Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Adeia Di Elferas    11/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~~ Roberto Sanseverino era soddisfatto di quello che era riuscito a concludere. Ludovico Sforza lo era un po' meno, ma viveva già come una vittoria essere stato chiamato in causa per stipulare quella pace e contrattare sui nuovi confini.
 Sanseverino era stato scelto come ambasciatore dai veneziani perchè era l'unico che sapeva come prendere un milanese come Ludovico. Aveva capito i sospetti che l'uomo nutriva nei confronti dei suoi stessi alleati e aveva fatto allusioni strane, in modo da confermare al reggente del Duca di Milano ogni suo dubbio.
 Se Ludovico, infatti, era certo di poter aggirare ogni ostacolo e prendere il potere al posto del nipote, era anche insicuro per quel che riguardava la posizione dei suoi stessi alleati. Temeva, di fatti, che gli Aragonesi, a loro detta suoi sostenitori, in realtà stessero spingendo per vedere Duca Gian Galeazzo.
 Roberto Sanseverino aveva accennato al fatto che una guerra così lunga e difficile avrebbe potuto mettere alla prova il reggente di Milano e che fare un passo falso sarebbe stato fatale, nel caso il reggente avesse voluto dimostrare la sua propensione al buon comando.
 Ludovico aveva capito quello che il legato veneziano intendeva dire: se avesse perso la guerra, nessuno lo avrebbe più sostenuto e, in un modo o nell'altro, l'avrebbero fatto sparire.
 A Bagnolo Ludovico Sforza e Roberto Sanseverino, come rappresentanti delle due leghe che si erano scontrate per le saline ferraresi, il sette agosto del 1484 firmarono una pace che, seppur in misura variabile, accontentò tutti.
 Tutti tranne papa Sisto IV.
 
 “Questa... Questa cosa...!” esclamò Sisto IV, buttando il foglio sulla scrivania, davanti agli occhi bassi di alcuni vescovi e del messaggero che gli aveva appena portato la missiva: “Questa cosa... Vergognosa e ignominiosa...!”
 Alzò una mano tremante e si sistemò la papalina, che, nello scatto d'ira, gli era scivolata di lato.
 Si asciugò la saliva dagli angoli delle labbra e poi cercò di tornare in possesso di sé. Non era una cosa facile, soprattutto con tutte quelle facce rivolte verso di lui, come le fauci di un lupo verso una preda facile.
 “Lasciatemi solo.” ordinò e per una volta la sua voce risuonò con la stessa autorevolezza che aveva avuto negli anni ruggenti.
 Una volta che tutti si furono levati di torno, Sisto IV riprese il messaggio, spiegò il foglio per bene e strizzò gli occhi per poter leggere di nuovo quelle ignobili parole che mettevano una pietra definitiva sulla sua autorità.
 La pace era stata firmata a Bagnolo, ma a Roma non era rimasto nulla, nemmeno le briciole. Anche se all'inizio della guerra Sisto IV si era convinto di poter ottenere se non tutto il ferrarese, almeno la città di Ferrara e di potervi mettere a capo suo nipote Girolamo, già a metà conflitto aveva capito che quello era un mero sogno. Però si era fatto convinto che almeno i piccoli principati della Romagna sarebbero stati dati alla Santa Chiesa! E che diamine! Almeno le briciole! Non aveva forse sborsato denaro e perso soldati, per quell'assurdo conflitto?
 Quasi si vergognava, ora, a confessarlo perfino a se stesso, ma era così: aveva dato per scontato che nessuno gli avrebbe negato almeno quei piccoli principati e invece tutti si erano presi gioco di lui, vecchio e debole.
 E poi, ah, che grande presa per i fondelli... Per aver rinunciato – più che aver rinunciato, sarebbe stato giusto dire 'per esser stato privato' – delle terre a cui avrebbe avuto diritto, Girolamo avrebbe dovuto almeno ottenere la carica di Capitano della Lega. Lo stipendio, almeno, sarebbe stato una specie di indennizzo.
 Invece il titolo era andato a Sanseverino. E certo, c'era da aspettarselo, da un lupo tavestito da agnello.
 Sisto IV non credeva possibile che tutto fosse finito così, senza nemmeno un fazzoletto di terra, uno straccio di titolo per i Della Rovere... Tutto finito, tutto inutile...
 Accartocciò il messaggio e lo gettò in un angolo del salone. Era troppo provato per fare di più.
 Per la rabbia e lo sforzo di controllarsi, aveva sudato freddo tutto il tempo. Si sentiva tremare più di prima e avrebbe dato qualunque cosa pur di avere al suo fianco Caterina Sforza che, con uno dei suoi intrugli, l'avrebbe subito fatto stare meglio.
 La realtà era che da quando aveva ricevuto quella notizia infausta, la sua salute era precipitata e già quella notte il Santo Padre cominciò a perdere il sonno, preda di una febbre altissima e di origine misteriosa.

 Gli Orsini, nel frattempo, avevano fatto capitolare anche Capranica, che si era arresa a suon di minacce, senza bisogno di metter mano alle armi.
 Dunque ora l'obiettivo principale era stanare Prospero Colonna, che si era trincerato a Paliano.
 Gli Orsini erano riusciti ad allestire il campo molto in fretta e stavano approntando un piano per sconfiggere una volta per tutte i Colonna con quell'ultimo atto. Ormai avevano sottratto ai nemici molte città strategicamente importanti e se fossero riusciti ad acciuffare anche Prospero Colonna, la vittoria sarebbe stata davvero a portata di mano.
 Le armi che Caterina aveva comprato dai ferraresi stavano per arrivare, a quel che pareva e, anche se non aveva potuto usarle contro Cave, le sarebbero tornate utili contro Prospero Colonna.
 “Un passavolante, due falconetti e una bombarda.” spiegava Caterina a Paolo Orsini, che sembrava molto interessato alla cosa: “Ma costruiti con nuovi metodi, con nuova logica.”
 L'uomo annuiva e chiedeva notizie in più. Caterina era felice di poter elencare i pregi che, a quanto pareva, avevano queste armi e, assieme a Virginio Orsini, i tre fantasticavano si come li avrebbero usati contro i Colonna.
 Girolamo, invece, non si intrometteva mai nei loro discorsi e raramente era presente alle loro chiacchierate. Non gli piaceva vedere come sua moglie sapeva essere amabile e gentile con i due Orsini. Vedere una volta di più quanto fosse capace di essere disponibile e sorridente con gli altri, gli rendeva ancora più insopportabile trovarla fredda e ostile verso di lui.
 Anche quella notte, quando si trovarono a condividere il medesimo padiglione, Caterina si era coricata in una branda molto lontana dalla sua, senza rivolgergli la parola.
 Non nominava mai i loro figli, nemmeno quello che ancora non era nato. Girolamo la trovava una cosa grottesca. Per quanto volesse credere che nel suo intimo Caterina pensasse ai figli, la realtà dei fatti lo avviliva.
 Il ventre gonfio di sua moglie era lì davanti a lui, alla luce della candela che ancora non aveva spento. Andava su e giù lentamente. Là dentro c'era il loro quarto figlio.
 Anche se Girolamo sapeva di avere svariati figli sparsi per l'Italia, riusciva a provare qualcosa solo per quei quattro figli legittimi. Più volte Caterina lo aveva indirettamente biasimato per questo motivo. Ella infatti ricordava in più occasioni, in presenza del marito, come suo padre Galeazzo Maria Sforza, avesse amato i figli avuti fuori dal matrimonio come fossero figli legittimi. Lei stessa era la sua preferita, diceva, pur essendo nata prima da una relazione avuta prima del matrimonio.
 Anche se parlava poco e poco volentieri del defunto Duca, soprattutto in presenza di Girolamo, quella cosa la sbandierava, di tanto in tanto. Girolamo l'ascoltava e qualche volta faceva notare come, però, la norma fosse diversa. La maggior parte degli uomini di un certo rango avevano figli illegittimi che spesso nemmeno conoscevano. A quel punto Caterina lo guardava tagliente e affermava che uomini del genere erano uomini orribili e senza dignità.
 Quindi anche lui era un uomo orribile e senza dignità. In fondo i figli erano figli, poco importava se nati da un matrimonio o da un altro tipo di relazione...
 Un improvviso pensiero lo fulminò, facendogli spalancare gli occhi. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena, mentre l'idea prendeva sempre più forma e assumeva sempre più significato.
 Forse Caterina non amava i loro figli perchè per lei erano come dei figli illegittimi. Bando alle chiacchiere, anche se lei favoleggiava così tanto di uomini meravigliosi che aprivano casa e cuore per dei figli illegittimi, era probabile che invece la pensasse come tutti. Cioè, era probabile che nemmeno lei avrebbe voluto sotto il proprio tetto il frutto di una relazione non benedetta dalla Chiesa. Quindi anche quei figli avuti da lui potevano per lei essere alla stregua dei peggiori figli di nessuno... In fondo lo odiava, non ne faceva mistero, quindi perchè non avrebbe dovuto odiare i suoi figli? Erano dei Riario pure loro...
 Oh, alle volte gli pareva di impazzire, quando cominciava a pensare e pensare e più i pensieri si affollavano, più gli sembravano privi di senso e più necessitava di qualcuno o qualcosa che gli facesse capire cosa era vero e cosa no...
 “Siete sveglia...?” chiese Girolamo, con un filo di voce.
 Non sapeva dove aveva trovato l'ardire di parlare. Alle volte la paura reverenziale che provava nei confronti della moglie lo rendeva furioso, capace di ogni cosa, mentre in altri momenti – come quella sera – lo trasformava in un esserino tremante e insicuro, impaurito dal suono stesso della sua voce.
 “Cosa c'è?” chiese bruscamente Caterina, tenendo gli occhi chiusi.
 “Io...” cominciò Girolamo, già pentito del suo sprazzo di audacia.
 “Parla, per favore... Ho sonno. Domani tenteremo una sortita, quindi vorrei dormire.” lo esortò Caterina, stavolta aprendo gli occhi.
 Lo sguardo scuro di Girolamo incontrò quello di Caterina e per un momento entrambi restarono in silenzio.
 Caterina osservò i riccioli del marito, tenuti sempre abbastanza lunghi, alla moda fiorentina, e li trovò spenti e sfibrati. Passò al naso dritto e lo vide stranamente affilato. Le guance erano incavate e gli occhi erano cerchiati di blu, iniettati di sangue.
 Quando lo aveva rivisto a Roma per la prima volta dopo il matrimonio, aveva dovuto ammettere con se stessa che era un bel giovane, prestante e dal tratto piacevole. Ora, però, con tutto l'impegno, non poteva che considerarne l'aspetto stremato e l'espressione incredibilmente invecchiata. Non c'era quasi più nulla della spavalderia e dell'arroganza che gli aveva permesso di fare la voce grossa nella sua prima giovinezza.
 “Allora?” chiese di nuovo Caterina, impaziente.
 “Mi chiedevo se voi...” Girolamo si schiarì la voce, voltando appena il capo: “Ecco... Voi amate i nostri figli?”
 Caterina restò tanto colpita dalla stranezza dell'argomento che si mise a sedere sulla branda. La luce della candela tremolava sul volto di suo marito, facendolo sembrare più che mai lo spettro di quello che era stato anni prima.
 La vita da campo, evidentemente, non gli giovava.
 Caterina aprì la bocca per rispondere di getto che sì, li amava, ovviamente, ma poi si ricordò di come aveva deliberatamente cercato di perdere i primi due e di come si era sforzata di non aver riguardo nemmeno per gli altri due, proprio come stava facendo in quel momento, stesa su una branda da campo, in mezzo al nulla, pronta a saltare in sella al primo allarme e scendere in battaglia, in barba al suo pancione dolorante...
 Però si ricordò anche di come si era sentita nel tenere tra le braccia Bianca, e prima di lei Cesare. Per quel che riguardava Ottaviano, il discorso era di certo più complesso. Tuttavia...
 “Li amo più di quel che credevo possibile.” rispose alla fine.
 Girolamo, che per tutto il tempo per cui era durata l'esitazione della moglie, aveva trattenuto il fiato, si lasciò andare a un sospiro liberatore.
 “Hai altre domande del genere da farmi stasera?” chiese poi Caterina, a disagio.
 Non le piaceva parlare di sentimenti con Girolamo. Non le piaceva parlare con lui, punto. Da quando erano sposati non c'era mai stato nemmeno mezzo tentativo da parte del marito di conoscerla, di conoscerla davvero. Mai una domanda sulla sua infanzia, sui suoi gusti, sulle sue passioni, le sua paure, i suoi progetti, i suoi ricordi... Le poche volte che parlava con lei di cose personali era sempre e solo per ottenere rassicurazioni. Per se stesso, nulla di più.
 “Nessuna domanda. Scusatemi. Vi auguro una piacevole notte.” concluse Girolamo, mettendosi finalmente coricato e spegnendo la candela.
 Caterina chiuse gli occhi e cominciò a pensare ai suoi figli, che in quel momento erano a Forlì, senza di lei.
 Erano piccoli, ma di certo si chiedevano dove fosse la loro madre in quel momento. E anche dove fosse il loro padre. Si ricordava com'era, essere lasciata a casa ad aspettare un genitore che era in guerra. Poveri piccoli...
 'Ma tornerò, non abbiate paura.' pensò tra sé e si addormentò, mentre i primi incubi della notte prendevano forma nella sua mente.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas