a sottrarsi ai suoi doveri e mi è stato detto che non muove un passo senza le sue guardie del corpo.” fece il papa, con un filo di voce, il cuore gonfio di quella che doveva proprio essere vergogna: “Si sta comportando da vigliacco, permettendo ai nemici di prendersi gioco di lui e beffa di me.”
 Caterina ascoltò il tutto in silenzio, lasciando che Sisto IV confessasse tutto il suo disappunto.
 “Ebbene, mia cara Caterina, non posso permetterlo più. Con la sua condotta mette a rischio tutta la nostra famiglia. Dobbiamo dimostrarci forti e riprendere terreno. I Colonna si stanno appoggiando ovunque e potrebbero anche vincere questa insensata guerra civile e allora dei Della Rovere non resterebbero che ceneri...”
 Dicendo questo, il papa appoggiò una mano nodosa sulla spalla di Caterina, che ne avvertì il peso. Non che il papa si stesse appoggiando fisicamente a lei più di tanto. Si stava appoggiando con lo spirito e questo era forse ancor più gravoso per le spalle di una giovane donna di vent'un anni.
 “Non certo vi chiedo di scendere in battaglia e sguainare la spada davanti al nemico, no...” fece Sisto IV, mesto: “Soprattutto non ora.” soggiunse, lanciando uno sguardo insinuante al ventre di Caterina: “Ma almeno di fare presenza. Di dare il vostro consiglio, di mostrarvi ai soldati e al nemico. Di dimostrare che la nostra famiglia è ancora forte e presente.”
 Caterina deglutì rumorosamente. Da giorni ormai aveva il sentore che quella richiesta fosse nell'aria.
 “Sarà prudente lasciarvi...?” 'Solo' stava per aggiungere, prima di rendersi conto dell'assurdità di quella frase. In Vaticano il papa era tutto fuorché solo. Anche se dei molti che lo circondavano, forse nessuno gli era rimasto davvero fedele...
 “Vi preoccupate più per me che per i vostri figli?” chiese Sisto IV, le labbra secche sollevate in un sorriso: “Suvvia, non temete per me. I medici non mi danno ancora per spacciato, vi prego di non essere disfattista...”
 Caterina allora fece un respiro profondo: “Se è così...”
 “Accettate?” chiese il papa, speranzoso.
 “Per riguardo a voi, non certo per vostro nipote.” precisò Caterina.
 “E sia. Sarete scortata dai nostri migliori uomini e...” prese a dire il papa, con un po' di ritrovato entusiasmo.
 “Vorrei portare con me dei pezzi di artiglieria moderna. Il maestro d'armi sa già tutto, ne abbiamo discusso in queste settimane. Se ho il vostro permesso, credo che qualche bocca da fuoco moderna sarebbe necessaria, se vogliamo vincere.” lo interruppe Caterina.
 Sisto IV annuì: “Certo, tutto quello che volete.” le baciò una mano: “Siete un dono del cielo, Caterina.”

   
 
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