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Autore: Adeia Di Elferas    21/11/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Gli uomini scelti di Paolo Orsini entrarono in città avvolti in un'atmosfera surreale.
 Non c'era nessuno per strada, nessuno alle finestre e nemmeno un rumore arrivava dai palazzi che facevano da scenario a quella silenziosa sfilata.
 I cavalieri aprivano, a passo moderato, seguiti dall'artiglieria e poco lontano, i soldati di Leone da Montesecco stavano facendo altrettanto, per riuscire a circondare i palazzi dei Colonna.
 Caterina era stata convinta da Paolo Orsini in persona a indossare un vestito che la rendesse riconoscibile, in modo che i cavalieri restassero galvanizzati dalla sua presenza e che i nemici la riconoscessero e in qualche modo restassero destabilizzati dalla sua presenza.
 Perciò ora si trovava in sella a un pesante cavallo da guerra con indosso un'armatura abbastanza coprente, ma eccessivamente decorata e un gonnellone enorme coperto di strisce di velluto che riprendevano i colori dei Riario. Di certo non era un mise comoda.
 Virginio Orsini fece segno a tutti di fermarsi un momento e la colonna si arrestò con un breve momento di esitazione.
 Aveva sentito qualcosa che non gli piaceva. Come un cigolio. Come un carretto o delle ruote che non erano quelle delle loro bocche da fuoco...
 Un fragore improvviso ruppe la pace irreale che li circondava e una piccola palla di cannone, assieme a molto fumo, tranciò di netto le zampe del cavallo su cui stava Paolo Orsini.
 Virginio non accorse dal parente, ma al contrario, ordinò la carica, dirigendosi, dinnanzi a tutti, verso il punto da cui era arrivato il colpo.
 Paolo Orsini venne aiutato da quelli che gli stavano attorno e in breve uno dei suoi secondi smontò da cavallo e prestò la propria bestia al comandante che, rimessosi in sella, inseguì Virginio verso la piazza della Fontana.
 “Presto!” ordinò il comandante d'artiglieria: “Preparare le bocche da fuoco!”
 E a quell'ordine gli addetti alle bocche da fuoco scattarono in avanti, febbrili e Caterina cominciò a occuparsi di quelli che stavano sulla destra, mentre il comandante d'artiglieria badava a quelli di sinistra.
 Girolamo tentò di voltare il cavallo, ma all'ultimo cambiò idea, temendo, nella fuga, di incappare in qualche blocco dei Colonna.
 Così seguì la moglie e l'artiglieri verso la piazza.
 Quando arrivarono davanti alla Fontana di Trevi, lo scontro si stava già quasi spegnendo. Solo pochi uomini dei Colonna erano stati messi davanti alla fontana, ad aspettare gli Orsini. Ormai lo scontro si stava spostando sul promontorio, dove i Colonna dovevano essersi ritirati e dove Leone da Montesecco, astutamente, aveva portato i suoi nel momento stesso in cui aveva sentito il colpo di colubrina.
 Lo scenario cittadino rendeva la battaglia unica nel suo genere. I cavalli scalpitavano e imboccavano le vie tra i palazzi a velocità folle, spesso scivolando un po' e perdendo aderenza.
 La concitazione e le urla dei soldati per un attimo ricordarono a Caterina il giorno di Santo Stefano, quando suo padre era stato assassinato. Solo che qui non c'era una folla a guardare, solo finestre sprangate e portoni chiusi a chiave...
 Seguendo il resto degli Orsini, Caterina fece in modo che le bocche da fuoco puntassero verso i palazzi dei Colonna e ordinò di colpire.
 In breve il palazzo di Oddone Colonna e quello del cardinale Giovanni Colonna vennero ridotti quasi del tutto in macerie e alcuni soldati degli Orsini ne approfittarono per prendersi un po' d'oro, di gioielli e di piccoli oggetti preziosi, che occhieggiavano così, alla luce del sole, come se desiderassero essere rubati...
 Caterina restò abbastanza lontana dall'epicentro dello scontro, che tuttavia fu breve e dalle pochissime perdite per gli Orsini. Nemmeno i Colonna persero molti uomini, poco più di cinquanta, ma tra loro c'era anche Filippo Savelli, che tanto aveva fatto tribolare il papato nella guerra contro il Duca di Calabria.
 Una volta sicuri di aver pacificato la zona e di non essere più in pericolo, i notabili dell'esercito degli Orsini si radunarono poco lontani dalle spoglie del palazzo del cardinale Colonna.
 Caterina era accaldata e, anche se nell'impeto dello scontro non vi aveva dato troppo peso, ora che tutto era concluso aveva capito in quella breve esperienza che non poteva permettersi più di indossare 'vestiti di scena' in battaglia. Troppo pesanti, troppo ingombranti... E la piastra addominale che aveva scelto era troppo stretta, ormai. Il ventre cominciava a essere troppo gonfio e quella morsa ferrea non era affatto piacevole.
 Girolamo era sudato e dagli occhi fuori dalle orbite, però non aveva nemmeno un graffio e – Caterina se n'era accorta, benché fosse impegnata in cose più importanti – la sua spada stava ancora nel fodero, così come tutto il suo ardire.
 Paolo Orsini era abbastanza provato e ancora dolorante per la caduta da cavallo, ma anche lui era illeso.
 Leone da Montesecco aveva il volto coperto di sangue e dava proprio l'impressione di essere stato il più fervente combattente della giornata, tanto da aver ancora il fiato corto e la spada in mano.
 Virginio Orsini, invece, appariva solamente trionfante. Alle sue spalle due soldati tenevano stretto un prigioniero.
 “Signori...” iniziò Virginio Orsini, per poi ricordarsi anche di Caterina: “E signora...” fece un breve inchino e proseguì: “Ecco a voi il caro Lorenzo Colonna!”
 Ci furono urla di vittoria e Lorenzo Colonna, sporco e ferito, guardò i suoi nemici con sdegno, ancora non piegato dalla sconfitta, ancora pieno di risentimento e spirito battagliero.
 Caterina lo osservò a lungo, fino a quando Colonna alzò gli occhi su di lei. Erano di fuoco, scuri come la notte e profondi come l'abisso...
 “E Fabrizio Colonna?” chiese Paolo Orsini, una volta che l'euforia si fu spenta.
 “Chi può dirlo...” fece Virginio, alzando le spalle: “Penso sia scappato. Almeno questa volta... Lo troveremo, prima o poi.”
 Paolo Orsini annuì e chiese: “Cosa ne facciamo di lui?”
 “Portiamolo al papa. Poi a Castel Sant'Angelo. Li lo faranno parlare e poi libereranno il mondo di un simile individuo.” propose Virginio Orsini.
 “Forse dovreste chiedere al nipote di Sua Santità. Se non sbaglio è anche il castellano di Castel Sant'Angelo...” fece notare Leone da Montesecco.
 “Il castellano è d'accordo.” dichiarò Caterina, prima che suo marito riuscisse a introdursi nella conversazione: “Che il prigioniero sia portato a Sua Santità. Sarà lui a consegnarlo a Castel Sant'Angelo.”
 Paolo Orsini fu d'accordo e così, una volta organizzato il ritiro dei soldati, un piccolo drappello composto da Girolamo Riario, Caterina Sforza, Virginio Orsini, Paolo Orsini e pochi uomini di scorta, si diresse verso la corte di Sisto IV.
 Lungo il tragitto, Virginio Orsini trovò il modo di affiancare Caterina e le disse, a voce abbastanza bassa da non farsi sentire da nessuno: “Bel colpo, quello ai palazzi dei Colonna.”
 Caterina fece un breve sorriso: “Erano deserti... Non so quanto sia stato utile ai fini della guerra.”
 “Abbattere il morale è sempre utile, ricordatevelo sempre.” disse Virginio, annuendo lentamente: “Quindi ancora i miei complimenti più sentiti. Per essere la vostra prima battaglia, ve la siete cavata egregiamente.”
 “Non è stata una vera battaglia.” si intromise Paolo Orsini, che aveva sentito solo l'ultima parte del discorso: “Non illudetevi, mia signora. Questa è stata solo una scaramuccia.”
 “Oh, avanti, Paolo... Siate galante, una volta nella vita... Ammettete che la nostra signora è stata molt---” Virginio Orsini si interruppe bruscamente, per spronare il cavallo verso Girolamo, qualche metro dietro di loro, che stava alzando la spada verso Lorenzo Colonna, legato e trascinato da due soldati a piedi.
 “Cosa accidenti volete fare?!” chiese Virginio, mettendosi di forza tra Girolamo e il prigioniero.
 “Quell'infame mi ha insultato!” esclamò Girolamo, ancora la spada per aria: “Volevo dargli una lezione...”
 “Non facciamo nulla di cui potremmo pentirci, va bene?” fece Paolo Orsini, accorrendo a sua volta al fianco del prigioniero: “Siamo quasi dal papa, esigo che il prigioniero ci arrivi intero.”
 Girolamo rimise nel fodero la spada, si asciugò il sudore dalla fronte col dorso della mano e assunse un'espressione molto scocciata, ma non trascinò più in là la conversazione.
 Dopo quell'episodio, nessuno disse più nulla fino a che il palazzo papale non fu in vista. A fare loro da sfondo c'era una Roma immobile e silente, piena di attesa e timore, rovente al nuovo sole d'estate.
 Gli ultimi metri parvero infiniti e quando dovettero farsi riconoscere dalle guardie, ci fu un altro momento di tensione.
 Mentre Paolo Orsini si faceva riconoscere e spiegava il motivo del suo arrivo, Caterina sentì alle sue spalle i rumori di quella che pareva una rissa da osteria.
 Si voltò e vide che ancora una volta Girolamo aveva estratto la spada dal fodero e la puntava contro il prigioniero, che, in tutta risposta, tentava di divincolarsi dalla stretta dei due soldati che lo trascinavano e fissava il Conte Riario con aria di sfida.
 “Conte!” esclamò Virginio Orsini, accorrendo in difesa di Lorenzo Colonna per la seconda volta: “Non siate ridicolo!”
 “Costui continua a insultarmi!” guaì Girolamo, la voce resa acuta dalla rabbia.
 “E che diamine ha da dirvi, per farvi arrabbiare tanto?!” chiese esasperato Virginio Orsini, stando sempre tra Girolamo e il Colonna.
 “Mi ha dato del codardo, se proprio lo volete sapere!” cominciò a elencare Girolamo, agitando in aria la spada: “Mi ha detto che sono un uomo vile e senza coraggio! Dovevo dimostrargli il contrario, ecco perchè ho...”
 “Avreste dovuto dimostrarglielo in battaglia, non adesso.” intervenne Caterina: “Attaccandolo ora che è disarmato e legato e tenuto fermo da ben due uomini altro non fate che avvalorare la sua ipotesi.”
 Girolamo guardò la moglie con una rabbia che da molto Caterina non gli vedeva dipinta in volto. Forse avrebbe pagato in qualche modo quella sua insolenza, ma non era riuscita a trattenersi.
 Il ventre le dava noia e il caldo la stava facendo impazzire. Se rischiare una ripicca di Girolamo era il prezzo per poter chiudere in fretta la giornata, l'avrebbe accettato senza discutere.
 “Avanti!” ordinò Paolo Orsini, che aveva appena ricevuto il nulla osta.
 Caterina, Virginio e Girolamo, tutti e tre per motivi diversi, entrarono a palazzo con l'espressione cupa e rabbiosa che avrebbe potuto avere uno sconfitto e non un vincitore.
 L'unico che sorrideva, anzi, che rideva, era Lorenzo Colonna, euforico come se avesse sbaragliato il nemico e avesse conquistato Roma.
 
 “L'abbiamo fatto portare subito a Castel Sant'Angelo.” disse Sisto IV in un soffio: “Ma ditemi, è vero, come dice Virginio Orsini, che anche voi siete scesa in battaglia?”
 Caterina, dopo essersi ripulita dalla polvere e cambiata, era stata convocata in presenza del papa. Prima era stata accolta assieme a tutti gli altri con deferenza e gratitudine, aveva assistito al processo lampo fatto a Lorenzo Colonna – che per tutto il tempo aveva mantenuto un sorriso stolido in volto e gli occhi fissi a turno su di lei e su Girolamo – e aveva ricevuto il pubblico ringraziamento del papa, grato che gli Orsini avessero impedito ai Colonna di essere una minaccia troppo pesante per la città.
 Ora che lei e il papa erano soli, Sisto IV aveva abbandonato tutta la solennità e voleva sapere veramente come stavano le cose.
 “Sì, ma sono rimasta nelle retrovie, con l'artiglieria.” spiegò Caterina, accettando volentieri una coppa di vino.
 Sisto IV annuì: “Capisco. Non fate mosse troppo ardite, mi raccomando.”
 “Cercherò di stare attenta.” concordò ella, bevendo tutto d'un sorso il vino fresco, che le parve dolcissimo e buonissimo. Era come tornare a respirare, dopo tutto quel caldo.
 “Immagino che ripartirete presto.” disse il papa, le parole seguite da un brutto accesso di tosse.
 Caterina abbassò lentamente il calice: “Sempre che le condizioni di Vostra Santità lo permettano.”
 “Lo permettono, lo permettono.” assicurò Sisto IV: “Piuttosto... Mio nipote?”
 Non c'era bisogno di specificare cosa volesse sapere su Girolamo e Caterina non era contenta di dovergli dare di nuovo una mezza delusione, perciò tentò di addolcire un po' la realtà: “Ha combattutto accanto a me, occupandosi anche lui delle bocche da fuoco.”
 “Girolamo?” chiese il papa, scettico: “Lo stesso Girolamo che ha paura di scottarsi accendendo un camino?”
 Caterina si grattò la fronte: “Doveva coordinare gli attacchi... Ha avuto un ruolo molto...”
 “Ho capito, non perdere tempo a coprirgli le spalle.” la zittì Sisto IV, bruscamente, il volto scarno e raggrinzito contorto dalla delusione.
 Caterina non sapeva che altro aggiungere, così si versò un altro bicchiere di vino e attese che fosse il papa a parlare.
 Sisto IV dopo una lunga pausa, concluse: “Va bene. Esigo che vi facciate visitare da uno dei miei medici. Non dobbiamo dimenticare che portate in grembo il figlio di mio nipote. Paolo Orsini e Virginio mi sono parsi molto colpiti dalla vostra abilità con le bocche da fuoco, scommetto che vi vorranno accanto per battaglie ben più ardue. Ora andate, fatevi visitar e poi andate a prepararvi. Partirete di nuovo a breve.”
 Caterina si alzò, dopo aver sorbito anche l'ultima goccia di vino. Chinò appena il capo e si avviò alla porta.
 Proprio mentre stava per uscire, la voce flebile e fragile del papa le disse: “E grazie per tutto quello che avete fatto per la mia famiglia.”
 Caterina non si voltò, cominciò a camminare fino ai suoi alloggi temporanei e non poté fare a meno di sentirsi in parte anche una traditrice. Se da un lato stava aiutando suo marito, i Riario e i Della Rovere, non aveva fatto nulla per salvare sua madre Bona dalla prigionia.
 Dov'era tutto il suo coraggio e il suo spirito guerriero quando avrebbe dovuto pronunciarsi contro suo zio Ludovico e a favore di Bona?
 Asciugandosi furtivamente una lacrima, Caterina si disse che per Bona non avrebbe potuto far nulla comunque. Così come Bona, più di dieci anni prima, non aveva potuto far nulla per lei.
 “Oh, la grande guerriera!” la voce dall'accento spagnolo di Rodrigo Borja a stento sfiorò Caterina mentre gli sfilava accanto.
 Rodrigo la osservò mentre si allontanava e si fece pensieroso. Quella donna, sì, quella donna era la vera minaccia, non un Della Rovere o un Riario, ma una Sforza...
   
 
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