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Autore: clif    27/11/2015    0 recensioni
Carol Smith, una povera bambina orfana che viene maltrattata e denigrata dai suoi coetanei a causa del suo carattere chiuso e per lo strano colore dei suoi capelli. un giorno però avrà l'opportunità di abbandonare tutto ciò e a dargli questa possibilità saranno due misteriosi individui mandati da una grande casa farmaceutica. l'intera saga di Resident Evil riscritta dal suo punto di vista. Carol riuscirà a scoprire le sue misteriose origini e a sopravvivere all'incubo delle armi biologiche?
tratto dal primo capitolo della storia:
ormai non rimaneva molto tempo dovevo assolutamente
trovare il mio obbiettivo ed andarmene da lì. Supero ad una velocità sovrumana
tutti gli ostacoli e mostri che incontro sul mio cammino fino ad arrivare davanti al
porto. Eccomi qui! Sono arrivata finalmente –GGGRRRROOOOWWWWLLLL!!!- Ho
parlato troppo presto, mi volto e trovo davanti a me ancora quel fastidioso essere.
–Ora basta! Mettiamo fine a questa storia!- ringhio minacciosa andandogli incontro.
(raiting temporaneo, a seconda del vostro giudizio deciderò se cambiarlo o no)
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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28 Dicembre 1998: Orfanotrofio, Edonia, Europa orientale

La terribile puzza di fumo si stava espandendo per tutta la zona. Li intorno non vi

abitava nessuno, perciò molto probabilmente nessuno se ne sarebbe accorto in

breve. Il fuoco avrebbe avuto tutto il tempo di espandersi e causare gravi danni.

Dovevo impedirglielo. Cercando di ignorare la frustrazione per aver perso ciò che

cercavo, mi fiondai dentro l’orfanotrofio, alla ricerca di qualche estintore, magari

facevo ancora a spegnerlo da sola. Ma un tonfo proveniente dal magazzino mi fece

bloccare. Possibile che ci fosse qualcuno la dentro? o era stata solo la mia

immaginazione? Decisi di avvicinarmi ancora un po’, senza esagerare troppo però

(ci mancava solo che venissi coinvolta da un incendio) e cercai di ascoltare meglio

cosa succedeva li dentro. Questa volta non mi potevo essere sbagliata: li dentro

c’era proprio qualcuno. Avevo sentito nuovamente un lieve rumore. Rimasi a

pensare non più di due secondi, per poi sfondare la porta e fiondarmi dentro la

baracca. Il fumo aveva ormai avvolto tutto, esattamente come le fiamme, ma

riuscivo a scorgere distintamente una piccola figura riversa in terra, al centro della

stanza. Cercando di non farmi toccare dalle lingue di fuoco e la raggiunsi.

Nonostante non riuscissi a vederlo in faccia, ero sicura che fosse soltanto un

bambino. Lo caricai sulle spalle e raggiunsi l’uscita, il più velocemente possibile.

Dopo circa mezz’ora il fuoco si era spento, quasi miracolosamente oserei dire, si

era ingrandito parecchio e non credevo che si sarebbe potuto spegnere per conto

suo. Un’altra cosa che mi lasciava perplesso era il fatto che nessuno fosse

accorso, in fondo il fumo era arrivato parecchio in alto, le persone in città se ne

sarebbero dovute accorgere.  Mi avvicinai nuovamente al bambino, una volta

salvato lo avevo portato dentro il vecchio orfanotrofio e lo avevo steso sul letto di

una delle stanza. Lo avevo esaminato distrattamente, ma non sembrava aver

riportato dei danni visibili: sperai soltanto che non avesse respirato troppo fumo.

Era un ragazzino di media statura, doveva avere all’incirca 5 o 6 anni, aveva dei

capelli ramati tagliati cortissimi. Ad un certo punto lo sentii agitarsi nel sonno,

segno che si stava per svegliare, ed infatti dopo pochi istanti aveva aperto gli occhi

e aveva alzato la testa. Si guardava intorno, leggermente spaesato, fino a che i suoi

occhi non si posarono su di me. A quel punto sembrava ancora più confuso. –Tu chi

sei? Dove mi trovo?- Nonostante la situazione, non era agitato più di tanto, non vi

era traccia di paura nel suo tono. –Mi chiamo Carol Smith, Ci troviamo dentro un

orfanotrofio abbandonato, tu piuttosto! chi sei e cosa ci facevi dentro quel capanno

in fiamme? Sei stato tu ad appiccare l’incendio?- Ero parecchio seccata al

riguardo. Questo incosciente non solo aveva distrutto l’archivio con tutti i

documenti che stavo cercando ma aveva rischiato anche di morire bruciato. –Mi

avevano chiesto di far sparire i fogli e io ho pensato che bruciando tutto avrei fatto

prima: mi hanno offerto parecchi soldi e mia madre ne ha assolutamente bisogno-

Concluse con una nota di preoccupazione nella voce –Chi è stato a pagarti?- Gli

chiesi sbuffando, sarebbe stato inutile prendersela con lui, però il fatto che

qualcuno volesse far sparire i fogli dell’archivio mi dava da pensare: che fosse solo

una coincidenza? –è stato quell’idiota di Frederic Downing!- Affermò lui seccato.

Quasi mi scappò un sorriso. Però quel nome mi era in qualche modo famigliare.

Dove lo avevo già sentito? Mi chiesi tra me e me. –Senti, mi potresti

riaccompagnare  a casa? Sono ancora un po’ frastornato- Mi chiese lui,

distogliendomi dai miei pensieri. In ogni caso, forse avrei potuto chiedergli

qualcosa di più. Forse era a conoscenza di altre informazioni, così decisi di

assecondarlo. Annuii e uscii dalla stanza insieme a lui. Prima di abbandonare

l’orfanotrofio, però, lui si voltò verso di me e con un sorriso disse –Comunque io

mi chiamo Jake Muller, piacere di conoscerti Carol Smith- Sorrisi davanti a quel

sorriso, anch’esso terribilmente famigliare e uscii insieme a lui, da quel palazzo

triste e decadente.


28 Dicembre 1998: Casa Muller, Edonia, Europa orientale

Ormai era scesa la notte e le strade avevano assunto un aria parecchio inquietante.

Non ricordavo che la notte fosse così da queste parti, se fossi stata ancora

bambina mi sarei sicuramente spaventata. Non riuscivo a capire come Jake facesse

ad ignorare ogni cosa intorno a lui, doveva averne viste di ben peggiori nella sua

breve vita. Mi scappò un espressione triste a quel pensiero. Dopo pochi minuti

eravamo finalmente arrivati davanti a quella che doveva essere la casa del

bambino.  A prima vista sembrava che non fosse nessuno dentro. Il luogo, più che

una casa, sembrava un enorme baracca di legno e ferro, si trovava ai limiti della

periferia cittadina, dove non passava praticamente nessuno, l’abitazione sembrava

rimanere in piedi per miracolo e non mi sarei neanche sorpresa se un colpo di

vento la facesse cadere a terra. Più rimanevo con il piccolo Jake, più notavo dei

tratti simili con la mia infanzia: in fondo ero cresciuta nel suo stesso paese, lo

stesso triste e povero paese, ed entrambi non avevamo avuto un infanzia molto

felice e semplice. Così assorta nei miei pensieri, non mi accorsi che intanto lui era

scattato verso la sua casa, lasciandomi indietro. Lo raggiunsi a passo lento, tanto

non avevo molta fretta, lo avevo riportato a casa sano e salvo senza imbattermi in

“catastrofi biologiche”. Non feci in tempo a darmi della cretina per quel pensiero

che l’urlo di Jake mi fece scattare. Cosa era successo?! Raggiunsi la porta, già

spalancata, dell’abitazione e rimasi senza fiato- era stato messo tutto sottosopra, i

mobili più vicini erano ribaltati e diversi oggetti erano a terra, alcuni era perfino

rotti. –Cos’è successo?- Chiesi, preoccupata, a Jake che intanto si stava guardando

intorno ancora più agitato, come se stesse cercando qualcosa in particolare. –

L’hanno portata via… hanno preso mia madre- Affermò tentando di cacciare dentro

le lacrime. Subito lo strinsi a me, per quanto sembrasse assurdo, mi ero già

affezionata  a quel frugoletto. –Stai qui, e no ti muovere- Gli ordinai io, mentre

ispezionavo la stanza, era di media grandezza, ma oltre questa vi era solo il bagno.

Oltre al fatto che fosse tutto sottosopra, sembrava che non vi fosse nulla di strano

li dentro… almeno a prima vista. Infatti dopo una seconda, e accurata, occhiata

notai una striscia di fango all’altezza della finestra. Mi avvicinai meglio e la

esaminai: mi riportò alla mente dei brutti ricordi.


14 Aprile 1989: Orfanotrofio, Edonia, Europa orientale

-Ragazze, vi prego, basta!- Implorai io, ormai singhiozzante. Emily e Charlotte, due

delle compagne che prendevano più sul serio l’attività “prendiamoci gioco di

Carol”, avevano appena buttato lord Kuma*, il mio orsacchiotto di peluche, dentro

un tombino. –Che c’è che non va, “capelli strani”, non sai nuotare?- Mi domandò

con cattiveria Charlotte. Non volevo entrare dentro quelle fogne puzzolenti, ma non

potevo neanche abbandonare Kuma al suo triste destino, era il mio unico amico.

Decisi così, infischiandomene delle risate di scherno di quelle due, di scendere giù

nelle fogne. Ma, a causa del buio, misi male il piede su di uno scalino e precipitai

giù. Per qualche metro. La prima cosa che sentii furono le risate di scherno farsi

ancora più forti, mentre la seconda fu una strana sostanza ricoprirmi quasi

completamente il corpo –AHAHAHAH! Oh Cielo! Ma l’hai vista?! È tutta ricoperta di  

fango e schifezze ancora peggiori!- Ghignò una delle due, non sapevo chi

esattamente, ma non mi importava. –Beh, vedi di divertirti lì dentro, perché ci

resterai per parecchio- Non feci in tempo a ripulirmi la faccia da tutto quello schifo

e a guardare verso l’alto, che quelle due streghe avevano già richiuso il tombino,

lasciandomi al buio… da sola. Trattenni a malapena i singhiozzi che, prepotenti,

cercavano di uscirmi dalla bocca. Non ne potevo più. Era un incubo. Ero sporca, al

buio e sola. Mi sedetti, andando a tentoni, cercando un appoggio in mezzo alle

tenebre, finchè non toccai con la mano qualcosa di peloso. Il pensiero che potesse

essere un topo, mi fece gelare il sangue nelle vene e un conato di vomito si fece

sentire prepotente. Solo in un secondo momento mi accorsi, con somma gioia, che

l’oggetto non era un roditore, bensì lord Kuma. Evviva! Lo avevo ritrovato. Lo

strinsi forte a me e sorrisi felice. Adesso ero sporca al buio… ma non ero più da

sola.


28 Dicembre 1998: Casa Muller, Edonia, Europa orientale

-Allora? Hai trovato qualcosa?- Mi domandò Jake, ancora parecchio agitato e 

preoccupato. –Tranquillo Jake, credo di sapere dove hanno portato tua madre- Lo

informai quasi sicura della mia deduzione. –Ok, allora vengo anch’io con te- Disse

lui risoluto. –No! Toglitelo proprio dalla testa- Era pericoloso, figurati se avrei

permesso ad un bambino di seguirmi. –Ma io ti potrei aiutare, conosco ugni

centimetro di questo schifoso paese- Non ci voleva molto a capire che il piccolo

odiasse il suo luogo di origine, ma decisi di non farmi distrarre da questi pensieri.  

–Potrebbe essere molto pericoloso- Lo informai io, anche se, dentro di me, stavo

già iniziando a cedere. –Sarei molto più in pericolo qua da solo, soprattutto

considerando che chi ha rapito mia madre è già stato qui, forse il suo bersaglio

sono proprio io- Davanti a quelle parole mi arresi. Ero costretta a portarlo con me.


29 Dicembre 1998: Fogne, Edonia, Europa orientale

-Stai attento, evita di camminare sul bagnato- Consigliai a Jake, anche se il mio

sembrava più un ordine. Era da ore che giravamo per il condotto fognario,

sembrava più grande questo che l’intero paese. Ma proprio qui sotto avevano

portato quella povera donna? Eppure ero sicura che fosse così, quella traccia di

fango (sperando che fosse solo fango) proveniva da qui sotto, non ne avevo alcun

dubbio. Ci mettemmo delle ore ad ispezionare tutti i cunicoli, a  tal punto che stavo

per gettare la spugna ed arrendermi all’evidenza, la madre di Jake non era lì sotto,

quando un movimento attirò la mia attenzione. Feci cenno a Jake di nascondersi

dietro di me, tastai impercettibilmente la mia Killer7 (che tenevo al sicuro dentro la

tasca dei giubbotto) e cercai di farmi luce con una piccola torcia. –Non è il caso di

usare quel lumino, ci pensiamo noi  a rischiarare un po’ di buio- Fece una voce

fredda e lugubre, proveniente dal fondo del tunnel. Dopo un attimo si fece tutto più

luminoso. Un uomo con i capelli di un biondo chiarissimo e degli occhiali a

mezzaluna era  a pochi passi da noi, mentre più in fondo vi erano tre figure vestite

di nero con una figura più esile, rannicchiata a terra. –Mamma!- Urlò il ragazzino

all’indirizzo della figura stesa a terra. Ma la donna non sembrava averlo sentito,

dovevano averla drogata o altro. –Jake, rimani fermo!- Gli intimai tenendolo fermo

per un braccio e riportandolo dietro di me. –Quini è vero: hai portato con te un

agente della Umbrella- Disse l’uomo con gli occhiali a mezzaluna, indicando la

sottoscritta. –È lui! È questo tizio, Frederic Downing!- Mi informò Jake indicando

l’uomo con un dito. –Cosa volete da questo bambino e da quella donna?- Gli

domandai, trattenendo a stento la rabbia. –Da loro niente, ma avevamo scoperto

che era entrato in contatto con te, il nostro obbiettivo ed il sospetto che ti volesse

dire tutto è naturalmente sorto: siamo stati obbligati a rapire quella donna- Provai

un forte disgusto, a quelle parole. –Allora ditemi cosa volete da me! Perché avete

bruciato gli archivi dell’orfanotrofio, proprio prima che arrivassi io?- Domandai

allora, ormai quasi isterica –è stato il generale Vladimir a darci quest’ordine,

nonostante ormai non facciamo più parte dell’Umbrella, volevamo fare quest’ultimo

lavoro prima della “liquidazione”; se vuoi sapere il motivo di questo compito, ti

consiglio di chiederlo direttamente a lui- Mi informò lui, ancora con quel fastidioso

ghigno. –Il vostro stupido compito lo avete fatto, adesso potete anche liberare

quella donna- Dissi loro, con un tono di voce parecchio freddo. –Spiacente, ma

rischiare non fa parte della nostra politica, meglio eliminare eventuali testimoni,

quindi…- -ASPETTA!- Alzai entrambe le braccia verso di lui, come per fargli

segno di attendere un attimo. Lui mi guardò un secondo, dubbioso. –Cosa c’è?- Mi

chiese, leggermente incuriosito. –Avete detto di essere stati dalla parte

dell’Umbrella un tempo, giusto? degli scienziati immagino, o almeno lo sei tu. Ho

qui con me qualcosa che potrebbe interessarvi- Lo informai prendendo una cosa

dalla tasca sinistra dei pantaloni. Downing si avvicinò, guardingo –Cosa sarebbe?-

Domandò lui, questa volta vagamente interessato. –Questo- Risposi io, tirando fuori

il ciondolo di Sherry e aprendolo. Tutti poterono notare al suo interno una piccola

fiala di colore arancione: lui doveva sapere di cosa si trattasse. –Quella è…-

Cominciò a domandare lui, ma non lo feci finire –è l’unica fiala di G virus

sopravvissuta al disastro di Raccon city- Conclusi per lui. Vidi il suo volto passare

dall’incuriosito al basito, e dal basito al bramoso. Sembrava quasi un ragazzino

davanti ad un negozio di dolci. Sinceramente non saprei dire neanch’io il motivo per

cui stavo cedendo un oggetto tanto prezioso per la sicurezza di quel piccolo nucleo

famigliare: forse semplicemente non volevo vedere un altro bambino crescere

senza i propri genitori. Frederic si voltò verso i suoi scagnozzi facendo loro un

cenno con la mano –Liberatela!- Ordinò loro. I tre, davanti a quell’ordine, rimasero

un attimo spiazzati, ma poi senza discutere oltre si allontanarono dalla donna, la

quale iniziò leggermente a muoversi. Dovevano averla proprio drogata, ma almeno

era semi cosciente. Consegnai la fiala al mio interlocutore (ovviamente avevo

ancora a portata di mano la mia arma, nel caso si fosse trattato di una trappola, non

ero una sciocca) aspettando che gli uomini si allontanassero dalla madre di Jake.

Appena eseguito il compito, il piccolo si avvicinò alla madre, ancora parecchio

confusa. –Direi che il punto di incontro è stato trovato: possiamo mettere fine a

questo appuntamento- Disse Frederic, sarcastico. Annuii, ma non abbassai ancora

la guardia, non volevo avere spiacevoli sorprese da parte loro. L’uomo di fronte 

a me, infilò la piccola boccetta nella tasca della giacca e fece un altro segno ai suoi

uomini. Che fosse tutto finito? Non feci in tempo a formulare questa domanda nella

mia mente, che uno strano fischio cominciò a risuonare per il tunnel. Prima flebile,

poi sempre più forte. –Ma cosa è questo fastidioso suono?- Domandò a voce alta,

ed anche piuttosto agitata, uno degli uomini di Downing. All’improvviso il soffitto

crollò tutto d’un colpo. In mezzo al fumo, alzatosi a causa del colpo, riuscii a

scorgere un enorme sagoma: un uomo?... no… era troppo grande ma allora cos…?

La risposta mi balenò in mente alla stessa velocità con cui la creatura partì

all’attacco. –Tyrant, modello T-078**, uccidi tutti coloro che si trovano lì,

escludendo il progetto Smith: è questo il tuo compito-.

*il nome del suo orso di peluche, Kuma, è dedicato all’omonimo personaggio di One Piece, il membro della flotta dei sette. Dato che Kuma si traduce
in italiano con la parola “orso”, il nome del pupazzo di Carol si chiama letteralmente “signor orso”.


**il T-078 è il modello di Tyrant sperimentale usato a Rockford Island contro Steve Burnside e Claire Redfield, nel videogame “Re: coded Veronica”.

  
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