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Autore: QWERTYUIOP00    27/11/2015    2 recensioni
Un complotto svelato.
Un emissario attaccato.
Due città in rivolta.
E tanto, tanto sangue.
Seconda storia della serie "Downfall"
Genere: Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Downfall'
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Ignatius venne svegliato da un fascio di luce.
Stropicciandosi gli occhi si alzò, rabbrividendo per un leggero colpo di vento gelido.
Barcollò mentre si alzava per il lieve dondolio della nave e mentre si guardava intorno notò con soddisfazione che il cielo non era più coperto dalle grigie nuvole dei giorni passati.
Guardando verso sud, scorse le nere  nubi che si dirigevano verso Bravil e infine Leyawiin.
Sentendosi osservato si voltò e notò il legato Aurelius Scavatus che lo fissava con le braccia conserte, scuotendo il capo.
Rabbrividendo di nuovo, Ignatius tornò a guardare verso sud maledicendosi per essersi addormentato sul ponte, seduto su un barile.
La flotta avanzava lungo il Niben silenziosa, come il paesaggio intorno.
Le foglie degli alberi cadevano a mutare il loro colore e a cadere lungo le sponde del fiume.
Alcune arrivavano sull’acque, leggere, e iniziavano a girare dolcemente, per poi lasciare lo spazio alle prue delle navi chi sfilavano imperiose.
Sulla costa est si ergeva un torrione massiccio che pareva però abbandonato.
Ignatius si sforzò mentalmente per ricordare il nome del fortilizio.
-Forte Variela- sussurrò infine soddisfatto.
Osservando oltre gli spogli alberi, l’Imperiale notò degli stendardi e degli uomini.
-Basta così!- urlò il legato e, fatto passare l’ordine di nave in nave, la flotta si fermò.
-Soldato- ordinò a Ignatius –riesci a riconoscere i vessilli di quei soldati?-
Aguzzando la vista, l’Imperiale scorse due lune, una rossa più grande e una più piccola bianca, all’interno di un cerchio blu notte coi bordi bianchi.
-Vedo lo stemma di Skingrad, signore- rispose infine Ignatius.
Il legato fece un sorriso amaro.
-Come pensavo- dichiarò –Mede è arrivato prima di noi. Attracchiamo!-
Passato l’ordine, le navi si avvicinarono lentamente alla sponda ovest del Niben e alcuni uomini prepararono le cime.
Scavatus scese dal ripiano davanti al timone e si preparò a sbarcare.
-Ha fretta di guadagnare il titolo il nostro signore della guerra, eh?- disse quello ai suoi legionari –Beh, vedremo se saprà meritarselo-
Alcuni soldati di Skingrad si avvicinarono alla riva sfoderando le armi.
-Tranquilli, soldati!- urlò Scavatus –Sono i rinforzi!-
-Ce ne avete messo di tempo, contando che venite dalla Città Imperiale- ironizzò il soldato.
-Bada a come parli- lo zittì il legato –stai parlando ad un superiore. Avete preso Forte Variela?-
L’altro lo guardò torvo: -Sì… signore. Re J’Rakka sta inseguendo i superstiti col resto dell’avanguardia-
-Bene, bene. E Mede? È al forte?-
-È con la retroguardia – gli risposero – deve ancora arrivare-
-Bene, andate a riferire ai vostri superiori che siamo arrivati- ordinò loro Scavatus.
Quando la pattuglia di Skingrad si fu allontanata, Scavatus convocò gli ufficiali sul ponte della sua ammiraglia.
-Speravo di arrivare prima dei Coloviani- comunicò a quelli il legato –ma purtroppo non è stato così. Dobbiamo raccogliere altra legna, come abbiamo sempre fatto, questa volta stando attenti ad ogni possibile spia di Mede-
-Ma, signore, ormai le navi sono piene, stiamo andando già troppo lenti, e per questo ci hanno raggiunti… non potremmo usare quella che abbiamo già?- obbiettò Ignatius.
-Quante volte te lo devo spiegare, soldato?- latrò Scavatus –non voglio perdere un solo uomo nella conquista di Bravil. Temo troppo quella lettera che la contessa Valga, che ti ricordo è con Mede in questo momento, ha mandato a sua figlia. Se quel coloviano si volesse rivoltare contro l’Impero, voglio combatterlo da dentro le mura di Bravil, non a campo aperto-
-E se la raggiungesse prima lui, Bravil?- chiese un altro.
-Se si rivoltasse asserragliato dentro le mura di Bravil commetterebbe la più grande sciocchezza di questa era- ribatté Scavatus –l’esercito del re di Hammerfell Waylas è al confine con la Colovia. Un passo falso e tutte le contee ribelli sarebbero riconquistate. E noi avremmo come supporto nell’assedio di Bravil il più potente esercito in circolazione. Se, resosi conto della follia del suo gesto, Mede decidesse di abbandonare Bravil e marciare verso la sua terra per difenderla si troverebbe noi a sbarrargli la strada. Ci basta una settimana per preparare così tante trappole e agguati da rendere la Via Verde invalicabile, e non dimenticare la guarnigione della Città Imperiale-
-E se decidesse di attraversare il fiume?- chiese Ignatius.
-Triplicherebbe la distanza da percorrere e, comunque,  ti ricordo che abbiamo una flotta nel fiume-
Seguì un breve attimo di silenzio, carico per l’emozione di avere Mede sotto scacco.
-Fidatevi, soldati- disse infine il legato –è bloccato qui. L’importante è perdere il minor numero di uomini a Bravil e quel legname fa a caso nostro-
Ignatius guardò Scavatus. La sua testa pelata era imperlata di sudore per il calore della sua armatura e i suoi occhi, seppure fossero austeri come sempre, scintillavano compiaciuti.
-E adesso- ordinò infine il legato- andate a tagliare quel dannato legname-
 
 
 
Il sole stava scomparendo dietro i Monti Valus, oltre la sponda opposta del Niben.
L’accetta ormai proseguiva da sola, meccanica, in quei fluidi movimento.
Ignatius sollevò la testa, passandosi il freddo guanto metallico sulla fronte imperlata di sudore.
Riuscì a notare, a debita distanza, alcune ombre che osservavano la legione.
“Spie di Mede” pensò l’Imperiale “devo avvertire il comandante”
Lasciando il legname tagliato al suo posto, si mosse verso le navi, disperdendo il suono delle foglie cadute calpestate dagli stivali metallici.
-Comandante!- chiamò una volta raggiunta la riva –Comandante!-
-Sì, soldato?- rispose quello apparendo sul ponte dell’ammiraglia.
-Siamo osservati- dichiarò Ignatius.
Scavatus fissò il bosco, scrutando tra i rami, poi volse lo sguardo in alto, verso il forte illuminato dai fuochi, dove il signore della guerra coloviano stava banchettando con i suoi conti.
-Carichiamo il legname- ordinò ad alta voce infine –e salpiamo, dovremmo arrivare a Bravil nel pomeriggio-
Subito la legione si vitalizzò e i tronchi vennero caricati sulle già cariche imbarcazioni.
-Ma, signore, adesso Mede saprà che stiamo salpando per Bravil- osservò Ignatius.
Gli occhi di Scavatus guizzarono verso di lui, entusiastici.
-Tanto meglio- rispose il legato –mettiamogli pure fretta. Facciamo in modo che il leone lasci la tana. La fretta potrebbe addirittura fargli dimenticare di lasciare una guarnigione al forte-
Ignatius tornò a guardare Forte Variela.
Tra quelle luci guizzanti sedeva la più grande incognita della loro epoca.
Chi era quell’uomo?
E che cosa voleva veramente?
 
 
Come previsto, arrivarono in vista della città il pomeriggio seguente.
Intorno a loro, il fiume Niben si era allargato considerevolmente.
Ignatius, sul ponte dell’ammiraglia poteva vedere stagliarsi tutto intorno a lui le coste della Baia del Niben e, su alcuni isolotti, la agognata Bravil.
Scavatus gli si avvicinò pensieroso, scrutando la costa.
Un piccolo fiumiciattolo divideva a nord l’isolotto principale della città dalla costa ovest; le due rive erano collegate da un ponte che conduceva agli unici cancelli cittadini.
-Attracchiamo là- ordinò il legato indicando un’insenatura della costa distante un centinaio di metri dal ponte, tra gli spogli alberi –Cominceremo a montare le catapulte là, al sicuro dalle frecce nemiche-
Ignatius annuì e urlò l’ordine.
La città si era rivitalizzata; le urla si sentivano fino alle navi, mentre i soldati si appostavano sulle mura ad osservare la flotta; il legionario riuscì addirittura a vedere alcune persone presso i cancelli che entravano frettolosamente.
Le navi arrivarono alla sponda della baia e i soldato scesero cominciando a montare le catapulte.
Scavatus marciava tra di loro controllando che tutto procedesse al meglio, mentre il sole si avvicinava sempre di più alle montagne.
-E se arrivasse Caro?- chiese un legionario mentre sistemava due travi.
-Non arriverà- gli rispose il legato –i messaggeri non possono averlo raggiunto in tempo-
-Ma è partito solo due giorni fa, secondo le nostre fonti- ribatté un ufficiale.
-E se non fosse partito?- si aggiunse un altro soldato.
-Caro non ci sarà- ribadì duro Scavatus –E se anche ci fosse, abbiamo abbastanza uomini per batterlo, anche senza Mede.  Ed ora riprendete a lavorare-
Una volta che le catapulte vennero ultimate, la legione cominciò a muoversi, dopo che il legato ebbe lasciato una pattuglia a sorvegliare le navi.
I soldati marciarono in silenzio sotto gli esili rami spogli che venivano tranciati dalle robuste catapulte.
Quando le mura furono in vista, alcuni uomini cominciarono a far cozzare le armi contro le armature, altri a far sbattere il pugno contro la placca pettorale mentre in alcuni reparti cominciavano a intonarsi inni.
Sempre più soldati si aggiungevano ai canti mentre diffondevano il rumore del metallo contro metallo.
Ignatius si guardò in giro, stupito.
Non aveva mai visto una scena simile e tutto gli sembrava strano.
Eppure il ritmo frenetico cominciò ad entrargli in corpo: i suoi piedi stavano marciando a tempo, e man mano acceleravano; il cuore stesso cominciò a battere e a gridare il suo inno.
Cominciò a voltarsi, a guardarsi intorno. Voleva correre.
Le mura di Bravil diventavano sempre più basse e sempre meno imperiose, lui sempre più grande e pericoloso.
Vide Scavatus che sorrideva, con gli occhi divampanti.
Era la prima che lo vedeva sorridere.
“Che cosa sta succedendo?” pensò ormai farneticante.
Raggiunsero la fine della foresta e, quando il legato alzò il braccio con il pugno chiuso, tutti si fermarono.
-Disponete le catapulte!- urlò Scavatus voltandosi –Forza, forza! Le catapulte, muovetevi!-
Veloci, i legionari corsero portando seco la ingombrante macchina da guerra e raggiunsero il limitare della foresta.
Gli addetti fecero ruotare le manopole e i tronchi delle catapulte scesero sicure.
I legionari più robusti caricarono il concavo delle macchine, correndo nonostante il peso dei macigni.
-Signore, non siamo troppo vicini per attaccare le mura?!- urlò Igniatius a Scavatus, cercando di soverchiare il rumore circostante.
-E chi ha detto che voglio attaccare le mura?!- rispose l’altro per poi prendere una torcia e avanzare solennemente.
-Soldati!- chiamò quello, mentre un silenzio carico di eccitazione calò di nuovo tra i legionari.
-Vedete il sole, che tramonta, debole tra le montagne ad occidente?- urlò indicando i monti, dietro i quali il sole stava lentamente scomparendo –Questa città. Questa Bravil, ha osato rivoltarsi contro il glorioso Potentato. Bravil si è ribellata ai degni successori dei Septim! Si è ribellata ai Nove, vi dico! Ma oggi, noi cancelleremo tutto ciò che questa sciocca rivolta ha lasciato nelle menti dei folli rivoltosi. Noi, oggi, siamo gli esecutori degli dei! Oggi, è il giorno di Bravil. Questo, soldati è il suo tramonto! E, vi dirò, oggi è il giorno di questa città… domani, invece, sarà il giorno degli elfi!-
Un boato si alzò dalla schiera.
-È solo questione di tempo, ve lo assicuro- continuò il legato, avvicinandosi alla catapulta –Ed ora, prendete con me questa città!- e lasciò cadere la torcia nel concavo della macchina.
L’interno divenne rovente, e un sottile fumo si levò in aria, mentre nelle altre catapulte si eseguiva la stessa manovra.
-Bravil è fatta di legno, Ignatius- disse Scavatus continuando a sorridere –dopo che avremo finito, non rimarrà niente di quella città, se non un monito per Leyawiin, per Mede, per il Dominio Aldmeri e tutti coloro che si ribelleranno al Potentato-
Ignatius continuava a non capire, continuava a pensare a quante persone sarebbero morte.
Per lui la guerra non era mai stata questo, eppure continuava a star zitto perché in fondo gli andava bene, la febbre da battaglia lo aveva conquistato  e lottava per difendere la posizione.
-Ed ora…- disse il legato –Fuoco!-
 I tronchi si mossero contemporaneamente salendo e sfondando alcuni spogli rami nella salita e riversando il loro contenuto ardente al di là delle mura.
Tra i merli si riuscivano a vedere alcuni arcieri che, dopo essersi abbassati per proteggersi dalle faville, avevano seguito terrorizzati con lo sguardo le palle infuocate.
Dalla città cominciarono a levarsi degli urli disperati, i rumori delle baracche che crollavano e il crepitare del legno.
Dalla città assediata arrivò un’ondata di frecce che sibilarono impigliandosi tra i rami della foresta.
I canti e le urla di guerra dalla legione si facevano sempre più potenti mentre le catapulte incidevano in aria neri archi per il fumo.
 
 
 
Andò avanti per un’ora.
La legione cantava e faceva cozzare tra loro le armi mentre l’odore acre del fumo si diffondeva sempre di più nella zona.
Poco tempo prima si era sentito un rimbombo immane, come se le stesse ossa della terra si fossero spezzate: la vertiginosa torre della Cappella di Mara era crollata, probabilmente schiacciando le abitazioni circostanti.
Scavatus si ritenne soddisfatto e ordinò ad un gruppo di soldati pesantemente corazzati di farsi avanti con il gravoso ariete e di sfondare il portale della città.
I legionari scelti corsero più velocemente che potevano lungo il ponte, seguiti da un nuvolo di frecce e da altri tizzoni roventi, fino ad arrivare ai portali.
La dura testa dell’ariete si avventò quattro volte contro il pesante portone ligneo, prima che questo si inclinasse.
Un altro colpo e i cancelli si scardinarono aprendo ai legionari le porte per l’inferno.
Ignatius non riusciva a vedere oltre l’arco rimasto vuoto per il fumo, ma sapeva che lì vi era ciò che rimaneva della guardia cittadina di Bravil.
Il cornò rintronò negli elmi metallici, accompagnato dall’urlo di Scavatus.
Il momento era giunto.
Ignatuis sfoderò finalmente la spada metallica, ebbro, per lanciarsi insieme ai suoi compagni legionari.
-Per l’Impero!- urlavano.
-Per Thules!-
Dalla schiera dei soldati di Bravil non uscivano urli, i guerrieri erano tutti fermi, armi in pugno, immersi in un tacito consenso.
I sibili si fecero sempre più vicini mentre attraversavano la pianura alcuni andavano avanti, altri cadevano gemendo brevemente, prima di essere schiacciati dai legionari che erano loro dietro.
L’esercito avanzava come un fiume in piena, continuava ad avvicinarsi all’obbiettivo sicuro.
-Restate uniti!- si sentì dall’altra parte. Una voce di donna.
Finalmente arrivarono all’arco; il predatore finì di spiccare il balzo e si avventò sulla preda.
Penetrarono la formazione nemica per una decina di metri, i soldati di Bravil cominciarono a contrattaccare anche dai lati, le frecce piovvero da tutte le direzioni, il fuoco illuminava vivamente la cruenta scena.
Igantius menava fendenti a destra con tutta la sua forza, travolgendo le esili figure che apparivano in quel momento impaurite.
Ma lui non si fermava, andava avanti; il cuneo imperiale aveva sfondato completamente  la formazione nemica che si era divisa in due: una parte, più sostanziosa dalla parte della piazza della cattedrale, l’altra schiacciata contro le baracche invase dalle lingue di fuoco.
 Dall’ultimo schieramento emerse la donna che aveva parlato prima, probabilmente il comandante della guardia cittadina, che in quel momento gridava disperata per rinforzare i ranghi dei suoi uomini allo sbando.
I soldati di Bravil si fecero rincuorare e formarono un cuneo con a testa la donna che, a volto scoperto, avanzava, tagliando in due la colonna imperiale.
I legionari corazzati intertenerono, probabilmente inviati da Scavatus, circondando il comandante che poté ben poco.
Dopo aver ucciso due uomini, cadde per un fendente che le recise la carotide, lordando di sangue le scintillanti armature pesanti imperiali, già annerite dal fumo.
Il cuneo ebbe vita breve e in breve venne respinto verso le baracche e distrutto.
L’intera colonna si espanse nella strada principale e la piazza della Cappella che bruciava.
I pochi uomini rimasti cominciarono ad indietreggiare fino alla Statua della Signora Fortunata e poi ancora sino ai portali del Tempio, tra le rovine della torre.
Le finestre colorate erano incredibilmente illuminate per le fiamme; i volti severi degli dei in risalto guardavano con durezza il massacro che si compiva davanti al loro luogo sacro.
Il cielo notturno fu illuminato di nuovo da profonde cicatrici ardenti, altri tizzoni si formarono nella città che già sanguinava, colpita a morte.
I soldati, schiacciati contro le mura nere per il fumo della Cappella della dea dell’amore si arresero.
Alcuni vennero trucidati, ad altri vennero sequestrate le armi, altri ancora vennero brutalmente picchiati, prima di essere presi in ostaggio.
I legionari cominciavano a scorrazzare per la città, come cani impazziti, mentre i cittadini si gettavano in strada urlanti e piangenti.
Ignatius non se ne curava e continuava a correre e a menare fendenti.
Alcune truppe vennero inviate a conquistare la seconda isola cittadina, già in fiamme.
Scavatus radunò il resto delle truppe riordinandole nei reparti precedenti alla battaglia, per poi lanciarsi per le vie al seguito dei suoi uomini che urlavano trionfanti.
L’emozione venne spenta quando si trovarono di fronte a ciò che restava del ponte ligneo che collegava il resto della città all’isola del castello. Terentius doveva averlo fatto distruggere prima che arrivassero i soldati imperiali.
-Bene, per oggi basta così- ironizzò Scavatus urlando, ebbro della vittoria –Mettete in sicurezza il resto della città e spegnete le fiamme. E poi… prenderemo il castello del traditore Terentius!-
Tutti urlarono.
Anche Ignatius urlava anche se era conscio di ciò che era successo.
“Presto…” pensava “presto prenderemo il castello del traditore!”
   
 
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