Anime & Manga > Yowamushi Pedal
Segui la storia  |       
Autore: _Kurai_    13/12/2015    1 recensioni
La luna piena, un sakura ormai quasi del tutto sfiorito, e i passi leggeri di sandali di paglia sul tappeto di petali rosa e bianchi. Un fruscìo, poi un lieve sciabordìo d'acqua in una tinozza.
Anche stavolta, la missione di Arakita Yasutomo era conclusa. Alzò lo sguardo alla luna, mentre il suo corpo seminudo accoglieva la brezza notturna e le macchie di sangue sul kimono immerso nell'acqua andavano sbiadendo.
Imprecò piano, quando un rumore improvviso gli fece estrarre la spada.
Era solo un gatto.
Ripose la katana nel fodero, non senza aver accarezzato distrattamente l'incisione di un lupo alla base della lama, per poi abbassarsi a coccolare la piccola creatura nera come la notte.
Genere: Angst, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Team HakoGaku, Team Hiroshima Kureminami, Team Kyoto Fushimi, Team Souhoku
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Capitolo IX
Memories


L'accampamento era silenzioso.

Decisamente i combattenti di Fushimi non davano l'apparenza di uomini che stavano per sconfiggere uno dei feudi più grandi e potenti, e nemmeno il loro comandante riusciva a godere appieno del profumo della vittoria che iniziava a percepire, essenzialmente l'unica emozione che ancora gli dava un motivo per vivere. Ma qualcosa non andava, anche se non riusciva a determinare esattamente cosa fosse.

Erano cambiate moltissime cose, da quando era diventato il daimyo.
Il feudo di Fushimi solo una manciata di anni prima era poco più di un villaggio, circondato da signori molto potenti che anelavano alla sua conquista a causa della posizione strategica.

Ci aveva lavorato a lungo, aveva plasmato i suoi uomini dal primo all'ultimo, aveva limato senza pietà le sue capacità e quelle del suo esercito alla ricerca della perfezione, eliminando le pedine inutili, per andare oltre una semplice strategia di difesa e imporsi su tutti gli altri feudi, e non era mai stato più vicino all'obiettivo. Era stato necessario uccidere e sacrificare moltissimo, ma il risultato non si sarebbe fatto attendere.
Mancava poco: una volta annientate le forze di Hakone, avrebbe puntato a nord-est, per conquistare anche Sohoku. I rinforzi non sarebbero tornati in tempo o li avrebbero bloccati lungo la strada, e il suo piano perfetto si sarebbe realizzato.
La vittoria. La vittoria totale.

In realtà, Midousuji Akira non era sempre stato così. La freddezza, il calcolo, l'assenza di pietà, erano cresciute in lui col tempo, come se metri e metri di catene si fossero avvolte negli anni intorno al suo cuore. Nulla era necessario, se non serviva a vincere.
Tutto era iniziato il giorno stesso della sua salita al potere.
Quel giorno, lui era morto ed era rinato con una nuova pelle.
Quel giorno, Akira aveva smesso di provare qualsiasi emozione.

 

Cinque anni prima

Ishigaki Koutarou già a diciannove anni era indubbiamente il samurai modello. Ogni aspetto di lui ispirava fiducia, e anche gli uomini più esperti lo stimavano per la sua abilità nel kenjutsu e il suo modo di pensare. Un futuro già scritto, la strada già segnata dai passi del padre, del padre di suo padre, e del padre del padre di suo padre.

Il feudo di Fushimi apparteneva al clan Ishigaki da innumerevoli generazioni, e per lunghi anni il governo prudente di Ishigaki Daikaku e dei suoi predecessori aveva permesso alla popolazione di vivere in relativa tranquillità. Tutto era cambiato quando i feudi circostanti avevano iniziato a farsi la guerra tra di loro, cercando ognuno di portare dalla propria parte il piccolo villaggio - che costituiva l'unico punto di passaggio per le truppe senza dover valicare le montagne - prima con la diplomazia e poi con la forza.

Koutarou era a capo di una piccola squadra di giovani soldati, tutti freschi di addestramento, un gruppo nato quasi per gioco ma che col tempo era diventato "una cosa seria". Akira, di due anni più giovane ma molto alto per la sua età, era il suo vice, il suo compagno di mille imprese e il suo migliore amico. Si conoscevano fin da bambini, avevano sudato nello stesso dojo e Ishigaki era uno dei pochi - se non l'unico - che riusciva a interagire con lui, oltrepassando le difese del suo carattere schivo e solitario. 

Akira era orfano di padre, che era stato uno degli uomini più fedeli al daimyo ed era morto durante una missione quattro anni prima. Per questo si era unito all'esercito giovanissimo, dando sfoggio di capacità fuori dal comune e impegnandosi al massimo per portare a casa la sua rendita da samurai, per mantenere e far curare la madre, che si era ammalata poco dopo la morte del padre.

Anche Komari faceva parte di quella squadra, ma non era una persona che dava particolarmente nell'occhio, se non per il suo bizzarro aspetto. Era il più giovane del gruppo e parlava pochissimo, tanto che spesso tutti gli altri si scordavano della sua presenza. Non era particolarmente bravo nel combattimento e molti lo avrebbero definito "un peso morto", ma perlomeno la sua ostinazione era ammirevole, anche se spesso otteneva l'effetto contrario. Provava una sincera ammirazione per Midousuji, che - forse per la somiglianza dei loro caratteri - era stato l'unico a difenderlo in più occasioni dallo scherno dei compagni, anche se un po' a modo suo.

Quando le cose iniziarono a precipitare era piena estate, e Akira ricordava tutto come se fosse avvolto da uno strano alone giallo. Tutto era iniziato in sordina, un attacco subdolo e codardo, con lo scopo di distruggere totalmente il villaggio di Fushimi, colpevole di aver resistito troppo agli attacchi dei feudi confinanti.
Era iniziato con una serie di morti misteriose tra il popolo e tra i soldati, che avevano gettato il villaggio nel panico. L'acqua del pozzo che forniva la riserva idrica agli abitanti di Fushimi era stata avvelenata, e la morte per chi la bevesse era orribile e quasi istantanea. Il daimyo riuscì a limitare la cosa quando già era troppo tardi: aveva perso più di un terzo dei suoi uomini, e l'esercito non era numeroso già in partenza. Così Ishigaki Daikaku aveva innalzato le difese, attendendosi un attacco massivo in breve tempo, che approfittasse della debolezza delle forze di Fushimi. Koutarou e la sua squadra vennero inviati in missione esplorativa, per scoprire quale fosse il feudo responsabile.

Ma qualcosa era andato storto.
Un agguato li aveva sospresi poco lontano dal villaggio. Erano ninja mercenari, impossibili da ricondurre al feudo che li aveva assoldati. In un istante li avevano spazzati via, separati tra loro e presi di mira da tutti i lati.

Eccolo, l'incubo ricorrente nelle notti di Akira.

Dieci uomini fasciati in abiti neri e i suoi compagni che cadono al suo fianco, uno dopo l'altro.
Il contatto con la schiena di Ishigaki, mentre insieme cercano di contrastare l'attacco.
Poi tutto è buio, sangue, confusione, frammenti di ricordi.
Koutarou che cade in ginocchio al suo fianco, ferito a una gamba. La sua lama che affonda nella gola dei nemici con rabbia cieca. Akira che uccide senza pietà anche l'ultimo dei ninja, aiuta Ishigaki ad alzarsi e lo sorregge, per tornare al villaggio.
E poi quel filo di fumo, quella consapevolezza che non sarebbero mai tornati in tempo.
L'odore di carne bruciata, le fiamme, le urla.


Si erano divisi. Ishigaki si era diretto verso il castello, sperando di trovare i propri genitori ancora in vita; Midousuji si era lanciato verso casa sua, ma era troppo tardi.
Era riuscito a tirare fuori la madre dalle fiamme, ma era spirata tra le sue braccia.
In quel momento, nell'anima di Akira qualcosa si era infranto per sempre.
In un giorno, tutto era finito.
In un giorno, tutto era cominciato.

Poi, un boato. Il castello del daimyo era crollato in un istante, seppellendo ogni cosa tra le fiamme.
Gli occhi gli bruciavano per il fumo e per le lacrime che si ostinavano a non uscire, le sue mani erano bruciate e insanguinate, il cuore ormai insensibile. 

"Ecco, ora sono veramente solo", aveva pensato, mentre vagava senza una meta tra le rovine. Non poteva che aspettare che le forze nemiche prendessero possesso del luogo e morire combattendo come un vero samurai. Sì, avrebbe fatto così. In lontananza già si sentivano i pesanti passi in avvicinamento e le grida di battaglia dei nemici, che sarebbero arrivati a momenti.
Una voce lo risvegliò dalla sua trance. Una voce rotta, disperata, irriconoscibile. La voce di un uomo distrutto, che zoppicava verso di lui. Il suo viso era sporco di sangue, che sgorgava da una ferita alla fronte, il suo braccio sinistro era martoriato dalle ustioni e si trascinava dietro la gamba destra, inerte. Il daimyo sembrava l'ombra di sè stesso.
"Akira... Akira-kun... dov'è mio figlio?"
Midousuji aveva abbassato lo sguardo, non era riuscito a rispondere.
A Ishigaki Daikaku era bastato, e si era aperto il ventre lì, davanti a lui.
Non sarebbe mai stato in grado di combattere, in quelle condizioni. Aveva appena perso il suo unico figlio, era rimasto ferito e nonostante ciò aveva portato in salvo tutti quelli che poteva nelle grotte sotto la montagna. Il suo compito era finito - così sussurrò al diciassettenne Akira, mentre il sangue sgorgava impazzito dal taglio profondo che si era autoinflitto - e gli affidava i superstiti dell'esercito, che stavano cercando di riorganizzarsi mentre proteggevano l'accesso delle grotte.

"Avrei affidato il comando a mio figlio, ma tu sei la persona di cui si fidava di più in assoluto. Ti lascio in eredità questo compito, Midousuji Akira, e sono certo di non sbagliare nonostante la tua giovane età" tossì un fiotto di sangue, poi riprese a parlare con una smorfia di dolore "ora ti prego, fai smettere di soffrire questo povero vecchio". Si sfilò la katana dal fianco. Era la spada di famiglia, un cimelio simbolo del potere del daimyo. "Questa è tua ora", chiuse gli occhi, aspettando il colpo definitivo.
Da quel momento in poi, Akira aveva agito come una macchina.
Freddamente, con lo sguardo vitreo, attento solo a ciò che doveva essere fatto.
Annuì e sguainò la katana, con la sensazione che il suo corpo agisse indipendentemente dalla sua volontà. Il taglio fu preciso e pulito, e concesse al daimyo una morte onorevole.

Le voci dei nemici erano vicinissime, e come un automa raggiunse l'ingresso delle grotte. Non erano rimasti più di cinquanta uomini, ma Akira riuscì ad approntare comunque la difesa. Non sentiva nulla, se non un bruciante desiderio di vendetta. Aveva perso tutto, non poteva permettere che gli venisse strappato anche il luogo dov'era nato.

Il combattimento che venne dopo entrò nella leggenda. Cinquanta uomini contro cinquecento, e incredibilmente l'esercito decimato di Fushimi ebbe la meglio. Non vi furono sopravvissuti tra gli assalitori, ma i soldati di Fushimi che combatterono al fianco di Midousuji ebbero per sempre scolpito nella memoria quel suo sguardo che aveva perso ogni traccia di umanità, così come quei suoi fendenti che non lasciavano scampo, in grado di abbattere più uomini contemporaneamente. Era sempre stato molto bravo nel kenjutsu, anche più di Koutarou, ma in quell'occasione assistere al suo impeto distruttivo fu come trovarsi di fronte a un demone privo di qualsiasi freno. Uccise da solo più di cento uomini senza perdere terreno, e fu così che si guadagnò il rispetto (e la paura) dei soldati e della popolazione.

Ishigaki si risvegliò tossendo, in una casa buia per metà crollata, con la gamba ferita bloccata da una trave ("piove sul bagnato" pensò fra sè). Una manina lo tirava per un braccio e una vocina insistente lo chiamava. 

"Nii-san, nii-san!"

All'improvviso ricordò tutto.
Stava correndo verso il castello, poi le urla disperate di un bambino lo avevano attirato verso quella casa, e gli aveva fatto scudo con il suo corpo per proteggerlo dal crollo. 
Le fiamme sembravano essersi estinte, o forse si trovavano in una bolla d'aria che non era stata investita dall'incendio. La gola gli bruciava forte, ma non sentiva dolore. Non sapeva quanto tempo fosse passato. Non sapeva che fuori da lì infuriava la battaglia, che era cambiato tutto.

Riuscì faticosamente a liberarsi, cercando una via d'uscita tra le macerie e appoggiandosi sulla gamba sana. Prese in braccio il bambino, che doveva avere al massimo due anni, e spostando tavole di legno e cornici vuote e fragili di shoji ridotti in cenere riuscì a riguadagnare il mondo esterno. 
Raggiunse le rovine del castello, e sbiancò una volta realizzato ciò che era successo. Poi si riscosse e ritrovò la speranza, fiducioso nella prudenza del padre e sicuro che i superstiti si fossero rifugiati nelle grotte.
Quando giunse ai piedi della montagna era già finito tutto. Il terreno era lastricato di cadaveri (Koutarou aveva fatto chiudere gli occhi al bambino, anche se non poteva fare nulla per l'odore ferroso e nauseabondo del sangue che impregnava ogni cosa), e tra di essi spiccava la figura allampanata di Midousuji, che stringeva l'elsa della katana fino a farsi male. La lama era ancora sporca di sangue e il ragazzo era perfettamente immobile, come se la forza che lo aveva spinto fino a quel punto si fosse esaurita di colpo. Solo i suoi occhi fiammeggiavano di una strana luce, come se potesse perdere nuovamente il controllo da un momento all'altro. Una voce di donna chiamò forte "Kojiro!" tra le lacrime, uscendo dalla grotta e scavalcando i cadaveri quasi senza accorgersene, e Koutarou affidò il bimbo alle braccia della madre.

Ishigaki si avvicinò lentamente a Midousuji, guadando il mare di morte seminato da colui che era stato il suo vice e ora - anche se lui non lo sapeva ancora - gli era superiore di grado.
Fu allora che notò il particolare inconfondibile della tsuba della spada che Akira stringeva nella mano destra, in oro e finemente cesellata a forma di fiore di sakura. Cosa significava? Dov'era suo padre? Perchè Midousuji possedeva la spada che spettava di diritto solo al daimyo?

"A-Akira?" Koutarou esitò, non sapendo cosa aspettarsi.
Midousuji scattò, i nervi tesi. Non si mosse, ma rimase in tensione, con uno sguardo indefinibile che Ishigaki non gli aveva mai visto.
Koutarou avanzò ancora di qualche passo, come un domatore di bestie feroci.
"Puoi dirmi... cosa è successo?" arrischiò Ishigaki, non troppo sicuro di ottenere una risposta. 
"Tu... eri morto... Ero sicuro che fossi morto" rispose Akira, dopo un minuto interminabile "Ora il daimyo sono io, ho ricevuto questa dalle mani di tuo padre" la luce sinistra continuava a brillare nei suoi occhi, fissi in quelli di Koutarou "ho ucciso tutti questi uomini da solo, DA SOLO!"
"Cosa significa che... mio padre... cos'è successo a mio padre?"
Akira distolse lo sguardo, e Koutarou alzò la voce per la prima volta in tutta la sua vita.
"COS'È SUCCESSO A MIO PADRE?"
"Lui... pensava che tu fossi morto" rispose piano Midousuji "era ferito gravemente, e anche io pensavo che tu fossi morto nel crollo del castello. Non ha aspettato neppure che gli rispondessi e si è aperto il ventre. Ha avuto una morte onorevole, e con le sue ultime parole mi ha affidato il comando dei suoi uomini e la sua spada. E TU DOV'ERI? SARESTI RIUSCITO A FARE LO STESSO?" 

Ishigaki sobbalzò. Midousuji era completamente diverso rispetto a poche ore prima, quando si erano separati. Non era più l'Akira che conosceva. Non era solo quella luce negli occhi, c'era dell'altro. Qualcosa a cui non riusciva a dare un nome.
Il dolore e il dubbio ottenebrarono il suo cuore. Non era tanto il diritto di successione che gli era stato strappato a fargli male, quanto il fatto che ciò che aveva detto Midousuji era parzialmente vero. Lui dov'era quando c'era bisogno della sua presenza? Dov'era quando suo padre cercava solo il suo conforto? Dov'era quando il popolo che avrebbe dovuto governare aveva bisogno di un leader? 
Era privo di coscienza sotto le macerie di una casa crollata, perchè aveva preteso di salvare una vita dimenticando tutte le altre che erano sotto la sua responsabilità. Era vero, lui non sarebbe riuscito a uccidere cento persone da solo. Aveva già avuto da anni il suo battesimo del fuoco in battaglia, ma ogni persona che si trovava costretto a uccidere lasciava un segno sulla sua anima, come se gliene staccasse un pezzo. Non sarebbe mai riuscito a uccidere così tante persone restando impassibile, nonostante fossero nemici e avessero ridotto il suo popolo in quelle condizioni. Ma era di questo che il popolo aveva bisogno? Di imprese eroiche e violenza per terrorizzare i potenziali invasori? O forse necessitava di una rapida ricostruzione e una politica accorta per ricostruire uno status quo di pace e tranquillità?

I sopravvissuti all'attacco avevano formato una piccola folla intorno ai due, ansiosi di capire cosa stesse accadendo. Poi qualcuno comprese, e istantaneamente il gruppo si divise in due fazioni. Chiunque avesse visto Midousuji in azione propendeva dalla sua parte, più per paura che per reale sostegno. La maggior parte dei civili che erano rimasti nascosti nelle grotte sostenevano Ishigaki, perchè semplicemente così doveva essere. 
Si era creata una situazione decisamente spiacevole.

Akira si mise in guardia, con una richiesta tacita scritta nello sguardo.
"Non vorrei davvero combattere contro di te, Akira-kun" sospirò Ishigaki, ma Midousuji lo incalzò con un passo in avanti, e Koutarou fu costretto a estrarre la lama. 
La folla ammutolì.
Midousuji continuò a incalzare, mentre Ishigaki indugiava in difesa. Non voleva combattere, non voleva dover scegliere tra il suo diritto di successione e il suo più caro amico. Ma era inevitabile. 
Incrociare la lama con la spada che era appartenuta a suo padre gli faceva male, mentre il tarlo insinuato nella sua mente dalle parole di Midousuji si ritagliava un posto tra i suoi pensieri. Non poteva continuare a esitare, doveva combattere. Doveva combattere come avevano fatto tante volte nel dojo brandendo i bokken, con la differenza che questa volta sul piatto c'erano le loro vite, il loro futuro e il loro rapporto. Ishigaki fece un passo in avanti incrociando le spade e costringendo Midousuji a indietreggiare di un passo.
In un istante, Akira scartò di lato e mirò al fianco di Koutarou, che riuscì a prevedere il colpo e a pararlo all'ultimo istante. Midousuji stava combattendo davvero sul serio, e forse avrebbe anche potuto ucciderlo. Continuarono per un po' in una danza di attacchi e parate: avendo sempre combattuto insieme conoscevano alla perfezione l'uno lo stile di combattimento dell'altro, e avrebbero potuto continuare così all'infinito.

Fu questione di un infinitesimo di secondo. Ishigaki reagì a un fendente abbassandosi e tentando un affondo, dimenticando per un istante che la gamba ferita non sarebbe riuscita a reggerlo. Akira approfittò della distrazione scagliando lontano la katana di Koutarou con un colpo deciso. 

E così, Midousuji era diventato il daimyo di Fushimi. Ishigaki nonostante tutto era rimasto al suo fianco con il ruolo di luogotenente, il che gli permetteva comunque di poter partecipare alle decisioni e avere un ruolo importante nel comando delle truppe, nonchè di assistere a quei rari momenti in cui il vecchio Akira tornava a farsi vedere, anche se duravano sempre troppo poco. Avrebbe mentito se avesse affermato di non essere frustrato, ma lentamente iniziò ad abituarsi. 
Negli anni successivi avrebbe dovuto ingoiare infiniti rospi, perchè nel tempo la sete di vendetta di Midousuji si sarebbe trasformata in sete di potere, di vittoria e quindi di espansione territoriale, spesso con metodi che lui non condivideva. Ma nonostante tutto aveva continuato a rispettarlo, a stare al suo fianco.

Akira era ossessionato dai ricordi di quel giorno, e per questo continuava a cercare armi e strategie sempre più efficaci per contrastare eventuali attacchi esterni. Tuttavia, per poco più di un anno non accadde nulla di rilevante: il racconto di quella battaglia si era diffuso nei dintorni, e il rinato villaggio di Fushimi visse un nuovo periodo di relativa pace, anche se la brace covava sotto la cenere.

Poi, un anno e tre mesi dopo quel terribile giorno, un ritorno inaspettato cambiò di nuovo le carte in tavola. 
Sia Akira che Koutarou erano sicuri di ciò che avevano visto durante l'attacco dei ninja mercenari, nonostante il trauma che quel giorno rappresentava per entrambi e la loro risoluzione reciproca a non sollevare mai più l'argomento. Entrambi ricordavano perfettamente che Komari Kishigami, il più giovane della loro squadra, era stato il primo a cadere, con la gola squarciata. 

Invece, in una fresca mattina di fine autunno, Komari in carne ed ossa si presentò al castello del daimyo. Il suo aspetto non era cambiato molto, se non per lo sguardo più maturo, i tratti del viso leggermente più spigolosi e una spessa cicatrice sul collo, ma il suo carattere era completamente diverso. Sembrava molto sicuro di sè, l'esatto opposto di come lo ricordavano: aveva raccontato di essere stato salvato in extremis da un individuo misterioso, esperto di veleni, di arte medica e di ninjutsu, che aveva guarito la sua ferita mortale e l'aveva portato con sè in giro per il Giappone, allenandolo e insegnandogli i suoi segreti in tutte le arti del combattimento. In un anno soltanto, il piccolo, timido e inutile Kishigami era diventato il soldato perfetto, ed era tornato per mettersi al servizio del nuovo daimyo, a cui avrebbe accordato fedeltà assoluta.

Alla fine si era unito all'esercito come soldato semplice, ma fin da subito, in nome dell'antica simpatia, Midousuji gli aveva accordato alcuni privilegi, come la possibilità di partecipare alle riunioni strategiche con gli ufficiali. Le ingerenze di Komari nelle politiche del feudo iniziarono con piccole e mirate affermazioni apparentemente insignificanti, che lentamente ma inesorabilmente convinsero il daimyo a riporre in lui sempre maggiore fiducia. In fondo, il loro obiettivo era il medesimo: l'intera famiglia Kishigami era stata uccisa dal veleno nella falda acquifera, e per questo in fondo ai suoi occhi azzurri covava una fredda sete di vendetta, che lo portava a sostenere e incoraggiare le politiche aggressive del daimyo che spesso Ishigaki avversava con il suo onnipresente carico di buon senso.

Era successo quando aveva proposto di somministrare piccolissime dosi di diversi veleni agli uomini dell'esercito, in modo da renderli immuni: il suo maestro lo aveva obbligato a subire quel trattamento lui stesso, ma in quel modo si era salvato ben due volte dall'avvelenamento durante il suo viaggio al fianco di quell'uomo misterioso, che lui definiva semplicemente "sensei". 
Ishigaki si chiedeva spesso quanto ci fosse di vero e quanto fosse un'invenzione della mente di Komari in quei racconti: tuttavia, per quanto spesso le informazioni da lui fornite fossero vaghe, le sue idee solitamente portavano ottimi frutti.
Era successo anche quando aveva messo Midousuji in contatto con un bizzarro personaggio che sosteneva di essere un grande maestro spadaio, in grado di forgiare armi molto particolari, che facevano uso dell'energia vitale del guerriero e moltiplicavano all'infinito le sue potenzialità.
Aveva partecipato (e aveva perfino votato) alla decisione di attaccare per primi, quando si era trattato di iniziare ad espandersi nei feudi confinanti, e aveva combattuto in prima linea, ottenendo importanti successi. Di fatto, aveva finito per comportarsi come un ufficiale, pur senza effettivamente esserlo.


Midousuji era solo nella sua tenda da ore e aveva lasciato detto alle guardie all'ingresso di non lasciar entrare nessuno. Ovviamente tutti sapevano che c'era un'eccezione, e si chiamava Kishigami Komari.
"Midousuji-sama?"
Akira non rispose.
"Mi sono permesso di riorganizzare le truppe e di controllare i rifornimenti rimasti, Midousuji-sama" affermò Komari, sicuro di ciò che stava facendo.
("A volte vorrei capire come ha ottenuto l'autorità per prendere da solo certe iniziative" commentò la voce di Koutarou nella testa di Akira. Il buon senso di quell'uomo continuava ad assillarlo anche da morto).
Midousuji si sentiva stanchissimo e non aveva neppure voglia di stare a sentire ciò che il più giovane aveva da dirgli. Non lo guardava negli occhi, e ascoltava il suo rapporto non richiesto come se fosse una cantilena, senza effettivamente recepire le informazioni. 
"... e così ho abbandonato il loro comandante degli arcieri a morire dissanguato nella foresta, si è portato via qualcosa di me - abbassò lo sguardo sulla mano fasciata - ma ora non costituirà più una minaccia, Midousuji-sama" concluse Komari, soddisfatto di sè stesso.
Midousuji approvò con un cenno del capo.

"Mi stavo chiedendo..." arrischiò nuovamente il giovane Kishigami, con un tono più basso e morbido come il velluto "è sicuro per lei andare ad affrontare la battaglia decisiva domani senza un braccio destro, Midousuji-sama?"

Akira alzò lo sguardo, lanciandogli un'occhiata raggelante. Lui non aveva bisogno di qualcuno al suo fianco per imporre la sua forza su tutti quei deboli esseri disgustosi che lo circondavano. Ishigaki era stato un'eccezione. Gli aveva spesso dato contro, ma lo aveva conosciuto meglio di chiunque altro. Era sempre stato quell'unico filo che lo connetteva al suo passato e alla sua umanità, la sua forza ma allo stesso tempo la sua debolezza. 
Lo aveva spesso definito "disgustoso", ma ciò che lo disgustava era vederlo sempre lì, a testa alta, sempre leale e uguale a sè stesso nonostante anche lui avesse perso tutto, quel giorno
Un po' l'aveva odiato, perchè tutto quel buonismo e quell'onestà erano dannatamente fuori luogo in un mondo simile, dove tutto poteva esserti strappato via da un momento all'altro. Ma era stato un vero samurai, e gli aveva donato ogni cosa di sè nonostante lui stesso gli avesse strappato ciò che era suo di diritto. Koutarou aveva dato priorità al loro rapporto rispetto a tutto il resto. Nessuno avrebbe mai potuto prendere realmente il suo posto.

Però era vero - così disse una vocina sibilante nella sua testa, paurosamente simile a quella del giovane uomo che aveva di fronte - che Komari lo aveva aiutato moltissimo, aveva messo in gioco la sua vita per lui e aveva sempre sostenuto le sue decisioni, proponendo ottime strategie. Anche la trovata della nebbia velenosa era sua, e aveva seminato il panico e portato sull'orlo della sconfitta un feudo che manteneva l'egemonia incontrastata sulla regione da più di due secoli. Forse concedergli di ricoprire quel posto vacante sarebbe stata la scelta migliore, in un momento simile. Forse. Forse in ogni caso si sarebbe rivelato una pedina utile.

Poi, la voce di Koutarou tornò a esprimere la sua opinione non richiesta, ripetendo quelle ultime parole che erano ormai scolpite nella mente del daimyo. Era ovvio che si riferisse a Komari: del resto dal ritorno di quest'ultimo Ishigaki non si era mai fidato completamente di lui, sicuramente perchè temeva di veder nuovamente usurpato il suo posto legittimo. Era evidente.

La testa di Akira iniziava a diventare decisamente troppo affollata, e le tempie gli pulsavano in modo preoccupante.
"E sia. Dalla battaglia di domani dipenderà la mia decisione definitiva. Ora va', voglio restare da solo"
Con un inchino, Komari uscì dalla tenda.
I suoi occhi azzurri rilucevano di un bagliore sinistro, mentre un sorriso d'intensa soddisfazione deformava le sue labbra sottili. 

 

Come promesso, eccomi qui a ricomporre lentamente i tasselli di questo racconto con questo capitolo d'intermezzo con un lungo flashback sulla storia del feudo di Fushimi, nel quale ho decisamente dato del mio peggio per quanto riguarda l'angst... ho meditato a lungo sul rapporto di Ishigaki e Midousuji e sulla caratterizzazione di Komari, e questo è il risultato! Spero che abbiate apprezzato e che abbiate ancora voglia di seguire questa storia, che dal prossimo capitolo tornerà a seguire il normale corso degli eventi.
Inizialmente questa parte avrebbe dovuto essere uno spin off autonomo al di fuori della storia principale, ma alla fine ho voluto inserirlo qui; tuttavia non escludo di scrivere qualcos'altro in futuro con quest'ambientazione, approfondendo con più calma i personaggi e gli avvenimenti. Alla fine mi sono un po' affezionata, non sono sicura di volere che questa fanfic finisca, in realtà XD
Concludo ringraziando come sempre GrammarNazi95 che mi supporta sempre con le sue adorabili recensioni che mi spronano a continuare a scrivere, grazie davvero! Ancora un paio di capitoli e potrai vedere in azione anche il tuo Kaburagi, anche se non ti garantisco nulla XD

Detto questo, alla prossima! <3

_Kurai_
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yowamushi Pedal / Vai alla pagina dell'autore: _Kurai_