Quattordicesimo capitolo – Voglio
esserci
7
Dicembre 2001
“Grazie, Isabella.”
Alzò la testa verso Rosalie, sorridendole.
Non doveva ringraziarla. Certo, aveva
apprezzato moltissimo quel ‘grazie’ detto di corsa, ma non le sarebbe bastato per averle
fatto passare un intero venerdì sera chiusa al MoMa,
per fare l’inventario.
Mancava
poco, e quell’anno sarebbe finito. Quell’anno che le aveva portato
via tanto, forse troppo. Ma che le aveva dato
altrettanto. Il Natale era alle porte, aveva lasciato le bambine a casa con
Edward e quella sera la stavano aspettando per fare l’albero di Natale.
Aveva chiamato dispiaciuta, ma loro tutte felici le avevano detto di non
preoccuparsi, e che avrebbero fatto l’albero il giorno dopo. Addobbando
quell’enorme casa, proprio come dicevano loro.
Edward.
Quel
nome ormai era un punto fisso nella sua mente da tempo.
Non faceva altro che pensare alle parole che le aveva detto Esme
il giorno del Ringraziamento.
Se lo ami, devi dirglielo.
Era
sicura di quello che provava. Che non era del semplice affetto, anzi. Ma aveva anche paura.
Paura
di una sua possibile reazione. Erano passati quasi più di due mesi da
quel giorno, e non sapeva se Edward era pronto o meno.
Però tu lo sei, e devi dirglielo.
Non
era sicura di conoscerlo abbastanza. Ma la cosa di cui
aveva più paura, era una soltanto: il
rifiuto. Avrebbe spezzato tutta la quiete che si era creata in quel
periodo, lasciando in bilico anche le bambine. E non poteva permetterselo. Non
poteva stravolgere di nuovo la vita di Emma e Mia, non dopo tutto
quello che avevano passato.
Sobbalzò
quando sentì suonare il campanello della porta principale, chiedendosi
chi fosse. Erano ormai le dieci passate, e a quell’ora chiudevano sempre.
Aprì
senza nemmeno rispondere, ritrovandosi davanti l’amica
di Rosalie. Quella bionda mozzafiato di cui non ricordava mai il nome. Ma della quale, invece, invidiava quel corpo da modella.
“Ciao.”
La salutò appena, alzando la mano fina con delle unghie lunghe e laccate
di rosso.
“Salve.”
Isabella ricambiò, sorridendo cordialmente anche lei. “Rosalie
è nel suo ufficio.” Aggiunse.
“Lo
so.” Nemmeno la ringraziò, dirigendosi spedita verso
l’ufficio della Signorina Hale.
Sbuffò
sonoramente quando sentì richiudere la porta dell’ufficio di Rosalie,
stropicciandosi gli occhi.
Adorava
lavorare al MoMa. Certo, non
era la sua galleria. Non era più il
Capo, ma
ora ne aveva uno. Ma era il lavoro che aveva sempre
sognato. Compreso di straordinari in quelle fredde giornate di Dicembre.
Ma
a volte Rosalie era insopportabile, e in più ci
si metteva l’amica che sembrava uscita da una sfilata di Victoria’s Secret.
Sospirò,
riportando la sua attenzione sul computer davanti a lei. E pensando che fra
poche ore sarebbe tornata dalla sua
famiglia.
“EMMA!!” Edward urlò talmente forte da far scappare
Skipper.
Sì,
avevano preso un gattino. Nero. Come
se la sfortuna già non gli avesse colpiti tutti
da un giorno all’altro. Quel gatto nero era una piccola palla di pelo
infreddolita fuori casa Cullen,
quando per puro caso Mia lo trovò, portandolo con sé in casa. Lo
voleva tenere con tutta se stessa, avendo –
forse per la prima volta -, l’appoggio di sua sorella maggiore. E
così con moine ed occhi dolci avevano prima
abbordato zio Edward, che poi – all’oscuro delle bambine -, aveva
cercato di convincere zia Bella. In camera da letto. E ci era riuscito benissimo.
Ma
le cose non erano affatto cambiate, dopo
l’adozione di Skipper. Anzi, peggiorate. Ora quel piccolo micio era il giocattolino
principale delle bambine, portato in ogni angolo della casa, vestito da
bambolina o da pirata. Ed in quel momento, mentre
zampettava nell’altra stanza, in testa aveva un piccolo cappello di Babbo
Natale, che praticamente gli copriva metà del musino nero.
“Perché
non posso farlo?”
“Primo:
perché sono le dieci. Secondo: perché dovreste stare a letto da un pezzo, e terzo,” sospirò,
cercando di trovare quella calma interiore che aveva perso ormai da molto tempo
“terzo, non puoi attaccare delle unghie finte a tua sorella con l’attack, Emma.”
“Ma
lei le voleva così tanto!”
“Tì, le
voglio cottì
tanto!” Le diede man forte la piccola, indicando la scatoletta piena di
unghie di vari colori.
Non
aveva idea di come fosse venuta a Bella quell’idea. Era andata a fare un
po’ di shopping con Angela, e si era presentata a casa con due
pacchettini di unghie finte. Senza sapere che non erano per delle bambine, e
che volevano attaccarsele per forza di venerdì sera.
“Vi
prometto che ve ne comprerò un pacco. Con degli adesivi. Così voi
avrete le vostre bellissime unghie, evitando di attaccarvi quelle per il resto
della vostra vita.”
“Quando
ce le compri? Adesso?”
Ad Emma brillarono gli occhi, e Edward faticò
per trattenere un sorriso.
“Domani,
tesoro.”
“Allora
le attacco con la colla, adesso.” Si imputò,
schioccando un’occhiataccia a suo zio.
Tale e quale ad Alice.
“Va
bene, attaccale.” Esordì Edward. “Però,
ricordati che domani non potrai fare l’albero di Natale, allora. Come
farai, con quelle unghie lunghe? Di certo non riuscirai ad attaccare le
palline, appendere le luci… Ci penseremo io e zia Bella.”
Il
tubetto di colla cadde dalle sue mani, posandosi con un tonfo sul tavolino.
“Allora…
me le compri domani sera?”
“Te
le compro domani sera. Ora, tutti a
letto!” Disse, caricandosele entrambe sulle spalle e portandole su per le
scale. Beandosi per un momento di quelle bellissime risate che uscivano
dalle loro bocche.
“Ci
vediamo lunedì, Rosalie.”
Mezzanotte e mezza.
Non ci poteva credere. Aveva gli occhi che le bruciavano, per quanto era stata davanti al computer. Anche i piedi chiedevano
pietà, per aver tenuto i tacchi per più di dieci ore.
Non
ce la faceva più.
“Ciao,
Isabella.” La salutò, mentre la sua amica le fece un mezzo cenno
con la mano.
Aprì
la borsa per cercare le chiavi, che non trovò
facilmente. Lo stesso identico problema lo stava avendo Rosalie, con la Porsche
rossa parcheggiata proprio dietro.
“Quella
non è la macchina di Edward Cullen?” Fu
soltanto un piccolo sussurro, che lei percepì benissimo. Sentì anche
la risatina di Rosalie.
“Come
diamine fai a ricordartela?”
“Conosco
la targa a memoria.”
“Addirittura?”
Rispose Rosalie alla sua amica, cercando ancora le chiavi della sua macchina.
“Dopo tutto questo tempo?”
“Non
posso di certo dimenticarmi della comodità di
quei sedili.” Anche Bella aveva colto la nota maliziosa in quella frase.
“Tanya, Edward è una storia
vecchia. Ti ricordo che quella Tanya Denali e
quell’Edward Cullen sono morti dieci anni fa.” Disse risoluta Rosalie, aprendo finalmente lo
sportello.
“Lo
so, tesoro. Ma riproverei
volentieri quei sedili.” Risero sguaiatamente insieme, e Rosalie accese
il motore partendo subito dopo.
Senza
rendersi conto di aver lasciato Isabella Swan
lì, davanti alla Volvo, che aveva trovato le chiavi da un bel pezzo, ma
che ormai si erano riversate a terra da qualche minuto.
“Puzzi
d’alcool.” Sobbalzò, non aspettandosi di sentire quella
voce. Pensava stesse dormendo da un pezzo. “E stai facendo un sacco di
rumore.” Biascicò, ancora in dormiveglia.
“Devo
prendere il pigiama.”
“Da
quant’è che dormi con il pigiama, Swan?”
Riuscì a captare la malizia anche se la voce
era ovattata dal sonno.
“Voglio
dormire in camera mia.” Dopo quella frase la luce si accese di colpo,
mostrando un Edward con i capelli scompigliati e con
un occhio aperto e l’altro chiuso.
“Cosa?”
“Voglio
soltanto tornare nel mio letto, stasera.” Non era arrabbiata. Non lo era affatto,
veramente. Voleva soltanto qualche momento per sé
stessa. Tornare nella sua vecchia stanza, restare lì a pensare. Sarebbe
stato stupido dire che fosse gelosa di quella Tanya,
eppure un po’ lo era. Ma ne avrebbe parlato con
calma con Edward. Non ora, in quel preciso istante.
Edward
si alzò, prendendo il suo cuscino.
“Che
fai?”
“Dormiamo
nel tuo letto, no?” Bella cercò di trattenere un sorriso.
“Voglio
stare un po’ da sola.” Perché
non so nulla di te?
“Cos’è
successo, Swan?”
“Niente.”
Tutto.
“Perché
puzzi d’alcool?”
“Sono
passata a trovare Jake.” Dovevo sfogarmi con un amico.
“Dopo
dieci ore di lavoro? Sapendo che c’eravamo io e le bambine ad aspettarti
a casa? Non sei credibile.”
“Era da tanto che dovevo vedere Jake.
Stava per chiudere. Volevo salutarlo.” Avevo bisogno di vederlo. Di sentirmi dire che sono abbastanza, che
quello che sto facendo va bene.
“Sei
una bugiarda.”
Edward
si avvicinò, posandole una mano calda sul viso. Lei,
si perse per un momento in quegli occhi verdi.
“Chi
è Tanya Denali?” La mano ricadde
immediatamente vicino al suo fianco, e Edward schiuse le labbra.
Dimmi che posso essere di più di
quello che lei era per te.