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Autore: Belarus    28/11/2015    1 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Pirati di Kidd; Trafalgar Law; Heart pirates; OC.
Note: Sebbene io stia sprizzando gioia da ogni poro per il lieto ricongiungimento avvenuto nel manga, purtroppo ho tardato con l’aggiornamento per i tragici eventi che hanno sconvolto la mia adorata città e mi sono presa la libertà di qualche giorno in più per calmare i nervi. Detto ciò il capitolo è molto lungo, attivo e pieno di agganci che vi chiedo di attenzionare sia per questa saga che per il prossimo futuro, quando la mia Merida si troverà suo malgrado a fare i conti con la realtà. Come è ovvio ci sono le mie consuete note, che questa volta potrebbero esservi molto utili se vorrete dato che mi sto coraggiosamente muovendo su due saghe in contemporanea. Ciò detto è annunciato, sì annunciato, che dì qui a poco avremo del sano romanticismo finalmente, ringrazio coloro che si sono voluti rifare vivi, sforzandosi di evitare la pigrizia una volta tanto per sostenermi e comunque chi continua imperterrito a crogiolarcisi, sostenendomi però in silenzio. Grazie davvero a tutti, non mi stancherò mai di dirlo.
Alla prossima~






CAPITOLO XXXXXXII






La piazza in cui i giganteschi abitanti di Moundhill si stavano riunendo, aumentando continuamente di numero, era l’unico luogo che spiccasse tra il grigiore delle abitazioni con la sua forma ovale e il grande braciere che vi ruggiva al centro innalzando lingue di fuoco roventi che a qualsiasi uomo sarebbero parse un vero incendio. Il suolo, coperto da lastroni di pietra scura incisi con strani disegni di cui non era riuscito ad intuire la natura, era stato riempito di pellicce per incamerare il calore e permettere a tutti gli invitati di sedersi comodamente. Piatti e vassoi rozzi sbucavano ovunque pieni di cibo ancora fumante che spariva ancor prima d’essere offerto a tutti e botti di sidro e birra scura volavano sopra la sua testa, di mano in mano ad enormi uomini sghignazzanti che nella maggior parte dei casi ne facevano cadere quasi la metà del contenuto. L’aria profumava di carne abbrustolita, pellicce mezze bruciate e di un centinaio di altri odori di cui non si sarebbe potuta intuire nemmeno la natura tanto veloci erano a comparire e svanire, ingoiati dal fumo che aveva riempito il cielo disperdendosi tra il pallore delle nuvole che aleggiavano su Rurik. Un gruppo di giganti dall’altra parte della piazza aveva improvvisato un’orchestra con strumenti ricavati da ossa di mostri marini e tronchi placcati di metallo che Kidd aveva cominciato a trovare insopportabile un istante dopo l’avvio e che persisteva nonostante avesse boicottato un paio dei loro arnesi infernali. Da poco poi, al loro baccano si erano aggiunte le urla per gli scontri tra una delle gigantesse che avevano preso di mira quell’incontrolabile donna e un paio di presunti pretendenti, intenzionati secondo un’usanza che lui aveva trovato a dir poco esilarante a conquistarla battendola in una rissa.
«Mi auguro che questo benvenuto sia migliore del primo Komo.» si auspicò Rolf, spostando per qualche istante la propria attenzione da quella certa Nenya, mentre un altro dei suoi uomini finiva al suolo con uno stivale premuto contro la gola e uno zigomo rotto al posto di un no.
Dopo le rimostranze di Yory a bordo della Kurokaze e le stesse parole di Rolf, Kidd era certo che persino quel loro incontro fosse stato ben più fortunato di quanto altrimenti non sarebbe stato senza il temporale a placare gli animi, ma ciò che era stato organizzato per ospitarli era qualcosa che gli risultava persino più difficile da credere.
«È la prima volta che un villaggio ci organizza una festa piuttosto che un attacco.» notò, guardandosi attorno dal posto di riguardo che era stato creato per lui e la sua ciurma in cima ad una cassa coperta di pellicce.
Nel suo viaggio dal Mare Meridionale si era imbattuto in plotoni della Marina, imboscate, guarnigioni cittadine e persino abitanti armati per nulla ben disposti nei suoi confronti, un banchetto – a meno che non fosse stato ideato nella speranza di tramortirlo in qualche modo – era una novità che lo spiazzava. Certi trattamenti di favore non venivano riservati ad individui come lui o come i suoi uomini, a ciò che tutti reputavano feccia, erano per figure che la loro società giudicava eroiche, meritevoli e che si fregiavano del titolo di salvatori dopo una qualche grande impresa.
«Arararara allora sono felice che la mia gente abbia avuto questo onore!» sghignazzò compiaciuto Rolf, strappandogli un’occhiata diffidente.
Sebbene non fosse ciò che si sarebbe potuto dire un uomo socievole, non gli sarebbe affatto dispiaciuto per una volta starsene seduto a far festa, ma tutta quella cordialità ingiustificata gli lasciava un po’ l’amaro in bocca specie dopo aver saputo da quella dannata donna che la tribù di Rolf non era esattamente tanto espansiva come si stava dimostrando nei loro confronti.
«Quello che è da capire è se lo è davvero o no. Nessuno ha realmente buone intenzioni nei confronti di gente come noi né ci condivide volentieri nulla o gli apre le porte della sua casa, siamo ciò che di peggio c’è a questo mondo, quindi perché voi fareste eccezione?» domandò sospettoso, cogliendo di sorpresa il gigante.
Accanto a sé lo vide abbassare il boccale che aveva alzato per brindare e rivolgergli uno sguardo silenzioso che durò un po’, prima che si abbandonasse ad un sospiro pesante e tornasse a sollevare gli occhi chiari sugli altri, che ignari della piega presa da quella conversazione, continuavano a far baccano.
«Tu lo hai visto tutto il mondo Komo?» domandò con tono pesante, sbirciandolo per un effimero istante.
Sorpreso e non piacevolmente da ciò che gli era stato appena chiesto aggrottò la fronte, tendendo d’istinto i muscoli del collo per il nervosismo del sentirsi rinfacciare una sua stessa affermazione. Vedendolo reagire a quel modo Rolf spostò una volta ancora le iridi di ghiaccio sulla sua gente, ma ciò che gli uscì di bocca poco dopo lasciò Kidd persino più basito di quanto non fosse prima.
«No eh? Beh nemmeno io… ti assicuro però che qualsiasi cosa abbiate fatto o da qualsiasi posto veniate, non siete affatto ciò che c’è di peggio, almeno non da queste parti e in questo mare.» puntualizzò il gigante, poggiando i gomiti sulle enormi ginocchia per abbassarsi un po’ e scrutare ben oltre il fuoco che bruciava al centro della piazza.
Il Nuovo Mondo era comunemente noto, soprattutto a chi proveniva dalla prima tratta di Rotta Maggiore, per essere la culla dei peggiori criminali in circolazione, individui tanto pericolosi da costituire una continua minaccia per qualsiasi istituzione. Kidd comprendeva che soltanto l’essere lì non faceva ancora di lui il ricercato numero uno, ma non si sarebbe mai aspettato che qualcuno potesse ignorare con tanta facilità ciò di cui il Governo lo incolpava da anni e di cui lui stesso era consapevole. Almeno non che accadesse di nuovo, dato che si era fatto una ragione di una tale follia in precedenza solo perché a compierla era stata quella donna che tutto era fuorchè ordinaria in ciò che faceva. Era pur vero però che chi nasceva nello Shinsekai aveva una visione diversa delle cose rispetto al resto di quella società e Kidd non poteva dire di conoscere ancora abbastanza quella gente per sapere contro chi o cosa si fossero imbattuti.
Per un secondo, mentre Rolf si ostinava a studiare con concentrazione e rigidità un punto imprecisato oltre il proprio villaggio, ebbe il sospetto che quell’ultima riflessione fosse alla base di ciò per cui l’altro lo aveva appena rassicurato con tono pesante, ma non vi badò più che qualche istante dato che il gigante tornò a distogliere la propria attenzione da qualunque fosse il pensiero che lo aveva rapito per guardarlo.
«Esattamente sotto quel braciere si trova il cuore del mio antenato, Rolf il Camminatore, l’intera collina è la sua tomba e laggiù ci sono quelle dei suoi compagni. È un luogo importante per noi e ho voluto che ci veniste perché anche se come hai detto non con volontà, durante il temporale tu e la tua ciurma ci avete dato una mano. Non ti fidi completamente e non lo fa nemmeno una parte della mia gente, siete i primi ospiti dopo troppo tempo… ma quello che avete fatto ha significato molto per noi e io ho voluto esservene riconoscente.» raccontò serio, rivolgendogli un cenno con il capo in segno di rispetto.
Per nulla toccato dal sapere di stare camminando da ore sulla tomba di uno dei giganti più imponenti che con molta probabilità si fossero mai visti in circolazione, rammentò di aver sentito l’altro parlare di un debito d’onore nei loro confronti durante l’accesa discussione con il guardier mastro quando ancora erano in mare. L’equipaggio della Kurokaze attraversava da anni quel maledetto temporale ed era certo che se anche non avessero collaborato per evitare che le navi venissero inghiottite da qualche Re del Mare o gorgo di corrente, quei giganti se la sarebbero comunque cavata discretamente riuscendo a ritornare a Rurik. La loro collaborazione non era stata indispensabile né quindi ne aveva cambiato in qualche modo le sorti, ciò nonostante Rolf e i suoi erano rimasti impressionati da quel gesto come fosse stato di un peso ben diverso da quello che in realtà aveva e in dovere di ricambiare. Non avrebbe saputo intuire il motivo per cui avesse assunto quell’importanza ai loro occhi, ma non vedeva in quella spiegazione alcuna menzogna e tanto gli era sufficiente per mettere a tacere i propri dubbi.
«Sei un tipo che s’impressiona facilmente.» sbottò canzonatorio, interrompendo il silenzio che si era creato.
Qualsiasi fosse la ragione ad aver spinto quel villaggio a trovare meritevole il loro gesto neanche intenzionale a Kidd poco importava, per una volta avrebbe goduto di quell’ospitalità e approfittato del tempo che gli veniva concesso per far riparare la nave e magari scoprire qualcosa in più sul luogo in cui erano diretti.
«Arararara può darsi Komo, può darsi! Birra?» tornò a ridere spensierato il gigante, prima d’indicare una delle botti in spalla al cuoco.
Sentendo Killer alla sua sinistra tirare un sospiro di sollievo per il lieto epilogo di quella discussione, annuì all’offerta spingendo Rolf a fare immediatamente un cenno all’enorme figura che ballonzolava per la piazza. Intercettando subito il richiamo del proprio capitano, il cuoco si diresse verso di loro con il ventre prominente a tremolare sotto un grembiule che a fatica restava legato e che avrebbe potuto fare da vela alla sua nave, poggiando una volta raggiuntili la botte di birra al suolo con un tonfo.
«Riesci a berla tutta o la metto in una ciotolina?» volle sapere brusco puntandolo e Kidd non riuscì a trattenere i nervi per quella domanda tanto provocatoria.
Quei maledetti bestioni avevano organizzato per loro una festa invitando l’intero villaggio, ma li trattavano come se fossero dei microscopichi animaletti da nutrire con le pinzette.
«Porta la ciotola così ci ficco dentro la tua testa.» ribatté rissoso, provocando nell’altro una smorfia offesa che fece sfuggire un lamento a Killer da sotto la maschera.
«Kidd calmati… o finiremo per averceli contro davvero.» lo rimproverò, abbassando con spossatezza le spalle.
«Fa silenzio! Non ho intenzione di sentirmi sfottere!» sbraitò offeso, lanciando un’occhiataccia alla figura che gli stava di fronte con le braccia flaccide incrociate e provocando un’altra fragorosa risata a Rolf.
«Arararara lasciala dov’è Dente Blu, al nostro Komo non piace sentir parlare della sua stazza Arararara» scherzò quello, beccandosi una frecciatina simile a quella che aveva ricevuto il suo cuoco.
«Voi esserini avete uno stomaco così piccolo! Ce ne sono già più di una decina tramortiti per la sbronza e tre sono rotolati giù per la strada come sassolini, non capisco perché si scaldi tanto se chiedo.» borbottò indispettito Dente blu, scuotendo l’enorme capo con un grugnito.
I suoi uomini si stavano godendo la festa sin da quando ne era stato dato l’avvio e non lo sorprendeva scoprire che alcuni di loro avevano già raggiunto il limite di sopportazione crollando. Wire, a qualche metro da lui e Killer, si reggeva già da mezz’ora al proprio tridente per del sidro di troppo e non era nemmeno in piedi. Indispettito dall’ennesima provocazione aggrottò la fronte priva di sopracciglia fronteggiando il cuoco, ma una voce lo distrasse, mentre un piatto di dolcetti veniva sollevato.
«Un’altra focaccina Aya?» sentì chiedere poco più in là e spostò la propria attenzione su quella dannata donna.
Dopo parecchie rimostranze e un’intensa ora in cui era stata – con gran ridere dell’intero equipaggio – vittima di gigantesche angherie sdolcinate, pareva essersi rassegnata al venire portata in giro come un animaletto da compagnia. Con un pezzo di focaccia al miele più grande di lei tra le braccia e le gambe penzoloni, se ne stava seduta tra le mani di quella Erma, mangiucchiando e curiosando dall’alto della sua posizione su qualsiasi cosa si aggirasse nelle vicinanze della sua enorme portantina vivente.
«No grazie, devo ancora finire questa.» la sentì rifiutare dopo averne inghiottito un pezzo, distraendosi dall’ultimo incontro di quella Nenya che pareva averne calamitato l’attenzione per un pò.
Guardandola da quella strana posizione, per Kidd fu quasi naturale ricordare quanto diverso fosse stato l’atteggiamento di quell’altro Nobile mondiale di nome Charloss, mentre uno dei suoi schiavi lo scarrozzava all’interno della casa d’aste e quasi perdendo del tutto il nervosismo, non riuscì a trattenere un ghigno. Quella gigantessa non era una schiava che obbediva a un comando, ma quella maledetta donna era sino a prova contraria un Drago Celeste e vederla lì sopra, gironzolare tra quelle enormi figure senza muovere un muscolo con tanta innocenza, le dava tutto fuorché l’aspetto di una bestiolina insignificante. Pareva che senza spendere una parola di troppo li avesse convinti a trattarla meglio di quanto qualsiasi altro membro della sua sacra stirpe sarebbe riuscito ad ottenere mai con strepiti o imposizioni e quella era una realtà che Kidd non avrebbe mai smesso di notare. Era la donna più molesta e fastidiosa con cui si fosse trovato ad avere a che fare, ma era in occasioni come quelle che aveva la certezza di aver scommesso bene nei suoi confronti.
«Che dicevo io? Due ore per una focaccina! Bah!» rumoreggiò il grosso cuoco, attirando la sua attenzione.
«Ingozzarsi è scortese.» fece presente, guardandolo dritto in faccia come se fossero alti uguale.
Per quella precisazione il gigante esibì una nuova smorfia fissandola di traverso, ma il loro fronteggiarsi terminò bruscamente quando sua figlia la dondolò tra le enormi mani, obbligandola a mollare la presa attorno ad un lato della focaccina per reggersi ed evitare di precipitare al suolo.
«No, da noi è segno di apprezzamento! Non preoccuparti, mangia pure! Ci sono le patate al cartoccio arrostite nella cenere, rape viola al burro, mostro marino grigliato, l’arrosto alle erbe, zuppa di carne e verdure, dolcetti alle noci, biscotti al miele e mio padre ha ancora un sacco di cose buone da portare!» la rassicurò smagliante Erma, fraintendendo il senso della frase precedente per puro pudore.
Sentendo elencare quelle pietanze Kidd la vide distintamente sfoggiare un sorriso meccanico e fu certo che stesse rabbrividendo in silenzio per il terrore di dover mangiare tutto una volta che le fosse stato offerto.



In piedi, accanto alla porta di una delle poche stanze rimaste miracolosamente quasi integre dopo l’esplosione che aveva investito il palazzo rosso di Arumi, Iwazaru osservò in silenzio l’uomo che avevano convocato lì tenersi con le mani al bordo della propria seduta e fissare in un misto di ansia e confusione suo fratello, mentre si accomodava dalla parte opposta della scrivania.
Aveva accettato con un solo cenno d’assenso di seguirli per parlare e nessuno dei marines che erano andati a chiamarlo sino alla sua abitazione in via di ricostruzione gli aveva fatto pressione, ma era evidente dallo stato in cui versava da più di due ore – in attesa che Kikazaru li raggiungesse dal villaggio di Llanos – che avrebbe voluto essere ovunque fuorché in quella stanza con loro. Dopo una breve ricognizione i suoi occhi non avevano fatto altro che puntare con insistenza il pavimento annerito e non aveva neppure chiesto quale fosse il motivo per cui la Marina voleva interrogarlo, persistendo in silenzio ad aspettare. Iwazaru aveva il sospetto che sarebbe bastata una parola di troppo per portarlo al tracollo, anche se non era sicuro di che genere esso potesse essere e l’averlo visto irrigidirsi all’arrivo di suo fratello non faceva che rimarcarglielo.
«Alcuni abitanti l’hanno vista spesso in compagnia della ragazza che è arrivata qui con Eustass Capitano Kidd poco prima che quest’isola cadesse nel caos. Qualcuno sostiene che lei l’abbia aiutata nella sua opera.» lo udì cominciare a raccontare senza preamboli, dopo che ebbe poggiato la schiena coperta dal giaccone sulla sedia.
A seguito dell’incidente con Shi al G-5, Kikazaru era riuscito con qualche sforzo e parecchia ostinazione a riottenere dalla sacra terra di Marijoa il permesso di occuparsi di quel Drago Celeste fuggitivo. Di lei come di Eustass Capitano Kidd però si erano perse le tracce dall’avvistamento all’entrata dello Shinsekai, così avevano deciso di cercare informazioni lungo il percorso da loro compiuto sino a quel momento per tentare di scoprire dove fossero diretti o eventuali mosse future. Sul punto di riattraversare la Linea Rossa per l’isola degli uomini-pesce tuttavia era arrivata loro una segnalazione da Redunda, ma quando finalmente vi erano approdati l’isola era un cumulo di macerie fumanti e gente disperata che tentava di ricostruire il possibile per non trascorrere la notte al freddo. Le navi della Marina andate in soccorso di quel luogo, oltre a provare a catturare con scarsi successi il novellino con la taglia più alta in circolazione e la sua ciurma, avevano raccolto deposizioni, prove e quanto si potesse utilizzare contro quei pirati con il solo risultato di aumentarne la taglia. Avevano cercato tra quella documentazione e chiesto con discrezione e cautela agli altri marines, malgrado ciò tutto quello che avevano ottenuto su quella ragazza era una foto, mentre usciva dal palazzo in fiamme e la certezza che della rovina di Arumi fosse anche lei complice. Con le mani per l’ennesima volta vuote ed esasperati per non essere riusciti nemmeno ad incrociarla erano salpati nuovamente, ma Kikazaru non si era rassegnato e aveva voluto tornare su quell’isola trascinandosi dietro gli altri due gemelli. Da quella nuova ricerca e chiacchierando con gli abitanti qualcuno aveva parlato loro di quell’uomo, arrivato circa un anno prima dall’altra parte della Linea Rossa e visto più volte durante l’attacco nelle vicinanze dei pirati.
Yoshi, così si chiamava, rimase per qualche secondo spaesato da quella che suonava proprio come un’accusa e quando finalmente si convinse a ribattere – sollecitato dal pesante silenzio che gli aleggiava attorno – la sua voce venne fuori come un borbottio neanche troppo convinto.
«Quale opera?» s’informò confuso, non negando di essere stato vicino a quel Nobile mondiale.
«Distruggere completamente Redunda. Isola che da molto tempo il Governo mondiale cerca di annettere alla propria giurisdizione.» rispose secco Kikazaru, per nulla toccato dallo sbigottimento in cui l’uomo che gli stava davanti persisteva.
Quella era una teoria cui suo fratello era giunto dopo aver appreso che circa vent’anni addietro degli studiosi dei laboratori governativi avevano individuato un intero filone di agalmatolite nascosto nelle profondità delle colline attorno a Llanos e che da quel momento in avanti si era tentato d’includerla per potersene appropriare. Iwa non sapeva come fosse possibile che un’informazione come quella fosse trapelata sino alle orecchie di quella ragazza se persino tra i marines non tutti ne erano a conoscenza né perché, se davvero avesse voluto nuocere al Governo, non avesse fatto esplodere quella zona piuttosto che un palazzo di nessun interesse, nondimeno non poteva non riconoscere che quel Nobile stava cominciando a diventare un pericolo incombente per tutti.
A quella ricostruzione Yoshi sgranò appena gli occhi e per la prima volta da quando era in quella sala Iwazaru lo vide ridestarsi dal proprio confuso torpore, per smuoversi sulla sedia e dare un’occhiata ai presenti.
«No, Aya non voleva distruggere nulla, è stata colpa di Nau El Pilar se-» tentò di spiegare, venendo subito interrotto da Kikazaru.
«Quella “Aya” come lei la chiama, è una pericolosa criminale.» lo troncò, ammutolendolo.
Lo guardò puntare l’altro con espressione seria e tirare fuori da una delle tasche del giaccone il volantino che dopo parecchio tempo il Governo aveva stabilito di emanare nonostante i privilegi dovuti a quella ragazza, per posarlo sul tavolo e girarlo affinché l’uomo potesse avere una prova di quanto gli veniva detto.
«Ha una taglia da sessanta milioni di berry ed è in stretti rapporti con due dei più pericolosi novellini con cui abbiamo a che fare. Sia nella Rotta Maggiore che adesso nel Nuovo Mondo è stata complice di ripetuti attacchi alla Marina, è cresciuta con una rivoluzionaria che voleva sbriciolare l’Ordine prestabilito e adesso ha incendiato un palazzo rovinando la vita di migliaia di persone. Lei voleva distruggere questo posto.» scandì greve, mentre Yoshi posava lo sguardo sul pezzo di carta che gli era stato sbattuto davanti.
Inaspettatamente però dopo pochi secondi di silenzio, a dispetto di quanto ognuno di loro avrebbe immaginato, l’uomo respinse il volantino sul tavolo con un assenso per poi abbozzare un accenno di sorriso educato.
«Deve esserci un errore glielo assicuro, la ragazza di cui parlo io è gentile e di buon cuore, non le verrebbero mai in mente cose di questo genere.» fece presente con voce ferma e Iwa vide i tratti del volto di Kikazaru indurirsi.
Avevano già sentito affermazioni di quel tipo dall’intera Fancytown e persino da loro fratello Shi. Se avessero dovuto basarsi soltanto su ciò che la gente diceva di quel Drago Celeste nessuno avrebbe potuto aver dubbi riguardo la sua incapacità di commettere qualsiasi male, ma le sue azioni lasciavano intendere il contrario e il dubbio che si stesse nascondendo dietro delle false buone intenzioni sorgeva spontaneo. Il maggiore dei gemelli ne era convinto sin dal giorno in cui avevano scoperto che aveva stretto rapporti con dei pirati e l’aver visto colui che per anni era stato il loro punto di riferimento cadere in quella che forse era una bugia, abbandonando persino la Marina, aveva fatto montare in lui la rabbia.
«Su quella ragazza lei non sa nulla, ma dovrebbe piuttosto sapere che difendere un pirata è un crimine.» lo udì infatti avvisare a denti stretti e gli bastò soltanto vedere il modo in cui si era rabbuiato per capire che quella conversazione stava già prendendo una piega pessima.
«Io non sto difendendo nessun pirata, difendo Aya.» insistette a ribattere convinto, spingendo definitivamente Kikazaru ad esplodere.
«È riuscito a sottrarsi alla giustizia una volta, non le capiterà una seconda. Se continuasse a prendere le parti di quella ragazza potrei mandarla ad Impel Down.» minacciò furioso, sollevandosi dalla propria sedia per fissarlo dall’alto in basso.
Collaborare con dei pirati era un crimine a tutti gli effetti, ma i casi andavano presi in considerazione uno per uno e nessuno di coloro che si trovavano ad Impel Down era davvero finito lì per quel motivo. Quell’uomo era stato accusato di furto sulla sua isola più di due anni prima, tuttavia si era trattato più che altro di una sommossa popolare senza alcuna prova e la Marina aveva lasciato perdere come gli stessi abitanti di Karinko. Sfruttare quel caso come precedente per di più in una faccenda tanto delicata come quella era una forzatura.
«Io… non ho fatto nulla… né allora né ora.» balbettò in una giustificazione Yoshi, ricacciando lo sguardo sul pavimento della sala che tanto lo aveva intrattenuto appena qualche minuto prima, mentre Iwa serrava i denti con inquietudine.
«Questo potrei stabilirlo se collaborasse. Testimonii che qui a Redunda è stata opera di quella ragazza, mi dica dov’è diretta e io la lascerò andare.» consigliò e per qualche secondo il silenzio s’impossessò della sala.
Con il frastuono dei cantieri che proveniva dall’esterno del palazzo, osservò l’uomo, con il volto cupo, stringere le nocche sulla propria seduta sino a che non diventarono bianche per poi tornare ad alzare la zazzera scarmigliata e fronteggiare dopo un respiro pesante Kikazaru senza la minima traccia d’incertezza.
«Non posso… non so dove stia andando e non direi mai una cosa del genere. Sarebbe ingiusto, Aya non ha colpe e non sarò certo io ad accusarla di qualcosa, le devo la vita quindi se per questo merito di finire ad Impel Down sarò felice di andarci.» sputò tutto d’un fiato, ingoiando il groppo che gli era salito in gola.
Sentire quel tipo tanto convinto della propria decisione e pronto a correre un tale rischio gli ricordò inevitabilmente suo fratello quando, seduto sulla sua branda in uno degli edifici diroccati del G-5, aveva confessato loro di aver voltato le spalle a tutto pur di avvertire quel Nobile di quanto si stava decidendo a Marijoa in merito al suo futuro. Quelle parole probabilmente sortirono il medesimo effetto su Kikazaru anche se non la medesima reazione.
Lo vide difatti irrigidirsi per l’irritazione e quando una nuova ombra gli offuscò lo sguardo scuro, si scostò dalla propria posizione decidendo che quella volta fosse davvero il caso d’intervenire per farlo ragionare prima che esagerasse.
«Ha appena gettato via la sua vita.» lo sentì annunciare con l’intransigenza che lo aveva sempre contraddistinto e mosse un passo avanti, catturandone l’attenzione.
«Kikazaru basta. Non puoi farlo.» s’intromise secco, strappandogli un’occhiataccia per quel divieto.
Tra tutti loro era sempre stato quello con le idee più nitide, ma quella faccenda stava tirando fuori la parte peggiore del suo carattere sotto ogni aspetto. Comprendeva che fallire in quell’incarico per lui fosse stato un duro colpo da sopportare, sapeva quanto tenesse al riscattare il nome della loro famiglia agli occhi delle alte cariche del Governo e per questo aveva approvato la sua scelta di non voler mollare. Capiva anche che l’allontanamento, forzato o volontario che fosse, di Shizaru lo avesse riempito di rabbia e che avesse tutta l’intenzione di occuparsi definitivamente di quel Nobile mondiale per riportare l’ordine nelle loro vite, spedire un innocente che era stato ingannato ad Impel Down però era solo una follia dettata dall’ossessione.
«Si ostina a non parlare.» evidenziò il maggiore dei gemelli inamovibile.
«Stai esagerando e non servirà nulla.» provò a farlo ragionare, ma per quanto fosse possibile l’espressione sul viso di suo fratello parve ulteriormente indurirsi per quell’opposizione.
«Ciò che non mi serve è che tu decida di aprire la bocca proprio ora Iwa. Sono io che ho ricevuto il comando dell’incarico, tu devi solo obbedire, se non puoi farlo torna al G-5 o togliti la divisa.» lo liquidò secco.



Quella ricerca lo stava snervando più di quanto avesse potuto presuporre iniziandola. Da ore non faceva che salire e scendere gradinate, svoltare per strade affollate e vicoli vuoti, sbirciare all’interno di abitazioni i cui proprietari continuavano imperterriti le proprie vite o gli rivolgevano occhiate allarmate, soltanto nella speranza di individuare una qualsiasi traccia. Era arrivato persino a percorrere l’intero perimetro della città prima di decidere di arrestarsi e fare il punto della situazione, giungendo alla conclusione che proseguendo a quel modo non avrebbe fatto altro che accontentare chiunque ci fosse dietro quella fastidiosa faccenda ed innervosirsi abbastanza dal prendere in considerazione l’idea di utilizzare metodi drastici che avrebbero comportato la distruzione di Daiba e dell’opinione che aveva sempre avuto di se stesso. Non sapeva ancora chi avesse architettato quel piano o perché avesse rapito Bepo, ma era certo che chiunque fosse stesse soltanto cercando di raccimolare del tempo e stancarlo. Dopo essersi sbarazzato dei due che la sera precedente avevano tenuto sotto controllo lui e Jean Bart infatti, Law aveva avuto a che fare con almeno un’altra trentina di criminali di strada intenzionati a sbarrargli il passo. Non erano stati dei veri scontri, tuttavia lo avevano obbligato a fronteggiarli e di conseguenza a cambiare ogni volta percorso per evitare d’incappare nella Marina, allertata ormai dai continui incidenti che si stavano susseguendo, finché nella sua mente i pezzi non avevano cominciato ad incastrarsi ed un ghigno gli era affiorato sulle labbra.
«Senchō!» si sentì chiamare molti metri più indietro e si volse appena, intercettando un gruppetto di figure con il suo Jolly Roger sugli abiti correre verso di lui con le mani sollevate.
«Vi avevo detto di rimanere a riposare.» rammentò greve non appena i suoi uomini gli furono accanto, facendoli trasalire per un secondo a quel mezzo rimprovero.
Nessuno come di consueto però bofonchiò alcuna scusa come avrebbe fatto altrimenti il suo vice e quel momento di silenzio gli fu sufficiente per rammentargli che da troppe ore stava mancando ai propri doveri di capitano, provocando in tutti abbastanza da disagio da farglielo pesare.
«Stiamo bene, non si preoccupi.» lo rassicurò Penguin, dopo aver scambiato un’occhiata veloce con il resto della ciurma raccolta insieme a lui in strada.
Per nulla convinto da quelle parole li fissò uno ad uno in silenzio, non potendo non constatare con sguardo clinico che non accusavano all’apparenza nessuna mancanza d’equilibrio o tachicardia, come Law aveva potuto suo malgrado riscontrare quando insieme a Jean Bart li aveva raggiunti a scontro terminato, ma i loro volti erano ancora emaciati segno tangibile che la nausea provata non doveva essere sparita da molto tempo.
«Siamo venuti per darle una mano.» fece prontamente eco un altro membro dell’equipaggio, strappandogli un impercettibile sorriso d’orgoglio di cui nessuno si accorse.
Se fossero rimasti a riposare sul sottomarino per qualche altra ora o finché quella spiacevole faccenda non fosse stata in qualche modo risolta, Trafalgar non avrebbe avuto nulla di ridire, tuttavia il senso di colpa per non aver potuto difendere il suo vicecapitano da chiunque lo avesse attaccato non doveva essere estraneo ai suoi uomini che anzi avevano assistito impotenti. A bordo si rimbeccavano spesso, per questioni futili e più simili a litigi familiari piuttosto che a vere discussioni, ma nessuno di loro sarebbe riuscito a starsene fermo sapendo che Bepo era potenzialmente in pericolo e il fatto che avessero messo da parte i propri dolori per aiutare a recuperarlo era una dimostrazione di affiatamento che lo rendeva fiero di loro.
«Gli altri?» domandò, tornando a voltarsi per riprendere il proprio cammino tra la folla ignara.
«Qualcuno non si è ancora ripreso completamente, abbiamo nascosto il sottomarino per evitare problemi.» riferì Penguin, strappandogli un muto consenso per quella decisione.
«Al porto poi c’è una specie di sommossa, venire coinvolti adesso sarebbe stato un vero guaio.» sospirò Shachi accanto al navigatore.
«Una sommossa?» ripeté incuriosito Law senza voltarsi.
«Un paio di ore fa sono arrivate sei navi pirata e la Marina ha dato l’allarme. Altre due che provavano ad entrare sono state bloccate al largo dai cannoni delle torrette d’avvistamento, ma gli equipaggi di quelle che sono riuscite ad entrare si sono riversati nella zona bassa. Ci sono scontri ovunque, fra qualche ora arriveranno anche i rinforzi dalle basi vicine della Marina.» raccontò con voce roca Jean Bart, spingendolo ad aggrottare la fronte.
Daiba era una cittadina di passaggio per chi aveva intrapreso quella rotta con l’obiettivo di raggiungere l’arcipelago Sabaody e con i suoi negozi, ristoranti e tutti gli esercizi commerciali che erano nati grazie al Rainbow Bridge non era difficile pensare che potesse far gola a qualche pirata intenzionato ad arricchirsi, ciò nonostante subire l’attacco di ben otto ciurme in un solo giorno era un record piuttosto singolare. Quando erano approdati non c’era traccia di nessun’altro oltre a loro e quel tumulto improvviso, insieme alla scomparsa di Bepo gli facevano nascere qualche sospetto in merito a ciò che stesse realmente accadendo in quel luogo.
Pensieroso proseguì con le mani all’interno del giaccone scuro e lo sguardo fisso davanti a sé con una parte della ciurma a seguirlo, arrovellandosi su quegli eventi finché continuando a salire la folla di abitanti in mezzo alla quale aveva continuato ad avanzare non cominciò a sfoltirsi, facendogli saltare all’occhio qualcosa.
«Dove stiamo andando?» chiese uno dei suoi uomini dopo qualche minuto di silenzio.
Nessuna delle persone che stava incrociando pareva minimamente allarmata dall’assedio a cui i pirati al porto stavano sottoponendo la città, eppure era improbabile che la voce di quell’evento non fosse giunta sin lì quando Law stesso era stato testimone della velocità con cui il suo passaggio insieme al giocatore di carte era arrivato alle orecchie degli abitanti. Qualcosa stava sfuggendo alla sua analisi e aveva il serio dubbio che tutte quelle stranezze e quel caos rispondessero ad un piano ben congegnato piuttosto che a una serie di casualità.
«Nella parte alta della città.» li informò, guardandosi attorno con sospetto.
Quando finalmente aveva deciso di fermare le ricerche per ragionare con mente lucida Trafalgar si era reso conto che tutti gli scontri che aveva intrapreso, ad eccezione del primo, avevano avuto inizio da un suo tentativo, non programmato, di cercare Bepo nella zona ai piedi del ponte. Ogni qual volta aveva percorso una via o una scalinata che conducesse lì, qualche teppista era venuto fuori dal nulla sbarrandogli il passo e facendo più chiasso di quanto se ne sarebbe potuto creare in una qualsiasi altra occasione. Da ciò si era ritrovato a pensare che probabilmente il motivo più che valido per cui quella precisa parte di Daiba fosse sfuggita alle sue attenzioni continuamente fosse proprio il suo vice e adesso, studiando le reazioni degli abitanti, sospettava anche di aver capito perché quei criminali da poco fossero sempre riusciti a coglierlo parzialmente di sorpresa.
«Bepo è lì?» s’informò Penguin, mentre la strada si allargava e i piloni del Rainbow Bridge cominciavano a mostrarsi nella loro interezza, spiccando per le dimensioni, tra le case.
Con la kikoku a dondolare le nappine sulla spalla destra osservò le finestre chiuse delle ultime abitazioni, prima che il vicolo percorso fino a quel momento confluisse in uno spiazzo di qualche decina di metri che circondava il basamento del ponte e rallentare sino a fermarsi.
Il fatto che non vi fossero visitatori nei paraggi poteva dipendere dall’allarme emesso dalla Marina a causa delle navi pirata arrivate al porto, ma il motivo per cui non vi fosse segno degli abitanti lì in cima era di ben altra natura e Law era certo ormai dipendesse da chi aveva attaccato il suo sottomarino la sera precedente.
«Pare proprio di sì.» mormorò, quando un gruppo sempre più folto di figure, sino a quel momento nascoste all’ombra del ponte, gli andò in contro.
Allertati da quei movimenti imprevisti sentì i suoi uomini irrigidirsi ai loro posti e piegò il capo scuro su un lato, studiando coloro che per l’ennesima volta tentavano di sbarrargli la strada non faticò poi troppo nell’intuire che in quell’occasione si trattasse di qualcosa di più che semplici criminali di strada.
«Sei in anticipo.» tonò con voce grassa uno dei pirati, avanzando di un passo in più rispetto agli altri.
Era un uomo corpulento con le gambe curve strette in dei pantaloni di pelle e il collo tozzo quanto quello di un toro coperto di dubbie collane d’oro rubate a chissà chi. Sulla maglia, indossata con spavalderia benché mostrasse i chili in eccesso sedimentati come fossero da ammirare, spiccava un insulto con almeno due errori e che insieme al barile innestato tra i tendini dell’avambraccio gli diede la fugace impressione di avere già avuto la spiacevole sfortuna d’incontrarlo, anche se l’occasione sfuggiva alla sua memoria forse per l’irrilevanza.
«Avete preso voi Bepo?» indagò brusco, ignorando il modo in cui era stato accolto.
Quella era soltanto la conferma di ciò che aveva dedotto avanzando verso la zona alta di Daiba, non provava alcuno stupore nel constatare che vi fosse qualcuno in fondo ad attenderlo. Ciò di cui gli importava davvero in quel momento era recuperare il proprio vice e risolvere quell’imprevisto.
«Bepo?! Che nome ridicolo hai dato a quella bestiaccia petulante! Ma non c’è da meravigliarsi in fondo, gli hai infilato anche dei vestitini! Comprarti una bambola non sarebbe stato meno faticoso Chirurgo?!» lo derise l’altro, battendosi l’unica mano intatta sul ginocchio per le troppe risate.
«Ehi! Bepo non è una bestiaccia, fa parte della ciurm-» s’intromisero toccati Shachi e Penguin, fermandosi quasi contemporaneamente quando Trafalgar assottigliò lo sguardo grigio.
«Vi ho fatto una domanda, rispondete.» sibilò freddo puntandolo e riuscendo ad interrompere il baccano creato dalle sue risate e da quelle dei suoi compagni.
Lo sentì borbottare un grugnito per quella pretesa e piegare il viso olivastro su una spalla, rivolgendogli una nuova smorfia di provocazione prima di convincersi a parlare.
«Sono stati dei nostri conoscenti… ma se avessi saputo che ti saresti arrabbiato tanto l’avrei fatto io stesso per vendicarmi tempo fa.» rispose finalmente, confermando un loro precedente incontro.
Per nulla interessato da quando le loro strade si fossero incrociate in passato, Trafalgar sentì piuttosto le mani fremere per il malumore nello scoprire che persino quel tipo era soltanto una pedina messa sulla sua strada per farlo desistere dal proseguire chissà fino a quando. Il vero responsabile continuava imperterrito ad agire nell’ombra, muovendosi a proprio piacimento tra gli abitanti e deviando l’attenzione della Marina per un motivo che a lui sfuggiva, anche se ancora per poco. Era sempre stato dell’opinione che affrettare i tempi non giovasse a nulla e aveva fatto della pazienza la sua più grande alleata, ma trovava inutile continuare quello sciocco giochetto dato che a separarlo da colui che aveva attaccato il suo sottomarino c’era solo una ripida scala per la cima del Rainbow Bridge.
«In fondo sei solo uno sbruffone che ha avuto fortuna, lo sai persino tu ed è per quello che non vai nel Nuovo Mondo. Quello è un posto per uomini, per quelli che come me hanno fegato, tu non meriti nemmeno tutto questo baccano… mi hai tirato un brutto scherzo due anni fa, adesso però ti farò rimpiangere di averm-» blaterò avvicinandosi sprezzante con i ghigni della sua ciurma alle spalle, ma le parole gli si strozzarono in gola quando Law gli scattò di fronte poggiando la punta della kikoku contro il suo petto.
La room si allargò sull’intero spiazzo inglobando chiunque fosse nel raggio di almeno dieci metri e Trafalgar iniettò il proprio colpo direttamente all’interno dell’avversario sconosciuto, vedendolo sbarrare gli occhi scuri in un fremito incontrollato prima che il suo sistema nervoso perdesse i contatti con il resto del corpo, spingendolo ad accasciarsi con un tonfo sul lastricato senza che un solo gemito gli fosse uscito di bocca. Immobile nella propria posizione abbassò di fronte a sé la nodachi ed puntò con sguardo fermo l’equipaggio appena rimasto privo del proprio capitano, mentre ammutoliti lo fissavano.
«Vi consiglio caldamente di togliervi dalla mia strada.» li avvertì.



Ispirò una profonda boccata d’aria fresca, gettando il capo rossiccio indietro e rimase per qualche secondo a bearsi del silenzio che la circondava nel pieno di quel bosco grigiastro, libera finalmente dalle mani di Erma e senza il rischio di finire farcita come un pollo da infornare. Sentiva lo stomaco appesantito dal pranzo forzato e se solo ne avesse avuto l’opportunità si sarebbe lasciata sprofondare tra gli strati di coperte che formavano il suo letto per recuperare le ore di sonno mancanti, ma tornare alla nave avrebbe significato attraversare l’intero villaggio ed era quasi certa che qualcuno l’avrebbe riacciuffata per i vestiti e riportata in piazza al banchetto.
Quel bosco era stato l’unico posto che le fosse venuto in mente una volta dileguatasi ed era felice di aver scelto di avventurarcisi, anche se per farlo aveva dovuto poco educatamente sparire. Da Moundhill le era parso solo un grande ed inquietante spiegamento di alberelli dai tronchi sottili e pallidi che si ergeva a qualche chilometro dal villaggio, forse persino al limitare di Rurik, tuttavia soltanto ora che vi camminava in mezzo si rendeva conto di quanto si fosse sbagliata. Gli alberi, ritti come sentinelle, erano persino più alti dei giganti tra cui era stata sino a qualche decina di minuti prima e crescevano secondo uno schema tutto loro, sollevando i rami biancastri al cielo plumbeo per raccogliere un po’ di luce con le foglie grigie acuminate.
Con le iridi ambrate che vagabondavano da una parte all’altra e le mani nascoste nelle tasche del giaccone di lana, continuò a camminare per quasi mezz’ora smaltendo la spossatezza causata dal banchetto con il fischio di qualche strano animale sopra la testa finché il terreno sotto i suoi piedi non cominciò lentamente a perdere il proprio colore cupo per ravvivarsi in chiazze sempre più verdi. Sorpresa proseguì per qualche altro metro prima di accorgersi che a poca distanza da lei gli alberi terminavano di colpo, per cedere il passo a una parete di pietra levigata e riprendere subito dopo.
«Delle mura.» mormorò sorpresa, avvicinandosi con passo cauto alla base.
Arrivavano sino ad una buona metà dei rami ed erano costituite da grossi blocchi squadrati incastrati tra loro in una sequenza tanto perfetta da non creare un solo spiraglio di vuoto. Sulla cima ad intervalli regolari di spazio erano state erette delle merlature tondeggianti e un camminamento spazioso faceva loro da tetto, allungandosi sino a perdita d’occhio nelle viscere del bosco in cui lei si trovava.
Osservarle da quella prospettiva le ricordò inevitabilmente quelle che proteggevano Marijoa dall’esterno della Linea Rossa e che per anni le avevano impedito d’uscire dandole l’impressione d’essere rinchiusa in un enorme gabbia d’orata sorvegliata perennemente, ma il pensiero le fuggì presto dalla mente quando studiandole vide che a un centinaio di passi di distanza c’era un varco sbarrato da pesanti porte di legno. Una volta raggiunto non le ci volle molto per decidere di bussare nel dubbio che l’accesso non fosse permesso, tuttavia dalla parte opposta nessuno rispose e non avendo visto guardie sulla cima della fortificazione si convinse a spingere uno degli usci, scivolandoci in mezzo per poi mollare la presa e vederlo richiudersi senza nemmeno un suono.
L’arco che era stato aperto tra i blocchi era profondo una quindicina di metri e le sue pareti erano state scavate direttamente all’interno della pietra della fortificazione, ma ciò che più attirò l’attenzione di Aya spingendola ad uscire dalla sua ombra fu lo spiazzo che vi si allargava oltre. Il terreno, che dalla parte opposta era stato scuro e umidiccio, lì era compatto e coperto da un tappeto d’erba verdissima perfettamente tagliato che cresceva indisturbato per metri prima di scivolare ai piedi degli alberi che aveva scorto dall’esterno e che a differenza degli altri avevano fronde rigogliose grazie anche alla temperatura più mite.
Intontita da quel cambiamento tanto improvviso tornò a guardarsi alle spalle e si accorse solo in quel momento di ciò che era stato inciso sulla cima dell’accesso da cui era arrivata.
«Hikawa… ujo.» lesse ad alta voce, piegando il viso su un lato confusa.
L’eventualità che nei paraggi vi fosse una sorgente avrebbe spiegato forse perché ci fosse dell’erba e gli alberi sembrassero tanto in buona salute, mentre che fosse anche di buon auspicio magari il motivo per cui quel luogo paresse essere stato graziato dal clima inclemente che imperversava nel resto di Rurik.
Confusa da quelle scoperte rimase per qualche secondo a guardarsi attorno intontita, prima di convincersi a proseguire vinta dalla curiosità del vederla e lasciarsi le mura alle spalle, incamminandosi tra gli alberi alla ricerca della fonte di cui parlava l’iscrizione. Proseguì sul tappeto d’erba che ricopriva il terreno con il solo suono delle sue scarpe a farle compagnia e dopo aver camminato per un po’ si accorse che la boscaglia aveva cominciato a seguire linee incredibilmente ordinate. Con il naso per aria osservò con un sorriso i tronchi degli alberi, di una tonalità fulva a differenza di quella pallida propria dei loro vicini e le fronde cariche, chiedendosi inevitabilmente come mai gli antenati di Rolf avessero stabilito Moundhill sulla cima di quella gelida collina, piuttosto che lì. Sul punto di sospirare per l’evidente volontà da parte dei giganti di razziare senza alcuna necessità, dovette trattenersi e abbassare il viso per l’allerta quando uno strano suono come di passi interruppe la quiete che l’aveva circondata sino a quell’istante. In silenzio rimase immobile prestando attenzione per evitare di trovarsi in un qualche guaio e fece scorrere le iridi ambrate attorno a sé cercando di individuare la fonte di quei rumori.
«Oh-yoyoyoyoi.» lamentò una voce acciaccata da un punto non troppo lontano alla sua sinistra dopo un tonfo e Aya si convinse a muoversi, intercettando una figura dai capelli grigi sdraiata al suolo.
Era un uomo sulla sessantina con il viso increspato dalle rughe e una rada barba bianca che cresceva a ciuffetti sulle guance olivastre, incastrandosi con le basette sino all’attaccatura dei capelli lisci, tenuti stretti in un minuscolo codino che lasciava sfuggire le ciocche sulla nuca. Indossava una casacca marrone legata sui fianchi e per metà aperta sul petto su cui spiccava un omamori bianco, delle boccole alle orecchie e dei buffi occhialini rotondi finiti tra l’erba su cui aveva schiacciato la faccia, metri più in là insieme a delle ceste di frutta stracolme.
«Le serve una mano?» gli domandò una volta che gli si fu accovacciata accanto, aiutandolo a rimettersi in piedi.
Era consapevole che Rurik non fosse Elbaf, ma non si era aspettata d’incontrare qualcun altro oltre la tribù di giganti guidata da Rolf nonostante i segni di civiltà trovati poco prima. Già gli abitanti di San Malé le avevano raccontato quanto difficile fosse per loro sopravvivere agli attacchi che subivano una volta l’anno, non le risultava possibile che qualcuno decidesse volontariamente di andare in giro con un pericolo tanto ravvicinato.
«Volevo darle ai bambini della scuola, le adorano, ma purtroppo pare che io abbia esagerato con la raccolta.» sorrise con un po’ di vergogna, additando i frutti caduti e tornando a posare le lenti sulla punta del naso.
Certa ormai che quell’uomo non fosse capitato lì per uno sfortunato incidente e appreso che vi fosse anche una scuola, Aya si volse a guardare ciò che le veniva indicato.
I frutti avevano le dimensioni di grosse noci giallastre ricoperte di una soffice peluria e su ognuna spiccava uno strambo gorgo bluastro che probabilmente doveva formarsi quando erano mature, dato che quelle rimaste sugli alberi che li circondavano ne erano totalmente prive.
«La aiuto a portarle se vuole.» propose cortese imbracciando una delle ceste, mentre l’uomo raccoglieva ciò che era finito al suolo con la sua rovinosa caduta.
«Ti ringrazio cara, sei molto gentile. Devo arrivare solo fino a Biwa, oggi terrò lì una lezione.» accettò, indicando con il braccio un luogo davanti a sé per poi issare la propria cesta ed incamminarsi con passo spedito.
Nonostante si trovassero nel bel mezzo di un bosco di alberi da frutta, le pareva improbabile che un uomo già tanto maturo potesse arrampicarsi in cima ad uno di loro per tenere una lezione a dei bambini considerata la pessima posizione in cui lo aveva incontrato. Era probabile quindi che quella Biwa fosse altro, anche se una tale realtà le sembrava incredibile quanto l’aver incontrato qualcuno laggiù.
«C’è un paese quindi?» chiese titubante, affiancandoglisi e accorgendosi sono in quel momento del sentiero di ghiaia bianca su cui l’altro si era incamminato.
«Ovviamente. Ce ne sono molti nel mondo e qui ne contiamo ben due oltre alla capitale, nascono quando più individui decidono di stabilirsi per motivi plurimi in un determinato luogo, nel caso di Biwa perché è una zona con svariati frutteti come puoi notare.» spiegò con tono accademico come avesse avuto davanti soltanto una bambina, continuando ad avanzare veloce.
«Da cui immagino prenda il nome.» mormorò sovrappensiero, suscitando nell’altro un guizzo di felicità.
Incontrare quell’uomo nel bosco era parso ad Aya già strano, scoprire che vi erano ben tre paesi e una città poi non poteva che provocarle una smorfia. Rolf non aveva accennato minimamente loro della presenza di altri uomini o di qualunque altro essere oltre i giganti su cui governava per merito a Moundhill, tuttavia ciò non implicava necessariamente che Rurik fosse un’isola desolata. C’era sempre la possibilità che gli fosse passato di mente e che tra i luoghi di cui quell’uomo le aveva appena parlato vi fosse proprio il villaggio del gigante, ma erano tutte opzioni che stridevano in maniera inevitabile con ciò che le aveva impedito di provare subito empatia con quegli esseri tanto straordinari. Se Moundhill confinava con Biwa e altri centri abitati che per di più non dovevano di certo soffrire di stenti data l’abbondanza di cibo solo in quel bosco, Aya non riusciva proprio a comprendere perché Rolf e i suoi compagni partissero con la Kurokaze per isole lontane per delle provviste.
Ad ogni passo compiuto tra la ghiaia tentava di trovare una spiegazione a quel mistero per giustificare quei giganti, ma sfortunatamente non le veniva in mente nulla di plausibile.
«Sei una ragazza sveglia, il che giova sempre. L’intelligenza è un’ottima arma contro gli imprevisti del caso diceva un vecchio saggio di tre secoli fa.» citò lieto, rivolgendole uno sguardo bonario che le strappò un sorriso.
«Mi pare di essermelo già sentita dire da qualcuno.» confessò, rammentando di aver udito qualcosa di simile dalla bocca di Trafalgar il giorno del suo risveglio sul sottomarino e le venne per un secondo da chiedersi se l’avesse appreso da qualcuno o se i suoi pensieri, per quanto indubbiamente avveduti, ricalcassero quelli di un defunto di secoli addietro.
Rapita momentaneamente da quel dubbio che nulla aveva a che fare con la situazione in cui si trovava né con la compagnia, lo ricacciò via dalla mente girandosi appena a ricambiare l’occhiata che l’altro le stava rivolgendo.
«Oh che sbadato, non mi sono ancora presentato! Io sono Perifante, maestro e membro dell’assemblea da più di quattro decenni.» annunciò con un piccolo inchino del capo, facendo dondolare un po’ il codino.
«Aya, piacere.» si presentò, decidendo che fosse molto meglio non impelagarsi in spiegazioni su cosa fosse lei e fu sul punto di domandargli di quale assemblea facesse parte da così tanti anni, ma dovette trattenersi venendo anticipata.
«Splendido nome, illustre. Come mai sei qui, se posso chiedere?» s’informò l’altro, piegando il capo per evitare il ramo di un albero troppo basso.
«Facevo una passeggiata.» confessò con un’alzata di spalle, strappando a Perifante una mezza risata.
«Quello era evidente cara, intendevo qui sull’isola.» precisò con un sorriso, mentre Aya si lasciava andare ad un versetto non tanto per l’imbarazzo d’aver capito male quanto piuttosto per il dover spiegare tutto.
Non aveva alcun motivo plausibile per nascondere il fatto che si trovasse a Moundhill a causa di un incontro fortuito e del temporale peggiore attraverso cui fosse mai passata nella sua breve vita, ma non c’erano molte probabilità che quell’uomo – chiunque fosse – mostrasse una reazione felice nell’apprendere che dei pirati fossero approdati sull’isola, quindi anche riguardo quell’argomento Aya decise fosse meglio omettere.
«Viaggio per mare… da bambina sognavo di vedere tutte le isole del Grande Blu.» raccontò, evitando di citare la propria compagnia a bordo.
A quella confessione Perifante sgranò per un secondo gli occhi scuri fermandosi nel mezzo del frutteto e spingendola inevitabilmente ad imitarlo per paura d’aver detto qualcosa di troppo.
«Per gli dei, tutte?! Sei ambiziosa, ma in fondo sei giovane e la sete di conoscenza se non degenera è un bene.» borbottò dopo un momento di stupore, riprendendo poi a camminare con un sospiro senza accorgersi che Aya era rimasta ammutolita indietro per quelle parole.
Un po’ come le era accaduto pochi minuti prima ricordando una frase di Law, si ritrovò a mordicchiarsi il labbro inferiore trovando nell’esclamazione meravigliata di Perifante un che di pericolosamente simile a ciò che Ko le aveva detto anni addietro, quando sul bordo del canale di Marijoa lei le aveva svelato la propria volontà e ingoiò il groppo di amarezza salitole in gola, conscia che piangere di quei giorni sarebbe stato sciocco ormai.
«Ah finalmente, eccoci, eccoci! Vieni da questa parte, passerai con me.» le comunicò svelto Perifante, affrettandosi lungo l’ultima parte del vialetto di ghiaia bianca del bosco che già si ingrandiva e ridestandola dai propri pensieri non troppo lieti.
Si abbandonò a un respiro pesante e riprese a muoversi, scrollandosi di dosso l’inutile tristezza per accostarsi nuovamente all’uomo che l’aspettava più avanti con la cesta sotto braccio.
«Benvenuta a Biwa cara.» sorrise quello, accennando con il capo grigio al paese che si allargava qualche metro più in là sotto di loro.
Spinta da quel gesto Aya allungò lo sguardo chiaro oltre la sua figura, trovandosi a cambiare umore a quella vista.
Completamente circondata dal frutteto da cui Perifante aveva raccolto ciò che stava nelle ceste e illuminata da raggi tiepidi di sole che lei non avrebbe neanche sperato di trovare, Biwa era costituita da abitazioni di calce bianca tutte della medesima misura sui cui tetti la gente aveva piantato alberelli dalle fronde rotonde. Tutte affacciavano su strade di acciottolato che conducevano ad una piazza al cui centro zampillava una fontana, probabile fonte di buon augurio di cui lei aveva letto varcando la soglia delle mura fortificate.
«È adorabile.» non poté che constatare, osservando i volti sorridenti della gente che la abitava.
«Un paese virtuos-Oh, i bambini!» sbottò Perifante, discendendo per il sentiero quasi di corsa.
Distraendosi dal proprio curiosare soltanto con lo sguardo Aya lo osservò andare in contro ad un manipolo di ragazzini delle età più varie raccolti davanti alle prime case del paese, tutti sorridenti con le manine sollevate in gesti di saluto e forse trasportata da quell’entusiasmo finì per intenerirsi vedendo con quanta trepidazione Perifante era atteso dai suoi allievi.
«Maestro è in ritardo, ci stavamo preoccupando.» rivelò un uomo, seduto su un muretto alle spalle dei bambini.
«Ho avuto un imprevisto con le ceste, il mio fondoschiena ha ripassato un po’ di astronomia.» ammise candidamente, provocando l’ilarità di tutti i presenti.
Con una mezza risata a scuoterle il petto e ancora ferma a metà del sentiero che portava a Biwa, vide l’uomo che aveva parlato piegare il capo biondo su una spalla e non vi badò più di tanto, presa dall’osservare Perifante scarmigliare le zazzere arruffate ad ognuno dei ragazzini andati lì per la lezione, finché quello non si sollevò dal muretto su cui era stato seduto in attesa mostrandosi per intero.
Aveva addosso un’armatura di lamine dorate sottili che gli riparava il petto e l’inguine in un gonnellino sotto cui per coprirsi aveva indossato dei pantaloni di cuoio che arrivavano sino alle ginocchia e stivali della medesima foggia. Malgrado ciò quello che più destò l’attenzione di Aya fu lo scoprire che dietro la schiena teneva agganciata una lancia che avrebbe potuto facilmente estrarre con un colpo del gomito e che un altro uomo con la sua medesima uniforme stava all’inizio del selciato di ghiaia poggiandocisi sopra come fosse un bastone.
Sino a quel momento, non avendo visto nessuno sulle mura che aveva attraversato per arrivare lì, aveva pensato che fossero state costruite soltanto per recintare la zona attorno alla quale sorgeva la fonte e di certo non per tenere lontano un qualche vero pericolo specie essendoci un intero villaggio di giganti a qualche chilometro di distanza, ma scoprire delle guardie armate le stava facendo sospettare altro insieme alle parole di Perifante. Su Rurik evidentemente, malgrado la gente apparisse tanto felice, doveva esservi una qualche minaccia contro cui tenersi pronti e Aya cominciava a credere che potesse essere anche la causa degli stenti di Moundhill.
«Aya vieni, vieni! Sei invitata alla lezione per ricompensarti dell’aiuto.» la chiamò a gran voce Perifante e interrompendo i propri pensieri annuì grata con un sorriso, riuscendo a muovere appena un paio di passi prima che l’altro uomo armato la raggiungesse.
«La dia a me, la porto io al Maestro. Non si stanchi.» si premurò di dire educato, togliendole la cesta di frutta dalle braccia per liberarla di quel peso e farle cenno di proseguire.
«Grazie.» recitò, abbozzando per abitudine un mezzo inchino per poi superarlo e compiere gli ultimi metri che la separavano dal gruppetto.
«Forza, abbiamo un bel po’ di cui parlare oggi. Per di qua!» tonò Perifante una volta che furono insieme, ricominciando a camminare lungo le strade di Biwa con tutti dietro.



Avanzando lungo il perimetro della fortificazione, si avvicinò in silenzio alle due figure che aveva visto barcollare con un gran fracasso tra gli alberi, fermandosi a pochi metri da loro senza che nessuno dei due si accorgesse di essere controllato tanto da vicino.
«Cosa state facendo?» domandò rigido aggrottando la fronte, quando l’uomo con la cresta bionda che stava appoggiato ai lastroni delle mura si sbottonò i pantaloni con un gran sorriso.
«Ah! Mi stava proprio scoppiando la vescica per colpa di tutta quella birra!» sospirò sollevato, bagnando parete e terreno con i propri bisogni per nulla allarmato da quella voce sconosciuta.
Indignato da tanta inciviltà annullò d’istinto la propria omocromia per fronteggiarli, ma ci volle un intero minuto prima che quel tipo si voltasse accorgendosi finalmente della sua presenza.
«Oh cazzo.» sbottò sorpreso, muovendo un passo indietro con il rischio di cadere tra le foglie umide.
Muto, attese che gli venisse data una spiegazione qualsiasi per quella violazione delle regole e della decenza, ma dopo un’iniziale momento di stordimento lo sconosciuto scoppiò in una grassa risata, ricoprendosi con calma come se ciò che aveva appena fatto fosse la più normale delle azioni.
«Diamine deve essermi proprio salita alla testa, mi è appena comparso davanti un tipo!» rise divertito additandolo e richiamando inevitabilmente l’attenzione del compagno che era con lui.
«Lo vedo anch’io!» gli fece coro quello, rialzandosi dal terreno su cui si era accasciato per andargli in contro.
A quella reazione sollevò per un sopracciglio scuro, trovandoli patetici per quello spettacolo vergognoso.
«Chi siete e da dove arrivate?» pretese di sapere persino più indisposto di prima, vedendoli tuttavia ridestarsi appena dalla confusione data dall’alcool per gonfiare il petto come galli.
«Ehi, vedi di andarci piano.» sputacchiò scontroso il biondo, esibendo una smorfia che forse avrebbe dovuto intimorirlo in qualche modo.
«Già, sarai pure una fantasia, ma nessuno usa quel tono con dei pirati!» concordò il compare, puntandogli minaccioso un dito contro una volta accostatoglisi.
«Voi sareste pirati quindi.» volle ripetere per conferma, assottigliando lo sguardo chiaro puntandoli.
Sentendoglielo pronunciare nuovamente i due si scoccarono un’occhiata complice forse credendo di avergli messo addosso più paura di quanta non fossero riusciti ad incutergliene con le loro minacce verbali e avanzarono per i pochi metri che li separavano, squadrandolo da capo a piedi malgrado fosse nettamente più alto di entrambi con dei ghigni poco rassicuranti.
«Puoi scommetterci.» ribbadì l’uomo con la cresta quando gli furono di fianco, per poi allungare una mano nel tentativo istintivo di dargli una botta contro il petto e rimanendo di stucco quando il suo palmo lo toccò davvero.
Confuso si osservò con occhi lucidi per la sbronza le dita sotto lo sguardo altrettanto imbambolato del compagno che l’aveva seguito, prima di tornare a guardarlo a bocca aperta.
«Allora possiamo evitare le buone maniere.» annunciò, affatto impietosito da quella totale mancanza di lucidità.
Senza muoversi di un passo dalla propria posizione, colpì contemporaneamente entrambi allo stomaco con due pugni soffocando qualsiasi sciocchezza stesse per pronunciare, obbligandoli per il dolore a piegarsi in avanti ed affondare i gomiti nelle loro nuche facendogli perdere i sensi. Li osservò con espressione impassibile crollare al suolo in silenzio e trasse un profondo respiro, muovendo finalmente un passo per voltarsi e agguantarli per i vestiti con tutta l’intenzione di sbatterli dietro le sbarre della prigione della capitale.
























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Note dell’autrice:
Ho qualche perla questa volta che spero vi sia gradita~ anche se in realtà è più una collana di perle… una lunga che ti striscia sotto i piedi, ti fa inciampare ed è tua papabile assassina, ecco.

- Kidd: Questa nota è più che altro per farvi notare che nel capitolo ho voluto creare un parallelismo, anche se forse non troppo palese, tra ciò che lui vive e ciò che normalmente accade ai Mugiwara. Kidd e i suoi non sono abituati a banchetti o feste, nessuno ha alcuna simpatia nei loro confronti come si capisce da Sabaody quando Shakky ne parla a Rufy e un’accoglienza come quella che solitamente spetta al suo rivale più acerrimo ad ogni finale di saga è qualcosa che lo rende diffidente. Per questo e per la sua riluttanza nei confronti della società in cui vive, ho voluto che alcune delle sue frasi fossero esattamente mirate su ciò che Rufy invece è agli occhi della gente – Marina esclusa, s’intende –.
- Giacimento: Oh, io amo, assolutamente amo, scoprire certi collegamenti insignificanti nell’opera originale e nella mia storia non faccio che ripetervi di prestare attenzione proprio perché ne semino ovunque. In questo caso, nella saga di Redunda, Nau fa presente che nelle colline di Llanos il potere di Akala non riusciva ad attecchire e questo non dipende dal fatto che il clima fosse torrido dato che si parla di un frutto, quanto piuttosto dal giacimento di agalmatolite che vi sta sotto. L’agalmatolite ha effetto solo se a contatto con i frutti e proprio perché le radici delle piante di Akala affondavano sino a toccarla il suo potere lì non era di alcun aiuto. La Marina utilizza questo minerale per molti scopi e Oda stesso lo definisce raro, motivo per cui il possesso di un intero giacimento è di fondamentale importanza e Kikazaru non può, erroneamente, fare a meno di pensare che Aya abbia volutamente colpito Redunda per tale motivo.
- Nemico sconosciuto: Law, nella sua estenuante ricerca, ha un brevissimo scontro con questo OC ignoto, ma come ho già detto nella nota precedente, a voi nominato molto tempo addietro. Nello specifico nel capitolo VI quando Trafalgar leggendo il giornale commenta le discutibili scelte ortografiche di un gruppo di nuovi pirati… ebbene, dopo più di cinquanta capitoli sono ricomparsi.
- Hikawa-ujo: Che letteralmente vuol dire “porta della sorgente di buon auspicio” ed è un accesso realmente esistente che ha sede nel Castello di Shuri, famoso in Giappone perché ebbe un ruolo fondamentale nella storia dello shogunato e perché ogni sua porta ha un nome particolare.
- Omamori: Sono degli amuleti di legno, chiusi in sacchetti di stoffa di vari colori, che in Giappone sono molto famosi e hanno vari utilizzi contro la malasorte.
- Perifante: È il primo personaggio in cui Aya s’imbatte dopo aver superato le mura e il suo nome apparteneva ad uno dei primi leggendari re ateniesi poiché il paese in cui si muove mi è stato ispirato da una storia greca di cui momentaneamente serbo il segreto… vuol dire “colui che sa molto” e come Socrate, i suoi allievi e gli abitanti, sono soliti chiamarlo “Maestro”.
- Biwa: Nome con cui i giapponesi chiamano le loro “nespole” di una varietà diversa rispetto a quelle cui siamo abituati noi.





  
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