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Autore: QWERTYUIOP00    03/12/2015    2 recensioni
Un complotto svelato.
Un emissario attaccato.
Due città in rivolta.
E tanto, tanto sangue.
Seconda storia della serie "Downfall"
Genere: Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Downfall'
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Una dura contrazione della gamba lo svegliò.
L’arto bruciava. Il Khajiit tratteneva a stento le imprecazioni mentre un gelido sudore permeava tutto il suo pelo e aveva reso la sua coperta fradicia, se così poteva chiamarsi quello straccio.
Si guardò intorno, spasimante.
Riconobbe le spoglie pareti della sala d’addestramento della Gilda dei Guerrieri, ma il pavimento era ricoperto di tappetini con gli stracci, come quello su cui era in quel momento che erano, però, vuoti.
“C’è stata una battaglia? Gli Imperiali sono arrivati?” si chiese S’virr mentre a fatica cercava di sollevare il collo per guardarsi attorno “Forse Tsavi me lo può spiegare, ma perché non è qui con me?”
Poi si ricordò.
I dolorosi ricordi si ripresentarono, più vivi che mai assieme alle fitte.
Si ricordò di Tsavi, si ricordò della guarnigione, si ricordò della contessa.
Un’ombra gli oscurò il cuore.
La contessa…
Tsavi...
Subito dopo, fece leva col suo gomito sinistro per sollevare la schiena.
Violente fitte lo percorsero come fulmini mentre il busto si reggeva nonostante i violenti spasmi.
La mano destra esplorava tra le pieghe del tappetino fradicie per il sudore e, a giudicare dal puzzo, permeate di altri liquidi corporei, e lo trovò.
Un impacco di carta unto con essenze di erbe medicinali, ma intrisa anche di sangue era attaccato alla sua schiena, proprio dove prima vi era la sua coda.
Sconfitto dal dolore, ritrasse velocemente la mano mentre lasciava cadere la schiena sul duro pavimento, imprecando.
Eppure non uscì nessuna parola dalla sua bocca troppo arida.
-Aiuto!- cercò di gridare cominciando a sbattere sul pavimento la mano destra –Aiuto!-.
Qualcuno parve sentire quei rantoli: una donna avvolta nelle vesti di guaritrice sbucò da dietro una grata, curiosa.
Dalla faccia che fece parve sorpresa.
Prese una caraffa d’acqua su un tavolo adiacente e gentilmente versò il fresco liquido sulla sua bocca.
La lingua del Khajiit si divincolò come impazzita per cercare di ricevere più acqua possibile per poi passare lungo le labbra pelose ancora umide.
Il ferito si schiarì rumorosamente la gola.
-Sei sveglio, dunque- osservò la guaritrice con un velo di pietà verso il paziente.
S’virr  non mancò di notarlo, provando una profonda repulsione per quell’innocente donna.
-Hai dormito per due giorni- gli annunciò la guaritrice –Eri l’unico ferito rimasto e mi rammarico nel confidarti che ancora mezza giornata senza un segno di vita e avremmo avuto l’ordine di buttarti nel fiume, come per i morti della battaglia al castello-
Il paziente inarcò le sopracciglia grottescamente “quindi Tsavi…”.
-Oh, non fare quella faccia- gli disse la donna seria –non l’ho scelto io. Ordine della contessa. Voleva che ci si fosse occupati dei feriti prima della sua partenza-
-Pa… partenza?- chiese il Khajiit.
-Sì- confermò l’altra –siamo sempre in guerra, non trovi? La contessa sta per partire con quasi tutta la guardia cittadina e la guarnigione per Bravil. In qualche modo dovremo farci perdonare per la nostra ribellione, non credi?-
S’virr rimase in silenzio.
-Personalmente, non ci vedo nulla di sbagliato. Ha veramente fatto male la contessa? Io sono una guaritrice, quindi conosco la guerra e, aldilà del fatto che sia giusta o sbagliata, questo mi sembra il modo più veloce per finirla, perciò è sicuramente la cosa giusta-
L’iniziale repulsione del paziente si tramutò in odio incondizionato.
-Vedo che non sai dire molto altro, oltre che aiuto- osservò ironica la guaritrice –un po’ egoistico, non trovi?- e si allontanò.
Dopo qualche minuto tornò con una gruccia di legno sotto il braccio.
-Ed ora, non me ne volere male, ma, se riesci a reggerti in piedi, dobbiamo dimetterti- annunciò porgendogli la mano e la gruccia –sempre ordini della contessa, mi dispiace. Ora puoi tornare alla tua famiglia-
“Io non ho una famiglia” rispose mentalmente S’virr mentre, con l’aiuto della donna si sollevava.
Per qualche momento la stanza cominciò a girare e le sue gambe si fletterono, ma venne intercettato dalla guaritrice che lo risollevò e gli mise sotto il braccio destro la gruccia.
Una volta in equilibrio, Khajiit chiuse gli occhi e contrasse i muscoli per evitare le vertigini e cercare di contrastare le fitte alla gamba ma gli apparve subito Tsavi.
Gli stava sorridendo.
Aprì subito gli occhi.
-Forse è meglio che aspetti ancora un po’, se non te la senti- propose la donna, preoccupata.
-No- rispose il paziente scuotendo la testa per enfatizzare la risposta –no, io devo andare-
-Sei sicuro?- continuò lei -In questo momento stanno per giustiziare il conte Caro, non mi sembra un bello spettacolo. È meglio che tu rimanga…-
-No- ribadì S‘virr mentre quasi ringhiava –io… devo andare. Mi stanno aspettando-
-Nessuno è venuto a trovarti- disse la guaritrice dubbiosa –chi ti sta aspettando?-
Il Khajiit cominciò a camminare con l’aiuto della gruccia, non pensando alla fatica che avrebbe fatto nel salire le scale della sede della Gilda.
“La contessa Alessia Caro” rispose tra sé e sé.
 
 
 
Appena fuori dalla Gilda S’virr cercò subito una panchina su cui sedersi.
Aveva sottovalutato troppo le scale e la gamba era un inferno per lui.
Rimase per qualche momento a guardarsi intorno. A guardare la sua città, a guardare se stesso.
Bastava un paio di gradini a sfinirlo.
“Io… io ero un guerriero” pensava.
“Ma ora non lo sono più. Sono un mutilato, un peso… ormai non sono più neanche un uomo, non ho neanche più la coda. E sono solo”
Forse ce l’avrebbe fatta a sopportare quella situazione, ma non da solo, no.
“Ho bisogno di Tsavi” continuava mentre lacrime fredde come pugnali gli solcavano gli zigomi.
Riparò il viso tra le mani e chiuse gli occhi.
“Dove sei?!”
Ed eccola lì, sorridente lo guardava con i suoi dolci occhi.
Non ce la faceva a sopportare quelle visioni. Riaprì gli occhi e si asciugò le lacrime.
Delle urla lo richiamarono.
“L’esecuzione, giusto” ricordò.
Zoppicante, si diresse più velocemente possibile verso la piazza antistante il castello, dove si era radunata una piccola folla.
Davanti a tutti era stato allestito un piccolo patibolo di legno.
Sulla piccola piattaforma  lignea vi erano la contessa, vestita con un sobrio vestito azzurro, che osservava con sguardo austero la scena, il boia che, a giudicare dalla faccia, era alquanto spaesato, probabilmente non si sarebbe mai aspettato di dover giustiziare il suo signore, e il conte Caro, che fissava prima sua moglie, poi il popolo, e poi di nuovo Alessia Caro con sguardo torvo, come per giudicarli traditori, come se in quel momento era lui giudice.
Il Khajiit notò che Lucien Caro, l’erede sedicenne del conte era assente.
Ad un certo punto, gli sguardi di Marius e di S’virr si incontrarono.
Il volto del conte si rasserenò, aveva incontrato un alleato, un vero alleato in quella folla di traditori.
La contessa emise la sentenza e il conte decaduto fu fatto inginocchiare dal boia.
Marius Caro volse il suo sguardo verso la moglie, perché guardasse quello che stava facendo.
-Le ultime parole del traditore?- chiese imperiosa Alessia Caro.
-Che uno, almeno uno di questa folla apra gli occhi e ti veda per ciò che sei veramente- rispose sprezzante il condannato –e agisca di conseguenza-
Un cenno del capo e l’ascia calò silenziosa, decapitando il conte.
In quel momento, un uomo in armatura salì solennemente sul palco e annunciò alla folla: -Dopo il banchetto funebre l’esercito partirà. Fatevi trovare pronti-
S’virr conosceva quell’uomo…
Albert Nelles si ritrasse poco dopo, seguendo la vedova che si incamminava verso il castello, a sua volta seguito da alcuni nobili e cittadini facoltosi.
Il sentir nominare il banchetto fece lamentare lo stomaco del Khajiit.
“Non mangio da giorni” osservò mentre si avvicinava zoppicante al patibolo, osservando la testa del conte caduta nella cesta.
Era indeciso. I morsi della fame non erano da sottovalutare, S’virr lo sapeva bene, ma non era sicuro di volersi umiliare a tal punto.
Decise di sì.
La distanza percorsa aveva stancato la gamba del Khajiit e, mentre questo entrava nella sala grande, la gruccia cominciò a tremargli man mano che avanzava esitante.
Raggiunse la sala del banchetto, un pasto molto più sobrio di quello preparato due giorni prima e molto più silenzioso.
Appena entrò, S’virr fu bombardato dagli sguardi degli invitati.
Cominciò la sua questua girando tra i banchi dei commensali, lentamente passava uno ad uno.
Le sue parole erano un sussurro –Pane, vi prego. Un po’ di pane-, i suoi occhi correvano sui volti dei nobili che velocemente abbassavano lo sguardo, come non degni di poter scambiare uno sguardo con lui.
Il Khajiit continuava lentamente e girare.
-Un po’ di pane, vi prego…- solo un sussurro.
Nella sala era calato il silenzio. Stava accadendo proprio ciò che S’virr voleva evitare.
“Nessuno” osservava “nessuno è degno di guardarmi? O io non sono degno di essere guardato? Rispondetemi, vi prego, almeno rispondetemi. Sono un uomo, io! Non sono un insetto fastidioso, un pensiero imbarazzante, non potete dileguarmi col silenzio! Sono un uomo!”
Ma nessuno rispondeva.
Al suo pallido passaggio si presentavano solo pietosi “inchini”.
Sentiva lo sguardo compassionevole di tutti che lo stavano fissando, anche Nelles, anche la contessa.
Ma lui non era degno di risposta.
Ad un certo punto girò troppo stretto di fianco ad un tavolo.
La gruccia gli scappò di mano, lui si piegò avendo come appoggio solo le sue gambe doloranti, e cadde rumorosamente.
Ma l’unico rumore che si sentì nella sala fu la sguaiata risata di Alessia Caro.
-Tutti questi anni da soldato… sprecati- disse ad alta voce –dovevi fare il giullare! Ma c’è ancora tempo. Sei vivo, hai fame. Puoi ancora adempiere alla tua vocazione. Diventa il mio giullare personale, e non patirai la fame. Oggi mi sento misericordiosa, ahah! Sì, io ho bisogno di qualcuno che mi allieti le serate in questa marcia verso Bravil e tu sarai quel qualcuno!- e gli lanciò un’ala di pollo.
Il Khajiit, a quattro zampe, fissò l’offerta per qualche secondo.
Chiuse gli occhi.
Tsavi gli stava ancora sorridendo.
Abbassando il capo, prese l’ala.
 
 
 
Dopo il primo giorno di marcia, l’esercito si fermò nei pressi di un cimitero.
Era un luogo lugubre, ed era esattamente dove S’virr voleva stare.
Davanti all’entrata di un piccolo tumulo vi era una recinzione che delimitava il terreno di sepoltura, illuminato da due fioche fiaccole.
Il Khajiit zoppicò per avvicinarvisi, fermandosi però quando notò che qualcuno era già lì.
Un ragazzo stava scavando.
S’virr decise di continuare; oltrepassando l’apertura nella recinzione schiacciò un ramoscello.
L’improvviso rumore fece voltare l’estraneo che sollevò la pala per difesa puntandola al Khajiit.
“Oh, dei…” pensò S’virr.
Lucien Caro mantenne la punta della pala verso il nuovo arrivato, mentre sulla sua faccia era scolpita un’espressione risoluta.
-Come mai qui- chiese il Khaiit, fermo –signore?- aggiunse poi.
L’altro parve riconoscerlo, ma tenne l’arma puntata.
-Scavo- rispose brevemente –tu?-
-Ormai nessun vivo può farmi compagnia- rispose S’virr –meglio che la cerchi tra i morti-
L’attrezzo venne abbassato.
-Ma certo- convenne Lucien –mi ricordo di te… in effetti tu potresti aiutarmi, se mi prometti di non farne parola con nessuno-
-Dipende. Che cosa hai in mente?- chiese il Khajiit.
-Sto raccogliendo ingredienti- cominciò l’altro.
-Per cosa?- domandò S’virr dubbioso.
-Per il Sacramento Nero- rispose deciso il ragazzo.
“Non… non vorrà?” pensò improvvisamente a disagio l’altro.
-Ha ucciso mio padre- si giustificò Lucien, probabilmente dopo aver visto lo sguardo del Khajiit, come leggendo nei suoi pensieri e confermando le sue paure –lo ha tradito, ha tradito tutti noi. Anche te -.
-E io…- chiese S’virr –in che modo ti dovrei aiutare?-
“Sto veramente pensando di farlo?”
-Io… ho raccolto tutti gli ingredienti. Mancano solo le ossa, ho preparato il sacramento dentro questo tumulo…- spiegò il ragazzo –voglio dire… è sempre mia madre, no? Non credo di riuscire a farcela-
“Questo ragazzo è folle, come può pensare che…”  continuò a riflettere il Khajiit.
-E tu sei sicuro di questa tua scelta?- gli domandò incredulo.
L’altro annuì con decisione, poi prese le ossa e le portò dentro il tumulo.
S’virr rimase fermo sull’uscio della recinzione.
Una volta che Lucien fu uscito gli venne incontro.
-È tutto pronto- annunciò con voce tremolante quello –dentro… dentro c’è un manuale-
Il khajiit stava per dirgli di no quando gli tornò in mente.
Tsavi continuava a sorridergli.
Lottò con tutte le sue forze per distogliere quell’immagine, per dimenticare…
Ma non ce la fece.
In silenzio entrò nel tumulo.
Sulla nuda roccia era stato assemblato uno scheletro, con affianco un cuore umano, il tutto circondato da candele.
Vi erano anche un pugnale e un pezzo di belladonna.
“No, no. Questa è stata una brutta idea, non posso farlo” pensò.
Eppure, dolorante, si inginocchiò e lesse il manuale.
“È stata decisamente una brutta idea, no, no. Non posso farlo” continuava a pensare mentre leggeva.
Ma quando ebbe finito, raccolse il pugnale e lo strofinò sulla belladonna, per poi sollevarlo in aria.
Chiuse gli occhi un attimo e rivide l’immagine che tanto lo distruggeva.
-Dolce madre, dolce madre…- sussurrò mentre scagliava la prima pugnalata contro lo scheletro.
-Invia a me il tuo figliolo…- la sua voce si faceva sempre più forte e le pugnalate più intense –perché i peccati degli indegni devono essere battezzati…-
Aveva cominciato ad urlare mentre quasi gemeva per la violenza dei suoi affondi che sbattevano sulla roccia.
-Nel sangue…- un’ultima accoltellata – e nella paura-
 
 
 
 
   
 
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