Anime & Manga > Yowamushi Pedal
Segui la storia  |       
Autore: _Kurai_    06/12/2015    1 recensioni
La luna piena, un sakura ormai quasi del tutto sfiorito, e i passi leggeri di sandali di paglia sul tappeto di petali rosa e bianchi. Un fruscìo, poi un lieve sciabordìo d'acqua in una tinozza.
Anche stavolta, la missione di Arakita Yasutomo era conclusa. Alzò lo sguardo alla luna, mentre il suo corpo seminudo accoglieva la brezza notturna e le macchie di sangue sul kimono immerso nell'acqua andavano sbiadendo.
Imprecò piano, quando un rumore improvviso gli fece estrarre la spada.
Era solo un gatto.
Ripose la katana nel fodero, non senza aver accarezzato distrattamente l'incisione di un lupo alla base della lama, per poi abbassarsi a coccolare la piccola creatura nera come la notte.
Genere: Angst, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Team HakoGaku, Team Hiroshima Kureminami, Team Kyoto Fushimi, Team Souhoku
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo VIII
Pain


Era rimasto indietro un'altra volta.
Aveva insistito per seguire il contingente inviato ad Hakone, pieno di eccitazione per poter avere finalmente l'occasione di andare in battaglia con l'esercito di Sohoku, ma probabilmente non era davvero pronto. Onoda Sakamichi aveva terminato da pochissimo tempo l'addestramento, e quell'occasione sarebbe stata per lui un vero e proprio "battesimo del fuoco".

Se quelle erano le premesse però, sarebbe stato meglio se fosse rimasto al castello.
I piedi gli facevano male, la vista gli si annebbiava continuamente e le protezioni erano allacciate troppo strette. Si era fermato già più volte per sistemarsele meglio addosso ma aveva finito per restare indietro, perdendo di vista gli altri uomini.
Se non fosse stato per Naruko e Imaizumi, forse sarebbe rimasto al villaggio a coltivare i campi con sua madre: lui non era fatto per diventare un guerriero, dentro di sè lo sapeva. Ma vedere i suoi due più cari amici affermarsi ed entrare nell'èlite in pochi anni aveva acceso in lui la voglia di mettersi alla prova, nonostante il limite fisico della sua statura minuta e della sua debolezza. Loro lo spronavano, ma lui non era fatto per l'arte della spada. Teneva una kodachi al fianco, ma l'aveva sguainata pochissime volte. 

In realtà non sopportava la vista del sangue, ma nessuno doveva saperlo: era il motivo principale per cui aveva iniziato ad allenarsi con l'arco, più per esclusione che per reale passione. Poi aveva capito che diventare un arciere gli avrebbe permesso di partecipare alle battaglie senza dover necessariamente vedere il sangue da vicino, difendendo allo stesso tempo le persone che gli erano care. Allora aveva sentito un moto di orgoglio, e pian piano si era motivato sempre di più a continuare.

Questa volta però non si era fermato per le protezioni troppo strette, ma perchè aveva individuato qualcosa tra i cespugli, sul limitare della strada che l'esercito stava percorrendo alla volta del castello di Hakone.
Si era avvicinato e aveva trovato una freccia di pregiata fattura, con la punta affilatissima e una coda di piume bianche perfettamente sagomate. Aveva indugiato a contemplarla e poi aveva sentito un urlo di dolore straziante proveniente da un punto poco distante, tra gli alberi. Gli altri erano già lontani, ma sentiva di dover capire da dove venisse. Si inoltrò nel bosco, attento a non fare rumore col suo passaggio.

Poi, un altro suono lo fece sobbalzare: era l'eco lontana della ritirata che rimbalzava tra le montagne. Un istante dopo l'urlo sfumò, e un fruscìo a pochi passi da lui annunciò la presenza di qualcuno che si stava dirigendo proprio nella sua direzione. Si nascose appena in tempo dietro un albero, mentre un lampo azzurro lo sorpassava, diretto verso il campo di battaglia.
Metà del viso di Komari era imbrattato di sangue non suo, e Onoda potè vederlo chiaramente leccarsi le labbra con un'espressione di sadico piacere mentre gli passava accanto. Il piccolo arciere di Sohoku si congelò sul posto.

Non riusciva a quantificare quanto tempo fosse passato quando decise di uscire dal suo nascondiglio, e avanzò ancora per qualche passo tra le fronde.
Fu allora che lo vide. C'era un corpo a terra, immobile. Indossava i colori di Hakone, e nonostante stringesse ancora una katana  nella mano destra, poco lontano giacevano abbandonati un arco lungo e una faretra piena di frecce dalla coda candida. Sakamichi si avvicinò, nonostante l'odore ferroso del sangue gli entrasse prepotentemente nelle narici, stordendolo. Era solo un ragazzo, probabilmente della sua stessa età. Il suo viso era per metà coperto di sangue, e il suo corpo era in una posizione innaturale. Per un attimo pensò che fosse morto, poi si accorse del flebile respiro che sollevava ritmicamente il suo petto: Onoda mosse qualche timido passo nella sua direzione, cercando di ignorare tutto quel sangue, anche se dovette trattenere due o tre conati.

Prese un respiro, tentando di controllare il battito estremamente accelerato del suo cuore e di ordinare i pensieri per decidere il da farsi. Il ragazzo stava perdendo troppo sangue, e se non avesse fatto qualcosa sarebbe morto. Non avrebbe potuto perdonarselo. Ricacciò indietro un altro conato e recuperò un pezzo di stoffa e delle bende dalla sua scarsella, per poi tamponare delicatamente l'occhio - o almeno quello che ne rimaneva - e fasciare maldestramente la testa del ferito per tener ferma la medicazione improvvisata. Stava per annodare tra loro le bende quando all'improvviso il ragazzo spalancò l'altro occhio, cogliendolo di sorpresa e facendogli quasi vanificare il lavoro che aveva fatto. L'iride era di un blu profondo e limpido come un lago di montagna, e la pupilla era contratta per il dolore e per il terrore che doveva aver provato poco prima.

"La... schiena..." sussurrò piano, cercando inutilmente di girarsi o sollevarsi. L'intruglio paralizzante in cui sicuramente era stato intinto quello shuriken funzionava davvero bene, e il dolore lo stava facendo impazzire. Aveva fallito di nuovo, e stavolta non era così sicuro che sarebbe riuscito a passarla liscia come al solito. Qualcuno in realtà era giunto in suo aiuto, ma il viso tondo di quel ragazzino, probabilmente più giovane di lui, era ancora più pallido di quanto doveva esserlo il suo in quel momento, sotto tutto quel sangue che non smetteva di sgorgare dal suo occhio destro. 
Sakamichi rimase incerto per un istante sul da farsi, poi lo aiutò a girarsi e vide la lama a cinque punte che gli era penetrata nella carne al centro della schiena, tra le scapole. Deglutì, scoprendo di avere la gola secchissima per l'ansia di quello che stava per fare. Forse avrebbe dovuto chiamare qualcuno, ma il suo pessimo senso dell'orientamento avrebbe indubbiamente peggiorato la situazione. Doveva provarci.

Con un solo movimento riuscì a estrarre lo shuriken, ma si graffiò un dito con una delle lame. Istantaneamente un debole formicolìo gli invase tutta la mano, e fece cadere a terra l'arma da lancio in preda al panico. 
Manami iniziò a sentire la paralisi attenuarsi leggermente, mentre la ferita sulla schiena riprendeva a bruciare come la cicatrice di un'ala strappata. 
Onoda avrebbe voluto fasciare anche quella, ma non aveva più bende e le sue mani tremavano incontrollabili. Iniziò a balbettare parole confuse, cercando di chiedere al ragazzo quale fosse il modo migliore in cui avrebbe potuto aiutarlo.

"Devo tornare dentro le mura del castello...devo-" si interruppe, stringendo i denti per una fitta di dolore violentissima che gli attraversò il cranio "basta andare nella direzione della montagna, non è... molto lontano... da qui". Onoda gli passò un braccio intorno alle spalle, aiutandolo ad alzarsi. Manami si focalizzò sul dolore per cercare di contrastare i nervi che non gli obbedivano, e riuscì almeno parzialmente nel suo intento. 
"Comunque, io sono O-onoda Sakamichi, del f-feudo di Sohoku" si presentò, sperando di non risultare sfacciato. "Manami Sangaku" rispose il ragazzo di Hakone, e poi alzò lo sguardo dell'occhio sano verso il monte che si intravedeva tra gli alberi, sorridendo debolmente al pensiero del gioco di parole tra i loro due nomi.
---
Dentro il castello era il caos. Fukutomi si era ritirato nelle sue stanze con il daimyo di Sohoku e i rispettivi luogotenenti, mentre i rinforzi cercavano di allestire un accampamento di fortuna all'interno delle fortificazioni. Qua e là vi erano soldati di Hakone stanchi e feriti, che si facevano medicare o giacevano sfiniti aspettando il proprio turno o cercando di riprendersi dalla battaglia.

Izumida Touichiro non riusciva a trovare Shinkai da nessuna parte. Eppure gli sembrava di averlo intravisto, nel momento in cui era stata suonata la ritirata... era preoccupato, e non era ancora riuscito a ringraziarlo per avergli salvato la vita il giorno precedente. 
Poi, dopo aver girato quasi ogni anfratto del castello, lo trovò nel luogo più ovvio. Il capitano della quarta squadra era seduto sulla passerella esterna, fuori dal dormitorio deserto riservato agli ufficiali. Tra le mani a conca teneva qualcosa di marroncino e peloso, che riconobbe come il coniglietto della sera precedente. Il suo viso era per metà nascosto dai ciuffi di capelli rossicci e troppo lunghi che gli ricadevano sulla fronte, e Touichiro non riuscì subito a interpretare il suo silenzio. I pezzi della sua armatura giacevano qua e là abbandonati in disordine per la stanza, e la manica sinistra del suo kimono era impregnata di sangue, che gocciolava sul pavimento di legno.

"Shinkai-san, il tuo braccio..." iniziò il capitano della quinta squadra, ma Hayato non sembrava ascoltarlo.
"L'ho salvato solo per condannarlo a una morte peggiore..." disse fra sè, con l'attenzione rivolta verso la piccola creaturina immobile tra le sue mani.
"Shinkai-san..."
"Scusami, Touichiro-kun, non dovrei essere così sentimentale... in fondo dobbiamo essere tutti preparati a morire in ogni momento" alzò lo sguardo, mostrando due occhi spenti e stanchi, privi della solita calma che gli infondeva sempre coraggio. 
Avevano combattuto fianco a fianco moltissime volte, e Izumida non l'aveva mai visto così. Che la ferita del giorno precedente si fosse infettata? O forse aveva combattuto allo stremo delle forze e non riusciva a riprendersi? Per un attimo si pentì di essere partito per Sohoku, lasciandolo a fronteggiare tutti quei nemici e a portare sulle spalle un peso così grande da solo, visto come si era messa la situazione... ma non era il momento di pensarci.

"Shinkai-san, per favore, lasciati accompagnare a far medicare bene quella ferita... non è una cosa da sottovalutare" il suo tono voleva essere autoritario, ma l'apprensione prese il sopravvento.
Hayato colse la sfumatura nella voce del più giovane e decise di assecondarlo. In fondo per il piccoletto non c'era più nulla da fare, e viste le condizioni dell'esercito non poteva permettersi di non essere in forma perfetta: sentiva che il giorno seguente sarebbe stato decisivo, e nonostante la presenza dei rinforzi non si sentiva tranquillo. Posò il corpicino freddo su un drappo bianco e si alzò, afferrando stancamente la mano tesa di Touichiro.
Seguì Izumida fuori dalla stanza, dirigendosi verso l'atrio principale dove il medico stava prestando le prime cure ai feriti. Effettivamente non si sentiva troppo bene: barcollava leggermente e non riusciva a restare concentrato, come se la sua mente vagasse di propria iniziativa. Poi, all'improvviso, si fermò di colpo in mezzo al corridoio vuoto, portandosi la mano al petto. Touichirò si arrestò al suo fianco, allarmato.

"Va tutto bene, ho preso una botta combatten--" il respiro gli si spezzò in gola, e iniziò di nuovo a tossire, senza riuscire a fermarsi. Si appoggiò al muro con una mano, mentre cercava di combattere contro un nemico invisibile. La gola gli bruciava come fuoco, ma dopo alcuni violenti colpi di tosse riuscì a riprendere il controllo.
Tuttavia, non riuscì a nascondere a Izumida la macchia scarlatta sulla sua mano.
"SHINKAI-SAN...!"
"Te l'ho detto - rispose flebilmente, cercando di riprendere a respirare a un ritmo normale - devo essermi incrinato qualche costola, non ti devi preoccupare per me".
Touichiro era dubbioso, ma temeva di ferire l'orgoglio dell'uomo che stimava di più in assoluto, quindi lo lasciò fare, restando comunque all'erta. Poco dopo, si sarebbe decisamente pentito di quella scelta.
---
Toudou scortò Makishima nella sua stanza, senza dire nulla. Era inusuale per lui, il che fece comprendere subito a Yuusuke quanto la situazione dovesse essere complicata. Sembrava molto agitato e pensieroso, e viste la sua solita sicurezza ed esuberanza il contrasto era ancora più evidente; gocce di sudore gli imperlavano la fronte, tenuta libera dai capelli da un nastro bianco, e le occhiaie scure erano molto evidenti sulla sua pelle pallida.

Appena si chiuse lo shoji dietro le spalle, Jinpachi fissò gli occhi in quelli del vecchio amico e dischiuse le labbra, esitando per un istante prima di parlare.
"Maki-chan, cosa faresti se la vita di tutti gli uomini del tuo esercito dipendesse esclusivamente da te? E se anche tu stesso fossi colpito da un veleno che non riesci a comprendere?"
"Cosa intendi dire?" rispose Makishima, perplesso.
"Quando sono stato fatto prigioniero dagli uomini di Fushimi, uno di loro mi ha lasciato intendere di aver creato una nebbia velenosa modificando la mia tossina in modo da indebolire e uccidere lentamente il nemico in tre giorni. Tutto l'esercito è stato avvolto da questa nebbia, compreso il sottoscritto. Detesto ammetterlo, ma me ne sarei accorto subito se non fossi stato privo di coscienza perchè quel bastardo mi aveva attaccato alle spalle per impedirmi di avvertire il daimyo. Sono riuscito a fuggire, ma se non trovo una soluzione entro meno di ventiquattr'ore tutti gli uomini di Hakone - me compreso - moriranno senza poter difendere il nostro feudo. E sarà... tutta... colpa mia." aggiunse Jinpachi, con lo sguardo basso e in preda alla frustrazione.

Makishima rimase silenzioso per qualche minuto, cercando di valutare la portata delle parole di Toudou. Stava per parlare quando il capitano della terza squadra riprese: "Non ho potuto neppure guidare i miei uomini perché sono qui, ad attendere un'illuminazione per risolvere la situazione mentre gli altri muoiono, ma così mi è stato ordinato. I combattenti di Fushimi hanno sviluppato un'immunità al mio veleno senza possederne l'antidoto, attraverso esperimenti sugli esseri umani, e così i miei attacchi hanno perso efficacia. Ho provato qualsiasi cosa, ma non ho raggiunto nessun risultato" ammettere la sua sconfitta ad alta voce lo fece sentire ancora peggio, come se gli mancasse la terra sotto i piedi.
Barcollò. 
---
"E così, entro ventiquattr'ore questo fantomatico veleno farà effetto?" chiese Kinjou, lo sguardo corrucciato e fisso in quello del daimyo di Hakone.
Fukutomi si era deciso a rivelare tutto, ma non si sentiva affatto meglio. Arakita sedeva pensieroso al suo fianco, finalmente messo al corrente su tutti i tasselli del puzzle. Era tutto chiaro. Non che la cosa gli facesse provare meno frustrazione, ma almeno si spiegava il comportamento del daimyo e i suoi discorsi con Toudou, che ricordava vagamente traendoli dalla nebbia della febbre.

"Non eravamo ancora al corrente di questo sviluppo quando abbiamo mandato il nostro messaggero" puntualizzò Fukutomi "ma a questo punto è evidente che la giornata di domani sarà determinante per questo feudo e per le nostre vite, mentre è nel vostro interesse fermare l'avanzata del daimyo di Fushimi prima che attacchi i territori di Sohoku".

"Mi fido ciecamente del contingente rimasto al castello" rispose Kinjou, con un'espressione sicura "così come degli uomini che ho portato con me. Non ci arrenderemo e ricacceremo indietro il loro attacco!". Gli occhi del daimyo fiammeggiavano, e Imaizumi accanto a lui percepiva la portata delle sue parole e la sicurezza della sua risoluzione. Kinjou Shingo era un uomo difficile da costringere alla resa, un ottimo alleato quando si trattava di resistere e motivare le truppe. 

C'erano ancora delle possibilità in fondo, e Fukutomi si fidava ciecamente di Toudou, che con l'aiuto ricevuto avrebbe trovato senza dubbio una soluzione prima che si presentassero i primi sintomi. Nonostante tutto, potevano ancora resistere.
"Convocherò tra un'ora una riunione con tutti i comandanti delle squadre per fare il punto della situazione, uniremo le forze e domani il feudo di Fushimi dovrà arrendersi!" affermò Fukutomi, ritrovando la lucidità e il suo solito sguardo deciso. Arakita sospirò di sollievo, non visto. Nessuno poteva permettersi che la roccia di Hakone vacillasse.
---
"Midousuji-sama..."
Il campo di battaglia era stato sgomberato quasi del tutto dei cadaveri di entrambi gli schieramenti, eccetto uno. L'ombra del daimyo oscurava parzialmente il volto del suo luogotenente, cinereo e immobile, con gli occhi chiusi. Midousuji non lo guardava in volto, ma era rimasto quasi completamente solo nel campo aperto, perso in pensieri che nessuno poteva decifrare.

Ishigaki non era stato che una pedina, in fondo.

Come tutti gli altri, era stato una pedina per raggiungere la vittoria, un gradino per portarlo più in alto verso la vetta.
E allora perché le sue ultime parole, che gli erano arrivate come una vaga eco nella foga della battaglia, si erano incise in quel modo nella sua mente?
Perché sentiva quello strano calore in corrispondenza del taglio sul viso, dove la sera precedente il luogotenente gli aveva pazientemente spalmato l'unguento cicatrizzante?

Non erano sentimenti, quello no. Aveva eliminato quell'inutile fastidio molto tempo prima, e da allora aveva affrontato - e causato - un numero di morti che non poteva contare, e che non avevano smosso nulla in lui. Allora perché, perché quelle parole e quello sguardo non volevano lasciare la sua mente?

"Sì, portatelo insieme agli altri" rispose, dopo un tempo che era parso infinito, all'uomo che gli aveva posto la domanda inespressa. 

E mentre camminava con lo spadone agganciato sulla schiena e l'armatura incrostata di sangue altrui nel rosso del tramonto verso l'accampamento, Midousuji Akira continuò a cercare di scacciare quella sensazione, che nonostante tutto continuò a non andarsene neppure dopo che le ceneri del luogotenente Ishigaki Koutarou furono disperse nel vento, insieme al significato enigmatico di quelle poche parole.

"Lui non ti è fedele..."

 
Prima di tutto mi scuso per il ritardo nell'aggiornamento, ma fortunatamente la tesi malvagia è finalmente conclusa e ora potrò dedicarmi più spesso a scrivere ewe9 Poi ringrazio la fedelissima GrammarNazi95 per la recensione e tutte le persone belle che leggono questa storia, anche se maltratto un po' tanto queste povere creature XD Fino a questo momento ho messo molta carne al fuoco, ma dal prossimo capitolo inizieranno ad arrivare delle risposte (ma anche nuove domande, sennò sarebbe troppo facile).
Il prossimo capitolo si staccherà dal filo narrativo e sarà un flashback tutto incentrato sul rapporto tra Midousuji, Ishigaki e Komari... quindi stay tuned!

Alla prossima~

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yowamushi Pedal / Vai alla pagina dell'autore: _Kurai_