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Autore: MixHerondair    08/12/2015    3 recensioni
"Waiting for the end to come, wishing I had strength to stand, this is not what I had planned, it’s out of my control."
Quasi sedici anni erano passati dall'ultima volta che aveva visto quello sguardo, ed in tutti quegli anni non era cambiato. Quello sguardo che non era mai riuscito a decifrare. Quello sguardo che anni prima si era ripromesso di decifrare, ma che non era riuscito nell'impresa nemmeno durante quei momenti in cui erano riusciti ad avvicinarsi come raramente accadeva. Come raramente lui lasciava accadere.
Non avrebbe mai pensato di ritornare a posare i propri occhi su quello sguardo, che fin dal primo giorno di college era riuscito a rapirlo completamente.
E di certo, mai si sarebbe sognato di pensare che avrebbe rivisto Gerard in una situazione del genere.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Frank Iero, Gerard Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Welcome to my life
(past)

 
Do you ever feel like breaking down?
Do you ever feel out of place?
Like somehow you just don't belong nnd no one understands you
[…]
Do you wanna be somebody else?
Are you sick of feeling so left out?
Are you desperate to find something more before your life is over?

-Welcome to my life, Simple Plan
 
Settembre, 1998
Mattina

 
Una settimana era passata dall’inizio di quella che era una nuova fase della sua alquanto piatta vita. Si okay, molte persone non la definirebbero piatta dato che aveva passato l’infanzia diviso tra gli Stati Uniti e l’Italia, per poi tornare nuovamente in America per portare a termine gli studi; molte persone la definirebbero una vita attiva e fortunata, un sogno quasi, ma quelle molte persone considerano solo il fattore del viaggio e mai quello che sta dietro tutta la facciata. Non considerano mai la persona e le possibili sensazioni che essa potrebbe avere, non considerano il fatto che quella persona potrebbe non essere felice, potrebbe non piacergli tutto ciò e potrebbe quasi definirsi una persona depressa.
Quindi si, praticamente aveva passato degli anni di merda. Lui non era mai stato tra quelle persone che come unico e più grande desiderio avevano quello di poter trascorrere qualche anno all’estero. No, lui faceva parte di quel piccolo gruppo di persone che come più grande aspirazione avevano quella di stare a casa, rintanati tra le coperte del divano, ad aspettare la morte, mangiando patatine al formaggio e magari coccolando un gatto.
La vita, però, non era stata così clemente con lui ed aveva deciso di donargli una famiglia con radici italiane e troppi soldi da spendere.
Il suono perforante della sveglia, quella mattina, non era riuscito a svegliarlo al primo colpo, anzi, ce ne erano voluti almeno cinque ripetuti a distanza di dieci minuti prima che il cervello di Frank si decidesse a rendersi conto che il rumore che sentiva non era solo frutto di un sogno, ma bensì frutto della vita reale che reclamava a gran voce la sua attenzione.
Aggrovigliato tra le coperte com’era, gli ci volle un po’ per riuscire ad allungare una mano verso la sveglia e spegnerla. Si mise seduto iniziando a fissare un punto indefinito del pavimento, ritrovandosi a pensare per la centesima volta per quale diavolo di motivo si fosse iscritto in una facoltà così difficile, se nemmeno era tra i suoi piani diventare avvocato. Forse, rientrava tra i piani di sua madre, dato che lei l’aveva iscritto in quel college senza avvisarlo, cioè l’aveva avvisato, ma solo a cosa fatta quando era tornato dalla sua vacanza studio durata anni. Sua madre, gli aveva rifilato come scusa che lui non sapeva ancora cosa fare e qualcuno doveva prendere in mano la situazione, ovvero la sua vita, perché se lei avesse aspettato le sue decisioni si sarebbe rovinato la vita e basta, rendendosi conto troppo tardi di cosa voleva fare veramente; quindi aveva pensato bene di decidere tutto lei, senza pensare minimamente alla possibilità che magari lei gli avrebbe rovinato la vita.
Frank, in realtà, ce l’aveva una visione di ciò che sarebbe voluto diventare e una volta l’aveva anche rivelato alla madre, solo che quest’ultima si era rifiutata di dargli retta perché “doveva smetterla di sognare e tornare nel mondo reale”.
Per come la vedeva lui, avrebbe preferito rimanere un nullafacente mantenuto dalla madre piuttosto che iscriversi in una scuola del genere, a spaccarsi le ossa per il troppo studio, quando una carriera da avvocato era praticamente impossibile anche solo da immaginare con il carattere che si ritrovava.
Purtroppo, all’università di legge, non era previsto un corso per diventare dei “veri duri”.
Quel Way che incontrava ogni giorno a lezione di diritto penale aveva sicuramente il carattere per potersi permettere una carriera brillante davanti a se, ma non di certo lui.

A proposito di quel Way.. no, aspetta, non doveva pensare a quel Way che ogni giorno gli puntava quei suoi occhi verdi addosso come se fossero due spade laser e volesse ammazzarlo con esse. Che poi, non gli aveva fatto nemmeno niente. A parte fermarsi nel bel mezzo della strada bloccandogli la traiettoria.
Non gli rivolgeva nemmeno la parola, si limitava a guardarlo male come se non sopportasse nemmeno il fatto che entrambi respirassero le stesse molecole di ossigeno.
Se pensava di avere un possibile rivale futuro nel campo lavorativo, si sbagliava di grosso, appunto perché Frank e i dibattiti di qualsiasi natura non andavano d’accordo.

Finalmente, il ragazzo ancora parzialmente nel mondo onirico, decise di afferrare il telefono riposto sopra il comodino e guardare l’ora, un’ora decisamente tarda dati i cinquanta minuti che aveva impiegato per svegliarsi.  
Frank cercò seriamente di non farsi prendere dal panico come era solito fare, ma le abitudini erano dure a morire e, invece di prendere un respiro profondo ed accettare la situazione con lucidità, si alzò talmente di scatto che venne colto da un giramento di testa e ricadde sul letto circa mezzo secondo dopo.
Sbuffando, si rialzò con più calma e fece mente locale su ciò che doveva fare e quanto tempo gli sarebbe servito per farlo e, infine, valutare se valeva veramente la pensa uscire di casa per andare a seguire le lezioni di quel giorno.
La prima era, irrimediabilmente, andata. La seconda sarebbe iniziata da lì a pochi minuti.
Togliendo quelle prime due lezioni, ne rimanevano altre tre, sparse però nell’arco della giornata. Quindi si, aveva tutto il tempo per potersi preparare senza farsi prendere da un attacco di panico per l’ansia che gli procurava lo scorrere dei minuti.
Si, anche lo scorrere dei minuti procurava ansia a Frank, ma non era una di quelle ansie che si potevano benissimo ignorare/sottovalutare, perché il tempo era uno dei maggiori problemi per lui. L’intera vita è fondata sullo scorrere dei minuti, scanditi in piccoli secondi che velocemente ed inesorabilmente continuavano la loro infinita corsa verso un traguardo che in realtà non esisteva, sordi ad ogni richiesta di pausa; il tempo è infinito ma a noi poveri esseri umani non è consentito aver accesso a questa infinità, forse non ne siamo degni, forse siamo degni solamente di quella piccola fetta finita che ci è stata predestinata fin dall’inizio. Ed era proprio che procurava ansia a Frank. Il tempo racchiuso in un piccolo spazio finito, il sapere che devi realizzare un’intera vita fatta di desideri impossibili in un lasso di tempo troppo piccolo. Il sapere che un essere umano non potrà mai leggere tutti i libri esistenti e nemmeno tutti i libri che si prefissa di leggere, semplicemente perché, tra una cosa necessaria alla vita umana e l’altra, non si ha il tempo. Sapere che, infine, non si potrà mai conoscere l’intera arte, in tutte le sue sfaccettature, presente nel mondo.
E sapere che il tempo perso di quella mattina non l’avrebbe mai recuperato e che aveva perso due lezioni anch’esse irrecuperabili, faceva aumentare ulteriormente il peso sul petto che già sentiva ogni giorno.

Il problema di fondo era che Frank non sarebbe mai cambiato, non se continuava così, non se si autoconvinceva del fatto che ce l’avrebbe potuta fare nell’ardua impresa dell’uscire dal suo normale sé. Doveva convincersi a darsi una mossa, lui per primo sapeva quanto velocemente la vita gli stesse passando di fronte senza che lui prendesse nessuna iniziativa per parteciparvici.
Erano sempre stati gli altri a decidere per lui, a partire dal viaggio in Italia per finire con la scelta di andare al college ed anche a che tipo di college. Una parte di sé sapeva che non poteva permettere che ciò continuasse, non un giorno in più e non un giorno in meno, aveva già perso troppe esperienze e stava sprecando il dono del libero arbitrio di cui tutti gli esseri viventi erano stati dotati fin dall’inizio. (Okay, forse un libero arbitrio non totalmente completo, ma il problema non era esaminare se il libero arbitrio fosse veramente libero o no) E per cosa, poi? Per paura? Per paura di fallire? Di mettersi troppo in mostra?
Forse, anzi, Frank ne era abbastanza sicuro, la sua paura era un insieme di tutte queste cose, e di altre cose ancora.

Non era la prima volta che la sua mente finiva incastrata su questa linea di pensieri, ma quella mattina sentiva che c’era qualcosa di diverso e sentiva che, quasi sicuramente, quella era la volta buona per fare qualcosa di diverso e di anormale per la sua “normale” vita.
Con quella convinzione in testa, che magari se ne sarebbe andata da lì a poco come sempre accadeva, si decise di andarsi a fare una doccia per poi, finalmente, prepararsi ed uscire di casa.

Non passò molto tempo dal momento in cui finì di prepararsi al momento in cui arrivò ai complessi del college, infatti era ancora troppo presto per la prossima lezione a cui avrebbe dovuto partecipare, così decise di andare a fare colazione nell’unico bar di cui era previsto il college, sperando che non fosse affollato come al solito, sperando che la maggior parte degli studenti fossero a lezione o morti per un’epidemia improvvisa arrivata nel lasso di tempo in cui lui stava ancora dormendo, protetto dalle coperte del suo morbido letto nel suo appartamento.
Il suo desiderio di morte improvvisa di tutta la popolazione studentesca, però, non fu avverato e nemmeno quello in cui desiderava che tutti i suoi compagni fossero a lezione. In pratica, più della metà degli studenti, sembrava stipata in quello piccolo spazio chiamato caffetteria. Ergo, non c’era nemmeno mezzo angolo libero su cui potersi sedere, nemmeno per una persona piccola come lui.
Si avvicinò alla coda che, supponeva, fosse la coda per poter ordinare e, dieci minuti dopo, finalmente arrivò il suo turno.
Ordinò il suo caffè preferito, ovvero il più strano tipo di caffè che l’uomo avesse mai creato: il caffè nero. Purtroppo, fu costretto a farselo consegnare in una di quelle tazze di cartone per poterlo portar via, nella vana speranza di trovare almeno una panchina libera all’esterno.
Non andava matto per quei recipienti in cartone, gli sembrava sempre rovinassero il gusto del caffè, ma forse era semplicemente una sua impressione e molto probabilmente doveva ancora riabituarsi al gusto del caffè americano, abituato com’era a bersi minimo quattro tazze di caffè italiano al giorno. Almeno, si poteva consolare con il gusto della ciambella ipercalorica che aveva ordinato assieme al suo triste caffè.

Fece per uscire dalla caffetteria, ma il suo sguardo venne prima catturato da alcuni volantini riposti su un tavolino proprio a fianco la porta.

“GIORNATA DELLE CONFRATERNITE, VENITE A SCOPRIRE SE AVETE QUALCOSA DI SPECIALE PER POTER ENTRARE A FAR PARTE DI QUESTO MONDO”
Appena Frank finì di leggere il titolo di quei volantini, il suo primo pensiero fu quello che forse essi fossero un po’ troppo pretenziosi, come se quelli che facevano parte della cerchia delle confraternite si credessero migliori di qualunque altro studente ma, pensandoci, forse era veramente così.
A Frank non erano nuove le confraternite, anzi, sapeva perfettamente come esse funzionavano e di questo, doveva ringraziare sua madre che gli aveva fornito una grande cultura in fatto di confraternite. E si era anche preoccupata di fargli sapere di quanto desiderasse una figlia, al posto di un figlio, per poterla farla andare nello stesso college in cui era stata lei così, di conseguenza, farla entrare nella stessa confraternita di cui lei aveva fatto parte. (Anche se aveva continuato a ripetere “sorelle lo si è per sempre”).
Lui, non aveva mai colto il desiderio di entrare in una di esse, ma riguardando il volantino e ripensando a tutti i buoni propositi che si era creato per la giornata, quella mattina prima di uscire, prese uno dei volantini senza darsi il tempo di pensare troppo e far prevalere la sua cara amica paranoia nel filo del suo attuale ragionamento.

Iniziò ad attraversare il cortile immenso alla ricerca di una panchina libera e, nel frattempo, iniziò anche a leggere il testo di quel volantino, scoprendo che la giornata delle confraternite era proprio quel giorno. Scoprì anche che la giornata si sarebbe divisa in due, la prima parte consisteva nella presentazione delle varie confraternite, la seconda parte, invece, consisteva in una festa. Ogni confraternita avrebbe dato una festa, ma essa non sarebbe stata una semplice festa, ma una sorta di prima prova per l’iniziazione.
Frank non era proprio il tipo.
Poteva contare su una mano sola quante volte aveva preso parte ad una festa e tutte le volte qualcosa era andato storto.
Il problema di fondo era che lui non era decisamente in grado di socializzare, quindi entrare in una confraternita era totalmente fuori discussione, dato che era risaputo che tutte le persone che facevano parte di una di quelle “sette” erano dotati di un gran carisma. O almeno, la maggior parte di loro.
Non sapeva proprio cosa fare.
Si era ripromesso di cambiare una volta per tutte, ma ecco che la paura iniziava a montare in lui al solo pensiero di dover prendere una decisione imminente sul cosa fare.
Però, ripensandoci, un semplice giro d’ispezione non gli avrebbe fatto male. Poteva benissimo fingersi uno studente minimamente interessato e che non aveva nulla di meglio da fare in quel momento della giornata. Ecco, si sarebbe recato al viale delle confraternite e, con fare disinteressato, avrebbe passeggiato senza porre domande a nessuno.

Arrivò difronte al bivio che, se proseguivi dritto di portava direttamente al viale delle confraternite, mentre se prendevi la strada di destra ti portava verso i dipartimenti scientifici. Guardò per alcuni istanti le due strade e, dopo aver preso un respiro profondo, proseguì dritto a testa bassa, chiedendosi che cazzo stesse facendo e cosa potevano pensare o dire quelli che lo vedevano passare.
Prese un altro respiro profondo e bevve un sorso di caffè mentre le prime strutture, che sembravano delle villette, iniziavano a mostrarsi alla sua vista. La vita in quella via sembrava molto caotica in quel momento, c’erano persone sparse un po’ ovunque, tutte intente a fare qualcosa, chi a spostare tavoli e sedie e chi intento ad imporre ordini agli altri attraverso un megafono, usando anche parole non propriamente gentili.

Quel posto aveva seriamente bisogno di una cartina, non che ci fosse un intrico di strade, anche perché il tutto si sviluppava lungo una singola strada, ma il fatto era che c’erano troppe confraternite e le strutture erano tutte uguali, quindi riconoscerle era quasi impossibile per una matricola come lui che non conosceva il posto e men che meno le diverse confraternite. Come speravano che una matricola potesse orientarsi in quel posto?
Frank capì che i preparativi per la giornata delle confraternite erano in forte ritardo, infatti nessuna di esse aveva ancora allestito qualcosa per il benvenuto e nessuno dei ragazzi lì presenti sembrava intenzionato ad illustrare come sarebbe stata la vita di un co-fratello, quindi quella visita era stata abbastanza inutile. Tanto valeva trovarsi una panchina su cui andarsi a sedere e finire la sua colazione in pace.
Trovò una panchina poco più avanti e, con passo sicuro, avanzò verso di essa ma, ben presto, dovette bloccare la propria marcia nel sentire una voce, stranamente famigliare, urlare offese a non finire a qualcuno di non ancora identificato.

«Solo perché non siete più delle matricole da una settimana, non avete il diritto di fare quello che volete e prendervi gioco di me! Aprite questa maledetta porta, coglioni!»

Frank aggrottò la fronte e voltò la testa da un lato all’altro, cercando il punto da cui provenivano quei schiamazzi.

«Non fatemi incazzare più di quanto lo sono già, se quest’anno mi eleggono presidente della confraternita vedrete che fine vi faccio fare!»

Finalmente i suoi occhi si fermarono sulla fonte di quel suono, era un ragazzo in mutande intento a prendere a pugni una porta, non riusciva a vedergli il viso perché egli era girato di spalle, ma qualcosa gli diceva che lo conosceva e che forse era proprio quel ragazzo che continuava a tornargli in mente nei momenti meno opportuni.
Anche se una parte di lui sapeva che l’ultima cosa che doveva fare era avvicinarsi, Frank si avvicinò comunque, spinto da un qualcosa che non aveva mai sentito in lui, l’istinto molto probabilmente, quella cosa che se ascoltavi ti avrebbe portato alla rovina, e si fermò dinanzi l’imboccatura del piccolo vialetto che portava di fronte alla porta.
Purtroppo, però, non fu fortunato abbastanza ed il ragazzo in mutande si girò proprio in quel momento verso di lui e piantò i suoi occhi di giada contro quelli del più piccolo.
Occhi che avevano già rischiato di ucciderlo una volta.
Deglutì rumorosamente, aspettandosi una sfuriata da parte di Gerard come quella che aveva servito fino a poco prima a quei due ragazzi che l’avevano chiuso fuori, che stavano guardando tutta la scena dalla terrazza sopra la porta.

«Che hai da guardare?»

Frank fece un passo indietro, non riusciva proprio ad abituarsi al tono scontroso del ragazzo che sembrava riservare a tutto il mondo.
Non rispose subito al ragazzo, non sapeva come ribattere, non sapeva se rispondergli con un tono normale o con lo stesso tono che gli aveva riservato. In realtà, non avrebbe ribattuto lo stesso, anche se avesse avuto la risposta pronta.

«Quindi?»

Gerard iniziò ad avvicinarsi a Frank e l’unica cosa che voleva fare quest’ultimo era scappare in Islanda.
Deglutì nuovamente rumorosamente, costringendo i propri piedi a stare fermi, ignorando il proprio istinto di sopravvivenza. Se fosse scappato da quella situazione, avrebbe fatto solo una magra figura che preferiva di gran lunga evitare.

«Non stavo mica fisando te in particolare, sono qui per la giornata delle confraternite e mi stavo limitando semplicemente ad osservare ciascuna di esse..»

Con un filo di voce, riuscì a sputare quella frase e quasi si meravigliò del fatto che non gli si ruppe la voce a metà via.
La cosa negativa era che Gerard si era fatto più vicino e si era fermato a pochi passi da lui; ora ignorare il fatto che fosse praticamente nudo era diventato praticamente impossibile.
Costrinse il proprio sguardo a guardare solamente i propri piedi.
Non poteva rischiare di alzare lo sguardo su Gerard ed arrossire. Purtroppo non era a suo agio con la nudità, non lo era mai stato, ed ogni volta che si ritrovava d’innanzi qualcuno che mostrava qualche parte del suo corpo, arrossiva sempre. Sapeva però che se l’avesse fatto in presenza di quel ragazzo, non avrebbe mai più avuto pace in quell’università.

«Mi fa piacere intimidirti così tanto da indurti ad abbassare lo sguardo, tutti dovrebbero prendere esempio da te. E non ti ho nemmeno fatto nulla. Chiedi a quelle due simpatiche matricole che mi hanno chiuso fuori cos’ho fatto passare a loro.»

Frank non aveva accennato a guardarlo, ma non poté fare a meno di alzare lo sguardo quando si sentì sottrarre dalla mano il sacchetto che conteneva la ciambella che era stato così contento di acquistare quella mattina, ma che non aveva ancora avuto il piacere di assaporare.

«Oh, adoro quando voi matricole vi presentate qui con il cibo. Ci tengo a dire però che questo non ci indurrà ad ammetterti nel nostro cerchio.»

Il più piccolo guardò il più grande con un sopracciglio inarcato, voleva per lo meno riprendersi la ciambella, ma nemmeno il tempo di pensarci che, il più grande, se l’era già infilata in bocca quasi totalmente.

«N-non voglio mica entrare nella vostra confraternita, sono qui solo per caso.»

Frank si maledì in sette lingue diverse per aver balbettato ad inizio frase. Possibile che fosse così difficile per lui fingere di essere una persona normale senza tutte quelle paranoie che si trascinava dietro?

«Ti stai fregando da solo, te ne sei accorto? Prima mi dici una cosa ed ora me ne dici un’altra, ma ho una teoria. Si, ho proprio una bella teoria e scommetto il mio bel culo che è proprio come penso. Tu in realtà sei qui perché mi stai seguendo. Penso proprio di aver fatto colpo, ancora una volta il fascino Way ha colpito ancora. Ma tranquillo, non sei mica il primo che becco a spiarmi fuori dalla mia confraternita, solo che la maggior parte delle persone che becco sono ragazze.»

Frank non sapeva come ribattere. Quel Way era talmente pieno di se che era riuscito ad elaborare una teoria assurda, ma che sembrava quasi vera.
Non che fosse così impossibile quello che Way aveva detto, Frank conosceva ormai da tempo il proprio orientamento sessuale, che andava da entrambi le parti, quindi che si prendesse una sbandata per quel ragazzo poteva anche essere normale. Dopotutto, quel ragazzo non era per niente male.
Non aveva un fisico statuario, anzi, aveva anche qualche filetto di pancia, ma a Frank non erano mai piaciuti i ragazzi perfetti. Preferiva quelli più alla sua portata.

«Ecco che stai confermando la mia teoria, so di essere fantastico, ma ti prego smettila di fissarmi con quell’aria da svanito.»

Gerard roteò gli occhi con fare teatrale, come per confermare quanto gli creasse noia quella cosa, anche se in realtà, dentro di sé, stava gongolando perché, ancora una volta, il proprio fascino aveva fatto cadere ai proprio piedi l’ennesima persona.
Frank, invece, non si era proprio reso conto di essersi incantato nel fissarlo; e questo non andava affatto bene, perché si stava facendo condizionare da ciò che aveva detto il ragazzo.

«Way! Che cazzo ci fai qua fuori con le mani in mano? Oh, non dirmi che sei qui da ieri sera, ma presumo di sì dato che sei ancora nudo come ti avevamo lasciato, non dirmi che non seri ancora entrato in casa. Siamo pure in ritardo! Ti avevo espressamente ordinato di iniziare ad organizzare tutto ciò che ci serve per oggi.»

«Aspetta Brendon, non mi rompere il cazzo, non vedi che sono impegnato? E poi è colpa delle tue cazzo di matricole se sono qui fuori, stanno già cercando di vendicarsi per quello che ho fatto passare l’anno scorso a tutti loro.»

Frank sentì sbuffare sonoramente qualcuno dietro di sé, quindi si voltò per scoprire con chi stesse parlando Gerard, per scoprire chi fosse quel Brendon.
Fermo dietro di sé c’era un ragazzo dall’aria simpatica, con un cappellino infilato al contrario, una larga canottiera bianca, come quelle che si usano per giocare a basket, ed un paio di pantaloncini anch’essi larghi per completare l’opera. Nel complesso, Brendon non sembrava il tipo di ragazzo a cui Gerard potesse rivolgere la parola.

«Spero tu stia facendo qualcosa d importante, spero infatti che questo ragazzo sia interessato alla nostra confraternita e che tu gli stia illustrando com’è la vita con noi.»

«No, in realtà sto cercando di liberarmi dell’ennesima persona innamorata pazza di me.»

«QUESTO NON E’ VERO!» sbottò, all’improvviso Frank. Nemmeno lui credeva alle proprie orecchie, ma ormai non poteva fermarsi proprio in quel momento. «Stai facendo tutto da solo, in realtà io sono qui proprio per questa confraternita, solo che mi seccava dirtelo subito dato che non vorrei nemmeno essere qui, ma sono stato costretto.»

Ecco, Frank se ne uscì con una marea di cazzate per cercare di sviare il discorso di Gerard sulla sua presunta cottarella, ma il problema era che si era messo ancora più nei casini in quel modo. Lui non voleva per alcuna ragione al mondo far parte di quella confraternita.

«Oh, non so se essere lusingato o incazzato per questa tua motivazione, ma ti do lo stesso il mio benvenuto. Purtroppo non abbiamo ancora preparato nulla per la giornata di oggi, ma posso spiegarti brevemente tutto ciò che vuoi sapere anche ora! Comunque, piacere, io sono Brendon.»

Il ragazzo dietro di sé, si era spostato ed ora era al fianco di Gerard con una mano tesa nella propria direzione. Frank, di malavoglia ma anche grato al ragazzo per la sua gentilezza, allungò anch’esso la mano e strinse quella del ragazzo.

«Frank.»

Rispose senza aggiungere nient’altro, anche se chiaramente Brendon si aspettava una qualche domanda. La verità era che Frank non vedeva l’ora di potersela svignare da lì e, mentalmente, stava continuando a maledirsi, non per la ragione di prima, ma per la decisione che aveva preso di andare a visitare quel posto e di essere stato talmente stupido nell’avvicinarsi a quel ragazzo quasi complente nudo che si era rivelato essere Gerard.

«Lascia che ti dica una cosa Frank.» Gerard interruppe la frase che stava per dire Brendon senza curarsene troppo «Non sei fatto per questo posto, quindi ti consiglio di girare i tacchi e andartene, che di certo non ti prenderemo mai. Ah, avresti proprio bisogno di un paio di tacchi, comunque.»

«Gerard! Ti sembra il modo? Non sei nemmeno il presidente, quindi dovresti startene zitto e lasciar parlare me. Frank, non farti influenzare da questo cazzone, se vuoi sapere qualcosa chiedi pure.»

Frank stentava a credere che Gerard facesse parte di quella confraternita, quando Brendon, che dedusse essere il presidente, sembrava così gentile.
Strinse una mano a pugno, non importa che modi avesse usato Gerard, il fatto era che aveva pienamente ragione. Lui non era fatto per quelle cose e lo sapeva anche da solo.
Guardò negli occhi Gerard per un lungo momento e quest’ultimo ricambiò il suo sguardo, in un modo più truce e quasi di sfida.
Gerard aveva ragione e non c’era più nessuna ragione di rimanere lì impalato come un coglione, non gli rimaneva altro che girarsi ed andarsene. E così fece.



 
Sera

 
 
Le lezioni erano magicamente finite e tutto il sapere che esse avevano donato agli studenti, a Frank non ne rimase nemmeno un po’. Se glielo avessero chiesto, non avrebbe mai ammesso che, per tutto il giorno, era rimasto a pensare alle parole che quel Way gli aveva rivolto ma, la sua giornata, era andata proprio così ed era per quello che non si ricordava nulla delle lezioni che aveva frequentato quel giorno, anzi, non le aveva proprio ascoltate; ed anche mentre se ne stava tornando a casa aveva continuato a pensarci.

Ormai, era sera inoltrata e Frank se ne stava seduto sul piccolo divano in sala (ma che poteva considerarsi anche cucina) a fissare il vuoto.
Era stupido quanto una cosa, anche la più inutile, lo potesse turbare e non sopportava questo tratto di sé, anche se, a conti fatti, non sopportava nessun lato di sé.
Il fatto era che, una parte di lui, voleva andare a quella maledetta festa, e non sapeva spiegarsi il motivo. Sapeva benissimo che non doveva presentarsi, che figura avrebbe fatto davanti agli occhi di Gerard? Ma, allo stesso tempo, non andandoci, avrebbe fatto la figura di quello facilmente influenzabile che si faceva intimidire da un altro studente poco più grande di lui. In questo modo, avrebbe fatto la figura del liceale non ancora maturo per affrontare il college.
A questo punto, i contro del non andarci risultavano maggiori rispetto ai pro, quindi non aveva altra scelta che andarci. Doveva solo trovare il coraggio.
Dopotutto, quante cose potevano andare storte?


In realtà, c’erano molte cose che potevano andare storte, ma non le aveva proprio considerate prima di uscire da casa. Ad esempio, non aveva considerato il fatto di soffrire di claustrofobia, se ne era ricordato solo un attimo dopo essersi ritrovato con un sacco di nylon nero in testa.
L’attimo prima era circondato da persone in una stanza poco illuminata e, l’attimo dopo, non aveva nemmeno abbastanza ossigeno per prendere un respiro profondo.


 

Angolo Autrice: 
SCUSATEMI TANTISSIMO PER QUESTO MEGA RITARDO. 
Eh si, sono passati praticamente tre mesi dall'ultimo aggiornamento e no, non pensavo che avrei fatto passare così tanto tempo. 
Il fatto è che questa quinta mi sta uccidendo ed ogni momento libero che ho lo sfrutto per dormire. 
Comunque, eccomi qui con questo nuovo capito. Yeey. 

In realtà, questo capitolo, doveva essere molto più lungo, ma ho tagliato il finale perché ho pensato "ehi, perché non lasciamo così Frank per altri due capitoli?" Si, perché ora avrete sicuramente capito il meccanismo che avrà questa fanfic. Un capitolo nel presente ed uno nel passato. 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, purtroppo l'ho riletto velocemente e sicuramente qualche errore mi sarà scappato.
Spero anche che tutte le persone che seguivano la storia ci siano ancora e che magari mi lascino anche una piccola recensione, sapete che mi fa sempre piacere! 
Scusate se non ho risposto alle vostre recensioni, ma mi è completamente passato di mente! c.c 
P.S se ve lo state chiedendo, sì! Quello è Brendon Urie.
Ci risentiamo al prossimo aggiornamento. :3 
 
-mixherondair
   
 
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