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Autore: Curiosity    24/11/2015    4 recensioni
“Sarebbe stato davvero così orribile, Will? Venire via con me?”
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AU post Mizumono (2x13). Dopo che Hannibal lascia Will a dissanguarsi sul pavimento quest’ultimo cade in depressione e non lo insegue. Ritrovare la strada che porta all'altro non è semplice come sembra. Che sapore ha un cuore spezzato?
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Hannibal Lecter, Will Graham
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note: Suppongo siamo tutti d’accordo che il disegno di Hanni col tizio nudo che si vede nella serie sia un chiaro ritratto di Will e del suo fondoschiena, sì? Bene. Ho inserito vari dialoghi tratti dalla serie nelle stanze del Palazzo della Memoria di Hannibal (non ho mai visto la serie in italiano né ho alcuna intenzione di farlo, per cui la traduzione dei dialoghi è fatta da moi e non è quella ufficiale). Il verso da lui citato, “Né voi senza di me né io senza di voi”, è preso dal Lai du Chievrefoil di Marie de France (scritto in un francese medievale poco comprensibile, unico motivo per cui non l’ho inserito in lingua originale). Spero sappiate anche che Hannibal in canon è figlio di Simonetta Sforza, erede delle famiglie Sforza e Visconti, il che lo rende mezzo italiano. La poesia che recita è ovviamente “A Se Stesso” di Leopardi.

Even Lovers Drown

di Curiosity

2. How A Broken Heart Still Breaks

 

“I gave him my heart, and he took and pinched it to death; and flung it back to me.

People feel with their hearts, Ellen.

And since he has destroyed mine, I have not power to feel for him.”

                                                                                              (Catherine Earnshaw – Wuthering Heights)

C’era sempre qualcosa di estremamente familiare nel maneggiare un coltello da cucina. A prescindere da dove ci si trovasse nel mondo e da chi fosse il proprietario dell’utensile in questione, la sensazione di stringerne il manico, di sentirne il peso e il suo perfetto bilanciamento sul palmo erano piacevoli, familiari costanti.

La lama che Hannibal stava maneggiando in quel momento non era delle migliori – costosa ma non professionale, di quelle che si sarebbero potute trovare in un negozio di oggetti casalinghi di medio-alto livello ma non certo tra le attrezzature di uno chef – ma questo non significava che non fosse in grado di fare il suo lavoro con passabile accuratezza. Da ciò che aveva osservato tra gli utensili in dotazione in quella cucina era chiaro che in quella casa non si cucinasse poi così tanto. La squisitezza delle credenze in mogano e la chiara dispendiosità dei fornelli e del frigorifero in acciaio inossidabile erano frutto di una scelta votata più a sottolineare lo status di famiglia altolocata che a fini applicativi. Probabilmente per anni la padella in cui al momento un pezzo di rene umano si stava scottando a fuoco lento non era stata usata per altro se non fare figura. E Hannibal odiava gli sprechi.

Finì di tagliare il sedano e lo aggiunse alle verdure nell’altra padella mentre le note di “Sogno soave e casto” di Donizetti scivolavano leggere per la stanza. Tutto sommato non poteva lamentarsi delle scelte musicali dei padroni di casa. L’appartamento intero rispecchiava i suoi gusti, a dire la verità. Peccato che non vi si sarebbe fermato a lungo. Parigi era una città incantevole e avrebbe voluto potervi restare più di qualche mese, ma non sarebbe stato prudente. Era sempre meglio non restare troppo a lungo nel solito terreno di caccia, ora che non aveva più nello scantinato i mezzi per disfarsi facilmente delle prove. Nonostante lasciare la città in cui aveva passato la giovinezza gli sarebbe dispiaciuto, cucinare gli aveva come al solito migliorato l’umore. Cucinare, e liberare il mondo dell’ennesimo spreco di spazio.

Lasciò il cibo a rosolare a fuoco lento, e intonando a voce bassa il motivo che usciva dal grammofono andò ad aprire l’anta della cantinetta frigo in cui una ventina di bottiglie di ottima qualità facevano bella mostra di sé. Hannibal ne prese una a caso, sollevandola per poterne ispezionare l’etichetta, e la nota che gli usciva dalla gola si interruppe bruscamente. Conosceva quel vino. La porta di una delle stanze del suo Palazzo della Memoria si spalancò senza il suo consenso, e dalla soglia osservò un Will semi-imbarazzato che gli porgeva quella stessa bottiglia, mille vite fa.

“Sicuro di non poter rimanere?”, aveva chiesto, e ancora ricordava quanto si fosse stupito a scoprire che non lo stava dicendo per semplice cortesia. Avrebbe davvero voluto che Will restasse alla sua cena di gala.

“Non credo che sarei di compagnia”, aveva scosso la testa Will, a disagio tra i camerieri del catering che si aggiravano per la cucina.

“Non sono d’accordo”, aveva risposto lui. Will aveva sollevato lo sguardo e per un attimo aveva incrociato i suoi occhi, cosa estremamente rara all’epoca. Era la seconda volta che succedeva, quel giorno. La prima era stata mentre Hannibal richiudeva l’incisione maldestra del killer che tentava di asportare gli organi delle sue vittime senza ucciderle, fallendo ogni volta. Subito dopo che l’FBI l’aveva arrestato, lui era intervenuto per salvare l’ultimo dei suoi “donatori”, suturandone la ferita sull’ambulanza, sotto lo sguardo di Will. I loro occhi si erano incrociati, e non per la prima volta Hannibal aveva desiderato poter scoprire cosa si agitava dietro quei febbrili occhi chiari.

Richiuse la porta prima che il mezzo sorriso imbarazzato di Will potesse impedirgli di fare altrimenti, e con un battito di ciglia tornò al presente. Sistemò nuovamente la bottiglia dove l’aveva trovata, prendendone un’altra e tornando ai fornelli.

Diede gli ultimi tocchi alla sua cena e la impiattò, portandola insieme alla bottiglia in soggiorno dove lo attendeva la tavola splendidamente apparecchiata. Si versò da bere, prendendone un sorso e iniziando a tagliare la carne. Quando la assaggiò sentì che si scioglieva in bocca e annuì soddisfatto, e in quel momento avvertì la porta d’ingresso aprirsi. Continuò a mangiare indisturbato, e quando Mrs Fell fece la sua entrata in sala da pranzo e si accorse che non era suo marito l’uomo seduto al tavolo – nonostante in un certo senso suo marito fosse sul tavolo, o meglio sul piatto – Hannibal sorrise appena.

“Bonsoir.”

*

“Perché Firenze?”, chiese Bedelia, elegantemente reclinata sulla poltrona di broccato con un bicchiere di vino tra le mani.

Hannibal finì di accentuare il chiaroscuro sulla figura maschile che stava disegnando, soffiando via i granelli di grafite in eccesso così che non annerissero il disegno intero.

“Si è liberato un posto come curatore e traduttore della biblioteca di Palazzo Capponi. All’esimio Dr Fell è stato offerto di sostituirlo.”

“Uno straniero alla direzione di certo farà scalpore. Credi sia saggio attirare così l’attenzione?”

Se Hannibal non fosse stato troppo raffinato per farlo avrebbe scosso le spalle.

“E’ sempre meglio nascondersi in bella vista quando non si vuole essere trovati.”

“Di certo è una strategia che per te ha sempre funzionato”, osservò Bedelia facendo roteare il vino nel bicchiere ed osservandovi il riverbero ambrato del fuoco nel camino.

“Esattamente. E dubito che qualcuno potrebbe mai pensare che l’illustre Dr Fell sia in realtà in fuga dall’FBI.”

A quello la donna inclinò il capo da un lato, soppesandolo.

“Stai realmente fuggendo da loro? O stai correndo loro incontro?”

Hannibal sollevò lo sguardo dal disegno, le sopracciglia alzate.

“Non avrei alcun motivo per farlo.”

Bedelia emise un verso di contemplazione, sorridendo appena e voltando lo sguardo verso il camino. Hannibal era tornato al suo disegno quando lei parlò di nuovo.

“Suppongo tu sappia che Will Graham si è svegliato.”

La punta della matita esitò solo un attimo sul foglio, ma fu abbastanza per rovinare la perfezione della linea che stava tracciando. Hannibal assottigliò appena le labbra, prendendo la gomma e usando il bisturi che teneva sempre sul tavolo per tagliarne un bordo in maniera tale che creasse un angolo preciso.

“Ne sono al corrente.”

Aveva seguito suo malgrado ciò che accadeva a Will dal momento in cui era arrivato in Europa, liquidando l’impulso come semplice curiosità. Quando Freddie Lounds aveva pubblicato la foto scattata di straforo di Will ancora in coma, nudo e supino sul letto, si era ritrovato a fissare più a lungo di quanto non fosse disposto ad ammettere l’alone scuro del sangue che macchiava le bende che lo avvolgevano. Per un attimo aveva immaginato le mani estranee dei medici posarsi su Will e ricucire lo squarcio, senza avere il minimo diritto di fare né l’una né l’altra cosa, e aveva desiderato di poter essere lì per eliminarli uno ad uno. Avrebbe cavato loro il cuore e avrebbe strappato a Will le fasciature di dosso, così da poter osservare liberamente la ferita che gli aveva aperto nel ventre, il suo marchio indelebile. L’espiazione del tradimento che Will si sarebbe portato addosso per sempre.

“E questo come ti fa sentire?”, chiese Bedelia col migliore dei suoi toni distaccati da psichiatra.

“Contento per lui”, rispose Hannibal, sistemando con la gomma le imperfezioni indesiderate. “Anche se evidentemente avrei dovuto essere più preciso con la lama.”

“Tu non commetti errori, Hannibal. Se lo avessi voluto morto, sarebbe morto.”

Hannibal posò la gomma, abbandonando temporaneamente il disegno e intrecciando le dita sul tavolo.

“Perché mai avrei dovuto risparmiarlo?”

Bedelia fece scorrere un dito sul bordo del bicchiere di cristallo.

“Il senso di solitudine è qualcosa che accomuna tutti gli esseri umani, anche quelli a cui piacerebbe illudersi di non esservi soggetti”, osservò. “Se lo avessi ucciso non avresti mai più trovato qualcuno come lui. Non nascerà mai più un essere umano in grado di comprenderti visceralmente quanto Will Graham.”

Hannibal aveva sempre gradito la sagacia di Bedelia. Supponeva che prima o poi sarebbe stato il pretesto per cui l’avrebbe uccisa.

“Escludi anche te stessa?”

La donna sorrise appena, sollevando gli occhi su di lui.

“Non sono ancora così accecata dalla tua influenza da non sapere di non essere che un misero rimpiazzo.”

“Se questo è ciò che credi perché sei venuta con me?”

Bedelia vuotò il contenuto del bicchiere in un sorso, allungandosi verso la bottiglia di vino e versandosene un altro.

“Solitudine. E istinto di sopravvivenza. Mi avresti lasciata vivere se non ti avessi seguito?”

Hannibal non sbatté nemmeno le palpebre.

“No”, rispose sinceramente.

“Come pensavo”, rispose la donna portandosi il bicchiere alle labbra. “Ci sono cose che perdoneresti solo a lui.”

Hannibal evitò di farle notare che il suo ‘perdono’ non era qualcosa a cui sarebbe voluta mai essere soggetta.

“In fondo gli devo molto”, rispose invece con tono leggero. “Mi ha insegnato qualcosa di me che non sapevo: quanto l'amore sia in grado di accecarmi se gli lascio modo di farlo.”

Bedelia si alzò in piedi, muovendo i pochi passi che la separavano dalla finestra e appoggiandosi col gomito al davanzale. Le luci notturne di Parigi costellavano la notte come sciami di lucciole artificiali.

“Nel mito l’Amore divenne cieco mentre partecipava a un gioco organizzato dalla Follia”, osservò. “Per farsi perdonare lei gli promise che sarebbe rimasta per sempre al suo fianco e che sarebbe stata i suoi occhi. Da allora non si può provare l’uno senza che l’altra guidi le nostre azioni.”

Né voi senza di me, né io senza di voi”, citò Hannibal, tornando ad impugnare la matita e riprendendo a disegnare.

Sentì lo sguardo della donna posarsi su di lui ma la ignorò, continuando indisturbato anche quando la sentì avvicinarsi.

“Non credo che la tua cecità nei suoi confronti sia l’unica cosa che ti ha insegnato. Da quanti anni era che non provavi rimpianto?”

“Non rimpiango nulla di ciò che ho fatto”, disse senza sollevare lo sguardo.

“Non per ciò che hai fatto”, rispose Bedelia, facendo scorrere un dito sul bordo del disegno, attenta a non rovinarlo ma comunque sufficientemente intrusiva da non poter essere ignorata. “Ma per ciò che non hai potuto avere.”

Hannibal non rispose, restando immobile finché non la sentì allontanarsi, lo sguardo fisso sulla figura maschile che si faceva ad ogni linea e ad ogni ombra più familiare.

“L’ossessione è un baratro di cui è estremamente difficile vedere la fine, Hannibal”, gli disse dalla soglia. “Soprattutto quando non si ha nessuna intenzione di uscirne.”

*

Anthony Dimmond era l’incarnazione stessa dell’arrivismo e della bonaria supponenza.

La prima volta che lo aveva incontrato era stato a Parigi, e fin dal primo momento aveva visto nei suoi occhi quella scintilla di interesse che sarebbe potuta essere estremamente promettente così come estremamente pericolosa. Promettente, perché Hannibal adorava tirar fuori il lato meno umano delle persone con cui veniva in contatto, far loro cedere all’inclinazione naturale di fare del male, soprattutto se esse manifestavano già i segni di una predisposizione in tal senso. Pericoloso, perché ora che si era stabilito a Firenze in qualità di Dr Fell, ora che aveva indossato la maschera del letterato e del marito amorevole, sarebbe stato terribilmente irritante se Mr Dimmond avesse deciso di smascherarlo per ciò che non era.

La soluzione più semplice sarebbe stata liberarsi di lui. Farlo scomparire una volta per tutte senza dare nell’occhio, così che non potesse più costituire un pericolo. Invece, nel momento in cui se lo era ritrovato davanti, aveva deciso di invitarlo a cena, e non per essere il piatto principale. Era stata una serata sorprendentemente piacevole, in realtà. Hannibal aveva sorriso divertito alla faccia tosta dell’uomo quando aveva in maniera non poi così discreta accennato ad una cosa a tre.

Bedelia gli aveva rivolto uno sguardo incerto quando lo aveva lasciato andare senza un graffio, anzi chiedendogli di incontrarsi alla conferenza del Dr Fell il giorno dopo.

“Capisco che sia in linea col tuo senso del drammatico, ma non credi che sia rischioso fargli scoprire che ti sei appropriato dell’identità del Dr Fell in una stanza gremita di persone?”, chiese la donna mentre lui iniziava a sparecchiare. “Cosa succederebbe se decidesse di smascherarti di fronte a tutti?”

“Ti preoccupi troppo, Bedelia”, rispose Hannibal con nonchalance. “Anthony Dimmond vuole essere mio amico. Hai visto anche tu la curiosità nei suoi occhi. Scoprire chi mi fingo di essere non farà altro che alimentarla.”

Bedelia incrociò le braccia, muovendo qualche passo accompagnato dalla cadenza ritmica dei suoi tacchi.

“Sei imprudente, Hannibal. Non è da te.”

Hannibal trasportò una pila di piatti in cucina, tornando in soggiorno per spegnere le candele sul tavolo.

“Ho sempre trovato che i rischi calcolati abbiano il loro fascino”, rispose.

“Questo non è un rischio calcolato, è un salto nel vuoto”, obiettò Bedelia. “Non hai modo di prevedere come reagirà.”

“Ho fiducia nel fatto che Mr Dimmond sappia che le cose sarebbero molto più interessanti con me a piede libero invece che in prigione.”

Finì di sparecchiare e si avviò in cucina, dove iniziò a rassettare gli utensili che aveva usato per preparare la cena. Bedelia lo seguì, appoggiandosi allo stipite della porta ed osservandolo.

“So cosa vedi in lui”, disse la donna dopo qualche minuto. “Puro, disinibito potenziale. E’ qualcosa a cui tu non sei mai riuscito a resistere.”

“Gli sprechi sono un crimine imperdonabile. Cerco semplicemente di sincerarmi che coloro che le possiedono abbiano libero accesso all’interezza delle proprie potenzialità.”

“Non possiamo sempre seguire l’istinto, Hannibal, o non saremmo diversi dagli animali. Credevo che gli avvenimenti dell’ultimo periodo ti avessero insegnato ad essere più cauto.”

Hannibal sollevò lo sguardo su di lei, asciugandosi lentamente le mani su uno strofinaccio dopo aver sciacquato i bicchieri che non sarebbero potuti essere messi nella lavapiatti.

“Preferiresti quindi che tornassi a dedicarmi ad altri passatempi, anche se rischierebbero di attirare l’attenzione?”

“Preferirei che la tua disperata ricerca di un nuovo discepolo non mettesse a rischio anche la mia libertà, oltre che la tua.”

Hannibal sorrise appena, girando intorno al bancone e portandosi di fianco a lei.

“Non temere, Bedelia”, disse con tono cordiale, posandole una mano sulla spalla. “Finché sarai con me non hai alcun motivo di temere per la tua libertà.”

O per meglio dire, non era della sua libertà che si sarebbe dovuta preoccupare in sua presenza. Dallo sguardo che lei gli rivolse fu chiaro che avesse colto perfettamente la minaccia sottintesa. Hannibal la lasciò lì dov’era, avviandosi verso la stanza da musica. Sapeva perfettamente che Bedelia stava progettando qualcosa. Di andarsene o di farsi trovare - e di riflesso far trovare anche lui - non ne era sicuro, ma non importava. Se lo avesse tradito ne avrebbe pagato le conseguenze.

Uscì sul terrazzo, la fresca aria autunnale appena pungente contro il viso, posando le mani sul parapetto e osservando Firenze semiaddormentata. Nella sua mente spalancò il portone d’ingresso del suo Palazzo, trovandosi avvolto dalla luce pomeridiana che filtrava dai finestroni in vetro colorato. Attraversò la navata della Cappella dei Normanni, maestosa e opulenta, scivolando oltre una porta laterale laddove nel luogo fisico si sarebbe trovata la sacrestia. Imboccò invece lo scalone della Reggia di Caserta, l’inizio dell’ala del suo Palazzo dedicata a Will.

Quando aveva iniziato ad archiviare i suoi ricordi del profiler - quando ancora non aveva la minima idea di ciò a cui la loro conoscenza avrebbe portato entrambi - si era ben presto reso conto che confinare le sue osservazioni su di lui a una semplice serie di stanze non sarebbe stato sufficiente. Will non aveva nulla in comune con coloro che Hannibal incrociava tutti i giorni. Era un diamante grezzo in una distesa di sassi privi di valore, una rosa persa in una foresta di rovi ed erbacce. Will spiccava contro il grigiore delle persone comuni come un dio del sole in mezzo ai mortali. L’unico modo che aveva trovato per rendergli giustizia era costruire da zero una nuova ala del proprio palazzo.

Quanto era stato sciocco. Si era lasciato accecare dal suo ardore per quel ragazzo terribilmente brillante, terribilmente umano, al tempo stesso fragile e pericoloso, e dalla speranza di aver finalmente trovato un suo pari. Dopo Mischa, non era mai più successo. Non era mai più accaduto che la sua mente e la sua attenzione venissero rapite in quel modo da qualcuno. Non era un caso che l’ala del Palazzo dedicata a lei - per lo meno quella fatta di ricordi felici - rassomigliasse tanto quella di Will. Erano le uniche due persone che Hannibal avesse mai lasciato avvicinare abbastanza da poterne essere ferito.

Hannibal aveva passato la vita come una sorta di divinità intoccabile che camminava tra meri mortali, come un gigante tra misere formiche, finché non aveva incontrato quell'uomo - schietto, scortese, perennemente atterrito dai propri straordinari doni tanto che avrebbe dato di tutto pur di gettarli al vento ed essere come gli altri - e invece di reagire come aveva sempre sempre fatto prima d'allora e trasformarlo in cibo aveva invece lasciato che gli aprisse dentro una voragine che non sapeva come colmare. Errore suo, in fondo. Avrebbe dovuto ricordarsi quanto poco fosse sempre stato in grado di predire il suo comportamento. Qualsiasi cosa Will facesse era per lui un’inesauribile fonte di fascinazione.

Hannibal avanzò per uno dei corridoi dell’Hermitage, elegantemente dipinto, sul quale si aprivano decine di porte. Dietro ad ognuna si celava un ricordo, un’osservazione, un momento che Hannibal aveva voluto incastonare nel tempo. Istanti di inestimabile valore, ospitati in un luogo nato per esporre capolavori. Dopo il tradimento di Will era stato tentato di distruggere tutto, di forzare la propria mente a dimenticare per puro spregio, ma sapeva che era impossibile. Aveva una memoria perfetta e, suo malgrado, ciò che Will gli aveva fatto sarebbe rimasto con lui per sempre.

Credevi di potermi cambiare, così come io ho cambiato te?”, sussurrò la sua voce da dietro una porta chiusa.

La risata senza fiato di Will in risposta fu appena udibile mentre vi passava di fronte.

L’ho già fatto.”

Hannibal continuò oltre. Alcune maniglie erano più lucide delle altre, quelle delle stanze dove suo malgrado si era recato con maggiore frequenza da quando era partito. Si fermò di fronte ad una porta in particolare, e nell’aprirla si ritrovò nel suo studio, in piedi tra le librerie, a gettare fogli di vita passata giù dal ballatoio per prepararsi a una vita futura che non sarebbe mai iniziata. Will lo osservava da sotto, un punto fermo tra una tempesta di fogli bianchi che cadevano intorno a lui come foglie d’autunno.

Questi sono i tuoi appunti su di me”, aveva detto Will, afferrando al volo uno dei quaderni che lui aveva lanciato di sotto.

Hannibal aveva finto di accorgersene solo in quel momento, sbirciandoli dall’alto.

Sì, lo sono.

I tuoi pazienti non avranno bisogno  di questi dopo che te ne sarai andato?”

L’FBI leggerà ogni mio singolo appunto se li lascio qui. Risparmierò ai miei clienti l’intrusione”, aveva risposto, osservando Will sfogliare le pagine che lo riguardavano mentre si avvicinava al camino.

Quando aveva strappato la prima pagina e l’aveva gettata nel fuoco Hannibal l’aveva osservata crepitare da lontano, godendosi l’immagine di Will che gli dava le spalle, avvolto in un alone rossastro. Aveva lasciato che i suoi appunti, vergati nella sua scrittura elegante e ricercata, venissero lentamente divorati dalle fiamme, una pagina dopo l’altra. Parole e inchiostro si erano trasformati in fumo, e con essi anche ogni suo ragionamento intorno a Will, così che nessuno avrebbe più potuto leggerlo. Così che nessuno potesse conoscerlo come lo conosceva lui, vederlo come lo vedeva lui. La disarmante, danneggiata perfezione di Will Graham era un bagliore di bellezza che solo a lui doveva essere dato apprezzare.

“Smantello la persona che ero e la sposto mattone per mattone”, aveva detto scendendo la scala con altri quaderni in mano, pronti ad essere distrutti. “Quando lasceremo questa vita, Jack Crawford e l'FBI alle nostre spalle, avrò sempre questo posto.”

Will si era voltato verso di lui.

“Nel tuo palazzo della memoria?”, aveva chiesto.

Hannibal aveva annuito.

“Il mio palazzo è vasto, anche per gli standard medievali. Il foyer è la Cappella Palatina di Palermo. Severa, splendida e senza tempo. Con un unico rimando alla mortalità, un teschio incastonato nel pavimento.”

Will aveva abbassato lo sguardo, continuando a gettare fogli nel fuoco.

“L'unica cosa che serve a me è un corso d'acqua.”

“In quei momenti in cui non riesci a prevalere su ciò che ti circonda, può far sparire tutto quanto”, aveva detto Hannibal, perfettamente consapevole di come la mente di Will funzionava. Avrebbe voluto poterlo vedere, al sicuro nella sua testa, immerso nell’acqua fino alla vita e per una volta rilassato.

“Inclino la testa all'indietro, chiudo gli occhi, e mi abbandono alla quiete del fiume”, aveva risposto Will.

“Puoi far sparire tutto quanto”, sussurrò la voce di Hannibal dall’altra stanza, un’intrusa indesiderata e carica di rancore. “Inclina la testa all'indietro. Chiudi gli occhi e abbandonati alla quiete del fiume.”

Hannibal si richiuse la porta alle spalle prima che la sua stessa mente potesse avvelenare quel ricordo.

Forse aveva ragione Bedelia. Forse inconsciamente stava solo cercando qualcuno che colmasse il vuoto. L’idea che la sua mente potesse di sua iniziativa controllare le sue azioni e i suoi comportamenti senza che lui avesse voce in capitolo gli stava tutt’altro che bene.

Sapeva cosa voleva realmente, e non era nella sua indole negarsi ciò che desiderava. Dal momento che Will non aveva dato segni di volerlo inseguire, supponeva fosse giunto il momento di inviargli un invito formale.

*

Hannibal si trovò a contemplare per diversi minuti l’opera terminata di fronte a lui. Le sue mani grondavano del sangue di Anthony Dimmond e i muscoli delle braccia gli dolevano per lo sforzo di sollevare e sistemare al proprio posto ogni singolo pezzo così da dar forma al suo disegno, ma il senso di gratificazione nel vederlo realizzato valeva quello ed altro.

Or poserai per sempre, stanco mio cor”, recitò, fissando il suo cuore incarnato in quell’agglomerato di sangue e arti smembrati. Per qualche motivo gli era tornata in mente sua madre, quando la sera prima di metterlo a dormire gli leggeva le poesie che preferiva tra quelle del Paese che aveva dovuto lasciare.

“Posa per sempre”, mormorava la sua voce dai suoi ricordi. “Assai palpitasti. Non val cosa nessuna i moti tuoi, né di sospiri è degna la terra.”

Hannibal indietreggiò lentamente, lasciando il proprio dono - non la più raffinata tra le sue opere ma di certo la più sentita - lì dove sapeva sarebbe stato trovato e trasmesso sugli schermi di tutto il mondo.

... e l’infinita vanità del tutto.

*

Giorni dopo, ad un oceano di distanza, una tazzina da té s’infranse a terra con uno schiocco simile ad una risata ironica. Will Graham era nel centro del suo salotto, immobile come un cervo in mezzo alla strada, i piedi immersi in una pozza d’acqua calda e cocci di porcellana.

Non c’era alcun motivo per cui la televisione - accesa per caso, in maniera svogliata, tanto per riempire di rumore bianco il silenzio assordante delle sue giornate - avrebbe dovuto restituirgli quell’immagine così familiare. No, familiare non era la parola giusta. La sanguinosa opera d’arte che faceva bella mostra di sé al centro di una chiesa di Palermo non era qualcosa che avesse mai visto, ma nonostante tutto la riconosceva. C’era qualcosa d’inconfondibile in essa, come le pennellate di Van Gogh o le note gravi e solenni di Beethoven. Will fissava quel cuore insanguinato, sorretto e allo stesso tempo trafitto da tre spade, ed era come se potesse leggervi il suo nome sopra.

Poi, un movimento nell’angolo del suo campo visivo attirò la sua attenzione. Sollevò lo sguardo, e tutta l’aria che aveva in corpo sembrò abbandonarlo improvvisamente.

Dall’altra parte della stanza Hannibal lo fissava dal buio, come un’ombra più scura delle altre. Will resistette a malapena all’istinto di indietreggiare. Non era reale, lo sapeva. Sembrava essere uscito direttamente da uno dei suoi incubi. Peccato che in quel periodo non fosse poi così in grado di distinguere la realtà dal sogno.

Hannibal sorrise, quasi riuscisse a leggergli nel pensiero.

“Salve, Will”.

 

  
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