Fred/
George _ Mirrors
La routine a cui sono più affezionato è senza dubbio quella mattutina, la mia Angi lo sa bene.
Dopo che è suonata la sveglia mi prendo dieci minuti, o forse anche di più, per racimolare le energie, stiracchiandomi nel letto. Mia moglie è già in piedi e traffica in casa, la sento inciampare su uno dei miei nuovi esperimenti e imprecare, rido sotto i baffi ma con lei non lo ammetterò mai. Mi alzo e seguo l’odore della colazione come un segugio, con gli occhi ancora semichiusi. Nei primi anni di matrimonio facevamo un gioco, io e Angi, lei mi nascondeva pezzi di colazione in tutta la casa, e io per riuscire a riempire lo stomaco dovevo trovarli servendomi solo del mio fiuto. Ora creerei solo un divertente gioco per il nostro Crup domestico.
Dopo colazione mi chiudo in bagno, prima che Fred e Roxanne si sveglino e occupino tutto lo spazio vitale della casa. Mi lavo i denti e il viso, osservando con attenzione le venature del lavandino in marmo. Mi faccio la barba, con pochi attenti movimenti di bacchetta che ormai ho imparato a memoria, tanto che posso dare le spalle allo specchio.
Di solito era il mio compito…Ero diventato un asso nell’arte del barbiere, riuscivo persino a crearti disegni sul viso, ricordi?
Sguscio in camera, mi vesto distrattamente, senza badare ad abbinamenti di colori e forme. Talvolta Angelina mi deve rincorrere sino in strada per evitare che vada in giro abbigliato come un pagliaccio.
Ti occupavi tu di queste sottigliezze… io non sono mai stato portato per la moda, per me un colore vale l’altro, un pantalone corto o lungo, una giacca elegante o una tuta da ginnastica non sono mai state diverse ai miei occhi, eppure tu sapevi sempre cosa scegliere per entrambi.
Non ho bisogno di uno specchio per osservare la mia vita che scorre. Né mai mi è servito.
Prima c’eri tu.
Un tempo mi bastava guardare te, fratello, per vedere me stesso. Uguali ma diversi. Noi eravamo molto di più che un’immagine speculare. Noi ci completavamo, eravamo due emisferi di un unico mondo, ogni cosa che non trovavo in me potevo cercarla in te. Era molto, molto di più.
Eravamo inseparabili, due corpi e un cervello, mamma ha sempre avuto ragione. Sapevo cosa stavi per dire ancora prima che tu aprissi bocca, tu capivi i miei stati d’animo nonostante fossimo lontani.
Ora lo specchio mi restituisce un’eco di me stesso, sbiadito, né più né meno una copia di ciò che sono diventato, mentre tu, lontano dallo scorrere del tempo, sei rimasto giovane, irriverente, spiritoso come nei nostri vent’anni. Dannati vent’anni.
Eppure… eppure se l’occhio casca su quell’immagine riflessa, che dallo specchio prova ogni giorno ad abbaiarmi qualche consiglio di stile, il cuore manca un battito, illuso dalla speranza di poterti rivedere, di scoprire che è stato tutto un brutto sogno, che siamo ancora qui io e te, Fred e George, Gred e Forge, due imbecilli che nonostante gli anni continuano ad avere il cervello di due bambini.
Cosa mi diresti
sentendo tutto ciò?
Già ti immagino…
“George
che mi sei diventato una femminuccia?”,
“Nemmeno Ginny
nella sua preadolescenza era così
melodrammatica”,
“Uguali?
E quel traforo del Monte Bianco che ti ritrovi al posto
dell’orecchio?”,
“io sono molto
più bello”
“Se
continui così ti relego al reparto Filtri d’amore e accessori per
streghe in
calore”
Angelina mi chiama. Lei è il mio angelo, un nome una garanzia. Mi ha salvato dal buio, ci siamo appoggiati l’uno all’altra e ci siamo rimessi in piedi, raccogliendo con pazienza i cocci lasciati dalla guerra per costruire una vita nuova, una famiglia, forse un po’ rattoppata ma magnifica.
E’ davanti a me e mi sorride, è bellissima nel suo abito rosso, segnato da una fascia dorata in vita. Dobbiamo andare a cena fuori con i parenti, è l’anniversario di matrimonio di mamma e papà e vogliono festeggiarlo con tutti i loro figli.
Tutti tranne uno.
Mi ricordo all’improvviso del ballo del ceppo. Avevi invitato lei, senza premeditarlo, senza dirmi nulla, solo per dimostrare a Ron quanto sia facile invitare una ragazza. E io a ruota avevo invitato Alicia, pur sapendo in cuor mio che era un’altra la ragazza con cui avrei voluto ballare. Ma all’epoca non avevo avuto il coraggio di dirtelo Fred. Ed ero geloso, perché tu eri con lei ed eri così uguale a me, e avevo paura di vederla scivolare via, il mio angelo. Mi sembra così stupido, adesso. Col senno del poi comprendo che mai e poi mai avremmo potuto lottare per amore, perché due facce della stessa medaglia non guardano mai nella stessa direzione. E forse quelle occhiate furbe che tu mi lanciavi mi volevano suggerire che tu avevi già capito tutto. Accidenti a te, sei sempre stato furbo.
I nostri bambini corrono giù per le scale, sono tutti la mamma, capelli riccioli scuri, pelle color cafèlatte. Fred però ha gli occhi azzurri, vispi e ridenti come i miei, come i tuoi. Roxanne ha riflessi ramati nei capelli e le lentiggini sul naso, come le tue, come le mie.
Sono entrambi vestiti a festa, ma tanto so che quei leggeri vestitini di tessuti pregiati non dureranno a lungo, tempo un’oretta e saranno imbrattati di fango e pomodoro. Roxanne mi fa un sorriso gioioso, le manca un dente, ma a me per questo sembra ancora più bella, la prendo in braccio. Il fratello la prende in giro, dice che sembra un coniglio. Lei gli fa la linguaccia e risponde che lui ha i capelli che sembrano un nido. Poi si girano verso di me e mi guardano monelli, e io capisco tutto.
Eccoli i miei specchi, ecco il riflesso perduto che tanto ho cercato. Ecco coloro che possono in pochi gesti aggiustare la mia anima ferita.
…Fred, per tutte le santissime mutande di Merlino, come diavolo sei finito dentro agli occhi dei miei figli?