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Autore: TimeFlies    19/11/2015    7 recensioni
Scarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare.
Adam, riflessivo eppure anche avventato, ha sempre avuto un'innata curiosità e una gran voglia di sapere.
Quando vede Scarlett per la prima volta non riesce a fare a meno di sentirsi attratto dall'aura di mistero che la circonda. Vuole conoscerla, svelare ciò che si nasconde dietro quella facciata di acidità e vecchi rancori.
Tutti i tentativi della ragazza di allontanarlo da sé finiranno per avvicinarli ancora di più portandoli dritti ad un preannunciato disastro. O forse no, perché nei momenti di difficoltà possono nascere le alleanze più impensate, soprannaturale e umano possono trovare un punto d'incontro.
E quando il pericolo si avvicina, l'unica cosa che vuoi è avere qualcuno al tuo fianco. Poco importa se solo poco prima eravate perfetti sconosciuti, se lui è entrato nella tua vita con la grazia di un uragano, se non volevi niente del genere.
A volte, un diciassettenne un po' troppo insistente è tutto ciò che hai, è la tua unica speranza. E tu la sua.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Under a Paper Moon- capitolo 13




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13. Scarlett


«Uhm… Di questo che ne dici?» Chiesi prendendo un vestito blu dall’armadio di Beth. «Secondo me è carino. E poi il blu ti dona.»
Lei starnutì e allungò una mano alla cieca per prendere l’ennesimo fazzoletto. «Scarlett devo dirti una cosa che…» Un altro starnuto le fece lasciare la frase a metà. «...che devi fare per me.»
«Ti serve un favore quindi?» Domandai rimettendo l’abito nel guardaroba e prendendone un altro nero.
Beth, sepolta sotto qualcosa come cinque coperte sul suo letto, tirò su con il naso. «Sì… Tra due giorni dovevo andare alla festa della cugina di Adam, ricordi?»
«Mm-mm.» Riappesi il vestito nell’armadio e mi girai verso di lei: aveva raccolto i suoi lunghi capelli scuri in una crocchia disordinata, non aveva un filo di trucco sul viso e indossava una felpa larga e pesante. Aveva l’aria stanca, la pelle pallida e le labbra arricciate in un broncio appena accennato.
«Ecco… Come puoi ben vedere io non posso andarci. Non in queste condizioni. Quindi… dovrai andarci tu.» Concluse prima di soffiarsi il naso.
Spalancai gli occhi e sperai con tutta me stessa di aver capito male. «Cosa?!»
«Beh, vedi, è la cugina di Adam, lui deve andare. E visto che è una festa in stile “lui invita lei” dovrebbe avere una ragazza con sé. Io sono impossibilitata quindi speravo che la mia migliore amica a cui voglio tanto, tanto bene potesse farmi questo piccolo ed insignificante favore.» Disse tutto d’un fiato come per paura che uno starnuto la fermasse prima che potesse finire il discorso e, nello stesso tempo, provando a mettere su l’espressione da cucciolo bastonato per far leva sui miei sensi di colpa.
«Ma è il tuo ragazzo! E poi, che c’entro io alla festa di sua cugina? Voglio dire, come dovrei presentarmi? Come la sostituta della sua ragazza?» Sbottai.
«Non è questo l’importante.» Dichiarò lei. «L’importante è tenere le altre ragazze lontane da lui.»
«Non ti fidi di lui?» Domandai lasciandomi cadere sul bordo del letto.
«Sì, ma non so come si comporta con tanta gente in giro, quindi ho bisogno di qualcuno che gli impedisca di fare stupidaggini.» Spiegò.
«E non ti è venuto in mente nessun altro?» Chiesi sull’orlo dell’esasperazione.
«Non c’è nessuno di cui mi fido tanto quanto mi fido di te Scarlett. E poi so che tu non ci proveresti mai con il mio ragazzo.» Replicò prendendo un altro fazzoletto. «Così come io non lo farei con il tuo.»
«Ma non ci ho mai parlato. Cioè, di cosa dovremmo discutere per tutta la sera? Del tempo?» Insistetti. «È una pessima idea Beth, non posso andare. Non con lui.»
«Un argomento lo troverete. E poi non sarà per sempre, okay? È questione di qualche ora.» Ribatté lei.
Mi presi la testa tra le mani. «Non posso crederci… Mi stai mandando ad una festa con il tuo ragazzo, Beth. Apprezzo la tua fiducia, sul serio, ma non me la sento proprio.»
«Scarlett, Adam è piuttosto bello, l’avrai notato anche tu, quindi non posso mandarlo da solo, non con tante ragazze intorno. È vero che per avere diciassette anni è abbastanza maturo e responsabile, ma l’alcol gioca brutti scherzi.» Replicò prima di tossire. «Ti prego Scarlett, non voglio fargli perdere il compleanno di sua cugina. Mi sentirei terribilmente in colpa, non riuscirei a stare con lui senza pensarci. So che è un grosso favore, ma mi serve che tu lo faccia. Ne ho bisogno. Io ci tengo a lui, tanto.»
Sollevai lo sguardo sulla mia migliore amica mentre un sospetto cominciava a prendere forma nella mia mente. «Di solito non ti comporti così con i ragazzi… C’è qualcosa in più in lui, dico bene? Sei innamorata sul serio.»
Aveva gli occhi lucidi, ma non avrei saputo dire se erano dovuti alla febbre o alle lacrime represse. «Sì. Credo proprio di sì, Scarlett. Forse è presto per dirlo, però…»
Trassi un respiro profondo. «Okay, okay. Senti, andrò a quella maledetta festa con lui.»
Il suo sguardo si illuminò. «Davvero?»
«Sì, in fondo è questo che fanno le amiche, no? Si aiutano a vicenda nei momenti di difficoltà.» Mormorai scoraggiata.
«Oh, Scarlett!» Si liberò dall’intrico di coperte e mi abbracciò. «Ti sarò debitrice a vita!»
Ricambiai la stretta maledicendomi mentalmente per aver accettato di passare un’intera serata con Adam. «Ehi, per te questo ed altro.»
Si allontanò appena da me per potermi guardare negli occhi. «Grazie. Sul serio, lo apprezzo tantissimo.»
Sorrisi debolmente. «Figurati.»
Lei sprizzava felicità da ogni poro e io mi sentii terribilmente in colpa: mi stava mandando ad una festa con il suo ragazzo perché si fidava di me. E perché non sapeva che io e lui già ci conoscevamo, avevamo avuto già delle chiacchierate non proprio piacevoli e qualcosa che assomigliava ad un litigio. Si poteva quasi dire che lui mi conosceva meglio di lei, della ragazza che consideravo la mia migliore amica.
Beth allungò un braccio verso il comodino accanto al letto e prese un foglietto ed una penna. Scribacchiò velocemente qualcosa sul pezzo di carta e me lo porse. «Ecco, questo è il suo numero, così potete mettervi d’accordo per sabato.»
Lo presi, seppur con riluttanza. «Bene. Perfetto.»

Fissavo il numero di Adam sullo schermo del mio cellulare da qualcosa come dieci minuti. Dovevo chiamarlo per fissare quando sarebbe passato a prendermi quel sabato solo che non riuscivo a trovare il coraggio di farlo. Che dovevo dirgli? “Ehi, la tua ragazza mi ha chiesto di tenerti d’occhio perché pensa che potresti finire a letto con la prima che ti capita a tiro”: suonava terribilmente male. E poi, se gliel’avessi detto davvero, avrebbe lasciato Elisabeth, cosa che l’avrebbe distrutta. Dovevo inventarmi qualcosa, e subito anche.
Trassi un respiro profondo e premetti il tasto verde prima di portarmi il telefono all’orecchio maledicendomi mentalmente per aver accettato. Rispose al terzo squillo.
«Pronto?» La sua voce tradiva una lieve nota di sospetto.
«Adam, sono Scarlett.» Dissi senza riuscire a nascondere l'esitazione nella voce.
«Scarlett.» Mormorò. Ci fu un attimo di silenzio, poi lui aggiunse: «Com’è che hai il mio numero?»
«Me l’ha dato Elisabeth.» Spiegai un po’ sorpresa dalla sua domanda. «Sai, per sabato… Cioè, non so se ti ha detto che non può venire e che ha delegato me come sua…» “Spia personale?” «…sostituta.»
«Oh, sì. Mi aveva accennato qualcosa. Mmh, come vogliamo fare? Passo io a prenderti?» Chiese.
Mi mordicchiai il labbro. «Sì, okay. Verso che ora?»
«Le nove e mezzo? Ti va bene?» Propose.
«Sì, perfetto.» Concordai.
Calò il silenzio tra noi, una specie di pausa nervosa ed imbarazzata.
Sorprendentemente, fui io a romperlo: «Non sembri molto entusiasta di andare a quella festa…»
Esitò per un attimo. «Nemmeno tu, se è per questo.»
«Già…» Convenni. «In fondo, non ti conosco quasi per niente.»
«Neanche io conosco te.» Aveva parlato a voce bassa, quasi sussurrando.
Ma vorresti farlo, vorresti conoscermi. «Lo so, lo so… Se fosse stato per me non sarei mai venuta, ma Beth ci teneva tanto…»
«Le vuoi parecchio bene allora. Insomma, non so sei io avrei fatto una cosa del genere al posto tuo.» Ammise.
«Noi ragazze siamo molto leali tra noi.» Borbottai sdraiandomi sul letto.
«L’avevo notato, sì.» Commento lui. «Resta comunque un favore molto grande.»
«A me non sembra. Voglio dire, è la mia migliore amica, per lei farei di tutto. E so che è lo stesso per lei.» Replicai.
«Quindi non ti scoccia tanto sapere che passeremo un’intera serata insieme, mmh?» Chiese lui con una punta di ironia.
Sospirai. «Certo che mi scoccia. Sto cercando di allontanarmi da te, ma sembra che una qualche entità superiore ce l’abbia con me e voglia rendermelo impossibile.»
Rise piano. «Entità superiore? Cos’è, roba da licantropi?»
«No! Solo… uhm, non sono atea, però non credo molto in Dio e simili, quindi la risposta sono le entità superiori non indentificate.» “Davvero stiamo discutendo di questo?”, pensai coprendomi gli occhi con una mano.
«Okay, sì, può funzionare. Comunque, anch’io stavo provando a lasciarti perdere, solo che continui a rispuntare ovunque.» Ribatté.
«Come se fosse colpa mia.» Commentai. «È Elisabeth che ha queste pessime idee.»
«Tu la assecondi però.» Mi fece notare.
Aggrottai la fronte. «Mi stai facendo la predica?»
«No, è solo che sembri disposta ad accontentarla in tutto. Andiamo, è evidente che non ti piaccio, soprattutto per quello che so e per quello che ti ho detto l’altro giorno, quindi non credo che ti vada tanto a genio l’idea di venire con me a quella stupida festa.» Spiegò con voce sorprendentemente calma. «Ti comporti come se dovessi ripagarle un qualche debito, come se le avessi fatto un torto e volessi rimediare.»
Trattenni il fiato per un attimo: si capiva così bene? Mi sentivo in colpa a non poterle dire cos’ero veramente, e ogni tanto le facevo dei favori come se quello potesse bastare per compensare tutte le bugie e le verità taciute. «Io… Sì, forse è vero.» Concessi. «Non ti sentiresti così anche tu se dovessi mentire costantemente alle persone a cui vuoi bene?»
«Sì, probabilmente sì. Non per questo devi andare contro i tuoi principi.» Replicò.
«Andare ad una festa con il ragazzo della mia migliore amica non va contro i miei principi. O meglio, non ho mai avuto una posizione su questo genere di cose. In effetti, dubito che ci avrei mai pensato se non mi fossi ritrovata in questa situazione.» Risposi.
«Mmh. D’accordo, voglio crederti.» Mormorò.
«Non hai motivo per non farlo.» Ribattei confusa.
«Sì, lo so, lo so…» Lo sentii sospirare. «Ci vediamo sabato quindi?»
Quell’improvviso cambio d’argomento mi lasciò un po’ interdetta, ma forse era meglio così, forse era meglio smettere di parlare prima che uno di noi due dicesse qualcosa di compromettente. «Okay. A sabato.»

Mi ero rifiutata categoricamente di mettere una gonna per la festa: già la sola idea di andarci con Adam mi metteva a disagio, indossare qualcosa che mi lasciava troppo scoperte le gambe avrebbe solo complicato ulteriormente le situazione. Avevo deciso di indossare una canottiera nera con il dietro in pizzo e lo scollo morbido che non faceva vedere niente di compromettente.
Sotto avevo dei jeans strappati con una piccola catenella appesa al fianco e i miei adorati anfibi neri. Avevo lasciato i capelli sciolti sulle spalle fermando solo un paio di ciocche con delle forcine in modo che non mi andassero sugli occhi.
Visto che il trucco non era mai stato il mio forte mi ero semplicemente tracciata una linea di eyeliner nero sulle palpebre facendola giusto un po’ più spessa del solito.
Nonostante cercassi di nasconderlo, soprattutto a me stessa, era un po’ nervosa: saremmo stati solo io ed Adam, senza nessun altro. O meglio, nessuno che io conoscevo. Chi mi diceva che non mi avrebbe fatto domande? Non avevo voglia di rispondere, né di mostrarmi di nuovo fredda e distaccata. Volevo solo che quelle ore passassero in fretta, così me ne sarei potuta tornare alla mia vita e lui alla sua.
Erano già le nove e mezzo quando finii di prepararmi. In effetti, avevo cominciato un po’ in ritardo visto che la mia voglia di andare a quella dannata festa era pari a zero. Chiusi gli occhi e mi presi la testa tra le mani: che mi era passato per la mente quando avevo accettato? E, soprattutto, che diavolo avrei combinato quella sera? Perché era ovvio che avrei fatto qualcosa di sbagliato, era una mia caratteristica aggiungere un tocco di caos a qualunque cosa.
Speravo solo di non fare niente con Adam. “Niente” inteso come non rivelargli nulla sui licantropi, come non ammettere che per un attimo avevo seriamente perso in considerazione l’idea di accettare il suo aiuto, come non confessare che mi piacevano i suoi occhi.
Lanciai un’occhiata fuori dalla finestra del salotto e vidi la sua auto parcheggiata accanto al marciapiede. Aggrottai appena la fronte: quand’era arrivato? Non me n’ero accorta… Per una frazione di secondo pensai di fingere di non averlo visto, di tornare in camera, rimettermi i pantaloni della tuta e la maglietta dei Guns N’ Roses e stendermi sul letto a leggere, come se avessi dimenticato la promessa fatta a Beth. Ma non potevo.
Presi la giacca di pelle nera che avevo buttato sul divano, la indossai e uscii chiudendomi la porta alle spalle. Attraversai il vialetto stringendomi le braccia al petto per ripararmi almeno un po’ dal vento fino a raggiungere la macchina. Lui mi lanciò un’occhiata e vidi un sorriso quasi di cortesia increspargli le labbra. Entrai e mi sedetti accanto a lui sul sedile del passeggero prima di richiudere lo sportello.
«Ciao.» Mormorò con voce lievemente esitante.
«Ciao.» Risposi in un sussurro.
Mi decisi a guardarlo meglio e rimasi piuttosto a corto di parole: indossava una camicia azzurro chiaro e dei jeans neri e sembrava tremendamente a suo agio oltre che decisamente… attraente. Dovetti ammettere che Beth aveva ragione, Adam era piuttosto bello con quei lineamenti decisi ma non troppo, la linea netta della mascella che risultava comunque morbida, le labbra chiare e sottili. E quei dannati occhi blu tempesta.
Un angolo della sua bocca si sollevò in un sorriso sghembo. «Sembra che tu debba andare ad una qualche specie di sofisticato concerto rock.»
Mi irrigidii, più per la sorpresa che per altro, e lo guardai male. «Ah-ah, molto divertente.»
Scrollò le spalle. «Ho solo detto la verità.»
«Uhm…» Appoggiai la schiena al sedile ed incrociai le braccia al petto. «Cominciamo bene.»
Inclinò appena la testa di lato guardandomi con aria quasi incuriosita. «Non vuoi andarci.»
Sospirai. «Nemmeno tu.»
Distolse lo sguardo annuendo. «Vero.»
«Non possiamo fare finta di nulla? Cioè, andiamo ognuno a casa propria e diciamo che abbiamo trovato tanto, troppo traffico o che so io.» Tentai guardandolo speranzosa. Ed era un tipo di sguardo che non pensavo gli avrei mai rivolto.
«Potrebbe anche funzionare se non ci fossero i sensi di colpa.» Commentò.
Esitai per un attimo. «Hai ragione. Purtroppo.»
Si mordicchiò il labbro. «Già… Mmh… Quindi dobbiamo andare.»
«Non sembri convinto.» Gli feci notare.
«È solo che prima andiamo più tempo resteremo lì.» La sua voce si era abbassata fino a diventare quasi inudibile.
«Anche questo è vero.» Borbottai.  «Quindi... uhm, andiamo e speriamo che finisca presto.» 

Adam aveva un buon odore. Non ci avevo mai fatto caso prima, forse perché ero troppo impegnata a fare altro, per esempio a cercare di gestire le sue domande, i sentimenti contrastanti che mi nascevano in petto quando stavamo vicini, i dubbi che mi facevano venire le sue continue insistenze.
Ma ora eravamo soli, io e lui, nella sua macchina e non avevo niente da fare visto che nessuno di noi due sembrava intenzionato ad iniziare una conversazione, così ero finita per concentrarmi su piccoli dettagli all’apparenza senza nessun valore, ma che, all’improvviso, sembravano essere diventati interessanti.
Adam sapeva di bucato, dopobarba -cosa che mi sorprese visto che non pensavo lo usasse- e carta, quella dei libri vecchi che trovi negli scaffali impolverati della biblioteca. Sembrava strano, ma quegli odori tanto diversi stavano bene insieme.
Una minuscola parte di me avrebbe voluto andargli più vicino per sentirli meglio e magari capire se ce n’erano altri mischiati insieme, ma mi costrinsi a rimanere ferma al mio posto e a guardare fuori dal finestrino.
A dirla tutta non vedevo veramente il paesaggio che mi scorreva davanti, ero troppo presa dal riflesso del ragazzo seduto accanto a me. Per poco non sussultai quando incrociai i suoi occhi attraverso il vetro. Mi ci volle un attimo per capire che sì, mi stava guardando, ma non vedeva quello che vedevo io sul finestrino.
Mi concessi di osservarlo da lì anche perché ero un po’ curiosa di capire cosa lo aveva spinto a voltarsi verso di me: aveva la fronte leggermente aggrottata in un’espressione pensierosa, le labbra appena strette e gli occhi color tempesta attenti come sempre.
Tornò a concentrarsi sulla strada dopo pochi secondi lasciandomi quasi l’amaro in bocca per quella conclusione fin troppo frettolosa a quello scambio segreto di occhiate. Sospirai e mi appoggiai meglio contro lo schienale del sedile: non mi sarebbe dovuta piacere una cosa del genere, anzi, avrei dovuto trovarla irritante. Invece era tutto il contrario.
Stavo cominciando a capire perché lui aveva detto che lo incuriosivo: anche io mi sentivo in qualche modo affascinata da lui. E questo era un grosso problema.

Fermò l’auto in un grande cortile di quelli che si vedono nei film quando la bellissima donna in abito da sera scende dalla limousine ed entra nella villa per la cena di beneficenza o per una di quelle feste sfarzosissime. E, in effetti, la casa che avevamo di fronte era piuttosto simile ad una di quelle grandi ville con le scalinate di pietra all’ingresso e enormi finestre che si aprivano su stanze lussuose arredate con mobili incredibilmente pregiati. Scesi dalla macchina guardando ad occhi spalancati l’edificio davanti a me.
Quando Adam mi raggiunse non potei trattenermi dal chiedergli: «Tua cugina abita qui?»
«No, suo padre ha affittato la casa per stasera. Sai, loro sono dell’idea che i diciotto anni si compiono una volta sola e allora si devono fare le cose in grande.» Rispose con un sospiro.
Gli lanciai un’occhiata di sottecchi. «Beh, devo ammettere che hanno gusto.»
«Se ti piace lo stile “vantiamoci di quanti soldi abbiamo e sbattiamolo in faccia a tutti” allora sì.» Convenne senza guardarmi.
Mi ritrovai a trattenere il fiato senza un motivo apparente. «Oh… è un giudizio un po’ severo.»
«Lo so, lo so…» Sospirò e si passò una mano tra i capelli. «Andiamo?»
Annuii anche se in realtà non ero per niente convinta. «Andiamo.»
Raggiungemmo fianco a fianco l’ingresso della casa. La porta era socchiusa, si intravedevano corpi che si muovevano e luci intermittenti. Adam sollevò la mano per bussare, ma la porta si spalancò prima che potesse farlo. Sulla soglia apparve una ragazza dai lunghi capelli scuri ondulati che le ricadevano morbidi sulla schiena tranne per alcune ciocche fissate sulla nuca da un fermaglio argentato.
Indossava un lungo abito blu con lo scollo a V che le scivolava sul corpo seguendone le curve fino a terra. Gli occhi erano truccati con cura: le palpebre erano colorate d’azzurro sfumato, le ciglia rese più lunghe e folte dal mascara; il tutto era completato da una linea sottile di eyeliner argentato. Al collo portava una catenina con un cristallo che le illuminava la pelle. Ed era davvero bella.
Le sue labbra, colorate di un rosso intenso, si incurvarono in un sorriso. «Adam!»
Gettò le braccia al collo del ragazzo in piedi accanto a me e lui ricambiò la stretta sorridendo sulla spalla di lei.
«Buon compleanno Sel.» Lo sentii mormorare.
Distolsi lo sguardo sentendomi il terzo incomodo, e rabbrividii appena: avevo lasciato la giacca in auto sapendo che sarebbe stata solo d’intralcio, eppure ora cominciavo a ripensarci. Lanciai un’occhiata di sottecchi ad Adam e dovetti ammettere che aveva un bel sorriso. E che quella camicia gli stava bene. E che la bellezza leggera e sofisticata sembrava un tratto di famiglia: di fronte a lui e a sua cugina mi sembrava di sfigurare.
«Lei deve essere la tua ragazza.» Commentò una voce femminile.
Sollevai gli occhi e mi ritrovai addosso lo sguardo incuriosito della cugina di Adam. Deglutii nervosamente: la sua ragazza? No, assolutamente no. Non se ne parlava proprio.
Adam mi lanciò un’occhiata veloce, ma prima che uno di noi due potesse ribattere, la ragazza in abito da sera riprese la parola: «Oh, ma che maleducata! Non mi sono nemmeno presentata!» Mi tese la mano con un sorriso che mi ricordava vagamente quello di Adam. O forse me lo stavo solo immaginando. «Piacere di conoscerti, io sono Selena.»
«Io… io sono Scarlett.» Riuscii a dire stringendole la mano.
Spostò lo sguardo su suo cugino. «Io vado, voi fate pure come se foste a casa vostra, mmh? Divertitevi!»
E si dileguò dopo aver lasciato un bacio sulla guancia di Adam.
Appena Selena scomparve dalla mia visuale mi voltai verso il ragazzo accanto a me e lo guardai male incrociando le braccia al petto. «Le hai detto che sono la tua ragazza?»
«Ma se non ho detto niente…» Protestò lui ricambiando l’occhiata.
«Sei stato zitto infatti! Non sai come si dice? Chi tace acconsente.» Replicai.
Sospirò alzando gli occhi al cielo. «Oddio Scarlett, ma che stai dicendo? E poi che ti importa di quello che crede mia cugina? Probabilmente questa è l’unica volta che la vedrai.»
Prima che potessi anche solo pensare ad una risposta, qualcuno chiamò Adam, qualcuno che conoscevo. Mi voltai insieme al ragazzo accanto a me e vidi Michael, il suo migliore amico, che ci veniva incontro insieme ad una ragazza dai capelli castano chiaro. Con la coda dell’occhio vidi Adam fare una smorfia. E mi sentii quasi infastidita quando realizzai che non saremmo stati solo io e lui, ci sarebbe stato anche Michael e quella che sembrava essere la sua ragazza.
Osservandola meglio la riconobbi: era una delle compagne di squadra di Beth, giocavano a pallavolo insieme. Se non mi sbagliavo si chiamava Julia o qualcosa di simile.
Sia Michael sia la ragazza ci sorrisero. Lei indossava un abito al ginocchio viola con le spalline sottili e dei cristalli come decorazione sullo scollo; lui una camicia bianca con tanto di cravatta e un gilet verde scuro. Aveva un sorriso da ragazzino che ha appena fatto uno scherzo.
«Ehi.» Michael sembrava incredibilmente a suo agio.
Diede una pacca amichevole sulla spalla di Adam, che gli sorrise. Poi lo sguardò di Michael si posò su di me e vi colsi un certo interesse. Si voltò verso Adam e gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Socchiusi gli occhi e aggrottai la fronte: dimostrava parecchia sfacciataggine parlando di me mentre ero lì davanti a lui.
Julia, se davvero si chiamava così, sembrava della mia stessa opinione: si schiarì la gola lanciando un’occhiata eloquente al suo ragazzo. «Michael, non dovresti fare le presentazioni?»
Qualcosa mi diceva che Adam lo conosceva già, però era gentile da parte sua mettere fine a quello scambio di commenti decisamente poco discreto. Michael sembrò essere colto alla sprovvista.
Si passò una mano tra i capelli evitando di proposito di guardarmi. «Ehm… Sì. Tu e Adam già vi conoscete quindi...» Mi guardò con aria esitante. «E lei… Ecco, lei è…»
«Scarlett.» Intervenne Adam.
Il suo sguardo si era fatto più intenso e nella sua voce c’era una nota strana, che riuscii a cogliere nonostante avesse detto solo una parola.
Julia si voltò verso di me sorridendo. «È un piacere conoscerti.»
Ricambiai il sorriso. «Il piacere è mio.»
«Scusate se vi interrompo, ma… questa è una festa, no? Quindi lasciamo da parte i convenevoli ed entriamo.» Esclamò Michael beccandosi un’occhiataccia da parte di Julia.
Adam si strinse nelle spalle e le fece cenno di andare. Sembrava che ci fosse una qualche intesa tra loro, come se fossero stati genitori ormai abituati e rassegnati alle marachelle del figlio e al fatto che avrebbero dovuto scusarsi con qualcuno praticamente ogni volta che uscivano di casa.
Julia gli fece un breve cenno d’intesa prima di afferrare Michael per il polso e trascinarlo dentro la casa con sé. Rimanemmo io ed Adam davanti alla porta, come se nessuno di noi due riuscisse a decidersi ad entrare.
Adam si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli. «Quindi… uhm, andiamo?»
Mi aveva già fatto quella domanda solo pochi minuti prima. Ora che mi ritrovavo a dover rispondere di nuovo avrei anche potuto cambiare idea se non fosse stato per il senso di colpa che sembrava sempre pronto a sbucare dall’ombra ad ogni minimo segno di ripensamento.
Sollevai lo sguardo sul ragazzo dagli occhi color tempesta e lo trovai a guardarmi con le labbra appena arricciate in un accenno di broncio di cui neanche si rendeva conto.
«Ormai siamo qui, no?» Commentai prima di mettere una mano sulla maniglia della porta decretando l’inizio di quella che riuscivo a vedere solo come una tortura.

Passammo un’ora buona appoggiati al bancone del bar, che era un vero e proprio bar con tanto di scaffali per i liquori, vasche del ghiaccio e tutto quello che si può trovare in un pub: evidentemente, quando Adam aveva detto che ai genitori di Selena piaceva fare le cose in grande, intendeva veramente in grande.
Sorprendendomi, Adam aveva ordinato due birre e, quando il barista ce le aveva portate, me ne aveva allungata una senza dire una parola. Non avevo potuto fare a meno di guardarlo, interdetta, mentre beveva la sua come se nulla fosse.
“Pensavi che fosse astemio o qualcosa del genere? Davvero?”, mi rimbeccò una vocina nella mia mente, “ha diciassette anni, è ovvio che beva”. In effetti era vero: perché non avrebbe dovuto farlo? Solo perché ai miei occhi appariva in qualche modo etereo, quasi troppo controllato per poter cedere a vizi comuni come l’alcol? Non aveva senso.
Mi portai la bottiglia alle labbra e bevvi un sorso di quel liquido ambrato dal gusto amarognolo. Se mia madre fosse stata lì, mi avrebbe concesso di bere solo un bicchiere. Anzi, poco più di metà bicchiere. Invece c’era Adam con me, e lui non sembrava curarsi di quanto alcol bevessi.
Posai la birra sul bancone osservando Adam di sottecchi: sembrava concentrato su un qualche punto nel vuoto, aveva l’espressione pensierosa, quasi corrucciata.
Mi schiarii la gola. «Quindi, uhm, passeremo la serata così? A guardare la gente che crede di saper ballare?»
Lui scrollò le spalle senza guardarmi. «Che vorresti fare, scusa? Non conosci nessuno a parte me.»
«Sì, ma tu qualcuno lo conosci, no? Insomma, è tua cugina…» Tentai.
«Conosco dieci persone di vista, il resto… per quanto ne so potrebbe averli trovati nella discoteca più vicina.» Commentò facendo sparire definitivamente la mia voglia di conversare.
Il bar si trovava sotto un gazebo nel giardino dietro la villa. L’erba davanti a noi era praticamente sommersa di adolescenti accaldati e un po’ troppo esaltati che si strusciavano l’uno contro l’altro in quello che loro chiamano “ballare”.
Nonostante questo, era una bella serata: il cielo era limpido e pieno di stelle, la luna spiccava, pallida, su tutto quel nero. Neanche la pessima musica commerciale che il DJ si ostinava a mettere rovinava l’atmosfera tranquilla che si era formata intorno a me ed Adam, come se fossimo stati racchiusi in una bolla trasparente che teneva fuori rumori e altri fastidi.
Sospirai riprendendo la mia birra: si prospettava una lunga notte.
Quando, qualche minuto dopo, Adam posò la sua bottiglia sul bancone e si voltò verso di me -direi quasi finalmente visto che fino a quel momento aveva concentrato la sua attenzione su un punto indefinito-, quasi non sentii le sue parole tanto ero distratta a guardare una ragazza dai lunghi capelli rossi muoversi disinvolta sulla pista da ballo improvvisata. Non sapevo neanche perché la stessi osservando, forse solo perché avevo sempre voluto avere i capelli di quel colore, così intenso e brillante.
Sbattei le palpebre e mi girai verso Adam, confusa. «Cosa?»
Si mordicchiò il labbro. «Ti ho chiesto se ti andava di ballare.»
Ci mancò poco che mi andasse di traverso la birra. «Eh?!»
Lui alzò gli occhi al cielo. «Sei diventata sorda? Non avevi detto che i licantropi hanno i sensi più sviluppati?»
«Questo non c’entra nulla. Sono solo… uh, sorpresa dalla tua domanda, ecco.» Replicai guardandolo male.
«Perché sorpresa?» Chiese aggrottando appena la fronte.
«Perché non mi sembri il tipo a cui piace ballare.» Risposi.
«Vero.» Convenne. «Ma mi sto annoiando e potremmo distrarci un po’ invece che stare qui a non fare nulla.»
Socchiusi gli occhi, cauta. «Mmh.»
«Allora? Ti va o no?» Insistette.
In effetti stava cominciando a seccarmi tutta quell’immobilità, quello stare ferma a fissare il vuoto. Ma ballare con lui… Non si presentava come un qualcosa di saggio né prudente.
Eppure mi ritrovai a dire: «Okay. Andiamo.»
Un angolo della sua bocca si sollevò in un sorriso sghembo che non prometteva nulla di buono. Un attimo dopo sentii le sue dita chiudersi sul mio polso e, prima che potessi anche solo rendermene conto, mi stava trascinando verso la pista da ballo. O almeno era quello che pensavo inizialmente, perché poi lui cambiò direzione infilandosi tra la massa di corpi in movimento. Ricevetti, e diedi, qualche gomitata prima di riemergere in un angolo libero. E finire contro il suo petto.
Rimasi immobile per un attimo mentre una parte di me registrava il suo buon odore, quello che avevo già sentito in auto, il calore del suo corpo, la consistenza morbida della sua camicia sotto le dita.
Poi feci un passo indietro e, imbarazzata, mi guardai intorno: ci trovavamo in un fazzoletto d’erba abbastanza lontano dalla pista da ballo perché quella mandria di adolescenti esaltati non rischiasse di ucciderci, ma, nello stesso tempo, abbastanza vicino perché la musica si sentisse comunque, un po’ più bassa magari, però c’era.
Mi decisi a guardarlo e lo trovai ad osservarmi, attento come sempre, con quei suoi occhi blu tempesta resi più scuri dalla mancanza di luce.
In quel momento suonarono le ultime note dell’ennesima canzone pop, che lasciò il posto ad una specie di lento. Come se fossero state addestrate a farlo, tutte le persone sulla pista si trovarono un compagno con cui dondolare in un altro, goffo tentativo di ballare.
Solo allora realizzai che anche io ed Adam avremmo ballato in quel modo. Questo voleva dire stare stretti l’uno all’altro, quasi abbracciati. Mi maledissi mentalmente per la centesima volta: perché avevo accettato di andare con lui a quella stupida festa?
Una parte di me voleva comunque dargli una possibilità nonostante non ci fosse alcun motivo valido per farlo.
Sospirai teatralmente come a fargli capire che facevo tutto quello solo per accontentarlo e sollevai il mento. «Il fatto che tu abbia avuto questa idea proprio prima che suonassero un lento è solo una coincidenza, immagino.»
Sorrise abbassando lo sguardo. «Sei liberissima di non crederci.»
«È proprio quello che farò.» Borbottai tra me e me. «Va bene, facciamolo e non pensiamoci più.»
Feci un passo verso di lui, che mi avvicinò a sé posando le mani sui miei fianchi. Grazie al cielo, ebbe il buon senso di non andare troppo in basso, altrimenti non avrei reagito bene. Trassi un respiro profondo prima di mettere le mani sulle sue spalle.
L’avevo già notato prima, e ora potevo riconfermarlo: la sua camicia era morbida e piacevole sotto le dita e il suo odore era piacevolmente delicato. Forse non sarebbe stato così male.
«Come sta Elisabeth?» Chiese con naturalezza.
«Sempre malata. Sai, raffreddore, tosse, anche un po’ di febbre.» Scrollai appena le spalle. «Si rimetterà.»
«Mmh, bene.» Commentò.
Annuii appena stando ben attenta a non incrociare i suoi occhi.
«Tu come stai invece?» La sua domanda mi spiazzò completamente.
Sollevai lo sguardo su di lui, che mi osservava attento. In che senso come stavo io? Non lo vedeva da solo? Stavo bene, punto. Non c’era altro da dire.
«Sto bene. Sì, insomma, perché non dovrei?» Replicai ritrovandomi quasi sulla difensiva.
«Hai detto che non è facile reggere la pressione quindi pensavo che magari ti sentissi un po’ troppo… oppressa.» Spiegò con voce esitante.
«E dovrei venirlo a dire a te?» Sbottai scoccandogli un’occhiataccia senza però allontanarmi da lui.
«Sono l’unico che sa cosa sei, no? In un certo senso si può dire che ti capisco. Più o meno.» Ribatté.
Da una parte aveva ragione, ma non l’avrei ammesso. «Questo non vuol dire che sei diventato importante o che so io. Anzi, dovresti allontanarti da me per quello che sai.»
«Lo so come la pensi, però non posso farlo. Ci ho provato, sul serio, ma in qualche modo ci ritroviamo insieme comunque, quindi è piuttosto inutile.» Rispose addolcendo il tono.
Annuii abbassando lo sguardo. «Sì… hai ragione.»
«Lascia che ti aiuti Scarlett, per favore.» Aggiunse.
Scossi la testa con decisione. «No. Non ti metterai in pericolo così. Assolutamente. Puoi scordartelo.»
«Scarlett…» Cominciò.
«C’è anche Beth in mezzo, okay? E questo vuol dire che non si può e basta. Anche se insisti non cambierà nulla: finché lei è in qualche modo coinvolta non ti lascerò avvicinare. Ma neanche dopo, ad essere sinceri.» Lo interruppi. La mia voce, però, invece di sembrare risoluta e determinata, suonò incerta e bassa.
«Se stiamo attenti lei non finirà in mezzo. Nessuno che non deve finirà in mezzo.» Replicò.
Sorrisi amaramente. «Come lo sai? Potrebbe andare tutto storto nel giro di un secondo.»
«Non è detto. Possiamo gestire la situazione Scarlett, possiamo farlo sul serio.» Insistette.
Senza rendermene veramente conto, cominciai a tracciare figure astratte sulla sua spalla con la punta delle dita. «Parli al plurale.»
«Beh, ti ho offerto il mio aiuto quindi credevo fosse ovvio che avremmo… uhm, collaborato.» Spiegò.
Strinsi appena le labbra. «Se mai dovessimo farlo, sei consapevole di quanto sarà pericoloso?»
«Ti ho già detto che non ho paura di te. E comunque pensavo di fare qualcosa che non avesse a che fare con la licantropia.» La sua voce era diventata quasi dolce, morbida.
«Ah sì? E cosa?» Chiesi tenendo lo sguardo fisso sulla sua gola, lì dove il colletto della camicia si apriva un po’ mostrando la pelle chiara e una parte delle clavicole.
«Elisabeth mi ha detto che hai qualche difficoltà in matematica e ho pensato che posso darti una mano, se ti va.» Propose.
«Mmh…» Mormorai poco convinta.
«Il tuo essere lupo non interferirebbe e quindi anche se io continuassi ad uscire con Elisabeth le possibilità che lei venisse a sapere cosa sei sono praticamente nulle.» Aggiunse. «Potremmo fare una prova, giusto per vedere come va e poi decidere. Non c’è fretta.»
Dovevo ammettere che era un buon piano. Certo, c’era compreso lui quindi avrei dovuto tenere sempre alte le difese, ma mi avrebbe risolto qualche problema.
«Sarebbe una preoccupazione in meno, no?» Chiese lui osservandomi.
Sollevai lo sguardo fino ad incrociare i suoi occhi blu. Attraverso il pizzo della canottiera sentivo il calore delle sue mani, che, in un certo senso, era quasi rassicurante. «Beh, sì, però non vuol dire che accetterò. Posso trovare qualcun altro che mi dia ripetizioni, sai?»
«Vero.» Convenne. «Ma per ogni persona in più che coinvolgi aumenta il rischio di essere scoperta.»
Mi morsi il labbro, combattuta: accettare equivaleva ad avere un peso in meno sulle spalle; dirgli di no avrebbe significato ritrovarmi come prima, com’ero sempre stata, sola e piena di problemi da gestire.
«Cosa vuoi in cambio?» Domandai indurendo lo sguardo.
La sua espressione si fece sorpresa. «Niente. Perché dovrei volere qualcosa?»
«Perché sì. Nessuno offre un aiuto del genere senza volerci guadagnare.» Replicai. «Potrei capirlo se non ci conoscessimo, ma non è così, quindi è ovvio che ci sia qualcos’altro.»
Mi guardò negli occhi per qualche secondo prima di abbassare lo sguardo. «È probabile che tu ti arrabbi, ma… forse voglio solo sapere qualcosa in più su di te.»
Contrassi la mascella e annuii. «Sai, hai ragione: mi sono arrabbiata.» Feci un passo indietro lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi e sciogliendo quello strano abbraccio. «E la mia risposta è no, non voglio il tuo aiuto.»
Nei suoi occhi blu passò un’ombra. «Scarlett…»
«No. Basta con questa commedia.» Dichiarai prima di voltargli le spalle ed andarmene.
Probabilmente le persone davanti a me sentivano la mia rabbia visto che non si facevano problemi a lasciarmi passare. Senza averlo deciso, mi ritrovai al bancone del bar e non riuscii a fare a meno di osservare tutti quegli alcolici dai colori brillanti ed intensi allineati sugli scaffali. Mi sarei odiata, lo sapevo, ma avevo bisogno di non pensare per un po’.
«Cosa ti porto, bella?» Chiese il barista, un ragazzo moro sulla ventina, sorridendomi.
“Sei ancora in tempo per evitare di combinare un guaio”, mi ammonì una vocina nella mia mente. La mia bocca la pensava diversamente: «Qualcosa di forte.»
Lui fece un cenno d’assenso. «Subito.» Un secondo dopo mi mise davanti un bicchierino contenente un liquido ambrato. «Ecco qua.»
Lo presi con un accenno di sorriso sulle labbra e lo sollevai appena. «Alla salute.» E bevvi tutto d’un fiato.



SPAZIO AUTRICE: Come vi aveve già preannunciato, il compleanno di Selena non è per niente una serata tranquilla: Scarlett ha i nervi a fior di pelle, vorrebbe scappare e, nello stesso tempo, vuole anche mantenere la promessa fatta a Beth; Adam insiste ancora, ma anche lui non sa bene come comportarsi. Finiscono entrambi per dire, o fare, la cosa sbagliata e questo non fa altro che aumentare la tensione tra loro. 
I guai, però, sono dietro l'angolo: anche il prossimo capitolo sarà ambientato durante al festa, almeno in parte, e devono succedere ancora un bel po' di cose che, come vi ho già detto, coinvolgeranno anche Michael.
Mi è piaciuto scrivere questo capitolo, soprattutto perché cominciano ad esserci i primi accenni agli Adamett, al rapporto che verrà a crearsi, molto lentamente, tra loro.
Volevo avvertirvi che nel prossimo capitolo andrò a toccare, anche se per poco, un tema delicato che riprenderò, sempre solo accennandolo, in seguito e spero tanto di riuscire a farlo nel modo giusto, senza strafalcioni e cercando di essere il più giusta possibile.
Spero che questo capitolo sia piaciuto anche voi e vi ringrazio per l'entusiamo che dimostrate nel seguire la storia.

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