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Autore: NightWatcher96    21/11/2015    2 recensioni
Spesso le malattie ritornano e talvolta più forti di prima. Mikey è stato un bambino colpito dalla leucemia infantile, si sa... ma sarà in grado di sconfiggere il vecchio nemico adesso che è molto più forte? Sequel di "My Peace of Heart"
Genere: Azione, Fluff, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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N/A  Nuovo capitolo sfornato, corretto e postato! Gioia, vero? Spero di sì e che sia di vostro gradimento, intanto! Vi consiglio di ascoltare in successione I Try, Untiled e Freaking Me Outby Simple Plan, si sposa bene. Vorrei come al solito ringraziare le mie carissime lettrici e ispiratrici con un mega abbraccione di cuore. Enjoy!



Qualche giorno dopo...
 
La tana non era la stessa.
Era così vuota, fredda, quasi raccapricciante e terribilmente silenziosa.
Michelangelo Hamato era tornato a casa, dimesso volontariamente dall'ospedale per vivere i suoi pochi mesi di vita nel calore familiare ma non era certamente lo stesso.
Sedeva sul divano, con una coperta bianca addosso e gli occhi fissi sul diarietto che Raph aveva miracolosamente trovato nel vaso di porcellana dello sgabuzzino.

Sul suo viso non c'era alcun sorriso, anzi, da come si mordicchiava le labbra era evidente la sua sofferenza verso una vita passata a ridere, scherzare e godersi una vita perfetta.
Come aveva gridato in ospedale, lo Shinigami gli aveva risparmiato la vita solo per illuderlo ma essendo un Prescelto era proprio vero che sarebbe morto. E Mikey si era rassegnato, tanto da rifiutare le cure.
Ora il suo corpo era arrivato a una fase di stallo; nelle prime due mattine fuori dall'ospedale aveva sofferto atroci dolori ossei, sbocciati alla gamba che aveva sempre riscosso il suddetto "campanello d'allarme", successivamente la debolezza cronica lo aveva costretto a restare a letto, senza nemmeno dargli la forza per mangiare.

Mikey si era sentito un oggetto inutile, fragile e vecchio. Dopotutto aveva sempre avuto la fama di tartaruga iperattiva e rivedersi costretto in un letto ora storpiava questa memoria.
Verso sera aveva cominciato a vomitare senza sosta, anche sangue e bile e durante la notte era salita la febbre abbastanza alta ma che sarebbe diventata febbricola mattutina.
Mikey non vedeva l'ora di farla finita.

Non sopportava tutto questo dolore e nemmeno quello vivido negli sguardi della sua famiglia. Quello che forse, in merito a ciò, gli doleva era la volontaria noncuranza di Raph.
Il rosso faceva finta di nulla, come se non esistesse.

"E' buono, in realtà. Almeno si abitua per quando non ci sarò più..." pensava il minore e anche adesso questo pensiero tentennava, mentre sfogliava il suo diarietto.
Quanti ricordi felici, lì.

Michelangelo non poteva fare a meno di sorridere ai pensieri impressi nella carta un po’ ingiallita, scritti dal suo io bambino. Era un tuffo nei ricordi, una dolce sinfonia e una scorpacciata di risate. Poi, però, i suoi occhi spenti si imbatterono nell’ultima pagina del diario, in una nota scritta in blu.

“Il giorno in cui ho scoperto quell’ammasso di carte inutili…” pensò, richiudendo subito il libricino.

Stanco di poltrire, il giovane ninja si alzò in piedi, con l’aiuto della stampella vicina al divano e si diresse verso la cucina, spinto dal richiamo del soddisfare la sua sete. Appena entrò con un’espressione apatica, notò con la coda dell’occhio suo fratello Raph seduto al tavolo con in mano un panino al formaggio.
Lo guardò un po’ ma Raph lo ignorava, mentre addentava il suo spuntino. Mikey non ci fece caso e aprendo il frigo optò per un po’ di succo di mela, tra l’altro il suo gusto preferito. In altri casi un biscotto ad accompagnare il dolce liquido era doveroso, se non un obbligo ma adesso no, o meglio, non sapeva se il suo stomaco avrebbe retto.
Mikey impiegò quasi lo stesso tempo di Raph per terminare il suo succo e una volta riposto il bicchiere nel lavandino lasciò la stanza. In quel momento, camminare si fece stranamente più lento e difficile; la gamba gli inviava segnali di dolore dal polpaccio, nel complesso sembrava che le sue gambe erano gelatina e tremava tutto.

“Non voglio vomitare…!” implorò nel pensiero, chiudendo gli occhi.

Un movimento dal tavolo e una leggerissima brezza di vento li fecero riaprire; il cuore di Mikey ebbe quasi un battito mancante nel ritrovarsi il panino al formaggio vicino alle labbra e brillanti occhi verdi specchiati nei suoi. Raph gli era vicino.

La tartaruga malata aprì e chiuse la bocca, incapace di spiccicare una sola parola; il gesto di Raph non gli era così sconvolgente bensì familiare, un deja-vu progredito nel tempo.

“Vuoi un po’ del mio panino, Mikey?”- fece Raph, senza l’ombra di un sorriso.

…papà ha detto che non mi odi e io non odio te. Quindi siamo pari, no?”- completò Mikey, mentre alcune lacrime colavano sul suo viso pallido.

Raphael, a quel punto, sorrise talmente radiosamente che lo strinse a sé dolcemente. Gli era mancato il suo fratellino. Davvero. Così tanto.
“Mi dispiace. Io non riesco più a capire come comportarmi qui dentro…”- soffocò contro la sua spalla magrissima e pallida. “Vorrei tanto trovare qualcosa che ci aiuti a riportare tutto com’era un tempo e… come dovrebbe essere”.

Preso un respiro tremante, Mikey si staccò docilmente e lo guardò dritto negli occhi velati di lacrime, scuotendo leggermente il capo. Era inutile rimuginare, da parte del rosso, su un cambiamento di decisione, tanto non sarebbe servito a nulla se non a prolungare dolorosamente l’agonia.

“Raph, sii sempre forte.”- disse, accarezzandogli una guancia. “Sai meglio di me che non c’è proprio nulla da fare per le mie condizioni. Quindi, ti chiedo solo di agire… normalmente”.

Il padroncino dei nunchaku non si stupì di notare il labbro inferiore del secondogenito vibrare e lui stesso afflosciarglisi sulle ginocchia davanti, abbracciandogli la vita con entrambe le braccia.

“Non voglio dirti addio! Mikey, sei la cosa più bella nella nostra vita! Assecondare il tuo desiderio di morte è come aiutarti a morire!”- gridò contro il suo stomaco.

Mikey deglutì, guardandolo dolcemente, nonostante un leggero abbaglio di dolore nello sguardo, uno che significava sensi di colpa per distruggere giorno dopo giorno anche il più forte della famiglia. Raph non piangeva ancora, però, una lacrima riuscì a sfuggire dalla palpebra sinistra stretta nel dolore emotivo.

“Mi dispiace.”- riuscì a mormorare colpevolmente Michelangelo, appoggiandogli la mano sulla testa.

Improvvisamente, il suo mondo si oscurò. Raph spalancò gli occhi nella realizzazione di un peso più consistente gravare sulle sue braccia e quando la curiosità gli fece sollevare il viso verso l’alto, il suo corpo agì meccanicamente, come manovrato dal pilota automatico.
Balzò in piedi con violenza, raccolse il fratellino tra le braccia in stile sposa e si spostò meglio sotto la luce fredda del neon ronzante sotto al soffitto pieno di crepe a ragnatela.
Mikey era cadaverico, visibilmente stanco di lottare, di soffrire e troppo magro.

Raph restrinse leggermente gli occhi, poi si incamminò verso il divano per adagiarlo il più delicatamente possibile. Notò con la coda dell’occhio una coperta afflosciata sul bracciolo e la usò per coprire il suo piccolo Otouto.
“Quando non ci sarai più, io morirò di dolore…” pensò, inspirando profondamente, nel tentativo di spezzare la nuova ondata di lacrime pizzicanti nel naso e nei canali lacrimali.

Michelangelo era tranquillo nel suo riposo di stanchezza ma anche rilassato.

“Senza di te…” rifletté, ma poi lasciò il pensiero a metà.
Il rosso non voleva lasciarlo da solo, così si accomodò sulla poltrona accanto al divano e accese la tv a volume zero. Non era in vena di guardare spettacoli, documentari o telegiornali ma almeno poteva tenersi sia la mente occupata sia vegliare su Michelangelo…
 


Leonardo era fermo davanti al piccolo altarino accanto alle shoji della stanza di Splinter.
Guardava da un tempo indeterminato le foto incorniciate sulle mensole di truciolate fissate al muro, dove spiccavano il volto allegro di Michelangelo, in varie età e la piccola Miwa.

“Quando non ci sarai più, allora guarderemo una tua foto dal fiocco nero posta qui tutto il tempo…” pensò, deglutendo un magone pesante giù per la gola.

Non poteva credere che dopo aver sconfitto la malattia, questa era ritornata più aggressiva che mai e intenzionata a strappar via ancora più velocemente il dolce Michelangelo. Era un tormento per il cuore, un chiodo rovente nel cranio e un fiume di lacrime per gli occhi.

Leo chinò leggermente il capo, mormorò qualcosa in giapponese a proposito dello Shinigami, poi si diresse verso il salottino, stupito di intravedere i caratteristici lampi colorati della tv muta.
Man mano che si avvicinava a passo tranquillo, poteva vedere per brevissimi lassi di tempo immagini felici dove il suo fratellino ne era il protagonista.

 
Mikey spaparanzato sul puff blu con in mano un fumetto o un controller di gioco.
Mikey seduto sul pavimento, a piedi uniti con una fetta di pizza in mano.
Mikey sdraiato a pancia in giù su un cuscino a guardare un film.
 

Non era pronto per questo. Non poteva perderlo così.
“Perché rinunci, Mikey? Finché c’è vita, c’è speranza!” pensò con un cipiglio di rabbia.

A parlare era il suo cuore palpitante. Leonardo non era per niente infuriato, no, era semplicemente in collera. Ce l’aveva con tutto il mondo ma mai lo avrebbe ammesso.
D’un tratto, tutta la sua rabbia si convogliò al centro del petto e svanì, lasciando un senso di vuoto, una fase di stallo e una mente intorpidita. Lentamente, le sue labbra si piegarono in un leggero sorrisino.

Raph era appisolato con una mano a sorreggere la testa e l’altra aggrappata saldamente a quella di Michelangelo, in un sonno profondo. Erano così carini che l’idea di svegliarli sembrava pessima.
“Quando te ne sarai andato, io non sarò più il leader…” pensò, mentre la vista gli si annebbiava di lacrime e si trascinava verso la sua stanza…
 


Nel laboratorio, Donatello era seduto sulla sua sedia in similpelle corvina a leggere un libro sui malati terminali di cancro. Era ormai a pagina settantanove e la sua mente si era notevolmente arricchita di tante informazioni utili.
Per lui completamente inutili.

Non poteva metterle in pratica, era un qualcosa che andava ben oltre la sua conoscenza di ingegnere e in parte dottore. Il cancro non poteva essere trattato dal suo genio.
Inoltre, dolorosamente poi, aveva scoperto che negli stadi avanzati non c’era nulla che si potesse fare… quindi, in altre parole, il suo fratellino non aveva più speranze a cui aggrapparsi.
Donnie chiuse gli occhi, voltando la testa verso il vuoto, poi chiuse quel maledetto libro nero che si era scelto fra tanti nella sua piccola libreria personale. Non poteva sopportare l’idea di dire addio all’unico piccolo fratello che aveva.

Non voleva essere considerato lui il più giovane, non se erano nati in quell’ordine sotto il numero quattro.
“Mikey, fratello mio…”- borbottò in un fil di voce, mentre si strofinava il divario tra gli occhi. “Io non voglio credere che te ne andrai sul serio…”.

Anche se la sua mente correva inarrestabile, fulminea e incontrollata, non poteva fare nulla. Era del tutto obsoleto il suo intervento.
Nel silenzio del laboratorio, un leggero singhiozzo riecheggiò. Il dolore era talmente intenso che piangere nasceva spontaneo. Donatello teneva gli occhi dietro la mano destra, le sue spalle tremavano e lui stesso stringeva talmente tanto i denti che poteva quasi sentire un pericoloso scricchiolio.

“Mikey… non fare lo stupido, ti prego…”- articolò a denti stretti.

Il libro cadde in terra, scivolato dolcemente dalle sue gambe. Donatello lo guardò per un po’, poi, in uno sfogo di rabbia lo prese a calci. Odiava quel libro! Quell’infame ammasso di carte così crudo!
Nella foga di alzarsi dalla sua sedia, inciampò in una treccia di fili, ritrovandosi carponi sul pavimento. Il suo cuore pulsava con tanto impeto che lentamente il suo fiume di lacrime si trasformò in una crisi isterica fatta di urla di disperazione e singhiozzi.

Poiché la camera di Leo era proprio di fronte, quest’ultimo scattò fuori dalla sua meditazione e rimase con il fiato sospeso, con aria stupita. Il suo udito registrava ogni spasimo, ogni parola anche incomprensibile, abbinandoli a un solo timbro vocale fin troppo familiare.

“Donnie!”- espirò il leader, balzando in piedi, correndo verso la porta chiusa del laboratorio.

Non appena entrò, vide il fratello in posizione carponi, incapace di smettere di piangere, mentre sbatteva i pugni duramente sul pavimento.

“Donnie!”- chiamò, avvicinandoglisi.

Il viola non lo guardò né riuscì a smettere di gridare o piangere.

“Donatello, ti prego, basta…”- mormorò gentilmente l’azzurro, bloccandogli i polsi prima che potessero raschiarsi contro una serie di abrasioni del pavimento.

“Che sta succedendo qui?!”-.

Leonardo si voltò verso la porta del laboratorio, dove lì c’era un Raphael con occhi spiritati, pugni stretti e gambe leggermente divaricate. Quella posa la diceva lunga, voleva significare una fortezza, un cuore di ghiaccio, un’apatia verso quello strazio. I suoi occhi lucenti tradivano, però.

“Donnie, smettila!”- abbaiò duramente.

L’azzurro restrinse leggermente gli occhi, tornando poi a Donatello. Solo lui si era accorto del leggero sforacchiamento che aveva rilasciato la voce di Raph.
Il ringhio del rosso attirò come una mosca verso la ragnatela perfino il maestro Splinter ma quest’ultimo, anziché esprimere anche una sola parola, rimase perfettamente in silenzio e appoggiò semplicemente la mano sulla spalla di Raph per calmarlo.

“Che gli prende?”- domandò il rosso, rivolto all’azzurro.

“Ero in meditazione quando ho cominciato a sentire questo…”- spiegò il maggiore, cercando di abbracciare il suo fratellino, ma quest’ultimo comunque si rifiutava, dibattendosi ferocemente.

“E tu?”- riprese Leo.

“Bah, credo di essermi addormentato prima. Attraverso il sonno, ho comunque sentito questo piagnisteo.”- rispose l’altro, senza staccare gli occhi di dosso al genio.

“Donatello, figlio mio…”- sussurrò Splinter.

Una debole mano si avvolse contro quella analoga di quest’ultimo; il topo non sussultò nemmeno, tanto riconosceva l’aura affievolita e non più brillante come sempre si era figurato attraverso il piano astrale o la meditazione.
E così il quartetto si era riunito in un unico posto.

Quando Donatello alzò gli occhi verso la piccola sagoma seminascosta dietro al maestro, i suoi occhi si restrinsero fino a diventare puntini minuti e scintillanti di collera. Adesso la tristezza si era mutata in rabbia cieca.

“Sei solo uno stupido! Godi a farci soffrire, non è vero? Vuoi che assistiamo in questa tana la tua agonia perché non vuoi farti aiutare, giusto? Perché fai l’egoista, perché non capisci niente? C’erano le cure, potevi farti curare!”- urlò Donatello, balzando in piedi con una tala forza da spintonare perfino Leo.

E pensare che quest’ultimo cercava di bloccare l’avanzata verso Mikey in tutti i modi!

“Ti odio, hai capito? Stai distruggendo questa famiglia! Sei solo uno stupido! Se proprio vuoi morire, fallo lontano da qui!”- ruggì, afferrando il piccolo per le braccia. “Apri gli occhi, guarda che cosa siamo diventati per causa tua!”.

D’altro canto, il giovane Michelangelo non disse neanche una parola. Donatello aveva cercato di reprimere tutto il dolore di quel calvario per troppo tempo e adesso lo stava liberando. Ogni insulto, ogni parola cattiva non gli faceva né caldo né freddo.

Anzi, alzò semplicemente una tremante mano per accarezzargli la guancia amorevolmente.

Donatello spalancò gli occhi, respirando affannosamente, mentre i suoi occhi si ingrandivano e diventavano scuri di lacrime. Guardò il suo fratellino, quel volto pallido e quando intravide un dolce sorriso, riprese a piangere ma stavolta in silenzio.

“Mikey, resta qui…”- sussurrò, in un puro controsenso verso il discorso precedente. “Ti prego… nessuno di noi è pronto a dirti addio. Sei troppo giovane, sei troppo piccolo, sei solo… solo…”.

“…un bambino.”- continuò Leonardo, i cuoi occhi traboccavano di lacrime, per la prima volta.
Sì. Per una volta, perfino il leader piangeva.

“Per favore…”- mormorarono in simbiosi il leader, il muscolo e il genio, inginocchiandosi davanti al minore.

“No.”- rispose semplicemente quest’ultimo.

I tre lo fissarono sconcertati.

“Non cambierò decisione. Ve l’ho già detto…”- mormorò.

Improvvisamente, accadde l’orrore. Il viso del piccolo padrone dei nunchaku si contrasse in una smorfia di puro dolore e il suo corpo si mise a ondeggiare, poi, le sue ginocchia cedettero e lui, con entrambe le mani premute sul petto, sul cuore, crollò in mezzo ai suoi fratelli.

“MIKEY!”- gridarono spaventati.

Sangue caldo, bollente, rosso colava dalle sue labbra violacee.

“Don, che gli sta succedendo?!”- urlò Leo, terrorizzato.

“Sta avendo una crisi di rigetto, probabilmente dovuta ai cicli di chemio sospesi! Il suo corpo aveva bisogno di quei cortisonici, vedeva un valido aiuto contro la malattia!”.

“Non… v… voglio… cu… curarmi…”- ripeté ostinatamente il giovane. “Vi prego…”.
Chiuse gli occhi, crollò inerme.

E i ragazzi guardarono il maestro per una risposta. Quest’ultimo abbassò lo sguardo, poi la determinazione accese il suo color cannella delle iridi in netta simbiosi a un pensiero più che intenso.

“Ricoveriamolo. Michelangelo è troppo accecato dal dolore per vedere speranze!”.

“Hai, sensei!”.

Quello che non sapevano era che l’arancione non aveva perso del tutto conoscenza; quando si sarebbe risvegliato in ospedale, ci avrebbero pensato le sue mani a farla finita…
 
  
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