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Autore: Adeia Di Elferas    27/11/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “È assolutamente fuori discussione.” si oppose Girolamo, con convinzione.
 Caterina non lo ascoltò nemmeno e lo lasciò solo nel suo padiglione senza più aggiunger altro. Ogni parola sarebbe stata superflua, a quel punto.
 Erano ormai arrivati alle porte di Vicovaro e la città si mostrava difesa in modo debole e precario. Secondo Virginio Orsini era il caso di attaccare e, una volta tra le mura, cominciare le trattative per comprare a suon di danaro Tagliacozzo.
 Caterina si era subito detta favorevole, e così, in un primo momento, anche Girolamo. Tuttavia, non appena era stato fatto cenno a una sua attiva presenza nell'attacco e nell'eventuale assedio, Girolamo aveva improvvisamente cambiato idea, proponendo di fare un tentativo diplomatico anche con Vicovaro, lasciando perdere l'uso della forza.
 Ovviamente Orsini non era stato d'accordo e, sicuro dell'appoggio della Contessa Riario, aveva predisposto per l'attacco.
 Caterina aveva cercato – debolmente – di convincere il marito a prendere parte allo scontro, anche solo con una rapida apparizione, tanto per rafforzare l'immagine che bene o male aveva dato di sé alla fontana di Trevi, ma egli era stato irremovibile e le aveva anche impedito di partecipare ella stessa alla battaglia.
 
 Caterina aveva raggiunto il padiglione di Virginio Orsini, per discutere le ultime cose e alla fine l'uomo le aveva chiesto: “Sarete dei nostri o resterete con vostro marito all'accampamento?”
 La giovane si prese qualche momento per rispondere. Se era vero che era suo preciso compito, in quel frangente, difendere quel che ancora si poteva difendere della dignità di suo marito e della sua famiglia acquisita, era anche vero che fin dall'alba aveva avuto terribili dolori all'addome e che anche mentre parlava con il comandante, non faceva altro che pensare ai crampi che la indolenzivano come non mai.
 Virginio Orsini attese con pazienza la risposta. Non era un uomo dal temperamente accondiscendente, ma, ogni giorno di più, riscopriva quella dote e la usava solo ed esclusivamente nei confronti della Contessa.
 Perciò non ebbe da ridire quando ella rispose: “Vorrei prima consultarmi un'ultima volta con mio marito.”
 Ovviamente non era così. Caterina aveva già esaurito ogni argomento con Girolamo, tuttavia non sapeva come fare per prepararsi all'attacco, fissato da lì a un'ora.
 Tutti cominciavano ad armarsi e indossare l'armatura, mentre lei non sapeva come fare. Suo marito era nel loro piccolo padiglione e non avrebbe potuto vestirsi davanti a lui, perchè di certo egli avrebbe dato di matto, capendo che lei stava contravvenendo a un suo preciso ordine.
 Così si risolse per una decisione alquanto azzardata, ma anche alquanto necessaria.
 Andò dal comandante dell'artiglieria, a cui era stata concessa una piccola tenda personale e gli chiese di prestarle quell'alloggio per qualche momento.
 L'uomo all'inizio cercò di capire a che mai le servisse, ma quando ella gli spiegò i suoi intenti, egli non ebbe più nulla da recriminare, anzi, le chiese se poteva esserle d'aiuto in qualche altro modo.
 Ben contenta di non dover coinvolgere altre persone nel suo piano, Caterina lo ringraziò e gli disse: “Recatevi nel padiglione che condivido con mio marito e prendete la mia spada, lo scudo piccolo, tunica, sopratunica, cotta di maglia, la mia armatura, se non sapete che piastra addominale portarmi, prendetele tutte, la sceglierò io, e le brache da uomo più larghe che trovate.” elencò Caterina, sperando di non dimenticare nulla.
 “Brache da uomo, mia signora...?” domandò il comandante d'artiglieria, che pure era abituato a vedere la Contessa con indosso calzabrache colorate come quelle del marito, seppur sempre ben coperte da mantelli o lunghe tuniche.
 “Sì, da uomo, certo.” rispose Caterina, trovando ilare quella domanda: “Esistono forse brache da donna? Non siate ridicolo, per favore!”
 L'uomo fece una risatina incerta, poi si affrettò a portare a termine il suo compito. Prima che uscisse dalla tenda, Caterina aggiunse: “E qualcuno che mi aiuti a indossare l'armatura, se non volete aiutarmi voi stesso.”
 
 “E perchè siete qui?” chiese Girolamo per la terza volta, mentre il comandante d'artiglieria proseguiva imperterrito a raccogliere gli oggetti che la Contessa gli aveva richiesto.
 “Ha voluto brache da uomo?” chiese improvvisamente Girolamo, scattando in piedi, quasi facendo cadere lo sgabello nello slancio.
 Quello poteva dire solo una cosa. Aveva deciso di combattere, alla fine. Che follia... Che assurdità! Quale imprudenza!
 “E anche qualcuno che l'aiuti a indossare l'armatura, ma credo che l'aiuterò io stesso.” soggiunse l'intruso, mentre raccattava da terra anche la cotta di maglia spessa.
 Girolamo lo avrebbe sgozzato seduta stante, se non fosse stato un signore.
 Aspettò che l'ospite sgradito uscisse, con tutti i suoi bagagli in precario equilibrio tra le braccia e poi si rimise a sedere.
 “Meno male...” bisbigliò tra sé: “Meno male...”
 Anche se aveva fatto la voce grossa con Caterina, impedendole formalmente di andare in battaglia, soprattutto vista la sua condizione, era sollevato nel sentire che non gli aveva dato retta.
 Da un lato c'era una sorta di selvaggia soddisfazione nel vedere che quella donna era ancora la donna che aveva sposato, la donna che, malgrado la sua aperta ostilità e il suo dichiarato odio, lo aveva portato a innamorarsi come mai in vita sua. E dall'altro era davvero felice di sapere che almeno lei avrebbe portato le insegne dei Riario in campo e che quindi tutti avrebbero ricordato la presenza della famiglia al fianco degli Orsini.
 Col tempo, tutti avrebbero dimenticato che era stata una donna a portare i colori dei Riario e la Storia avrebbe ricordato solo lui e il suo nome.
 
 “Perfetto.” annuì Caterina, una volta che fu pronta: “Vi ringrazio molto.”
 Il comandante d'artiglieria chinò appena il capo: “Questo è stato un vero onore, per me, mia signora.” assicurò.
 Una volta fuori dalla tenda, Caterina si recò rapidamente al padiglione di Virginio Orsini, che stava finendo di prepararsi.
 Lo scudiero gli stava fissando meglio le cinghie pettorali e Virginio si stava infilando i guanti ferrati.
 Alla vista di Caterina, l'uomo restò un momento in silenzio. A fontana di Trevi quella donna era stata buona nelle retrovie, vestita in modo molto riconoscibile, quasi impossibile da non notare, mentre ora, se egli non avesse saputo che sotto tutto quel ferro e quelle vesti maschili c'era la Contessa Riario, di certo non lo avrebbe mai scoperto.
 Caterina appoggiò l'elmo sul tavolo delle carte e si sistemò la cuffia di cotta di maglia e quella sottostante di cuoio bollito.
 Era sudata fradicia ancora prima di partire, ma quella volta non voleva eccedere nella sicurezza di sé. Sarebbe stato troppo arrogante, da parte sua, credere di poter scendere in campo protetta solo dalla propria spada e da pochi miseri pezzi d'armatura. Per una volta, aveva preferito la prudenza.
 “Eccomi, sono pronto.” fece alla fine Virginio Orsini, dandosi un'ultima controllata e facendosi passare lo spadone.
 I due arrivarono ai cavalli assieme e assieme montarono in sella, mentre il resto della cavalleria e la fanteria si schieravano alle loro spalle.
 La città, sotto al sole già caldo di quel giugno, si stagliava in lontananza e prima della mura di cinta, chiamate ciclopiche, si intravedevano i blocchi messi dai difensori per evitare l'ingresso degli Orsini.
 Caterina sentì il figlio che portava in pancia agitarsi un po', ma non ebbe paura, anzi, quel guizzo di vita la fece sentire ancora più sicura della sua scelta. Così, senza nemmeno chiedersi dove fosse in quel momento Girolamo, al segnale di Virginio spronò il cavallo e partì.

 “Oh, dannazione...” sussurrò Virginio a un certo punto.
 Stavano marciando silenziosamente da una quindicina di minuti, quando un'orda improvvisa di cavalli e cavalieri era uscita dalle mura della città, sollevando un grande polverone.
 “Tornate indietro.” disse l'uomo, voltandosi verso Caterina: “Non avevamo previsto un contrattacco del genere. Tornate indietro, non siete al sicuro come credevo...”
 “Non mi interessa. Io resto.” si oppose subito Caterina, infilandosi l'elmo.
 Virginio Orsini boccheggiò un momento, poi fece un cenno secco del capo e si mise a sua volta l'elmo.
 Caterina guardava dalla fessura che costituiva la sua unica finestra sul mondo, in quel momento. Vedeva la colonna di polvere farsi sempre più vicina e cominciava a sentire le urla degli uomini che stavano loro correndo incontro.
 Virginio Orsini era distratto. Cercava di pensare lucidamente a come fronteggiare al meglio la carica nemica, e al contempo non riusciva a togliersi dalla testa una semplice considerazione: 'la uccideranno subito'.
 Un respiro. L'aria rovente che passa dalla fessura dell'elmo. L'odore acre della terra cotta dall'estate appena iniziata.
 Sì, era il momento di partire alla carica. Una carica contro un'altra carica. Avrebbe avuto la meglio il più forte o il più fortunato?
 “Tenetevi pronta.” disse Virginio, gli occhi puntati sul nemico, pronto a dare il segnale non appena la distanza fosse stata ottimale.
 Il cavallo di Caterina batté uno zoccolo in terra, nervoso, come se sapesse. Una stretta alle redini, salde nel pugno ferrato. La spada ancora abbassata, anch'essa stretta in mano con forza.
 E poi Virginio Orsini diede il segnale, un urlo profondo e antico come l'essere umano, come il mondo stesso.
 Tutti, come una sola creatura, spronarono le proprie cavalcature, che risposero con prontezza alla provocazione.
 Mentre i cavalli partivano veloci come saette, anche gli altri soldati gridarono, e così fece anche Caterina, senza volerlo davvero, come se non riuscisse a trattenersi.
 L'impatto era sempre più vicino e Virginio Orsini alzò la spada, pronto a ogni evenienza. Caterina fece altrettanto, sentendosi come proiettata in un'altra realtà.
 Quando i primi nemici erano a meno di dieci metri dai cavalieri degli Orsini, Caterina ebbe una stranissima sensazione. Era come se suo padre fosse accanto a lei, e così suo nonno. Era come se stessero guidando la carica al suo fianco, uno da una parte e uno dall'altra.
 Con questa nuova forza, la mente completamente annebbiata eppure lucidissima, Caterina continuava a gridare, come i suoi alleati e come i suoi nemici, e si preparò a vibrare il suo primo colpo.

   
 
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