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Autore: Tati Saetre    06/12/2015    9 recensioni
Edward ha 30 anni, capo della Cullen Media Group, è un uomo presuntuoso, egoista e viziato.
Isabella ha 28 anni, direttrice di una delle Gallerie d'arte più famose di New York, è in cerca dell'uomo della sua vita.
Che cosa li accomunerà per il resto delle loro vite?
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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         Quattordicesimo capitolo – Voglio esserci

         7 Dicembre 2001

 

         “Grazie, Isabella.” Alzò la testa verso Rosalie, sorridendole.

Non doveva ringraziarla. Certo, aveva apprezzato moltissimo quelgrazie’ detto di corsa, ma non le sarebbe bastato per averle fatto passare un intero venerdì sera chiusa al MoMa, per fare l’inventario.

         Mancava poco, e quell’anno sarebbe finito. Quell’anno che le aveva portato via tanto, forse troppo. Ma che le aveva dato altrettanto. Il Natale era alle porte, aveva lasciato le bambine a casa con Edward e quella sera la stavano aspettando per fare l’albero di Natale. Aveva chiamato dispiaciuta, ma loro tutte felici le avevano detto di non preoccuparsi, e che avrebbero fatto l’albero il giorno dopo. Addobbando quell’enorme casa, proprio come dicevano loro.

         Edward.

         Quel nome ormai era un punto fisso nella sua mente da tempo. Non faceva altro che pensare alle parole che le aveva detto Esme il giorno del Ringraziamento.

         Se lo ami, devi dirglielo.

         Era sicura di quello che provava. Che non era del semplice affetto, anzi. Ma aveva anche paura.

         Paura di una sua possibile reazione. Erano passati quasi più di due mesi da quel giorno, e non sapeva se Edward era pronto o meno.

         Però tu lo sei, e devi dirglielo.

         Non era sicura di conoscerlo abbastanza. Ma la cosa di cui aveva più paura, era una soltanto: il rifiuto. Avrebbe spezzato tutta la quiete che si era creata in quel periodo, lasciando in bilico anche le bambine. E non poteva permetterselo. Non poteva stravolgere di nuovo la vita di Emma e Mia, non dopo tutto quello che avevano passato.

         Sobbalzò quando sentì suonare il campanello della porta principale, chiedendosi chi fosse. Erano ormai le dieci passate, e a quell’ora chiudevano sempre.

         Aprì senza nemmeno rispondere, ritrovandosi davanti l’amica di Rosalie. Quella bionda mozzafiato di cui non ricordava mai il nome. Ma della quale, invece, invidiava quel corpo da modella.

         “Ciao.” La salutò appena, alzando la mano fina con delle unghie lunghe e laccate di rosso.

         “Salve.” Isabella ricambiò, sorridendo cordialmente anche lei. “Rosalie è nel suo ufficio.” Aggiunse.

         “Lo so.” Nemmeno la ringraziò, dirigendosi spedita verso l’ufficio della Signorina Hale.

         Sbuffò sonoramente quando sentì richiudere la porta dell’ufficio di Rosalie, stropicciandosi gli occhi.

         Adorava lavorare al MoMa. Certo, non era la sua galleria. Non era più il Capo, ma ora ne aveva uno. Ma era il lavoro che aveva sempre sognato. Compreso di straordinari in quelle fredde giornate di Dicembre.

         Ma a volte Rosalie era insopportabile, e in più ci si metteva l’amica che sembrava uscita da una sfilata di Victoria’s Secret.

         Sospirò, riportando la sua attenzione sul computer davanti a lei. E pensando che fra poche ore sarebbe tornata dalla sua famiglia.

 

 

         “EMMA!!” Edward urlò talmente forte da far scappare Skipper.

         Sì, avevano preso un gattino. Nero. Come se la sfortuna già non gli avesse colpiti tutti da un giorno all’altro. Quel gatto nero era una piccola palla di pelo infreddolita fuori casa Cullen, quando per puro caso Mia lo trovò, portandolo con sé in casa. Lo voleva tenere con tutta se stessa, avendo – forse per la prima volta -, l’appoggio di sua sorella maggiore. E così con moine ed occhi dolci avevano prima abbordato zio Edward, che poi – all’oscuro delle bambine -, aveva cercato di convincere zia Bella. In camera da letto. E ci era riuscito benissimo.

         Ma le cose non erano affatto cambiate, dopo l’adozione di Skipper. Anzi, peggiorate. Ora quel piccolo micio era il giocattolino principale delle bambine, portato in ogni angolo della casa, vestito da bambolina o da pirata. Ed in quel momento, mentre zampettava nell’altra stanza, in testa aveva un piccolo cappello di Babbo Natale, che praticamente gli copriva metà del musino nero.

         “Perché non posso farlo?”

         “Primo: perché sono le dieci. Secondo: perché dovreste stare a letto da un pezzo, e terzo,” sospirò, cercando di trovare quella calma interiore che aveva perso ormai da molto tempo “terzo, non puoi attaccare delle unghie finte a tua sorella con l’attack, Emma.”

         “Ma lei le voleva così tanto!”

         , le voglio cottì tanto!” Le diede man forte la piccola, indicando la scatoletta piena di unghie di vari colori.

         Non aveva idea di come fosse venuta a Bella quell’idea. Era andata a fare un po’ di shopping con Angela, e si era presentata a casa con due pacchettini di unghie finte. Senza sapere che non erano per delle bambine, e che volevano attaccarsele per forza di venerdì sera.

         “Vi prometto che ve ne comprerò un pacco. Con degli adesivi. Così voi avrete le vostre bellissime unghie, evitando di attaccarvi quelle per il resto della vostra vita.

         “Quando ce le compri? Adesso?” Ad Emma brillarono gli occhi, e Edward faticò per trattenere un sorriso.

         “Domani, tesoro.”

         “Allora le attacco con la colla, adesso.” Si imputò, schioccando un’occhiataccia a suo zio.

         Tale e quale ad Alice.

         “Va bene, attaccale.” Esordì Edward. “Però, ricordati che domani non potrai fare l’albero di Natale, allora. Come farai, con quelle unghie lunghe? Di certo non riuscirai ad attaccare le palline, appendere le luci… Ci penseremo io e zia Bella.

         Il tubetto di colla cadde dalle sue mani, posandosi con un tonfo sul tavolino.

         “Allora… me le compri domani sera?”

         “Te le compro domani sera. Ora, tutti a letto!” Disse, caricandosele entrambe sulle spalle e portandole su per le scale. Beandosi per un momento di quelle bellissime risate che uscivano dalle loro bocche.

 

 

         “Ci vediamo lunedì, Rosalie.”

         Mezzanotte e mezza. Non ci poteva credere. Aveva gli occhi che le bruciavano, per quanto era stata davanti al computer. Anche i piedi chiedevano pietà, per aver tenuto i tacchi per più di dieci ore.

         Non ce la faceva più.

         “Ciao, Isabella.” La salutò, mentre la sua amica le fece un mezzo cenno con la mano.

         Aprì la borsa per cercare le chiavi, che non trovò facilmente. Lo stesso identico problema lo stava avendo Rosalie, con la Porsche rossa parcheggiata proprio dietro.

         “Quella non è la macchina di Edward Cullen?” Fu soltanto un piccolo sussurro, che lei percepì benissimo. Sentì anche la risatina di Rosalie.

         “Come diamine fai a ricordartela?”

         “Conosco la targa a memoria.”

         “Addirittura?” Rispose Rosalie alla sua amica, cercando ancora le chiavi della sua macchina. “Dopo tutto questo tempo?”

         “Non posso di certo dimenticarmi della comodità di quei sedili.” Anche Bella aveva colto la nota maliziosa in quella frase.

         Tanya, Edward è una storia vecchia. Ti ricordo che quella Tanya Denali e quell’Edward Cullen sono morti dieci anni fa. Disse risoluta Rosalie, aprendo finalmente lo sportello.

         “Lo so, tesoro. Ma riproverei volentieri quei sedili.” Risero sguaiatamente insieme, e Rosalie accese il motore partendo subito dopo.

         Senza rendersi conto di aver lasciato Isabella Swan lì, davanti alla Volvo, che aveva trovato le chiavi da un bel pezzo, ma che ormai si erano riversate a terra da qualche minuto.

 

 

         “Puzzi d’alcool.” Sobbalzò, non aspettandosi di sentire quella voce. Pensava stesse dormendo da un pezzo. “E stai facendo un sacco di rumore.” Biascicò, ancora in dormiveglia.

         “Devo prendere il pigiama.”

         “Da quant’è che dormi con il pigiama, Swan?” Riuscì a captare la malizia anche se la voce era ovattata dal sonno.

         “Voglio dormire in camera mia.” Dopo quella frase la luce si accese di colpo, mostrando un Edward con i capelli scompigliati e con un occhio aperto e l’altro chiuso.

         Cosa?”

         “Voglio soltanto tornare nel mio letto, stasera.” Non era arrabbiata. Non lo era affatto, veramente. Voleva soltanto qualche momento per stessa. Tornare nella sua vecchia stanza, restare lì a pensare. Sarebbe stato stupido dire che fosse gelosa di quella Tanya, eppure un po’ lo era. Ma ne avrebbe parlato con calma con Edward. Non ora, in quel preciso istante.

         Edward si alzò, prendendo il suo cuscino.

         “Che fai?”

         “Dormiamo nel tuo letto, no?” Bella cercò di trattenere un sorriso.

         “Voglio stare un po’ da sola.” Perché non so nulla di te?

         “Cos’è successo, Swan?”

         “Niente.” Tutto.

         “Perché puzzi d’alcool?”

         “Sono passata a trovare Jake.” Dovevo sfogarmi con un amico.

         “Dopo dieci ore di lavoro? Sapendo che c’eravamo io e le bambine ad aspettarti a casa? Non sei credibile.”

         Era da tanto che dovevo vedere Jake. Stava per chiudere. Volevo salutarlo.” Avevo bisogno di vederlo. Di sentirmi dire che sono abbastanza, che quello che sto facendo va bene.

         “Sei una bugiarda.”

         Edward si avvicinò, posandole una mano calda sul viso. Lei, si perse per un momento in quegli occhi verdi.

         “Chi è Tanya Denali?” La mano ricadde immediatamente vicino al suo fianco, e Edward schiuse le labbra.

         Dimmi che posso essere di più di quello che lei era per te.

        

 

 

 

 

        

   
 
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