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Autore: Relie Diadamat    29/11/2015    5 recensioni
Merlin, ventenne suonato, si ritrova costretto a lavorare al fianco del suo inseparabile Asino, nel bar aperto da quest'ultimo. Con loro c'è Freya, la dolce ed ingenua fidanzata di Merlin, che Arthur detesta.
Tutto cambia un giorno, quando il giovane Pendragon rivela ai suoi colleghi un cambio di programma.
*
[Dal Cap. 1]
«Non saremo i soli a gestire il bar.» continuò Arthur, serrando lievemente la mascella, evidentemente quella non era stata una scelta del tutto condivisa dal biondino «Mia sorella Morgana ed il suo fidanzato Mordred saranno dei nostri.»
Il cervello del corvino si resettò in un lampo.

*
[Cap. 6]
«Io non voglio condividere proprio niente con te, Aridian.» sibilò, serrando lo sguardo.
«Strano…» Unì tra loro le mani, aggrottando la fronte «La droga la dividevi volentieri.»

*
[Cap. 13]
«Quella stronzata che sono attratto dal tuo ragazzo. Come ti è venuta in mente una cosa simile?»
«Perché io ti ho visto, Arthur. Ho visto cosa diventano i tuoi occhi quando lo guardi».

*
[Cap 11]
«Io ti avrei amata per sempre».
*
*
[Freya/Merlin/Arthur] [Mordred/Morgana/Merlin] [Freya/Merlin/Morgana] [Merlin/Arthur/Mithian] [Elyan/Mithian/Arthur] [Kara/Mordred/Morgana] [Freya/Gwaine]
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Freya, Merlino, Morgana, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù, Merlino/Morgana
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Nda: Salve a tutti! Sì, dopo quasi un secolo di attesa... eccomi ritornata! Beh, che dire? La scuola e tutti gli altri impegni assorbono tutto il mio tempo. Ad ogni modo, eccoci qua!
Sì, sono tornata con la seconda parte della storia e già divido un capitolo in due parti: è da me.
Spero solo che questa introduzione alla seconda parte di Pendragon's possa piacervi, ovviamente ci risentiamo nell'angolo di Relie per eventuali chiarimenti e/o spoiler :)
Dedico questo capitolo a tutti coloro che hanno aggiunto la storia nelle preferite/ricordate/seguite. Grazie a tutte le persone che leggono in silenzio e a tutte le splendide persone che mi hanno lasciato il loro parere. Siete state dolcissime ed io vi adoro!
A voi tutti, questo capitolo.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
NB: il simbolo (*) indica un minimo distacco temporale (es. qualche minuto, qualche ora ecc...); il simbolo (**) indica un passaggio dai ricordi al presente o viceversa. La parte in corviso è un ricordo vago, collegato al presente. Diciamo che io lo vedo come un "ricordo immediato". Spero di essermi spiegata.
Buona, spero, lettura!
 


XVI.Cambiamenti 
La firma del drago (Parte I)
Soundtrack: click


 
Perciò non ti lascerò avvicinare 
abbastanza da ferirmi.
No, non ti chiederò di lasciarmi solo e basta 
Non posso darti quello che tu pensi di avermi dato.
- Adele






Cambiamenti. Trasformazione.
Ti è mai capitato? Svegliarti un giorno e guardare tutto da un altro punto di vista?
Tutto sembra assumere una forma diversa, preannunciando l’avvento di un nuovo inizio.
Te ne sei accorto senza desiderarlo; la tua vita ha preso una piega differente.
Ma il vero problema è: cosa farsene del cambiamento?
Lo accoglierai a braccia aperte oppure distruggerà ogni tua certezza?




 
 
 
 
«E’ ora di alzarsi, sono le sette. È ora di alzarsi, sono le sett-»
Freya si era raccolta frettolosamente i capelli castani in una coda arrangiata, muovendosi a grandi passi verso la camera da letto, pronta a buttare giù dal letto quel pelandrone del suo fidanzato ma…
Merlin era già in piedi, provvisto di una maglietta leggera e semplici jeans, che spegneva la prima di una lunga serie di sveglie.
Freya rimase impalata nella sua anonima t-shirt dei Paramore e nei suoi comodi pantaloni marroncini, ancora impreparata a quella novità che ogni mattina, dal giorno in cui Merlin era uscito dall’ospedale, continuava a ripetersi.
Merlin intercettò il suo sguardo, accennando un quotidiano sorriso. «Buongiorno».
Freya tuttavia non gli sorrise. «Buongiorno».
«Mi ero dimenticato di dirtelo, ma ieri ho portato la tua auto dal meccanico», Merlin aprì l’armadio estraendone un leggero giubbotto di pelle. «Ha detto che non è nulla di grave. Ce la caveremo con meno di settanta sterline».
«Bene», annunciò lei, imitandolo. «Grazie».
Merlin sorrise sghembo guardandola aggiustarsi la giacca estiva, mentre con gli occhi scuri cerava di ricordare dove avesse dimenticato la piccola tracolla.
«Sulla sedia, accanto all’entrata», la informò il corvino cogliendola alla sprovvista. «La lasci sempre lì. Tutte le volte».
Freya si sistemò il colletto, guardandolo silenziosamente negli occhi.
Un mese. Era passato un mese esatto da quel terribile incidente, qualche settimana in più dal tempo in cui credeva che Merlin la capisse meglio di chiunque altro. Troppe cose cambiano in poco tempo, pensò.
«Già.» Gli dedicò un sorriso storto, prima che la seconda sveglia cominciasse a trillare in tutta la stanza.


 
Mentre scendevano le scale, Freya ebbe come l’impressione che Merlin avesse cercato la sua mano. Una mano che non arrivò.
 
 
 








Se c’era una cosa che Morgana odiava più di suo fratello – o le cene di famiglia -, quel qualcosa erano i cambiamenti improvvisi.
Quella mattina il suo stomaco sembrava volesse costringerla l’intera giornata nel bagno, con la testa ficcata nel water – che intanto era diventato il suo migliore amico.
Quando alle sei in punto si era staccata dal gabinetto per tornare nel letto, la sua sveglia le aveva fracassato il cranio rendendola tremendamente isterica. Mordred, che nel frattempo si era goduto una bella nottata di sonno, si era voltato dalla sua parte aprendo pigramente i suoi occhi azzurri, ancora pregni di sonno.
«Buongiorno».
Mordred era rimasto con la guancia rasata contro il cuscino, alzando un sopracciglio all’insù. «Hai un aspetto orribile».
Morgana aveva grugnito qualcosa d’incomprensibile che Mordred ignorò baciandole la fronte. «Ma sei bellissima lo stesso».
Morgana sapeva che era una bugia. Sapeva che il suo fidanzato le aveva cortesemente – e saggiamente – mentito perché, la notte precedente, non aveva fatto altro che vomitare anche l’anima in quello stupidissimo water e, come se non bastasse, si era dovuta subire le continue frecciatine che Mordred e Arthur continuarono a lanciarsi anche a colazione – che, tra parentesi, le aveva restituito un valido motivo per correre al bagno per l’ennesima volta.
Fu costretta a sciacquarsi la faccia per due volte pur di eliminare del tutto quell’acre e disgustoso odore di vomito dalle labbra. Si guardò allo specchio rassegnata, notando che le occhiaie si erano spaventosamente accentuate. Si spalmò un generoso strato di correttore, distendendolo con cura, per poi passare ad un filo di rossetto sulle labbra. Nascose i segni rossi sul viso con del fondotinta, prima che quel sapore disgustoso le invadesse nuovamente la bocca.
Ripensò a Merlin. Vomitò per l’ennesima volta.
Una volta resasi nuovamente presentabile, uscì dal bagno raggiungendo Mordred e Arthur che intanto avevano già preso tutto l’occorrente per uscire di casa, all’entrata.
In macchina, seduta sul sedile del passeggero, maledisse suo fratello per aver avuto la brillante idea di riunire tutti i suoi dipendenti baristi al bar nel loro giorno libero. Evitò di intavolare un qualsiasi argomento rispondendo a monosillabi – il più delle volte acidi -, beccandosi continue lamentele da Arthur.
Una volta arrivati al Pendragon’s, Morgana aveva scorto una raggiante Gwen accanto alla porta secondaria del bar, quella adiacente al laboratorio.
«Sono emozionata!» le aveva rivelato andandole incontro. «Secondo te con i nuovi turni riusciremo a stare l’intera giornata insieme? E… Oh! Non vedo l’ora di provarmi la nuova divisa!»
«Sono tutte spettacolari, le ho scelte io», tagliò corto Morgana, avvertendo ancora una volta nel palato un disgustoso sapore acido.
Gwen colse al volo il pallore e le occhiaie vistose della sua amica, distinguibili anche sotto lo strato di fondotinta. «Tutto bene?», le chiese. «Hai un aspetto orribile».
Seccata e infastidita dal ricordo di dover rincontrare l’intero staff di baristi, l’ammonì con un’occhiata truce. «Che ci fai tu qui?»
Gwen si strinse nelle spalle, osservando distrattamente Arthur sorreggersi su una stampella mentre istruiva Mordred – tra una punzecchiatura e l’altra – su come aprire la porta del locale. «Ho lavorato al bar per un mese e…»
«Pensi davvero che Arthur ti farà restare al bar adesso che può tornare al lavoro?»
Ginevra deglutì un boccone amaro, datole in pasto dal tono tagliente e sarcastico della ventunenne, sentendosi ferita.
Morgana non se ne dispiacque, né tanto meno perse tempo a scusarsi: Gwen si comportava come una povera illusa. Credeva che lavorare per un mese nel locale del suo ex ragazzo potesse riaggiustare le cose, che tutto sarebbe tornato come prima. Ginevra, a ben pensare della Pendragon, era solo un’ingenua. Niente sarebbe mai tornato come due anni fa. Tutto era cambiato.
Raggiunse Mordred, lasciandosi la mulatta alle spalle.
Gwen si mordicchiò l’interno labbra risentita, mormorando: «Comunque, hai un aspetto orribile».
 
 
 

7 anni prima…





«Quel bastardo doveva pagarci due giorni fa», la voce di Aridian si espanse nel garage lercio come una malattia che si diffonde nel corpo. «Io non ho visto né i suoi luridi soldi né la sua schifosa faccia d’animale!»
Agravaine, in piedi difronte all’uomo, tremava sperando che non si notasse; teneva la pistola lungo il fianco e gli occhi scuri fissi sulla vena ingrossata di Aridian.
Merlin era alle spalle dello zio, le spalle possenti dello zio. Per assurdo, in otto anni di surreale convivenza, il ragazzino aveva imparato a comprendere quanto Aridian fosse agitato dalla postura della sua schiena e delle sue spalle. Talvolta, anche dai suoi passi.
«Io ho fatto come mi hai detto, Aridi-»
«Sai cosa succede se quella merda dice tutto alla polizia? Siamo fottuti, Agravaine, fottuti!» Ruggiva, sondava la preda e si preparava all’attacco. Aridian era il re della criminalità. Meschino, sleale e bugiardo. Il ritratto perfetto del peggio del mondo. «Quante volte devo dirti che le femminucce non mi piacciono?» Il leone si avvicinava alla sua preda, l’annusava con disprezzo e poi le sputava in un occhio.
Agravaine subì l’umiliazione senza pulirsi il volto. Per quel che valesse, Merlin lo riteneva già sporco.
«Non è stata solo colpa mia, Aridian.» La preda spaventata cercava riparo dalla bestia, guardandosi con occhi spaventati intorno, cercando possibili scappatoie. «E’ stato il ragazzo a suggerirgli di uscire dal giro».
Merlin poté già riassaporare il gusto familiare del sangue nel palato o lo strano senso di dolore allo stomaco quando Agravaine lo indicò col mento. Aridian si voltò come un leone famelico. Rincorrendo una lemure si era imbattuto in una gazzella impaurita.
Merlin non avrebbe mai dimenticato il rumore delle sue scarpe sul pavimento umido di quel posto che puzzava di urina. Aspettava di cadere con la faccia sul pavimento. Forse ne avrebbe assaggiato la fragranza discutibile con la lingua, magari con un dente rotto, magari con un occhio nero.
Aridian si fermò dinanzi al ragazzino. Merlin gli arrivava al petto. Sentiva i suoi occhi velenosi al di sopra del suo capo. Lo stavano picchiando. Lo stavano picchiando e ridevano di lui, quegli occhi.
«Sai cosa vuol dire fare la cosa giusta, Merlin?»
Il tredicenne non ebbe il coraggio di rispondere. La voce perentoria dello zio gli fracassò le orecchie. «Ti ho fatto una dannata domanda!»
Tremò. Merlin si maledisse per essersi concesso tale debolezza: Aridian gioiva della fragilità degli altri. Merlin era uno stupido. Suo zio glielo ripeteva ogni giorno.
Strinse forte i denti, sollevando lo sguardo sull’uomo. Gli tremolava il mento eppure riuscì a non degnarlo di una parola, guardandolo con disprezzo.
«Sei un ragazzino stupido, Merlin. Quasi quanto tuo padre», rise, poggiandogli una mano sulla spalla stringendogliela forte. «Patetico come tua madre».
Nell’udire nominare i suoi genitori, Merlin cercò di ritrassi con forza senza riuscire a contrastare la morsa dolorosa e prepotente dell’uomo. «Occorre apportare un radicale cambiamento.» Aridian sollevò un angolo della bocca all’insù e il nipote rabbrividì. «Date una pistola al ragazzino stupido».
Merlin vide passare una pistola dalle mani di Helios a quelle di Agravaine fino ad arrivare tra le dita di suo zio. Aridian gliela porse con malata cortesia. Quell’arma, quell’arma nelle sue mani era così fredda…
Merlin non ebbe il coraggio d’impugnarla. La lasciò riposare sul suo palmo per un po’, sentendo il resto del corpo ibernarsi di colpo. Possibile che all’Inferno facesse così freddo?
Strinse il manico, senza alcuna reale intenzione di farlo.
 «Oggi diventa un uomo».




 
 
**



 
 
 
 
Merlin spense il motore, rimanendo con le mani fisse sul volante e lo sguardo oltre il parabrezza. «Abbiamo dimenticato qualcosa».
«No, non è vero».
Freya si slacciò la cintura di sicurezza, pronta ad aprire la portiera e avviarsi verso l’entrata secondaria del Pendragon’s, quando la voce del ragazzo riempì nuovamente l’auto. «Forse… Forse dovrei tornare indietro e controllare meglio nell’appartamento, probabilmente in cucina o in soggiorno. Ho sicuramente dimenticato la patente».
Freya scosse il capo, muovendo automaticamente una mano verso quella del corvino. «Ti ho visto prenderla, Merlin. È tutto okay».
Un tempo mi chiamavi amore.
No, non è tutto okay. Niente è okay. Perché non riesci a vederlo, Freya?
Perché non riesci a vedermi?
Durò un brevissimo attimo. Le dita di Freya sfiorarono il dorso caldo della sua mano e Merlin si illuse che, solo per un istante, fosse tornato tutto alla normalità.
«Ma se non entriamo entro i prossimi cinque minuti, il tuo amico porrà fine alle nostre “stupide e insulse vite”».
Merlin sogghignò, grattandosi la tempia con un dito. «Credo che tu abbia ragione».
«Poi ci sono le nuove divise, oggi».
Le labbra rosee di Merlin s’incresparono, ritornando ad una consueta linea retta. Le divise, certo.
Quelle scelte da Morgana, dopotutto. Come dimenticare?
Il sol pensiero di rivederla lo metteva in ansia. Lo agitava.
Li ricordava ancora, quegli smeraldi acquosi. Li ricordava perfettamente mentre cadevano a pezzi perché lui la stava mettendo da parte.
Aveva scelto Freya. Freya.
Freya.
Si slacciò la cintura con un gesto secco, infilandosi le chiavi nei jeans, saltando giù dall’auto.
La mano di Freya rimase per qualche secondo immobile, sollevata di qualche millimetro dal volante.
 







 
Quando Merlin e Freya fecero il loro ingresso nel bar, le loro mani erano timidamente intrecciate l’una in quella dell’altro. Era un contatto gracile, spezzabile con una minima folata di vento.
Gwen era l’unica, dopo Arthur, che Merlin notò sorridere. Se ne stava seduta su un divanetto in pelle intenta a fissare lo scatolone poggiato sul tavolo. Appena li vide entrare il suo viso s’illuminò e Merlin credette di rivederla con uno zaino sulle spalle, fuori i cancelli del liceo.
«Merlin!»
Prima ancora che il corvino potesse emettere fiato, la mulatta gli gettò le braccia al collo, stringendolo contenta. «Sono così felice di rivederti».
Merlin ridacchiò impreparato a tutto quell’affetto, aggrottando lievemente la fronte. «Ehm… Anch’io?»
Gwen, rimasta ad occhi chiusi nell’abbracciare il suo vecchio amico, si staccò repentina dalla stretta sentendo le gote imporporarsi vergognosamente alla vista di Freya. Gesticolò confusa, muovendo la mano prima verso Merlin poi in direzione del proprio petto. «S-Siamo amici. Non che io saluti così tutti i miei amici… Beh, non saluto neanche Merlin così tutti i giorni, ma lui è più di un amico… N-Nel senso che è stato il mio migliore amico, non che ci sia mai stato qualcosa di più profondo tra di noi! E’ sol-»
«Va bene, Gwen. Ha capito».
Il giovane Emrys ritenne opportuno intervenire, e bloccare l’intrecciato e disorientante flusso di parole di Ginevra, data l’espressione impacciata di quest’ultima e quella altrettanto confusa di Freya. «Come mai sei ancora qui?»
Gwen assunse un’aria perplessa. «Ci sono i nuovi turni», spiegò. «… E le nuove divise…»
«Arthur ha aspettato tutto questo tempo per pagarti?» chiese quasi sconvolta Freya, adagiando la sua borsetta su un tavolino.
Merlin scosse il capo, portandosi le mani ai fianchi. «E’ proprio un asino».
Gwen aprì la bocca interdetta, cercando mentalmente le parole più adeguate per controbattere, ma i suoi vani tentativi di legittima difesa andarono in fumo nell’esatto momento in cui la voce un po’ troppo alta di Morgana rivestì le pareti del Pendragon’s: «Questa divisa è perfetta! Anche tu sei quasi perfetto vestito così».
Quando gli occhi azzurri di Merlin cercarono l’origine di quel timbro familiare, trovarono la figura di una Morgana sorridente, occupata a dispiegare eventuali pieghe dal petto del suo Mordred.
«Aspetta di rivedermi con niente addosso», aveva sentito bisbigliare da Mordred, senza alcuna traccia d’impaccio.
Fece male, solo per un po’.
Come se li avesse richiamati, quei due smeraldi rari e luminosi si scontrarono con le sue iridi chiare e il sorriso che prima regnava indisturbato sul volto della corvina morì lentamente in una smorfia di delusione, come un bambino che ha appena scoperto la verità su Babbo Natale.
Il cuore rallentò, solo per un istante.


 
«Morgana! Morgana, ti prego, fermati!» Merlin ansimava, scendendo in lacrime dalla macchina, che aveva soffiato al vecchio Gaius senza una spiegazione, non appena aver letto i messaggi di Arthur. «Posso spiegarti, ti prego, fermati!»
La ragazza non aveva fiatato. Si era trascinata le valige verso il taxi in folle, accostato al marciapiede accanto al cancello di Villa Pendragon.
Morgana aprì la portiera dell’auto senza degnarlo di uno sguardo, mentre l’autista le sistemava i bagagli nel cofano.
Merlin si sentì morire: la stava perdendo.
Cadde in ginocchio, strisciando fino allo sportello del taxi spalancato. «Ti scongiuro, credimi! Non andare via, ti prego».
Si era mai umiliato così tanto?
Morgana non volle sapere scuse. Intercettò i suoi occhi lacrimanti e spezzati con due smeraldi contaminati dall’odio. Non parlò, Morgana. Urlare nel loro appartamento dopo aver scoperto quella roba nello zaino del suo ragazzo era stato abbastanza. Chiuse la portiera con forza, provocando un tonfo sordo.
Merlin si allarmò, picchiettando la mano contro il vetro. «No! No!»
Il taxista chiuse il cofano, ritornando al suo posto di guida.
«Morgana ti prego fermati, ascoltami!» Merlin schiaffava il palmo della sua mano contro il vetro, ma l’unica risposta che ricevette dalla corvina fu una sciarpa indossata al collo e un cappello adagiato con cura sul capo. «All’aeroporto», la sentì dire all’uomo al volante.
«No! No!», Merlin scosse con veemenza il capo, rivolgendosi all’autista: «Si fermi, la prego, si fermi!»
«Parta!» Ordinò Morgana, tradendosi con un timbro spezzato dal pianto imminente.
L’auto cominciò a muoversi, mentre il cielo di Londra si colorava d’argento. C’era bianco ovunque, soffice e gelida neve sul suolo. Merlin si sentì cadere a pezzi. «Io ti amo, non andartene! Non andartene…»
Cercò di inseguire il taxi. Voleva inseguire il taxi, ma il suo corpo era gelido come la neve. Rimase immobile, con i piedi sull’asfalto. Le parole, tutte le parole che aveva pronunciato, si persero nel vento.


Morgana si voltò verso il suo uomo, prendendogli la testa tra le mani, sovrapponendo le sue labbra a quelle di Mordred. «Quasi perfetto».
Già, si ritrovò a pensare Merlin, era quasi perfetto.
Sentì un soffocante nodo allo stomaco ed avvertì l’immediato bisogno d’aria.
Scivolarono via, le sue dita, lontane da quelle di Freya.
Aveva bisogno d’aria e non si era neanche accorto dell’occhiata dispiaciuta che la sua fidanzata gli aveva riservato. Non si accorse neppure di un paio d’occhi blu come l’Atlantico che, seminascosti da ciocche dorate, aveva incontrato un amareggiato sguardo di terra umida.
 




 
 
«Bene», Arthur si sfregò le mani, volgendosi ai suoi dipendenti, seduto su uno sgabello accanto al bancone. «Come avete potuto notare», disse indicandosi la divisa da lavoro appena indossata, «sono stati apportati alcuni cambiamenti».
«Extralarge…», mormorò Freya, osservando di sottecchi la camicia fin troppo larga con lo stemma di un drago dorato che le ricopriva buona parte del seno sinistro.
La risatina vittoriosa di Morgana venne accompagnata dal semirimprovero impreparato del biondino: «… Che provvederemo a ridefinire con cura e dedizione».
Gwen, in piedi al fianco di Merlin, si guardò intorno spaesata con le sopracciglia corrucciate. «Io non ho la divisa…», osservò in un sussurro.
«Ad ogni modo», riprese fiero e impettito l’Asino, «ci impegneremo affinché il Pendragon’s Coffee brilli di luce propria oscurando le altre stelle che, signori, per voi dovranno essere anonime».
«Sembra un incrocio tra un’osservazione filosofica e un piano d’attacco militare», commentò Merlin.
Arthur sollevò un dito verso i baristi, lasciandolo scorrere lentamente dinanzi ai loro occhi. «Chiunque riderà alle sue battute verrà licenziato. Seduta stante».
Gwen si premurò di cancellare immediata ogni traccia d’ilarità dal suo volto.
«Non sarò transigente. Non tollererò eccessivi ritardi o assenze non comunicate in precedenza.» Arthur li squadrò uno ad uno con autorevolezza, memore di rimproveri paterni. «Chi oserà pensare, anche solo per un secondo, di mettere in secondo piano i problemi del bar sarà annotato nella lista nera».
I baristi rimasero muti nell’attesa di veder spuntare fuori dal nulla – forse per magia – un block notes e una stilografica nera petrolio ma, alla vista dei post-it magenta, si guardarono straniti.
«Come ho già detto prima, provvederemo a ridefinire alcuni dettagli», liquidò la faccenda l’Asino, con un vago gesto della mano. «Per evitare la lista nera dovrete: rispettare i turni, non essere negligenti; soddisfare la clientela, sempre e comunque. Questioni personali accantonate», Arthur tossicchiò tentando di evitare lo sguardo di un dipendente in particolare, continuando la sua conta sulle dita, «possibilmente, nell’orario lavorativo. Rispettare il vostro datore di lavoro. Questo è il Pendragon’s Coffee, signori. Chi non vuole restare – o crede di non poterlo sopportare – è libero di andarsene».
Arthur dovette ammettere a se stesso che desiderava da una vita pronunciare austeramente quelle parole. Chi non l’aveva mai sognato, almeno una volta nella vita? Continuava a chiedersi.
Timidamente, una mano si sollevò in alto.
Arthur lo scrutò con sincera meraviglia, sorridendo beffardo. «Merlin!», lo canzonò. «Divulga pure le tue perplessità».
«Ci è concesso respirare?» ironizzò quello.
«Chiunque riderà a questa battuta…»
A levarsi in alto, proprio come quella di un nerd egocentrico e ansiogeno, fu la mano di Gwen.
Arthur la guardò vagamente a disagio mentre continuava a tenere fissa la sua mano spiegata in attesa di risposta, col viso concentrato e contornato da riccioli castani vaporosi.
«Sì, Gwen
«Io non ho la divisa», fece nota. «E’ un dettaglio da rettificare, giusto?»
Sorprendentemente, il biondino rimase a bocca semiaperta – forse meditando risposta – senza articolare mezza sillaba.
Gli occhi chiari di Merlin cercarono il volto di Arthur. L’Asino era in una posizione incomoda e non gli servì capirlo dal modo in cui si mosse sullo sgabello; gli bastò guardarlo in faccia per una frazione di secondo.
«Ecc-»
«Io ho una domanda migliore!»  Morgana sciolse le braccia dal petto, agguantandosi i fianchi. «Perché siamo qui nel nostro giorno libero?»
Il Pendragon parve rasserenarsi dell’intervento di quell’arpia di sua sorella – che ogni tanto dava l'idea di stare dalla parte del bene -, abbandonando Ginevra e la sua domanda in secondo piano, sorridendo sornione al quesito di Morgana. «Qualcuno di voi sa cos’è un marchio di fabbrica?»
«L’elemento principale con il quale viene identificata e memorizzata un’azienda…» Mordred alzò un angolo della bocca all’insù. «L’arroganza, per i Pendragon».
Il francese non si lasciò intimidire dalle occhiatacce che Morgana e Arthur gli riservarono, ma si concesse addirittura il lusso di lanciare uno sguardo complice al sorrisino di Freya.
«No», lo redarguì l’Asino. «E’ la chiave per il successo».
Arthur si sfilò il cellulare dalla tasca dei suoi pantaloni, muovendo l’indice sullo schermo, mostrandolo ai suoi colleghi qualche secondo più tardi.
I baristi dimenticarono frivolezze e battutine, avvicinandosi abbastanza da avvertire l’eccessiva luminosità dello smartphone.
«Ma è…»
«Un drago», Merlin concluse la frase di Gwen, lasciando che la sua bocca si aprisse in una sottospecie di O. Un po’ come tutti gli altri, del resto.
«Un drago», confermò il Pendragon picchiettando il dito sul display. «Il nostro marchio di fabbrica».
«Ma… nessuno di noi sa disegnare un drago sulla schiuma», osservò Freya insicura, dando un fugace sguardo a tutti i colleghi. «Giusto?»
Morgana ghignò compiaciuta. «Potrebbe essere divertente».
«Esatto!» esclamò il Pendragon, indicandola. «E’ questo lo spirito giusto. Questo è l’atteggiamento che dovrete assumere ogni Mercoledì sera per tre settimane».
Merlin aggrottò vistosamente la fronte, forse anche impallidendo. «Ogni Mercoledì sera?!»
«Per tre settimane», aggiunse lesto il biondino, sogghignando. «A meno che io non abbia sottovalutato i vostri tempi di apprendimento, ma, come ho già detto in precedenza, se qualcuno non si sentisse all’altezza è libero di andarsene».
«Io ci sto!»
La risposta di Gwen fu pronta, piatta. Impossibile da replicare.
La mulatta sapeva bene cosa aveva visto: un drago sputa fiamme di schiuma bianca che galleggiava su una tazza ripiena di caffelatte.  L’idea di riprodurre un qualcosa di simile l’agitava; non sapeva neanche come fare la schiuma, lei! Ad ogni modo, quella era la sua occasione di rivalsa, la chiave del successo, la certezza che le serviva.
Quel drago… Quel drago era la sua Excalibur!
Gli altri, diversamente da Ginevra, non sembrarono prenderla altrettanto bene.
Mormorii di sottofondo riempirono il bar in un batter d’occhio; Arthur l’aveva previsto, certo, e proprio per questo motivo impugnò i post-it come una spada magica, intimando ai suoi dipendenti: «Non vi è concesso lamentarvi! O imparate a disegnare un dannatissimo drago su ogni cappuccino o vi segnerò sulla lista nera, e ogni segnalazione equivarrà ad un passo verso il licenziamento».
Morgana cacciò nervosamente aria dal naso stile toro furioso, stringendo le mani in due pugni. «Mi viene da vomitare!» Si lagnò, scomparendo indispettita verso la porta del bagno del Pendragon’s.
Arthur prese tra le mani una penna rossa – uscita fuori dal nulla – scribacchiando chissà cosa sul post-it magenta.
Freya e Mordred preferirono non proferire parola.
«Quando cominciamo?» s’informò Gwen.
«Oggi stesso», Arthur rinfoderò l’arma del delitto – comunemente chiamata bic rossa – adagiando i fogliettini colorati sul bancone.
Freya si guardò la maglia esageratamente larga per la sua corporatura minuta, ricordando quanto fosse irritante lavorare con Morgana Pendragon – donna che le aveva ordinato di proposito una divisa di forse quattro taglie in più alla sua -, sentendosi gli occhi di Arthur – uomo perdutamente innamorato del suo ragazzo che, tra parentesi, non aveva fiatato alle frecciatine della sua ex – addosso. Increspò le labbra in una smorfia scuotendo il capo, ficcandosi con la testa negli scatoloni: da qualche parte doveva pur esserci una divisa small.
Mordred si limitò a rispondere allo sguardo di sfida del biondino, a cui ogni mattina da quella parte, rubava i cereali con un sorriso diplomatico.
Merlin, tuttavia, fu l’unico a non arrendersi a quella minaccia.
Indignato, boccheggiò alla ricerca di concetti sensati. «Tu… TU non puoi farlo! Siamo tuoi dipendenti non tuoi servi! Noi… Noi abbiamo diritto alle nostre lamentele quotidiane e ai nostri sbagli, ma soprattutto abbiamo bisogno del nostro giorno libero!»
L’Asino non si scompose. Ascoltò pacificamente lo sfogo del ragazzo in silenzio.
Un mese.
Arthur aveva trascorso un mese nella convinzione di essere innamorato del suo migliore amico. Non poteva negarlo, non poteva nascondersi come un codardo, ma in quell’arco di tempo era anche giunto alla conclusione di non essere gay e che mai e poi mai lo sarebbe stato – forse Uther lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani, ripetendogli quanto lo avesse deluso. Come tutte le volte. Ginevra era stato già un duro colpo per il loro rapporto.
In quel mese era riuscito ad accantonare persino la storiella segreta di Merlin e Morgana, in parte grazie alla presenza costante di Mithian.
Doveva solo comprendere il motivo della quella strana attrazione. Forse era innamorato di Merlin ma non lo amava. Forse lo amava ma non ci sarebbe mai andato a letto, forse…
«Suoni ancora la chitarra, Merlin?» L’Asino lo guardò curioso, attendendo una reazione.
Merlin sembrò pensarci per davvero, dimenticandosi quasi nell’immediato la discussione di poco prima. «Beh, non la suono da parecchio, in effetti».
«Bene. Direi che è ora di riprenderla tra le mani.» Arthur allargò le labbra in un sorrisino insopportabile, con l’evidente intenzione di chiudere lì la questione.
«Cosa?!»
«Non vorrai esibirti dinanzi ai miei clienti senza esercitarti?»
Incredibile.
Merlin rimase letteralmente senza parole. Che invece di un ortopedico, dopo l’incidente, l’Asino avesse avuto bisogno di un controllo neurochirurgico?
«N-Non c’era scritto nel contratto!» si difese il corvino.
Il Pendragon lasciò ricadere casualmente la mano sui post-it, carezzandoli come gattini desiderosi di coccole.
Merlin gli dedicò una smorfia oltraggiata. «Non ho paura dei tuoi post-it!»
«Davvero?» il sopracciglio dorato dell’Asino s’inarcò a mo’ di sfida.
Merlin non diede cenno di cedimento. «Davvero».
Ginevra, che nel frattempo si era distratta avvicinandosi a Freya per controllare se in un remoto angolo dello scatolone ci fosse una divisa anche per lei, fece qualche passo indietro avvicinandosi ai due ragazzi. «A che ora le lezioni?»
La voce di Gwen toccò appena le loro orecchie. Erano concentrati tanto da far invidia allo studente più attento del corso: quando Merlin e Arthur si guardavano negli occhi, il resto del mondo spariva nel nulla.
Ginevra tentò di mantenere vivo il suo sorriso cortese, ma i ventenni rimasero fermi nella loro posa infantile. Sospirò, Gwen, senza curarsene più di tanto: ci era già passata e sapeva perfettamente cosa accadeva quando la squadra litigava…
 



 


2 anni prima…




Merlin rimase con lo sguardo fisso nel vuoto, le mani molli e la cintura di sicurezza allacciata.
Morgana era andata via, lo aveva lasciato. Morgana sapeva della droga. Morgana non sarebbe più tornata.
Se suo zio l’avesse visto in quel momento, gli avrebbe dato del ragazzino stupido che frigna come un poppante.
Le sue guance erano ancora umide, le sue labbra serrate senza forza.
Cosa avrebbe fatto adesso? Che senso avrebbe avuto tornare a casa?
Dal sedile del passeggero, il suo cellulare vibrò illuminando lo schermo. Merlin si precipitò a leggere il nome del mittente, credendo si trattasse di Morgana, ma alla vista del nome ‘Arthur’ avvertì nuovamente il freddo pervadergli ogni centimetro di pelle, penetrando nelle ossa.
Si lasciò ricadere contro il poggiatesta, con gli occhi assenti.
Era tutto bianco. Non c’era nessun rumore. Era tutto fermo.
Sgranò gli occhi innaturalmente: Arthur gli aveva inviato un messaggio.
La lettera! Merda! Merda! Merda!
 


 
*





Merlin temette di finire in gattabuia per eccesso di velocità: non aveva mai guidato così imprudentemente in tutta la sua vita.
Come gli era saltato in mente?! Scrivere una lettera ad Arthur dove gli spiegava tutta la situazione che stava vivendo, il perché avesse deciso di abbandonare Londra e tutte le persone che amava per coronare il suo sogno d’amore a Parigi. Come gli era saltato in mente?!
Parcheggiò malamente l’auto – e forse Gaius l’avrebbe ucciso una volta tornato da lui -, scendendo frettolosamente, lasciando la portiera aperta e le chiavi sul cruscotto.
Avanzò verso il portone col cuore che gli batteva a mille nel petto, senza più ossigeno nei polmoni. Bussò al citofono cinque volte prima che gli aprissero. Il corvino si catapultò su per le scale, ignorando bonariamente l’ascensore – che avrebbe sicuramente bestemmiato come stava facendo con se stesso in quel momento.
Gwen lo aspettava sulla soglia della porta, i capelli umidi ancora raccolti in un asciugamano.
«Devo vederlo», esalò col poco fiato a disposizione. «Dov’è?», chiese allarmato.
Ginevra aggrottò la fronte confusa. «E’ in cucina che cerca di cucinare almeno una bistecca, ma… che è successo?»
Merlin carezzò affrettatamente il braccio dell’amica come segno di ringraziamento, raggiungendo a grandi passi la cucina. Arthur, provvisto di un imbarazzante grembiule rosa con i fenicotteri, lo guardò come se fosse pazzo. «Che diamine ti prende?! Se hai fame e il vecchio non ti dà ciò che vuoi va’ al ristornante o al Fish&Cips
«Mi serve il tuo libro di Fisica».
Il biondino schiaffò la carne sulla griglia, provocandone un ammasso di fumo. «Cosa?!»
«Mi serve!», insistette il corvino. «Adesso!»
«Io sto cucinando!»
«Lo vedo! E mi dispiace per quella povera bistecca, ma io ho bisogno del tuo libro!»
Arthur sbuffò una risata isterica, indicando il cibo con la forchetta. «Lei è al sicuro con me. Il libro è in soggiorno, nella cartella».
Merlin allargò le labbra in un sorriso sincero per quella notizia che sembrava la prima cosa buona della giornata, sbrigandosi a dirigersi verso la stanza.
Arthur scosse il capo con disapprovazione, concentrandosi sulla sua cena: doveva fare bella figura con Gwen. Rigirò la carne, facendo sì che altro fumo si disperdesse in cucina, quando sentì ritornare indietro quell’idiota di Merlin.  Aveva una faccia spaurita.
«Che c’è?» gli chiese brusco.
«Non l’hai aperto, vero?»
Arthur aggrottò le sopracciglia dorate, chiedendosi cosa fosse mai successo a quell’idiota del suo amico. «Oggi sei più stupido del solito: certo che non l’ho aperto!»
Il corvino emise un sospiro di sollievo interiore, sorridendo come un beota. «Lo sapevo!» decretò, felice che il suo piano “non lo leggerà finché non torneremo a scuola” avesse funzionato. «Ti prego, Arthur: sii sempre te stesso!»
Il Pendragon, rassegnato dal capire quello che la mente contorta di Emrys stesse escogitando, si limitò a guardarlo con sarcasmo e compassione. «E tu prova ad esserlo di meno».
Merlin diede un’occhiata intorno a sé, notando che il piccolo tavolo in cucina era stato abbellito con delle candele. «Tom?» chiese.
Arthur finse un sorriso a denti stretti. «Via per il weekend.»
«Oh…» Il diciottenne comprese di aver interrotto ciò che l’Asino agognava da giorni interi. «Io a questo punto dovrei…»
«Dovresti», confermò il biondino, rafforzando il suo falso sorrisino.
Merlin sollevò le mani in segno di resa, indietreggiando lentamente. «Comunque si sta bruciando», gli fece nota.
Arthur sbarrò gli occhi, voltandosi repentino verso la sua bistecca, imprecando contro tutte le mucche del mondo.
Ne rise divertito Merlin, uscendo dalla cucina con la lettera nascosta nella tasca della sua giacca.








Relie's corner
- Credo si sia capito, ma è sempre un bene precisare: il capitolo è ambientato un mese dopo la fine della prima parte della storia;
- Gwen è stata assunta per aiutare nel bar, ma la ragazza ignora che ormai non serve più: sono al completo;
- Nel "ricordo" dell'addio tra Merlin e Morgana, nel mio immaginario Arthur ha avvertito Merlin che sua sorella stava lasciando Londra, ma solo per curiosità;
- Ovviamente il regolamento di Arthur non è per nulla verosimile (almeno spero).
- Nel prossimo capitolo ci sarà una rivelazione shoccante.

Angolo domande **
- Secondo voi, chi riuscirà per primo a disegnare un drago sulla schiuma?
- Quale sarà la rivelazione shoccante?
- Riuscirà Relie a pubblicare il capitolo prima di Natale?


SPOILER (prossimo capitolo):

Sollevò lo sguardo dalla tazza fumante ritrovandosi il volto attento di Arthur concentrato su di sè. 
L'Asino si era soffermato così tanto sulla curva delle sue labbra, sperimentando se nascesse in lui l'impellente desiderio di raggiungerle, da non accorgersi di essere stato colto con le mani nel sacco.

«Perché mi fissi?» chiese Merlin, leggermente infastidito dal comportamento del Babbeo quel giorno.
«Io non ti fisso» si difese, ritraendosi dal bancone su cui si era bonariamente appoggiato con i gomiti.



Alla prossima!


 
   
 
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