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Autore: Adeia Di Elferas    05/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Caterina aveva letto e riletto il messaggio di Lucrezia e più ritornava sulle parole vergate dalla mano ferma di sua madre, più riusciva a comprenderne il significato più profondo.
 Nella prima parte dello scritto la donna si limitava ai convenevoli, chiedendo con parole abbastanza formali come andasse la salute del papa e quella di Caterina. Ometteva di chiedere della salute di Girolamo, ma non dimenticava di citare i piccoli Ottaviano, Cesare e Bianca.
 Dopo di che rassicurava la figlia circa il proprio stato, raccontandole di come i giorni passassero tranquilli nella casa di suo marito.
 Poi passava a parlare dei fratelli di Caterina, limitandosi a un paio di considerazioni per ciascuno di loro. Solo per Gian Galeazzo aveva utilizzato una formula molto strana.
 'Gian Galeazzo – aveva scritto – per il momento gode di buona salute, per quel che ci viene riferito.'
 Era un modo come un altro per dire che Gian Galeazzo era in pericolo e che era tenuto sotto controllo, se non addirittura prigioniero.
 E subito dopo era stato aggiunto: 'Ludovico, invece, gode per certo di ottima salute e par che l'aria di Milano gli giovi ogni giorno di più.'
 Anche quello era un messaggio in codice. Significava che Ludovico stava prendendo sempre più potere e che Lucrezia ne aveva paura, abbastanza paura da non fidarsi a scrivere apertamente le sue impressioni.
 'Inoltre pare che Ludovico trovi la forza anche nell'amore, dato che il suo fidanzamento con B. E. lo mette di buon umore.'
 B. E. non poteva che essere Beatrice d'Este, la figlia di Ercole, signore di Ferrara.
 Non si faceva cenno a Bona, il che mise in pensiero Caterina.
 Per il resto, la lettera si chiudeva con toni appena più accesi, in cui Lucrezia si interrogava sul lungo silenzio della figlia e sulla apparente freddezza dei suoi ultimi messaggi.
 In ultimo, proprio in chiusura, Lucrezia si era azzardata ad aggiungere: 'Ludovico non vede di buon occhio il riacceso spirito veneziano. Prego affinché il papa invochi la pace, o temo che presto ci saranno conseguenze orribili.'
 Quella, fra tutte, era stata l'affermazione che aveva fatto rabbrividire maggiormente Caterina.
 Le era stato detto che al nord Venezia e Ferrara avevano ripreso apertamente le ostilità e che ormai non sembravano esserci più regole. Napoli e Milano non si erano palesemente schierate, ma era quasi certo che, in caso, lo avrebbero fatto a favore di Ferrara, non per altro, per sottrarre le saline alla già troppo potente Venezia.
 Caterina prese finalmente carta e inchiostro e si decise a scrivere una risposta che fosse altrettanto criptica, ma altrettanto chiara.
 Ricambiò i convenevoli, rispose alle domande circa lo stato di salute dei figli e di se medesima – nascondendo, però, la propria gravidanza – e aggiunse anche un accenno allo stato del papa, suggerendone la buona salute. Forse era una valutazione troppo ottimista, ma se qualche spia avesse letto quelle righe, era bene sostenere il potere pontificio al meglio.
 Si disse felice della buona salute di Gian Galeazzo, e chiese retoricamente se Ludovico non fosse forse troppo oberato di lavoro, dovendo occuparsi degli affari del nipote.
 Infine rassicurò la madre circa la questione veneziana, promettendole che avrebbe pregato molto per la risoluzione immediata degli scontri e così avrebbe fatto anche il papa.
 In chiusura le fece capire di non rispondere alla lettera, adducendo innumerevoli impegni e promettendole di scriverle di persona non appena avesse avuto più tempo.
 Lucrezia era una donna intelligente, avrebbe capito che Caterina con quella frase intendeva semplicemente rimandare la loro corrispondenza a quando fosse stata più sicura di non essere intercettata.
 
 “Una pace tra Venezia e Ferrara?” chiese Girolamo, con un mezza risata, addentando il cosciotto di pollo arrosto: “Mi sembra una fesseria! Venezia ha quasi la vittoria in pugno, perchè dovremmo fare un favore agli Este?”
 Sisto IV, che aveva introdotto l'argomento, fissò il nipote con una sorta di stanca commiserazione: “Venezia non ha la vittoria in pugno per niente.”
 Caterina ascoltava il tutto senza intromettersi, limitandosi a guardare il proprio piatto e godere dell'ottimo cibo che si mangiava alla corte romana.
 Era stata lei stessa a suggerire al papa una tregua al nord, facendogli intuire quello che egli stesso aveva già intuito leggendo la lettera di Lucrezia. Sì, Caterina ne era certa. Forse non era stato Sisto IV a rompere il sigillo del messaggio, ma sicuramente prima di passarlo a lei, l'aveva attentamente vagliato.
 “Una pace in questo momento, però, ci porterebbe a un pari e patta.” fece notare pacatamente Virginio Orsini, bevendo un sorso di vino.
 Il papa sospirò e diede un piccolo colpo di tosse, prima di dire: “Un pari e patta, mio buon Orsini, è meglio di una disfatta in piena regola. Temo che Napoli ci sarebbe contro in men che non si dica, se solo Venezia perdesse ancora un po' di terreno.”
 Il silenzio piombò di nuovo sulla tavolata.
 “Spetta a voi, Santità, decidere. Tuttavia non credo che i veneziani accetteranno di buon grado una resa.” proseguì Virginio.
 “Staremo a vedere.” chiuse l'argomento il papa, facendo segno a uno dei servi affinché si avvicinasse.
 Appena il giovane gli fu a un passo, Sisto IV disse: “Aiutami a tornare nei miei alloggi. Per questa sera sono stanco.”
 Si scusò coi presenti e in pochi claudicanti passi uscì dal salone per andare a riposare.
 “Per me è un'assurdità abbandonare l'idea di conquistare Ferrara.” ribadì Girolamo, succhiando l'osso del pollo: “Prendendo Ferrara abbatteremmo gli Este e ci prenderemmo il sale.”
 Virginio Orsini vuotò il suo calice e sbuffò: “La vostra è un'utopia, ha ragione il Santo Padre. Se quello che ci è stato riferito è vero, con Napole al suo fianco Ercole d'Este diventerebbe invincibile.”
 “Napoli non si metterebbe da sola contro il papa!” rise Girolamo, facendo cadere nel piatto l'osso spolpato del pollo: “Venezia e il papa contro Ferrara e Napoli?”
 “Napoli e Milano.” puntualizzò Caterina, non sopportando più la boria nelle parole ignoranti del marito.
 Girolamo la guardò con tanto d'occhi: “Che intendete dire?”
 Caterina si morse la lingua. Era a un passo da fargli notare come Ludovico Sforza stesse per sposare Beatrice d'Este, schierandosi apertamente con Ferrara, ma si trattenne appena in tempo.
 “Vero, Milano non vede di buon occhio Venezia.” soggiunse Virginio, stemperando l'atmosfera tesa: “Credo sia risaputo. Se dovrà scegliere, Milano sceglierà Ferrara, non certo Venezia.”

 Dopo pochi giorni, passati essenzialmente a riposare il fisico, ma non la mente, Caterina cominciò a preparare i bagagli per Grottaferrata.
 Virginio sarebbe stato alla guida dei rinforzi e avrebbe ufficialmente scortato i Conti Riario presso il campo di Paolo Orsini.
 Girolamo aveva mosso le sue solite lamentele, che avevano avuto fine nel momento in cui la moglie gli aveva consigliato, in privato: “Se proprio ti sentirai svenire, potrai sempre nasconderti sotto un tavolo, come l'ultima volta.”
 Il papa chiese di incontrare ciascuno di loro in privato e laddove Virginio uscì dalla sala delle udienze col petto gonfio d'orgoglio, Girolamo ne venne fuori ripiegato su se stesso e furioso col mondo intero.
 Per Caterina il papa ebbe solo parole di ringraziamento e incoraggiamento. Impartì una benedizione al figlio che portava in grembo, ma solo per abitudine, dato che lui per primo non credeva molto a quelle pratiche. Infine le promise che avrebbe fatto del suo meglio per pacificare il fronte ferrarese, e la lasciò con un saluto più caloroso del solito.
 Per quanto Caterina non avesse mai provato affetto per quell'uomo, che per lei aveva sempre rappresentato una famiglia odiosa e scorretta, non riuscì a frenare una lacrima nel salutarlo. Le aveva insegnato molte cose, la stimava e, malgrado le chiacchiere maligne che giravano su e giù per lo stivale italiano, non le aveva mai mancato di rispetto.
 Caterina non incontrò più Sisto IV prima della partenza, che avvenne all'alba, senza testimoni, nell'aria fresca e fragrante di una Roma ancora addormentata.

 Mentre raggiungevano Grottaferrata, incontrarono i resti di alcuni scontri e qualche zona razziata. Non era uno spettacolo edificante e non contribuì a mettere di buon umore i soldati.
 Dovettero fare anche un paio di deviazioni, per evitare posti ritenuti pericolosi, ma alla fine raggiunsero il campo di Paolo Orsini senza grossi inconvenienti.
 “Eccolo là!” esclamò Virginio, scendendo da cavallo e andando incontro a Paolo Orsini, che lo abbracciò con entusiasmo.
 “Mi avevano detto che eravate ferito.” disse Caterina, quando fu abbastanza vicina.
 Paolo Orsini si inchinò e l'aiutò a smontare da cavallo: “Era così, mia signora, ma per fortuna era solo una ferita molto superficiale.”
 Girolamo Riario non scese dalla sua cavalcatura e chiese: “Dov'è il nostro padiglione?”
 Paolo Orsini contrasse la mascella, già molto irritato dalla presenza del conte Riario, ma riuscì a mascherare l'irritazione almeno nella voce: “Da quella parte – disse, indicando un punto alla sua destra – vi faccio accompagnare dal mio scudiero.”
 E chiamò un ragazzo sui quindici anni, ordinandogli di accompagnare il Conte alla sua tenda.
 “Allora, come siamo messi?” chiese Virginio, facendosi più serio.
 Paolo Orsini sospirò: “Venite. Vi mostro le carte e, a meno che non vogliate un momento per rinfrescarvi e sistemare le vostre cose, proporrei di metterci all'opera per studiare un piano.”
 “Per me va bene, posso sistemare le mie cose dopo.” disse subito Virginio, affidando le redini del suo cavallo a una delle guardie.
 “Altrettanto vale per me.” confermò Caterina, imitando Virginio Orsini.
 Paolo sorrise: “Ottimo. Prego, di qua.” li invitò, indicando il proprio padiglione.

   
 
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