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Autore: LaMicheCoria    25/11/2015    0 recensioni
2011. Pari a meccanismi di un autonoma, le iridi immobili si animarono, misero a fuoco, rotolarono lungo il bordo delle palpebre e gli si ficcarono addosso.
2013. “Tu che arrivi, ogni volta, come un baluardo di salvezza, un eroe da copertina. Sono tagliato fuori dal mondo, da tutto e da tutti, e l'unico che mi è rimasto, alla fine, sei stato tu. Ci sei sempre tu.”
«Lo sai, no? Gli incidenti capitano.»
Genere: Angst, Azione, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cause Nobody Wants To Be The Last One There :.'
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{ Quel Che Mi Spetta ~ File 10 }

 

Quinjet della Task Force S.H.I.E.L.D.
Spazio Aereo Sconosciuto.
Carlinga.
2013

 

Era un’esperienza trascendentale da santoni: il corpo e lo spirito erano due entità differenti, due unità distinte che non dovevano per forza occupare il medesimo piano esistenziale, né il medesimo luogo. Clint era però sicuro che ai santoni rimanesse comunque un punto di contatto con la coscienza estraniatasi dalle membra. Un filo, seppur esile, che perdurava a legare carne e anima, perché potessero riunirsi e fondersi una volta concluso la passeggiata extracorporea.
Più che passeggiata, il suo caso era ben catalogabile sotto la definizione di sopruso –Ma anche sfratto rendeva bene l’idea.
Certo, era in grado di vedere il proprio corpo con occhi esterni –Lui, dannazione, era esterno a se stesso e la cosa gli faceva venire la nausea; peccato che la nicchia spirituale dove era logico pensare ci fosse la sua coscienza, il cubicolo dove era incastrata la sua personalità, era occupata da una viscida serpe Asgardiana.
E sebbene coloro che gli erano attorno lo vedessero con le fattezze di Clinton Francis Barton, per Occhio Di Falco era possibile discernere realtà e menzogna. Seduto dentro la carlinga, con la testa inclinata ad ascoltare Rumlow, Loki vestiva la sua divisa, portava il suo arco alla schiena, la sua faretra, aveva attorno al polpaccio la custodia della pistola e le pallottole di riserva.
Era lui in tutto e per tutto.
Tranne per il fatto che così agghindato faceva veramente pena.
Per un istante, e in virtù meccanismo di difesa che lo portava a cercare le cose più assurde per ragionare in background sulla situazione corrente, aveva temuto di ritrovarsi impaludato in una maledetta palandrana, con spallacci e corona cornuta compresa nel prezzo. Invece la sensazione stessa di possedere carne e sangue e pelle era diventata del tutto intangibile. Lui stesso si sentiva intangibile, una nuvoletta da cartoni animati senza contorni, mero fumo dai bordi sfilacciati.
La cosa lo confondeva e lo indeboliva.
Forse Loki non aveva aspettato altro, in tutto quel tempo. Aveva atteso, annidato in un angolo della sua testa, che perdesse presa e ragione, che il fumo e l’alcool e il sesso lo sfinissero e sfiancassero e stancassero. Forse già da tempo aveva assunto il controllo o almeno racimolato abbastanza energie da sovrastarlo, da sostituirsi a lui, ma probabilmente non aveva trovato alcun motivo valido per farlo.
L’HYDRA e la sua banda di esagitati senza cervello gli avevano servito l’occasione su un piatto d’argento.
Così, ridotto ad una forma di pensiero metafisico, Clint “Occhio Di Falco” Barton si trovava ad affrontare non solo una divinità asgardiana dagli hobby alquanto discutibili, ma anche una minaccia su scala mondiale che rischiava, anzi, avrebbe sicuramente rovesciato l’ordine pubblico, gettando ogni cosa nel caos.
Non male, per una sola giornata di lavoro.
Se ne fosse uscito vivo, giurò a se stesso, avrebbe cominciato a leggere l’oroscopo, andare in Chiesa, pregare il sole e mangiare macrobiotico. Si sarebbe costruito un giardino zen in miniatura sul comodino, avrebbe aperto una palestra di yoga, avrebbe persino delineato un piano per trovare il santo graal.
Il gancio destro alla mandibola di Coulson gli aveva rivoltato il karma da cima a fondo.

 

Quinjet della Task Force S.H.I.E.L.D.
Spazio Aereo Sconosciuto.
Stiva.
2013

 

Natasha non ricordava di aver mai provato una sensazione simile. Eppure, si disse, non è molto diverso da quello che è successo sei mesi fa. Non è molto diverso da quando Coulson ti ha chiamata e ti ha detto che Barton era compromesso. Non è diverso da quando hai sentito la sua voce incrinarsi, per quel noon-detto che era un ordine non-scritto che era l’unica soluzione nel malaugurato caso in cui Clint si fosse rivelato un elemento di disturbo e di minaccia troppo pericoloso per tenerlo in vita, non importava quale che fosse il legame che teneva insieme lo Strike Team Delta.
Ci sono casi in cui il singolo e ciò che lo rende tale, che lo rende una persona e non una macchina doveva essere cestinato. Se dall’alto fosse arrivato l’ordine di rendere l’Agente Barton inoffensivo, Vedova Nera sarebbe stata costretta da cause di forza maggiore e per il bene il mondiale a dimenticare molte cose. Spontaneamente, questa volta, senza che nessuno le maneggiasse il cervello e ci giocasse a piacimento. Anche se, a conti fatti, per far fronte ad una eventualità del genere avrebbe preferito non possedere più ricordi, nessuna debolezza che avrebbe potuto rendere la sua mano meno ferma o fallire il corpo od abbassare l’arma.
Se le avessero dato l’ordine di ucciderlo, Natasha avrebbe preferito non avere ricordi di lui, a San Pietroburgo, che abbassava l’arco e allungava la mano verso di lei.

Fa un freddo cane erano state le sue parole, tanto calde da sciogliere la tormenta Andiamo a prenderci una vodka e parliamone con calma.
Aveva sempre pensato a lui come una persona atipica e la sola idea di ucciderlo, sebbene per salvaguardare la pace nel mondo, le incollava i denti per la nausea. Clint era più di un amico e meno di qualsiasi legame Natasha si era o si sarebbe mai concessa. Erano stati a letto insieme, per voglia e per necessità, per un bevuta da incoscienti e per proteggersi dal freddo che ghiacciava le ossa, per desiderio e per consolazione, per sfida, per affetto.
Non avrebbe mai potuto sparare, non con quei ricordi.
Sei mesi prima era riuscita a salvare con un colpo alla testa. Adesso era diverso. Era tutto diverso.
Quando aveva visto gli occhi di Clint offuscati dalla malia di Loki, aveva provato sensazioni diametralmente opposte a quelle che avvertiva lì, rinchiusa nella stiva insieme a Coulson.
Era come svuotata. Prosciugata da se stessa fin dalle fondamenta. Come aveva fatto a non accorgersi di quanto era capitato a Clint? Come era potuto essere così cieca?
I segni c’erano tutti. Il suo sguardo era un grido disperato.  
Perché lo aveva abbandonato? Sarebbe dovuta rimanere con lui, non permettergli di autodistruggersi. Convincerlo a farsi vedere da qualcuno. L’ex marito di Melinda May era uno psicologo valido, era una brava persona e certo lo avrebbe aiutato a rimettersi, a riaversi dallo shock e dal lutto, dal senso di colpa che lo stava sbranando giorno dopo giorno. Avrebbe dovuto insistere, perché era ovvio che Clint non stesse bene. Che qualcosa dentro di lui si fosse improvvisamente spezzato.
Aveva pensato che lasciarlo da solo, come chiedeva –Ma come i suoi occhi negavano, fosse la soluzione migliore. Che avesse bisogno di ritrovare se stesso –Clint non era mai stato un santone buddhista, non era tipo da ritirarsi su un eremo o su di un pinnacolo per meditare, per scovare il centro del proprio essere, per soffiare sulla fiamma della propria coscienza.
Tuttavia ci aveva sperato.
Anche senza eremo, anche senza pinnacolo, Natasha aveva sperato che la solitudine avrebbe permesso ad Occhio Di Falco di vedere di nuovo Clint Barton, e non Loki.
Sperava che si convincesse: non c’era nessuna divinità asgardiana annidata dentro di lui, a tarlargli l’anima. Una settimana dopo i funerali, quando era andata a stanare l’amico nel suo alloggio, questi era in camera –La stessa camera che aveva diviso con Phil, una stanza ora costellata di segni di pugni e lenzuola stracciate e abat-jour distrutte- davanti allo specchio.
Ancora vestito del completo nero, ordinato e grottesco in mezzo a quel caos, teneva gli occhi puntati sul riflesso che lo guardava dallo specchio. Si guardava e toccava i tratti decisi, la piega della bocca, pareva disegnargli, riformarli, imprimendoli sul proprio volto, pigiandoli come si fa pressione sulla creta perché prenda la forma desiderata.
L’attenzione con cui si osservava fece sbocciare brividi di angoscia lungo la schiena della donna. Un formicolio alla nuca che avrebbe dovuto spingerla a farlo retrocedere, nel momento in cui lui le aveva annunciato l’intenzione di abbandonare lo S.H.I.E.L.D.
Doveva offrirgli supporto e aiuto.
L’unica cosa che era stata capace di offrirgli era stata l’appartamento di uno dei suoi alias, da qualche parte lungo la costa Ovest.
“Non è colpa tua, Natasha.”
Le volte in cui Coulson l’aveva chiamata col nome di battesimo potevano contarsi sulle dita di una mano. In quel momento, sbattuti in malo modo nella stiva, con polsi e caviglie legate, ricordarsi l’odio che avrebbe dovuto portare all’uomo davanti a lei era troppo persino per Vedova Nera.
In fondo, Phil si stava torturando quanto lei. Forse di più. Lui era scomparso. Era morto e se anche era sopravvissuto non era mai andato da Clint, non lo aveva salvato. Non era andato da lui, non gli aveva teso la mano. Non era andato da lui. Non si era mai informato sulle sue condizioni.
Se Phil avesse saputo come stava il compagno, sarebbe comparso alla sua porta il pomeriggio stesso. Gli avrebbe tirato un pugno, quindi avrebbe chiuso la porta e il mondo, per una sera, avrebbe cessato di avere importanza.
Phil era l’aria che Clint respirava. Clint era l’impulso che faceva battere il cuore di Phil.
Coulson non era mai stato geloso, non di loro. Prima che la loro relazione si stabilizzasse, Phil voleva la stessa cosa che Clint voleva da lei: carne. Nessun pensiero. Compagnia di una notte e senza impegno. Non si erano accorti di starsi cercando l’un l’altro e quando si erano trovati, Coulson non le aveva chiesto di allontanarsi. Si era scaldato con loro. Natasha non aveva mai rimproverato il suo amico, quando questi aveva deciso di dedicarsi anima e corpo soltanto all’Agente: ne era felice.
Era il mondo di Clint, per questo il colpo era stato così violento. Il cuore di Occhio Di Falco aveva smesso di battere nell’attimo in cui gli avevano dato la notizia. Vedova Nera non riusciva a perdonargli il non averla mai smentita.
Ma aveva altro cui pensare, ora.
Il rancore era uno spreco di tempo. Tempo che sarebbe stato più proficuo usare per elaborare una strategia ed inventarsi un modo per uscire da lì il più vivi possibile.
Natasha si permise comunque un sorriso beffardo, un ghigno incolore di scherno.
“Clint chiedeva aiuto e io gli ho dato le chiavi di casa. Ero talmente occupata a non farmi coinvolgere emotivamente, che non mi sono accorta di nulla. Ho abbassato la guardia. Ho condannato tutti noi.”
Phil cercò di spostare il peso in avanti, per esserle più vicino. Quel suo modo tanto famigliare di volerla rassicurare fece curvare la bocca di Vedova Nera in un’espressione quasi intenerita –E pensare che la prima volta in cui Coulson aveva tentato una cosa del genere lei gli aveva tirato un pugno in faccia, intimandogli di stare lontano. Lui e Clint erano le sole persone autorizzate a cercare un contatto fisico con lei, le uniche cui fosse permesso di abbracciarla. Toccarla. Raccogliere i pezzi in cui si era frantumata e aiutarla a rimetterli insieme.
“Ho sempre detestato questo tuo pessimismo catastrofico.” Torcendo le labbra in una smorfia, l’uomo ignorò l’attrito che gli aveva morso la gamba ferita, mentre si trascinava ancora un poco verso di lei.
“Sono russa.”
Natasha provò a muovere i polsi e le caviglie.  Niente. I nodi li aveva fatti Clint –O meglio, Loki usando le conoscenze di Clint.
“Idee, Agente Coulson?”
Phil contrasse la mandibola e Vedova Nera si chiese se il dolore che gli abbruttiva i tratti fosse per la gamba, o per chi l’aveva trafitta.
“Ora come ora vorrei solo che arrivasse la Cavalleria.”

 

Località Sconosciuta
Cella Di Sicurezza
2011

 

Era diverso.
Lo capì subito.
L’uomo che entrò con loro, lui non lo aveva mai visto. I soldati che lo circondavano avevano gli occhi vacui –Gail era stata l’unica in cui aveva scorto una scintilla di vita e di coscienza, i suoi compagni nello sguardo avevano solo nebbia e assuefazione, servilismo mentale-, ma quelli di lui erano vividi. Non maligni come quelli di Marlowe. Gelidi era il termine esatto, Gli occhi di un uomo che persegue un obiettivo per cui non è disposto a fare sconti, per cui non guarderà mai in faccia a nessuno. Una devozione ossessiva per un bene superiore, un’espressione che lui aveva già visto, contro cui aveva già combattuto in passato.
L’uomo si sedette sulla brandina.
Si vestiva bene, aveva cura di sé, dell’immagine che voleva passasse ai suoi subordinati. Era basso, molto più basso di lui, ma la sua figura era compatta, dava idea di solidità fisica e morale. Se anche aveva dei dubbi sull’anno in cui si trovava, il completo grigio, nella sua foggia e nel suo taglio, gli fecero capire che era stato catapultato in un mondo assai distante da quello in cui era cresciuto.
Un mondo di cui non conosceva nulla. Un mondo forse ostile, un mondo forse amico. Non aveva abbastanza informazioni per deciderlo: lo avevano tagliato fuori, avevano fatto sì che rimanesse isolato, che non potesse chiedere aiuto.
Non aveva dubbi. L’ordine era partito da colui che era appena entrato. Aveva orchestrato ogni cosa. Era venuto a constare le reali condizioni in cui versava il suo piano, senza intermediari che gli indorassero la pillola.
Era calmo e lui ne capì immediatamente il motivo: l’uomo sapeva di aver vinto la partita. Era venuto per informarlo, per dirgli che non c’era più motivo per lottare. Con ogni probabilità era venuto anche per godersi la sua resistenza.
Sapeva che lui avrebbe combattuto fino a cadere in ginocchio, che non si sarebbe arreso di fronte all’evidenza, dinanzi al fallimento. Lo spettacolo lo avrebbe appagato, si sarebbe sentito un Cesare che si pasce del sangue dei gladiatori, ben sapendo quanto il loro affannare sia unicamente un inutile ludibrio.
La sensazione di avere in mano i fili del suo destino, lui ne era certo, avrebbe fatto saettare nell’uomo una scarica di piacere tale che non sarebbe stato un eufemismo definirlo il coronamento, l’apice di quello che aveva architettato e sempre sognato.
Lui lo guardò negli occhi. L’uomo si mise addosso un’espressione ferina di circostanza.
“Voglio che tu sappia quanto ti rispetti. Quanto tu sia sempre stato un esempio per me.”
Nelle mani dei soldati, i manganelli furono percorsi da scariche elettriche. Filamenti bluastri li circondarono, caricando l’aria di vibrazione e sussurri seghettati, ronzanti.
Mentre l’uomo lo guardava e si tendeva, sospeso nell’attimo prima che il sipario si alzasse, lui si mise in posizione. Non avrebbe fatto loro del male. Non erano coscienti o se le erano comunque la loro volontà era piegata, erano stati sopraffatti da un torpore ammaliante; li avrebbe tenuti a distanza.
“Sei sempre stato un esempio per tutti noi.”

 

Zona di Volo Sconosciuta.
Il Bus, Cabina di Pilotaggio
2013

 

Melinda era consapevole di come il suo comportamento veniva bollato come cinico. Era consapevole che molti ritenevano il suo voler sempre andare a fondo di un ordine, il suo questionare se qualcosa non la convinceva, una mancanza di rispetto nei confronti dei suoi superiori e della gerarchia dello S.H.I.E.L.D. in toto.
Chissà se la gente era consapevole del fatto che quanto pensavano di lei, del suo carattere, dei suoi metodi non era più importante del ronzio di una mosca in sottofondo. Erano discorsi di gente da scrivania, quelli.
L’unico istinto di cui avevano bisogno era quello che consigliava loro di che colore usare l’inchiostro per firmare i documenti da presentare al Direttore.
Il campo di battaglia era un’altra cosa.
L’istinto le aveva salvato la vita. L’unica volta in cui non lo aveva ascoltato…
Le apparenze ingannano. Il Bahrein le aveva aperto gli occhi –E intirizzito il cuore.
Forse era a partire da quel momento che il suo atteggiamento da bastian contrario, come lo aveva ben poco professionalmente chiamato Andrew, era andato peggiorando. Non era ancora un comportamento paranoico a livelli patologici –Prima che la loro relazione affondasse definitivamente, Andrew le aveva assicurato che su quel piano poteva stare tranquilla: non c’era nessuna tendeva al complottismo, nella sua psiche. Si era soltanto…Appuntita. Come una lama. Anche la sua fiducia era diventata fredda e calcolatrice. Aguzza.
L’ordine di tornare al Triskelion rientrava nelle categoria di situazioni da Puzza di bruciato. Come uno smottamento sottopelle, un pizzicore di brividi che le risaliva braccia e spalle.
Qualcosa non andava in quell’ordine, diramato in quel momento in cui Coulson nemmeno era con loro. Non le riusciva di incastrare mentalmente i pezzi del puzzle.
Ward aveva tentato di chiarire i suoi dubbi. La chiamata straordinaria aveva a che fare con quanto era successo a Tony Stark: la minaccia mondiale del Mandarino aveva bisogno di essere debellata utilizzando il maggior numero di risorse a disposizione. Soprattutto ora che, con la morte di Fury, lo S.H.I.E.L.D. stava collassando.
L’assenza di Coulson, aveva continuato Ward, avrebbe permesso anche a loro di partecipare alle operazioni, se fosse stato necessario: Phil non voleva in alcun modo che i Vendicatori venissero a conoscenza del suo ritorno, quindi avrebbero potuto intervenire in caso di necessità senza trasgredire l’ordine del loro superiore.
Perché tornare al Triskelion? La convocazione era stata perentoria e generale. Dovevano essere date le linee guida, le linee di sicurezza, decise le modalità di azione.
Il discorso di Ward era stato preciso e professionale, senza giri di parole. Come ci si aspettava da uno Speciliasta.
Si era solo dimenticato un minuscolo particolare: erano gli unici a sapere dell’assenza di Coulson.
E Melinda si era ben guardata dal farglielo notare.
Ora rimaneva da capire cosa stesse succedendo fuori delle lamiere del Bus. Fury era morto, la linea preferenziale per comunicare con lui inutilizzabile. Maria Hill non le aveva fatto sapere nulla, aveva interrotto ogni contatto. Non c’era nessuno, ora, di cui potersi fidare all’interno dello S.H.I.E.L.D.: l’unica possibilità era stringere un’alleanza con qualcuno che con lo S.H.I.E.L.D. non avesse nulla a che fare.
Skye era la candidata perfetta.

 

Coordinate Sconosciute.
Velivolo dello S.H.I.E.L.D.
2013

 

Se avesse avuto ancora il controllo del proprio corpo, Clint si sarebbe scagliato a strappare quel ghigno indolente dalla faccia di Garret. E gli avrebbe anche tirato un pugno, tanto che era nelle spese.
John Garret fece un cenno del polso, perché i suoi schiavetti li lasciassero soli. La cabina fu presto svuotata e nonostante la ampie dimensioni, Occhio Di Falco si sentì soffocare Le lamiere laccate di finto legno, le poltrone, persino le luci al neon appese sulla parte superiore della carlinga gli stavano premendo addosso, si alleavano per schiacciarlo, per stritolarlo.
Era molto probabile –Anzi, era quasi del tutto certo- che ci fosse lo zampino di Loki. Il bastardo non lo aveva degnato di uno sguardo, non gli aveva nemmeno rivolto la parola: Clint aveva tentato ogni stratagemma per richiamare la sua attenzione, per recuperare le redini del proprio corpo, ma era come se l’Asgardiano non lo vedesse. Al contrario di quando era lui a voler essere notato, Loki non faceva piega e non dava il benché minimo segno di accorgersi della sua presenza.
Sapeva esattamente che, se gli avesse rivolto il più infinitesimale sguardo, si sarebbe creata una connessione tale da dare al Vendicatore la possibilità di ribaltare la situazione e riprendere possesso di membra e coscienza.
“Come dovrei chiamarti?”
Clint corrugò la fronte, mentre Loki curvava le labbra, deliziato. Garret, intento a versare del vino rosso in due calici, aveva proferito quella domanda con naturalezza disarmante: per lui era stato logico chiedere con chi stesse parlando, quasi avesse trapassato con lo sguardo l’incanto che mascherava Loki agli occhi dei mortali.
“Come lo hai compreso?” la voce dell’Asgardiano, alle orecchie di Clint era suonata viscida e serpentesca. Gli faceva accapponare la pelle. Si chiese se la gente al di fuori di quella situazione paradossale sentissero la stessa tonalità altezzosa, lo stesso accento da signorotto. Se rimassero incantati dal suo timbro carezzevole a suo desiderio e a suo desiderio ripugnante, tale da ghiacciare le ossa.
Garret si concesse una mezza risata. Passò il calice a Loki, che lo prese con quelle sue dita eleganti, lunghe, bianche contro il cristallo brillante del vetro. Il Vendicatore vedeva tutto quello, vedeva quanto fossero sbagliati i gesti, la cadenza e la forma delle parole, i movimenti dei polso, la posizione delle gambe, ma gli altri lo vedevano? Percepivano la nota stonata che proveniva dal suo corpo? Il sussurro gelato che scivolava dalle labbra nobili? Lo capivano che di Clint, davanti a loro, c’era unicamente un costume di pelle e di carne?
“Ho studiato molto e guardato molti video e ascoltato molti resoconti.” John si accomodò sulla poltrona di cuoio in fronte al divano dove si era posizionato Loki –Con un abbandono regale, languido, di superiorità incontrastata “Occhio Di Falco è tutto il contrario di quello che sei tu, in questo momento. Con chi ho l’onore di parlare?”
“Loki, di Jotunheim. Legittimo sovrano di Asgard, sebbene il mio trono sia tuttora occupato da chi non ritiene ne sia degno.”
L’uomo non mostrò alcuna sorpresa, né reverenza a quelle partole.
Clint si accorse che la cosa aveva procurato una certa irritazione in Loki: c’era stata una vibrazione nell’aria, un mormorio iroso che aveva smosso la carlinga, un’interferenza nell’atmosfera e nella situazione, nella bolla di ovatta un cui si giocava a scacchi il destino del mondo.
“Avverto un tremito nella Forza.” Sogghignò Occhio Di Falco –Con sommo compiacimento, avvertì l’attenzione di Loki posarsi un istante di troppo su di sé, disprezzando l’arroganza e l’indisponenza per cui era famoso praticamente dappertutto.
“E che cosa vuole Loki, di Jotunheim, al punto di prendere il possesso di un agente dello S.H.I.E.L.D. e mischiarsi ai comuni mortali?”
Il tono che Garret aveva usato era ironico, di puro scherno. Il fatto che Loki fosse disposto a passarci sopra e a fare finta di nulla, anzi, a sorridere con condiscendenza, mise Occhio Di Falco in allarme. Il sorriso di Loki era un sorriso malefico, che era certo non fosse apparso sul proprio volto –O che comunque fosse stato smorzato dai lineamenti rigidi e severi, camuffato per somigliare ad un’espressione divertita. Aveva concesso a Garret un ghigno ilare, quasi amichevole, da vecchi compagni di bevute, perché Garret stesso pensasse di aver messo l’Asgardiano di parità sociale –Dove John, comunque, si credeva un po’ più pari di lui.
“Un patto.”
“Un patto?” ora l’uomo era interessato e aveva tralasciato qualsiasi strategia psicologica gli avessero mai insegnato in situazioni simili “Che tipo di patto?”
“Uno di quei patti in cui si vince entrambi.”
“Dubito.” Fu il commento sarcastico di Clint. Commento ovviamente caduto a vuoto.
Loki accavallò le gambe e Occhio Di Falco pregò ardentemente che non avesse fatto la stessa cosa col proprio corpo. Asgardiano o non Asgardiano, si sarebbe seppellito piuttosto che mettersi in una posizione alla Basic Instinct.
“Ti ascolto.”
“Da quello che ho compreso.” Cominciò Loki, osservando il riflesso borgogna del vino, trafitto dalla luce che saettava dai finestrini della carlinga “Il vostro scopo è il mondo, non è vero?”
“Più o  meno.”
“Per farlo, avete bisogno di un esercito.”
“Che già possediamo.”
Al che, Loki piegò vezzoso il collo all’indietro, ridendo di cuore. Un suono che fece tremare le ginocchia di Occhio Di Falco. Cristo, faceva una paura fottuta.
“Forse vi serve più potente. Forse vi servono i Chitauri. O gli eserciti degli altri Regni.”

I Chitauri…?
“Tu non hai i Chitauri, Loki. Non li hai.” Clint ebbe un istante di panico e spaesamento. Si affrettò a schiarirsi la gola, sperando che la sua frase non avesse avuto il suono di un piagnucolio infantile.
La Nave Madre dei Chitauri, la loro coscienza collettiva era stata distrutta. Tony ci aveva quasi lasciato la pelle, però era stata distrutta. Ne era sicuro. Era lì. Aveva visto il gorgo esplodere e il corpo di Iron Man fiondarsi in picchiata verso la morte.
“Non posso fare a meno di notare quanto le tue, al momento, siano solo parole. Sei soltanto uno spiritello dentro uno schizofrenico Barton.”
“Garret ha centrato il punto.” Clint avvertì un formicolio e la sensazione di avere qualcosa di non troppo dissimile da gambe e braccia.
Provò ad alzare la mano e vide che aveva dita da flettere, polpastrelli con cui toccare, persino una bocca con cui parlare. Loki lo stava ascoltando. Loki, Lingua D’Argento, Signore delle Malefatte, in fondo doveva servirsi di lui per muoversi nell’intricato labirinto diplomatico dello S.H.I.E.L.D.
Pur sorvolando sulla cosa dello schizofrenico, Clint si disse che Garret, nonostante fosse un pazzo egomaniaco con una forte tendenza al controllo dittatoriale, gli aveva dato una buona occasione per tornare in carreggiata.
Il Vendicatore si avvicinò quindi al divano dove era seduto Loki e si sedette a cavalcioni del bracciolo di  cuoio.
“Mi serviva un tramite.”
“Per venire qui?”
“Per portare voi ad Asgard.” Loki ghignò, era il serpente che si attorcigliava la vittima prima di soffocarla “Venite ad Asgard. Datemi il trono che mi spetta e vi consegnerò Midgard su un piatto d’argento.”

 

   
 
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