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Autore: Adeia Di Elferas    04/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~Girolamo Riario e sua moglie erano entrati a Vicovaro nell'indifferenza generale e Virginio Orsini aveva continuato a ignorare il Conte anche quando era stato condotto al suo cospetto.
 L'importante, in quel momento, era assicurarsi in modo definitivo la zona e per far ciò si decise di mandare subito una staffetta a Tagliacozzo, proponendo alla città una resa onorevole in cambio di una discreta somma. Quel giorno stesso, venne inviato anche un messaggero a Roma, per informare il Santo Padre dell'evoluzione degli scontri e confidare nel suo appoggio.
 “Con un po' di fortuna – diceva Virginio – nell'arco di una settimana avremo una risposta positiva non solo da Tagliacozzo, ma anche da altri paesi della zona e potremo lasciare qualche uomo a reggere il tutto e tornarcene a casa.”
 Caterina era d'accordo e confidava nel fatto che nessuna di quelle città volesse essere sconfitta com'era successo a Vicovaro e che i Colonna, una volta per tutte, riponessero le armi e accettassero una tregua.
 Quella sera, quando poté finalmente ritirarsi, Caterina era stravolta come se fossero passati secoli, da quando quella giornata aveva avuto inizio.
 Stava per congedarsi da Virginio e dal comandante dell'artiglieria, che stavano ancora parlottando assieme ad alcuni soldati di prima scelta, quando avvertì un forte senso di nausea e un dolore molto fastidioso al ventre.
 Tentando di apparire molto calma, si avvicinò a Virginio e gli sussurrò, nella speranza che nessun altro dei presenti sentisse: “Vi prego, trovate un cerusico o un medico che possa darmi subito un parere.”
 Senza dare a vedere quanto quelle parole lo preoccupassero, Virginio annuì e chiamò in disparte uno dei soldati. Gli bisbigliò qualcosa all'orecchio e quello partì immediatemente.
 “Andate pure a riposare nella stanza che abbiamo predisposto per voi. Appena arriverà quel che cercate, lo manderemo da voi, mia signora.” disse Virginio, con un breve sorriso.
 Caterina lo ringraziò e uscì dalla camera, con una candela di sego in mano per farsi luce fino al suo provvisorio alloggio.

 Il medico terminò la sua visita e concluse: “Vostro figlio è in piena salute. E trovo sia sorprendente, visto quello che mi avete detto di aver fatto oggi...”
 Caterina era talmente sollevata dalla notizia da non dar peso al tono di rimprovero che pervadeva la voce dell'uomo che le stava davanti e che la fissava severamente.
 “Vi consiglierei, tuttavia, di stare a riposo nei prossimi giorni. Non cavalcate e soprattutto evitate altre cadute. Questa volta vi è andata bene, miracolosamente bene, ma la prossima volta potreste non essere così fortunata.” proseguì il dottore, scuotendo il capo.
 Caterina lo ringraziò e non accettò altri consigli. Desiderava solo dormire, per quella sera, e ora che l'avevano rassicurata sulla salute della creatura che portava con sé, era certa di potersi fare un bel sonno ristoratore.
 
 La polvere e l'odore del sangue, la scalpitare dei cavalli e il gridare dei soldati. Il caldo del sole e il calore dei corpi che crollavano in terra...
 E poi la sensazione di una stilettata alla bocca dello stomaco e di nuovo polvere e di nuovo sangue...
 Caterina si svegliò di soprassalto, le lenzuola madide di sudore e il respiro affannoso.
 Per tutta la notte non aveva fatto altro che sognare a spezzoni quello che era successo alle porte di Vicovaro. Non le era successo, dopo lo scontro alla fontana di Trevi.
 Si mise a sedere sul letto, una mano sul ventre e l'altra sulla fronte, come a controllarsi la temperatura.
 Qualcuno bussò alla porta proprio in quel momento e, mentre Caterina si accorgeva che dalla finestra entrava già la luce del sole, disse: “Entrate pure.”
 Virginio Orsini in persona si profilò sulla porta. Si accorse che la Contessa era ancora con le vesti da notte, quindi abbassò lo sguardo, in pudico segno di rispetto.
 “Ditemi pure...” fece Caterina, restando ferma al suo posto, senza curarsi di coprirsi con le lenzuola.
 “Mia signora, è già tornata la staffetta che avevo inviato a Tagliacozzo. La città accetta la nostra proposta.” annunciò Virginio, senza nascondere un sorriso più che soddisfatto.
 Caterina si congratulò con lui per il successo insperato e chiese che ore fossero.
 “Circa mezzogiorno, mia signora – rispose Orsini – vi abbiamo lasciata riposare, su consiglio del medico.”
 Caterina ringraziò e lasciò che Virginio tornasse ai suoi impegni burocratici e che preparasse una spedizione di soldati per andare a occupare Tagliacozzo in modo ufficiale.
 
 Era quasi sera quando arrivò anche il messaggero di ritorno da Roma.
 Nel messaggio, redatto dal segretario del papa, si informavano i Conti Riario e Virginio Orsini che si era deciso di condannare a morte Lorenzo Colonna, ancora recluso presso Castel Sant'Angelo, e che la presenza di tutti loro all'esecuzione sarebbe stata molto gradita dal papa.
 Girolamo Riario, dapprima, si lamentò del fatto che sarebbe stato un viaggio molto scomodo e tutto solo per veder decapitare un traditore. Non aveva minimamente colto l'implicita richiesta di Sisto IV che, con quella sua lettera, intendeva richiamarli tutti a Roma, probabilmente per parlare a quattr'occhi di qualcosa.
 Virginio Orsini predispose subito per la partenza, lasciando solo qualche soldato a Vicovaro. Prima di partire, comunque, tentò di convicere Caterina Sforza a restare in città, per non affrontare una cavalcata lunga e faticosa.
 Caterina rifiutò l'ipotesi e quando lasciarono Vicovaro, apriva il corteo accanto a Virginio Orsini e a suo marito Girolamo.

 Roma si apriva davanti agli stanchi viandanto come un meraviglioso fiore di marmo e pietra, lucida sotto al sole estivo, limpida e senza macchia.
 Era come una visione e a Caterina non era mai parsa tanto bella. Perfino i palazzi vaticani, man mano che vi si avvicinavano, le sembravano tante piccole gemme incastonate in quella che pareva una città eterna, immobile e immutabile nei secoli.
 L'incontro con il papa venne posticipato a dopo l'esecuzione, che si sarebbe tenuta da lì a poche ore. Il segretario di Sisto IV li aveva accolti a braccia aperte, congratulandosi con loro per i grandi successi ottenuti e rassicurandoli sulla salute del Santo Padre che, a suo dire, era ansioso di vederli, ma occupato in affari improrogabili.
 Caterina, tutto sommato, fu sollevata nel sentire che Sisto IV non li avrebbe incontrati immediatamente. Il viaggio l'aveva un po' spossata e aveva gran voglia di riposare un po'.
 Mentre si stava ritirando per qualche minuto nelle sue stanze, al fine di rinfrescarsi e cambiarsi d'abito, aveva incontrato Rodrigo Borja nel corridoio, assieme a un paio di altri porporati facinorosi.
 Lo spagnolo l'aveva guardata con un'espressione difficile da decifrare e le aveva detto: “Sono giunte alle nostre orecchie parole mirabolanti su di voi. Ci chiediamo quanto ci sia di vero...”
 Caterina non se la sentiva di affrontare quell'uomo, così sgradevole e coìs insinuante, perciò lo liquidò con un lapidario: “Più di quel che credete, caro Borja.”
 Tuttavia, il modo in cui lui continuò a fissarla finché non fu fuori dalla sua visuale, la mise stranamente in agitazione e quando arrivò nel suo alloggio, faticò a togliersi dalla mente quegli occhi rapaci.
 
 La pena capitale scelta per Lorenzo Colonna era la decapitazione.
 Il sole era alto in cielo e il suolo era spazzato da una leggerissima brezza che sollevava piccoli sbuffi di polvere.
 I passi del boia risuonavano solenni e cadenzati nel cortile della prima cinta di Castel Sant'Angelo e i gemiti sommessi di Lorenzo Colonna non smettevano di riempire l'aria, incutendo nei presenti uno strano senso di colpa.
 Virginio Orsini fissava il suo rivale con tutta la pietà di cui era capace. Non c'era più nulla dell'uomo che aveva sfidato sul campo di battaglia. Non sapeva dire cosa gli avessero fatto di preciso, nelle carceri vaticane, ma poteva ben vedere i segni che le torture avevano lasciato.
 Lorenzo Colonna era curvo sul ceppo, vestito con abiti freschi e puliti, che di certo gli erano stati messi a forza pochi minuti prima. Uno dei suoi occhi era gonfio e così era il labbro superiore. I pochi metri che aveva dovuto percorrere fino ad arrivare al ceppo erano stati una vera agonia. Zoppicava, mormorava parole senza senso e sembrava che avesse anche qualche osso rotto, anche se, scomposto com'era nell'andatura, era impossibile capire quali.
 Accanto a Virginio Orsini c'era Girolamo Riario, che osservava il tutto con una sorta di distaccato disgusto. Se qualcuno gli avesse chiesto cosa provava in quel momento, non sarebbe stato in grado di rispondere.
 Si sforzava di apparire sprezzante e fintamente magnanimo verso il condannato, mentre dentro di sé tremava. Quell'immagine, quell'uomo spezzato, lo stava straziando.
 Caterina Sforza non era presente. All'ultimo momento aveva detto di non voler assistere all'esecuzione, adducendo come scusa un'improvvisa indisposizione.
 In realtà aveva ricevuto una convocazione ufficiosa dal papa, che desiderava vederla in privato, e, per essere sicuro di ciò, aveva deciso che si sarebbero visti mentre tutti gli altri erano impegnati ad assistere alla morte di Lorenzo Colonna.
 Il boia era accanto al condannato e si apprestava a porre fine al suo triste compito. Un incaricato ripeté a voce alta il nome di Lorenzo Colonna e i motivi gravissimi che avevano portato alla sua decapitazione.
 Tutti i presenti ascoltarono in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri e quando il boia alzò la lama, qualcuno abbassò lo sguardo.
 Virginio Orsini preferì guardare mentre la testa veniva recisa di netto dal collo del suo nemico. Credeva che fosse un segno di rispetto, non distogliere gli occhi da quella scena.
 Girolamo Riario, invece, non solo abbassò lo sguardo, ma voltò appena il capo, nella vana speranza di non sentire nemmeno il rumore umidiccio che la testa decapitata avrebbe fatto nel toccare il suolo.
 Una volta che l'esecuzione fu conclusa – con un solo colpo, a testimonianza della perizia del boia – l'incaricato dichiarò che il traditore Lorenzo Colonna era morto.
 La piccola folla cominciò a diradarsi, mentre il boia recuperava la testa di Lorenzo Colonna e l'adagiava in una piccola cesta.
 Virginio Orsini finalmente si permise di guardare altrove e i suoi occhi si posarono su Girolamo Riario. Gli parve verdognolo, forse sul punto di vomitare. Per un secondo ebbe anche verso di lui un moto di pietà, anche se molto più flebile e meno sentito rispetto a quello che aveva provato nei confronti di Lorenzo Colonna.
 “Fatevi coraggio.” gli disse, avvicinandosi, alzando una mano per dargli una leggera pacca sulla spalla.
 “Perchè mi parlate a questo modo?” chiese Girolamo, con una certa aggressività: “Credete forse che io non abbia mai visto decapitare un uomo?”
 Virginio non rispose, la mano ancora a mezz'aria e gli occhi puntati in quelli del Conte.
 Girolamo si scrollò un po' e poi fece un cenno del capo in segno di saluto. Con ciò si accodò ad alcuni prelati che stavano uscendo dal cortile.
 Virginio sospirò, abbassò finalmente la mano e si chiese quando mai quell'uomo avrebbe smesso di comportarsi come un bambino.

 “Una pena esemplare, ecco perchè abbiamo deciso di decapitarlo. Perchè ci voleva una pena esemplare e basta.” spiegava piccato il papa, la voce roca e le mani che tremavano un po' nell'afferrare la coppa di vino.
 Caterina non aggiunse più nulla, dato che ogni sua richiesta in merito a quale fosse il vero motivo che aveva portato alla decapitazione di Lorenzo Colonna non aveva avuto una risposta soddisfacente.
 “Piuttosto – riprese Sisto IV, calmandosi – mi sono state riferite alcune cose e mi chiedo se corrispondano a verità.”
 Il modo in cui le parole del Santo Padre ricalcavano quelle di Rodrigo Borja, infastidì parecchio Caterina, che sospirò a lungo, prima di dire: “Sì, corrispondono a verità.”
 “Dunque siete davvero scesa in battaglia?” chiese Sisto IV, sgranando gli occhi e appoggiando il calice al tavolino, prima di rovesciarlo.
 “Già.” confermò Caterina, unendo le mani in grembo, mentre le immagini dello scontro le si ripresentavano nella mente come le era successo in sogno.
 “Oh, mia adorata ragazza...!” esclamò il papa, battendo le mani l'una contro l'altra: “Se solo potessi far di voi il prossimo papa! Oh, quanto sarei più tranquillo...! Sareste la soluzione a ogni nostro problema!”
 Caterina trovò quell'affermazione abbastanza ridicola, tanto che quando parlò, non riusciva a togliersi dal volto un piccolo sorriso: “Ma siccome non è possibile è meglio che vi teniate in salute ancora a lungo.”
 Sisto IV ridacchiò, apprezzando la prontezza di quella giovane donna, poi si fece un po' più serio e disse: “Mentre eravate lontana, è arrivata una lettera di vostra madre per voi.”
 “Quale delle due?” chiese Caterina, istintivamente.
 Il papa alzò una spalla: “Quella ancora in libertà.”
 Dunque sua madre Lucrezia. Da quanto tempo non riceveva sue notizie... Anche se per un istante aveva sperato che fosse stata Bona a scriverle – il che sarebbe stato il segnale della sua liberazione – era felice di sapere che Lucrezia l'aveva cercata.
 Sisto IV cercò tra le pieghe della sua veste e ne estrasse una piccola lettera. La cera che la chiudeva era spezzata.
 “Non so chi l'abbia letta.” confessò Sisto IV: “So solo che qualcuno l'ha fatto. Spero che vostra madre non abbia scritto nulla di segreto, in questa lettera...”
 Caterina prese il foglio e ringraziò. L'avrebbe letta una volta sola, nella sua camera. Anche se moriva dalla voglia di scoprirne il contenuto, non aveva alcuna intenzione di mostrare al papa le sue reazioni davanti alle parole scritte da sua madre Lucrezia.
 Per il resto del colloquio, il papa la informò sull'operato di Paolo Orsini, ritiratosi in quei giorni a Grottaferrata.
 Le disse che Paolo Orsini aveva catturato Jacopo Conti e un capofazione avversario, che erano già stati decapitati a Castel Sant'Angelo e che poi aveva cercato di prendere Marino, ma Antonello Savelli e Fabrizio Colonna lo avevano respinto. Non solo, durante quella fase dello scontro era anche rimasto ferito e per poco non era stato catturato.
 Si era allora ritirato a Grottaferrata, in un convento e durante una sortita che li aveva presi allo sprovvista era rimasto ucciso Leone da Montesecco. Caterina espresse il suo cordoglio per la morte dell'uomo che aveva conosciuto durante la battaglia alla fontana di Trevi, ma il papa la rassicurò dicendole che aveva fatto una morte valorosa e veloce.
 Dopo ciò, Paolo Orsini si era rifugiato in un campanile e aveva piazzato l'artiglieria benedetta dal papa in persona e così Marino si era arresa. Solo che nottetempo Prospero Colonna e Antonello Savelli, chissà come, erano riusciti a riprendere la città e a liberare gli ostaggi. Infine aveva ricevuto l'aiuto di centocinquanta fanti a San Silvestro, e dopo un paio di piccole vittorie aveva battuto Nicola Gaetani, ostacolando il suo ingresso a Rocca di Papa.
 “Tuttavia – terminò il Santo Padre – Paolo Orsini ha bisogno di Virginio e di voi, Caterina. Non voglio certo che torniate sul campo di battaglia, ma sono convinto che le vostre idee tattiche e strategiche saranno molto utili al nostro caro alleato.”
 Caterina aveva ascoltato tutto con attenzione e si era fatta un'idea abbastanza precisa della situazione. Poiché stringeva ancora tra le mani la lettera di Lucrezia e ormai non riusciva a pensare ad altro che a quelle righe che l'avrebbero fatta tornare almeno con la mente nel milanese, si limitò a dire: “Parlatene con vostro nipote. È il marito che decide, lo sapete bene. Senza di lui non posso partire.”
 Sisto IV annuì e lasciò la giovane libera di allontarsi, sicuro, nel profondo, che anche davanti a un rifiuto di Girolamo, avrebbe comunque potuto contare su Caterina. In fondo era una Sforza, e tutti sapevano che gli Sforza, una volta assaggiato il sangue, non erano più capaci di farne a meno.
 

   
 
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