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Autore: NightWatcher96    17/11/2015    2 recensioni
Spesso le malattie ritornano e talvolta più forti di prima. Mikey è stato un bambino colpito dalla leucemia infantile, si sa... ma sarà in grado di sconfiggere il vecchio nemico adesso che è molto più forte? Sequel di "My Peace of Heart"
Genere: Azione, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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N/A  Salve, ragazzi! Finalmente ho ritagliato un po' di tempo per aggiornare questa fic, anche se avevo detto che era quasi completa e sottolineo "quasi". In questo nono capitolo ci occuperemo di una pratica nel nostro Paese giudicata illegale in quanto è come se sovvenzionerebbe la morte stessa. Vediamo cosa accade nella famiglia Hamato, però. Detto questo, voglio sempre ringraziare calorosamente la dolce Abyss, la mia cara Zoey_Charlotte_Baston, la mia Onee-San LaraPink777 e tutte le altre affezionate lettrici, sia nuove sia vecchie! :)
Enjoy!

P.S Nelle prime righe ho raccontato un'esperienza leggermente diversa provata sulla mia pelle quando andai a fare una radiografia polmonare e anche una alla mano destra. Le sensazioni descritte erano le mie.



Giorno 1, ore 16:40
 

Un corridoio grigio, dove su varie porte facevano capolino il classico simbolo giallo delle Radiazioni. Brusii di dottori provenivano da altri tunnel ospedalieri fatti di scale e ascensori.
Questo era il reparto di Radiologia varia e dove si sarebbe sottoposto ai cicli di chemio.

Mikey non ci fece granché caso comunque, troppo spaventato dal seguire silenziosamente Ivan verso la sua camera in penombra.

"Accomodati, piccolo."- aggiunse l'umano, richiudendo la porta.

La tartaruga obbedì, straiandosi su le classiche sedie scomode dei dentisti, mentre una luce calda gli si proiettava sul viso.

"Come ti senti?"- domandò Ivan.

"Una schifezza, onestamente...".

Un leggerissimo sorriso strisciò sulle labbra del dottore ma ben presto divenne parte di un'espressione impassibile, degna di un uomo con grande sapienza e professionalità.
Alle sue spalle, su un carrello di metallo, si infilò dei guanti di lattice, poi prese un batuffolo di cotone e cominciò a strofinarlo sul bicipite magro e puntinato di macchioline invisibili al giorno precedente.

"Hai paura degli aghi, Michelangelo?"- chiese Ivan.

La tartaruga annuì leggermente ma non batté ciglio quando Ivan gli iniettò il Cortisonico nel braccio sinistro e uscì dalla stanza, rientrando in un gabbiotto schermato dalle radiazioni che avrebbe azionato tramite una console.

Tutto quello che sentì l'arancione fu un ronzio profondo a premere sui poveri nervi acustici e un tremare nel corpo. Forse era l'effetto della Chemio.

Mentre il suo fisico cominciava a mostrare gli effetti del liquido, nella sua mente cresceva una canzone che gli aveva fatto ascoltare tempo fa Raphael. I Try di un gruppo che amava.
Ogni singola parola aveva senso per lui.
Doveva provare, lottare ancora una volta e se sarebbe morto, ci avrebbe provato seriamente ad affrontare quel male infido completamente da solo.
Chiuse gli occhi.
Attraverso le palpebre si delineavano i volti felici della sua famiglia, i sorrisi, le risate, la gioia e l'affetto puro. Una lacrima riuscì a colare lungo la guancia ora così sudata; non era giusto soffrire ancora, né coinvolgere così tanto gli altri.

Perché lottare se era un Prescelto? Era uno spreco di denaro, tempo!

"Forse dovrei semplicemente arrendermi..." pensò Mikey, schiudendo gli occhi opachi.

Il sudore dalla fronte gocciolava lungo il viso stanco, annidandosi nell'incavo del collo e mischiandosi alle lacrime salate. Era una sofferenza tutto questo. E lui non la meritava.
Mikey guardò la sua pelle pallida, così tale da poter vedere la ragnatela di vene dilatate e le ossa sottili... ieri sera non aveva quei puntini rossastri.
Poi si ricordò, anche da bambino li aveva avuti, però.
E mentre soffriva, tremando e completamente sudato, prendeva forma un'idea che avrebbe ferito la sua famiglia...

 
Alla tana...
 

Raphael era davanti alla cameretta di Mikey da un po'.
Leo era al centro del dojo a fissare il soffitto, con le katana abbassate verso il tatami.
Donnie era seduto al suo banco da lavoro, fissando il monitor con uno screen saver corvino.
Splinter riguardava la fotografia dei suoi figlioli felici, nella sua stanza.
Il vuoto, il silenzio, l'angoscia regnavano nella tana da quando Mikey era stato ricoverato.
Com'era triste.

Raph inspirò profondamente e finalmente entrò, osservando il lettino vuoto, l'album dei disegni appoggiato sulla scrivania e uno zainetto rosso zeppo di consumati astucci con matite ridotte alla grandezza di un mignolo umano.

Improvvisamente si tese: si era dimenticato di consegnare il suo regalino a Mikey!

"Oh, no!"- ringhiò, fuggendo nel dojo. "Leo! Dobbiamo andare da nostro fratello!".

"Ci andremo, ma fra un'oretta. Ivan ci ha pregati di non andare all'orario abituale, perché Mikey, dopo la chemio, sarà profondamente addormentato...".

"Tu non capisci!"- riprese il rosso, disperato. "Non gli ho dato il regalo!".

"Quale regalo?".

A parlare era stato un Donatello dagli occhi spenti di tristezza e l'aria quasi apatica.

"Io... ecco, ero riuscito a trovare un kit per disegnare... so che Mikey ha degli autentici spezzoni di matite e spesso si lamentava di non poter colorare come voleva. Così, beh, gli avevo regalato un album nuovo e dei pastelli..."- spiegò il rosso, tremando di disperazione.

Lo stomaco gli faceva così male che una sensazione acida gorgogliava in gola.

"Raph, è davvero carino da parte tua..."- sorrise Donnie.

"Come uno stupido, ieri ho dimenticato di portarglielo..."- soffocò il rosso.

Leo e Don non esitarono ad avvolgergli le braccia intorno alle spalle sempre più tremanti, in quel momento potevano solo dargli un po' di conforto. Anche i loro cuori, dopotutto, piangevano disperatamente, in simbiosi alle parole gravi di Ivan.

La leucemia si era sviluppata troppo precocemente e il suo stadio non era nulla di rassicurante. Avevano troppa paura di pensare al peggio.
Quel pensiero era troppo orribile per essere sfornato dalla mente.

"Andrà tutto bene..."- sussurrò Leonardo, sorridendo, mentre alcune lacrime gocciolavano lungo le guance.

Raph restrinse gli occhi e per la prima volta si lasciò andare, seppellendo il viso nel petto del maggiore, mentre gettava via tutto il suo dolore.
Erano come tartarughini, in quell'attimo così lungo, così intenso, così fraterno.

"Ho paura! Ho paura che Mikey possa lasciarci, questa volta!"- gridò contro la gola di Leo, mentre piangeva con maggior impeto.

"Sii forte, Raph... esattamente come lo è il nostro Otouto..."- aggiunse piano Donnie, abbracciandolo sul guscio.

Anche lui piangeva mentre si sforzava di tenere il sorriso.

Nessuno dei tre si accorse dell'amorevole nonché umido sguardo paterno dietro le shoji, aperte solo un po'; Splinter li osservava, mentre una lacrima si insinuava nel suo pelo nel tono del cacao.
"Michelangelo..." pensò, richiudendo piano le porte.

Ricordava ancora le parole di Ivan, dopo una richiesta di parlare in privato. Proprio lo scorso giorno, l'uomo aveva spinto gentilmente i suoi ragazzi a far compagnia a Mikey per non renderli partecipe alla terribile notizia nascosta dietro a falsi sorrisi.

"Yoshi San, voglio essere franco con lei. Questa volta la leucemia si è espansa quasi al trenta per cento del suo corpo e temo che questi cicli prescritti non potranno che rallentare una dura agonia. Quand'era un bambino siamo intervenuti con il trapianto, ma questa volta non possiamo contare sulla possibilità remota di trovare un altro donatore compatibile. Il linfoma è troppo grande, è una metastasi che spaventa perfino me...".

Yoshi si sentì quasi soccombere.

"Ivan, quanto tempo ha da vivere mio figlio?"- chiese con coraggio crudo.

Il suo cuore inviò una palpitazione dolorosa contro lo sterno.

Infilate le mani in tasca, il dottore rispose piano: "Approssimativamente circa quattro mesi e mezzo ma speriamo ancora in un miracolo. La nostra medicina è avanzata, più di quella della Terra".

"La prego soltanto di non informare di questo i miei ragazzi. Conoscendoli, sarebbero capaci di compiere pazzie..."- chiese il topo, con un fil di voce e un accenno di sorriso.

Ivan gli appoggiò la mano sulla spalla e quando entrambi sentirono le risate contagiose delle tartarughe, cercarono di rendersi neutrali a quanto detto e si lasciarono avvolgere dalla loro calda aura.

Splinter era l'unico a comprendere che era un count down sempre più vicino alla fine. E non poteva sopportarlo. Doveva essere lui a morire per prima, non il suo angelo più giovane, il suo sole d'alba d'oro, il suo cuore.
"Michelangelo..."- mormorò, diteggiando una sua fotografia.

E intanto, i suoi altri figli si tenevano ancora stretti in un abbraccio, cercando di sopprimere il dolore di quella situazione.

"Andiamo da Mikey, ti prego..."- sussurrò Raph.

Leo non rispose e meccanicamente volse gli occhi arrossati dal pianto verso le shoji del padre; percepiva come una fredda aura carica di disperazione.
"Sì. Andiamo."- mormorò con voce distaccata...
 

Michelangelo era come un cucciolo splendente nel mare bianco delle lenzuola del suo letto. Dalla finestra filtrava l'arancio intenso del tramonto e gli sfumava dolcemente i tratti del suo viso libero dal dolore.
Gli Hamato lo vegliavano, seduti intorno a lui e pensavano a quante cose belle avrebbero fatto insieme una volta che l'avrebbero dimesso.

"E' proprio un bambino..."- espirò dolcemente Leonardo.
Stringeva un piccolo pacchettino azzurro contenente qualcosa che sicuramente sarebbe piaciuto a Mikey.

"Puoi ben dirlo, Leo!"- ridacchiò Donnie, diteggiando una busta viola con un fiocchetto bianco.

Raph sorrise leggermente, senza pronunciarsi, mentre stringeva un po' lo zainetto marrone contenente il suo prezioso regalo artistico per suo fratello. Doveva solo avere pazienza. Mikey si sarebbe svegliato tra poco e glielo avrebbe consegnato.

Splinter era combattuto interiormente; voleva disperatamente far conoscere quella terribile sentenza emessa da Ivan ma temeva le conseguenze, soprattutto per Raphael, visibilmente debole di psiche.
Improvvisamente, in un piccolo gemito, occhi azzurri si riaprirono piano.

"Mikey!"- esclamò felice e disperato il rosso, balzando in piedi dal suo sgabello di metallo.

L'arancione gli rivolse un caloroso sorriso ma rimase in silenzio. Aveva male dappertutto, era nauseato e si sentiva talmente debole che il semplice aprir bocca gli sembrava un'impresa troppo difficile.
Suo padre gli baciò la fronte, accarezzandogli dolcemente il volto cadaverico, mentre inviava segnali con gli occhi ai suoi ragazzi di consegnare i doni.

"Mikey, come stai?"- fece timidamente Leonardo, prendendogli una mano.

Il suo fratellino era meno bollente ma ancora in parte febbricitante.
"Stanco..."- sussurrò piano l'altro. "Volete sapere com'è stata la chemio?".

Nessuno rispose.

"Un ago nel braccio e tante radiazioni. Nonostante la sofferenza, in parte ho avuto modo di pensare a voi, la più bella famiglia che potessi desiderare...".

Un abbaglio di orrore scolorì i volti degli Hamato.

"Mikey... c... che cosa stai cercando di dirci...?"- deglutì Leonardo, spaventato.

"In tutta la mia vita mi sono sempre sentito amato, colmo d'affetto e nonostante gli alti e bassi, tutto è stato perfetto."- continuò Mikey, cercando di mettersi seduto. "Ma adesso questa battaglia è difficile... sono troppo stanco e ho capito che questo tentativo di strapparmi dalla morte si rivelerà perfettamente inutile".

"Non dire stupidaggini!"- scattò Raphael.

"Raph, fin da quando avevo tre anni, sono diventato un..."- fece il minore, affievolendosi un po' dallo scatto iniziale. "... prescelto".

Splinter spalancò gli occhi mentre Leo si premeva una mano contro le labbra. Allora il piccolo angelo già sapeva di tutto questo mondo, così definito nella cultura nipponica.
Il focoso scosse energicamente il capo e lo strinse al petto con una tale violenza che lo zainetto prezioso crollò sul pavimento con un tonfo morbido.
Gli altri erano pronti a intervenire ma rimasero immobili, straziati dalla scena. Raphael si dondolava assieme a suo fratello, mentre piangeva come un bambino senza la sua mamma. Le lacrime avevano l'aspetto di essere molto pesanti e colavano lungo la testa di Mikey, diffondendosi nel cotone della stoffa della maschera arancione.

"Non voglio dirti addio, Mikey! Sei troppo importante!"- esclamò tremante.

"Raph, ragazzi, maestro..." fece l'altro, con calma glaciale. "Io non voglio più farmi curare. Rinuncio a tutto".

"NO!"- urlò Raphael, scuotendolo violentemente per le spalle.

Il giovane Mikey gemette alla stretta eccessiva delle dita contro le sue stesse ossa così fragili ma annuì piano.

"Figliolo, cosa ti porta a dire questo? Possiamo curarti anc-".

"No."- stoppò l'altro. "Riconosco i miei limiti. Questo cancro mi sta consumando velocemente e so per certo che Ivan avrà già emesso un ultimatum. Dimmi, maestro, quanto mi resta da vivere?".

Il topo ebbe un mancamento e se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Leo, sarebbe crollato sul pavimento. Il suo figlio bambino aveva intuito ogni cosa e a questo punto non ne valeva la pena mentire.
"Sì, Ivan e io abbiamo già parlato di questo."- ammise.

"Cosa?!"- espirò incredulo Donnie. "E perché noi non ne sappiamo nulla?! Perché siamo stati tagliati fuori da una cosa del genere?".

"Per evitare inutili discussioni, D."- rispose calmo Mikey, mentre accarezzava il capo di un Raph inginocchiato accanto al suo letto, incapace di smettere di piangere.

Il topo annuì piano, poi spiegò: "Ivan mi ha espressamente detto che questa volta è tutto complicato. Non possiamo contare su un nuovo trapianto e nemmeno sulle chemioterapie. La metastasi è così grande che non lascia speranze. E purtroppo, anche se mi strazia, devo dirvi che il tempo da vivere di Michelangelo è di soli quattro mesi...".

Donatello premette una mano sul cuore: lo shock era violento, nefasto e tutto correva anche troppo per la sua mente geniale. La vista gli si snebbiava, il sudore gocciolava e non riusciva a parlare.
Quello che non voleva udire... e l'aveva appena sentito.

"Don!"- esclamò Leonardo, soccorrendolo, prima che potesse crollare con il guscio in terra.

Anche lui piangeva, non così apertamente come Raph, ora a rischio di una crisi di pianto, sebbene si limitasse a lasciar trasparire le familiari gocce salate.

"Era tutto così perfetto..."- sussurrò Donnie, appoggiato al leader.

"Donnie..."- chiamò il primogenito, preoccupato.

"Mi rifiuto di crederlo! Non è possibile! Mikey era perfettamente guarito!"- urlò con tutta la rabbia e il dolore di quel momento.

"Il linfoma era comunque rimasto, solo che nessuno se ne era accorto nelle varie analisi. Era annidato in alcune cellule ed è rimasto sopito per molto tempo ma comunque ha avuto la forza di rigenerarsi e amplificarsi in modo aggressivo".

Gli Hamato alzarono semplicemente lo sguardo a Ivan, fermo sull'uscio della porta con le solite mani in tasca e l'aria terribilmente arresa. Aveva ascoltato ogni cosa fin da quando gli Hamato avevano cominciato a interagire con Mikey.

Non era stata sua intenzione origliare ma appena aveva sentito gridare, era rimasto in ascolto con il cuore pesante.

"Dottore, io mi rifiuto di farmi curare. Voglio trascorrere i miei ultimi mesi a casa, con la mia famiglia, se non le spiace."- chiese Michelangelo, sbattendo le palpebre.

Ivan lo guardò a lungo ma negò piano: "Questa è Eutanasia. E' un reato, come l'aborto. Mi dispiace, ragazzo mio ma non posso accontentarti".

"Voglio morire di mia spontanea volontà, seneramente!"- ripeté con voce più alta Mikey, stringendo le dita sulla coperta.

Ivan guardò gli altri. Erano distrutti dal dolore.

"Perché volete curarmi, perché?!"- scattò la tartaruga. "Non c'è nulla da fare per me! Queste terapie sono uno spreco di soldi, tempo e di cure! Voglio soltanto andare a casa!".

Il suo sfogo sfociò inesorabilmente in un eccesso di tosse con sangue.
Gli Hamato e Ivan non espressero neanche una parola; solo Donnie, ripresosi un po' dallo shock, gli sfregò amorevolmente la mano sul guscio, mentre gli asciugava il sangue con la solita asciugamano sotto al cuscino.

"Volete curarmi e poi un giorno tornerò vittima! Io sono un Prescelto e non posso sottrarmi! A tre anni ho avuto il marchio dello Shinigami, che si è semplicemente divertito a farmi illudere! Poi ha colpito!"- continuò il ninja, respirando a fatica, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime. "Voglio andare a casa mia...".

Ivan fece segno a Splinter di seguirlo, lasciando il piccolo paziente in balia degli Aniki visibilmente corpi vuoti e deteriorati dal dolore puro. Una volta fuori, iniziò.

"Teniamo qui ancora per qualche giorno, poi decideremo."- aggiunse. "Quello che mi sorprende è la foga con la quale chiede di lasciarsi morire".

"Conosco il mio bambino. Si rifiuterà di farsi curare... come ha sentito, farà di tutto per spuntarla".

"Mi perdoni, Yoshi San, ma non posso firmare la volontà di Michelangelo. Questo è un reato, un tabù per il nostro Giuramento. Se proprio non vuole curarsi, firmerò la sua uscita ma questo non vuol dire che se vorrà ripensarci io negherò l'aiuto. Anzi, sarò ancora il primo a curarlo!".

Yoshi sorrise debolmente. Ivan era un grand'uomo. E lui non stava facendo altro che assecondare il suo quartogenito, spingendolo verso le braccia dello Shinigami.
Che razza di padre era?!

"Sarà una dimissione temporanea. Non definitiva."- continuò Ivan, avviandosi verso l'ascensore in fondo al corridoio. "Mi aspetti pure nella stanza. Tornerò con il cartaceo da firmare obbligatoriamente".

Yoshi annuì come un burattino...
 
  
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