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Autore: Reading4    15/12/2015    1 recensioni
Questa storia è molto semplice, ma al contempo ho deciso di analizzare in profondità le caratterisctiche fisiche-psicologiche dei personaggi in essa descritti. In poche parole la storia narra di un personaggio nuovo che si inserisce nell'ambiente che noi tutti conosciamo: la Radura prima dell'arrivo di Thomas (anche se mi dispiace un po' lasciarlo fuori). Ho deciso di porre però una modifica sostanziale: al posto di una cinquantina di soli maschi, in questa Radura vivono insieme un numero equivalente di maschi E femmine. Ovviamente non voglio rovinare nulla, però la trama ruoterà soprattutto attorno ad una relazione abbastanza complicata, tra la nuova protagonista e il mio personaggio preferito di tutti e tre i libri, Minho! Spero vivamente vi piaccia il frutto della mia immaginazione.. buona lettura!
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Minho, Newt, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Yes, I do, I believe
That one day I will be where I was
Right there, right next to you
And it's hard, the days just seem so dark
The moon, the stars are nothing without you
Your touch, your skin,
Where do I begin?
No words can explain the way I’m missing you
Deny this emptiness, this hole that I’m inside
These tears, they tell their own story
You told me not to cry when you were gone
But the feeling’s overwhelming, it's much too strong

Can I lay by your side, next to you, you
And make sure you’re alright?
I’ll take care of you,
And I don’t want to be here if I can’t be with you tonight

(Sam Smith – Lay Me Down)








-Avanti Dem, non fare sciocchezze, esci da lì.

La ragazza non si era mossa.
A dire il vero, non sembrava neanche che l'avesse sentito.
Guardava fisso di fronte a sè, come rapita da chissà quale pensiero, il corpo completamente immobile, il volto inespressivo. A malapena sembrava stesse respirando.
Minho era avanzato di un paio di passi.
Possibile che in quel dannato posto non ci fosse mai un giorno che si concludesse senza nessuna stranezza?
Che cosa avevano tutte quelle persone?
Forse era veramente qualcosa che Frypan metteva nella zuppa.

-Dem.

Demetra si era voltata di scatto, tesa come una corda di violino.
A guardarla, sembrava proprio che stesse studiando le mosse delle persone che si trovava davanti, come sul punto di fuggire al primo movimento brusco di quest'ultime.
Senza distogliere lo sguardo, Minho aveva sollevato entrambe le mani, colmando lentamente gli ultimi metri che lo separavano dall'apertura orientale.

-Dem, rientra nella Radura, ora.
-Non lo farò, Minho.

Scuotendo la testa, Minho aveva fatto un altro passo, sforando il confine con il Labirinto.
Non aveva tempo per queste sciocchezze.
L'avrebbe fatta uscire lui da quel maledetto posto, volente o nolente. Anche a costo di portarla di peso nella Radura.
Anzi, chissà perchè Alby non l'aveva ancora fatto. Del resto, Demetra non era poi così pesante, non ci voleva chissà quale forza per sollevarla.
Una voce aveva interrotto la sua marcia.

-Non fare un altro passo.

Demetra si era avvicinata, sollevando un braccio.
Stretto nella mano destra, luccicante per il sole che stava ormai tramontando, oscillava minaccioso un coltello, uno di quelli che Frypan utilizzava nelle sue cucine.
Minho si era fermato, abbozzando un sorriso.

-Cosa vuoi fare con quello, Dem? Vuoi uccidermi?
-No, ma se ti avvicini ancora giuro che mi ammazzo. Mi taglio le vene da parte a parte se è necessario, ma fidati che qualcosa mi invento. Lavoravo nelle cucine, non lo dimenticare, so come si usa uno di questi.

Come a dimostrazione della sua fermezza, aveva puntato la lama contro la parte interna dell'avambraccio, entrando abbastanza in profondità da far uscire una piccola goccia di sangue che aveva subito iniziato a colare, sporcandole le mani e gocciolando sul terreno.
Minho l'aveva guardata negli occhi. Non l'aveva mai vista così.
Quella non era lei, non era la Demetra che conosceva. Stentava perfino a riconoscerne la voce.
Se ne stava lì, immobile, il sangue che le sgocciolava tra le dita,  gli occhi semichiusi, il volto completamente inespressivo.
La Demetra che conosceva lui non era mai riuscita a nascondere le proprie emozioni, non era una ragazza fredda o insensibile, al contrario, il suo corpo aveva sempre avuto come la necessità di manifestare ciò che provava: che fosse felicità o tristezza, sorpresa o paura, affetto o rammarico, era sempre facile capire che cosa le stesse passando per la testa.

-Adesso esci. Muoviti!

Il cuore aveva iniziato a battergli più velocemente.
Nel momento stesso in cui l'aveva vista all'interno del Labirinto, si era convinto che farla uscire sarebbe stato un compito semplice e veloce: le avrebbe chiesto che cosa stava succedendo, magari avrebbe anche alzato un po' la voce, ma era sicuro al cento per cento che sarebbe riuscito a farla ritornare nella Radura prima che fosse troppo tardi.
Sentendo il tono della sua voce, però, la sua sicurezza era scesa di un paio di tacche.
Doveva convincerla ad uscire da lì, e doveva farlo in fretta.

-Fa in fretta, Minho, manca solo mezz'ora.

Senza interrompere il contatto visivo era indietreggiato di un paio di passi e aveva superato di pochi centrimetri il confine con la Radura.
Non doveva lasciarsi prendere dal panico. Ora sapeva che cosa doveva fare.
Avrebbe assecondato le sue richieste, parlandole e facendola ragionare.
Del resto, anche se sembrava essere stata sostituita da una specie di macchina, la ragazza che si trovava davanti era pur sempre Demetra. Doveva riuscirci.
L'aveva capito dal suo tono di voce: non stava scherzando. Si sarebbe tagliata di netto la gola se solo avesse fatto un altro passo nella sua direzione, non poteva contare sulla sua forza quella volta.
La sua unica possibilità risiedeva nelle sue capacità oratorie.
Aveva iniziato a sudare freddo. Era proprio in un grosso guaio.



-Cosa vuoi fare, Dem?
-Fai andare via gli altri, io.. voglio parlarti, devo chiederti una cosa. Voglio che la tua voce sia l'ultima cosa che sentirò prima del chiudersi delle porte.

La voce si era addolcita, abbassandosi fino quasi a diventare un sussurro.
Minho si era voltato verso il piccolo gruppo che si trovava alle sue spalle, guardando negli occhi ciascuno dei presenti. Chissà cosa stavano pensando di quella situazione.
Li osservò a lungo.
Alby, Zart, Mnemosine, Chione, Eris e un Fagiolino che era arrivato tre giorni prima, al più quattro. Forse, se si muovevano abbastanza in fretta, sarebbero riusciti a farla uscire da lì, in un modo o in un altro. Forse sarebbero riusciti ad afferarla, prima che, con quel coltello, facesse del male a sè stessa o a qualcun altro. Forse non era un'impresa poi così difficile.

Maledizione a Frypan e ai suoi attrezzi!

Era per evitare situazioni come quelle che tutte le armi erano state rinchiuse in una botola, era proprio per quel motivo che solo alcune persone erano in possesso delle chiavi per accedervi, era proprio per quello che pochi erano autorizzati a maneggiare gli utensili delle cucine.
Perchè poi, un giorno, nessuno dovesse mai trovarsi in un contesto simile.
Ma, del resto, Demetra l'aveva appena detto: una volta anche lei lavorava nelle cucine.
Non doveva aver riscontrato chissà quali problemi nel procurarsi un'arma del genere.
Minho aveva sospirato rumorosamente, facendo un cenno verso il gruppetto che aspettava a pochi metri da lui, gli occhi sbarrati per l'angoscia.
Alby si era avvicinato a grandi passi, appoggiandogli una mano sulla spalla.

-Sei sicuro?

Che domanda.
Ovvio che non era sicuro! Come avrebbe potuto esserlo?
Sulle sue spalle dipendevano la vita o la morte di una persona; e non di una persona qualunque, ma di Demetra! Come poteva essere sicuro anche di una sola cosa al mondo?
No, non voleva che Alby se ne andasse, non voleva essere lasciato solo in quella situazione, non voleva essere lui a fungere da diplomatico, che caspio, non voleva assolutamente trovarsi in una circostanza simile!
Voleva semplicemente che la ragazza tornasse nella Radura, al sicuro.
Dove lui aveva la possibilità di proteggerla da qualsiasi pericolo.
Dove poteva tentare di rimediare a tutti i suoi errori.

-Andate.






Prima di voltarsi nuovamente verso Demetra, Minho aveva osservato a lungo i compagni andarsene e la Radura prender vita.
Anche se si trovava a un centinaio di metri di distanza, nel vento riusciva ad udire distintamente il rumore del pentolame che sbatteva, i coltelli che colpivano incessantemente i taglieri in legno, il forno che veniva acceso, il frigo che veniva ripetutamente aperto e richiuso, provocando un gran rumore di bottiglie di vetro che cozzavano l'una contro l'altra.
Se si concentrava, poteva sentire gli utensili utilizzati per coltivare che venivano riposti nello stanzino adibito a ripostiglio, i ragazzi che si asciugavano il sudore dalla fronte, la terra arata da poco che veniva calpestata, così umida e soffice da far sprofondare di qualche centimetro gli scarponi dei poveri Radurai che si apprestavano a fatica a raggiungere le docce.
Per un istante,rimase incantato dal colore che aveva assunto il cielo.
Se si sforzava abbastanza, riusciva ad eliminare le mura del Labirinto dalla sua visuale, dandogli come l'impressione di trovarsi in tutt'altro posto. Il cielo, da azzurro, si stava pian piano tingendo di note più calde: in un orizzonte  non troppo lontano l'arancione aveva preso il sopravvento, sfumandosi ai bordi in toni più tenui come il giallo e il rosa. Sembrava quasi che l'aria stesse andando a fuoco.
Chissà, forse, se avesse allungato la mano, sarebbe riuscito a toccare quel cielo in fiamme.
Chissà se si sarebbe ustionato.
Il ricordo di Demetra l'aveva scosso dai suoi pensieri, riportandolo bruscamente alla relatà.
Tutta la pace e la curiosità che avevano occupato la sua mente fino a quel momento erano state risucchiate via, erano schizzate fuori dal suo cervello, sostituite immediatamente dall'angoscia e il tormento che la serietà della situazione gli provocava.
Il cuore aveva ripreso ad agitarsi nel petto, lo stomaco si era ritorto su sè stesso, piccole goccioline di sudore avevano ripreso a colargli sulla fronte.

Sta calmo.

Non poteva permettersi di agitarsi.
Avrebbe solo peggiorato la situazione.
Se Demetra l'avesse visto preoccupato, sarebbe stata la fine.

Come caspio faccio a rimanere calmo?!

Era di Demetra che si stava parlando.
C'era in gioco la vita o la morte della ragazza che.. insomma, della persona più importante della sua schifo di vita. Dell'unica luce in due anni di buio.
Non ci sarebbero state seconde occasioni, non quella volta.

Non lo so, ma devi trovare un modo. Tu sei Minho, non lo dimenticare. Porta Demetra fuori da quel cacchio di posto.

Il tempo non lo avrebbe aspettato. Non si sarebbe fermato per concedergli la possibilità di pensare, non aveva mai fatto favori di quel genere e mai ne avrebbe fatti.
Al suo orologio non importava che il suo cuore stesse saltando da una parte all'altra della sua gabbia toracica, non gli importava che la sua mente si stesse soffermando su qualsiasi minimo particolare pur di non concentrarsi sulla realtà che, per il momento, era fin troppo spaventosa. Non gli importava proprio per niente.
I secondi passavano e i minuti dopo di loro, e non si sarebbero mai fermati.
E Demetra era ancora fuori dalla Radura.
In un luogo che lui conosceva fin troppo bene, un posto che non risparmiava nessuno, che avrebbe ucciso qualsiasi incosciente si fosse avventurato al suo interno senza le dovute attenzioni.
Un luogo che aveva portato via fin troppe persone.

Portala fuori da lì, Minho.

Una voce aveva interrotto la conversazione che stava intrattenendo con sè stesso.

-Manca poco, Minho. Poi le porte si chiuderanno.

L'aveva guardata, corrugando la fronte.
Benchè avesse deciso di instaurare un dialogo con lei in modo tale da convincerla a rientrare, gli risultava difficile ascoltare le sue parole.
Il suo istinto gridava di andare immediatamente a prenderla, di non attendere chissà quale discorso, di non stare al suo gioco.
Mai prima di allora era stato diviso da una lotta interna di tale portata.

-Lo so che tra poco si chiuderanno, per questo ti conviene rientrare. Possiamo parlare quanto ti pare qui, nella Radura.

Demetra aveva scosso la testa.

-No, ormai ho preso la mia decisione. Parleremo qui, e lo faremo ora.
-Quale decisione, Dem? Di che stai parlando?
-Prima che si chiudano, voglio chiederti una cosa.

Non riusciva a capirla.
Perchè si stava comportando in quella maniera? Perchè non poteva semplicemente andare a parlargli dopo cena, o prima di andare a dormire, come erano soliti fare, invece di mettere su tutta quella sceneggiata?

In realtà, anche se non voleva ammetterlo, nel profondo del suo cuore, sapeva che cosa stesse facendo Demetra.
L'aveva capito nell'attimo in cui aveva visto i suoi occhi, quando aveva udito la sua voce.

Sai bene cosa vuole fare. Vuole rimanere chius..

No.
Non l'avrebbe ammesso neanche a sè stesso.

-Prima che si chiudano? Dem, per favore, non..
-Non tornerò più in quel posto, Minho.
-Non dire sciocchezze! Mi sono stufato di questo tuo atteggiamento, non..
-Non potrò più avere figli!

Come a prenderli in giro, quella frase era rimbalzata più volte tra le pareti del Labirinto, ripetendosi ancora e ancora e ancora.
Minho era rimasto in silenzio.
Tutti i suoi buoni propositi, tutte le parole che si era immaginato di dirle, tutti i suoi piani per riuscire a portarla a forza al sicuro poco prima dello scoccare dell'ora X, tutte le discussioni con sè stesso, i rumori attorno a lui, i ricordi, ogni cosa. Tutto taceva in lui.
A malapena riusciva a sentire il battito del suo cuore.

-Non puoi.. che intendi dire?

Prima di rispondere, Demetra si era asciugata le lacrime che avevano iniziato a solcarle il viso.
Per la prima volta, in quella giornata, Minho riusciva a riconoscerla.
Era lei la persona con la quale aveva condiviso tre quarti della sua vita.
Non quell'automa che gli aveva parlato poco prima.

-L'ho capito.. una settimana fa. Sono rimasta a pensarci sopra ogni singolo secondo di ogni giorno, proprio non riuscivo a comprendere perchè mi avessero portato via dalla Radura.
-È stato per farti riprendere peso, l'hai detto anche tu..
-Sì, ma non spiega questa cicatrice!

Si era sollevata bruscamente la maglietta, mostrando il segno che le percorreva l'addome, disegnando sulla sua carne un sorriso alquanto inquietante.
Chiara e semplice dimostrazione del potere che i Creatori avevano su di loro.
Avevano rubato i loro ricordi, li avevano privati della loro adolescenza e messi in un luogo ignoto e pericoloso, circondati da bestie pronti a massacrarli; li avevano messi alla prova, torturati e, alle volte, anche uccisi.
Se lo desideravano, potevano far scomparire uno di loro per settimane, farne ciò che volevano e risputarlo poi nello schifossisimo luogo che loro stessi avevano costruito.

E quella cicatrice gridava: "Non potete fermarci.".


-C..cosa stai dicendo, Dem?
-L'ho sentito. Finalmente un giorno della settimana scorsa mi sono ricordata di che cosa parlavano le persone che continuavano ad entrare nella mia stanza, sono riuscita a ricordare ogni singola parola. Ma ce n'era una che mi ronzava nella mente giorno e notte, anche se non ne capivo il significato. Isterectomia, sai che cosa vuol dire?

Minho aveva scosso la testa, tentando di deglutire il nodo che sembrava essersi creato a metà della sua gola. Era curioso di sapere che cosa volesse dire quella parola, ma, allo stesso tempo, non lo voleva veramente sapere. Ancora non era riuscito ad eliminare quel fastidioso silenzio che aveva preso il sopravvento nella sua testa.

-Ne ho parlato con Jeff, ne ho parlato con Clint, Kenny e gli altri Medicali. Sono tutti d'accordo su che cosa voglia dire. Significa che mi hanno rimosso l'utero, che mi hanno sterilizzata come una cagna in calore, ecco cosa significa. Vuol dire che non potrò mai avere figli, nè ora, nè mai più.

Le lacrime non aveva cessato di scendere.
Per quanto strano, in quel momento aveva iniziato a sorridere.

-Sai che ho pensato? Che tanto non importa, perchè probabilmente ci marciremo in questo posto. Mi sono convinta che voi Velocisti non avreste mai trovato una via di fuga, non tanto presto per lo meno, quindi a chi importava? Poi, però, un paio di giorni dopo abbiamo parlato, ricordi?

A malapena aveva udito quelle parole.
Da quando Demetra le aveva spiegato il significato di quel termine, da quando aveva capito che cosa le avevano fatto, un solo pensiero aveva occupato la sua mente.

Di chi è la colpa?

Di chi era la colpa per tutto questo?
Perchè i Creatori avevano deciso di renderla incapace di concepire dei bambini?
Di rendere definitivo ciò che Demetra aveva tentato di fare attraverso il digiuno?

Di chi è la colpa?

Di chi era la colpa se Demetra ora si trovava nel Labirinto, le lacrime che a malapena le permettevano di vedere, mentre spiegava di come si sentisse vuota dentro?
Chi era responsabile per tutto questo? Le azioni di chi avevano portato a una tale conclusione?


-Minho ascoltami, ti ricordi cosa mi hai detto?

Minho aveva annuito. Per la prima volta in vita sua, non riusciva a proferire parola. Era stato completamente svuotato da ogni suono terreno.

-Hai detto che non potevamo più stare insieme, che lo facevi per la mia sicurezza. Che era meglio se ti dimenticavo, perchè mi avresti solo fatto soffrire. "Non voglio essere responsabile della tua sofferenza, Dem.".

Sì, ricordava benissimo cosa si erano detti quella sera.
Le aveva spiegato perchè non potevano più vedersi, perchè non potevano più essere le persone che erano state prima.
Era convinto di essere nel giusto. In realtà, era ancora convinto di essere nel giusto.
Entrambi sapevano che il suo lavoro era troppo pericoloso, non poteva permettersi di instaurare alcun tipo di relazione con qualsiasi persona.
Gliel'aveva ripetuto un milione di volte, se lui fosse morto.. non voleva che lei lo seguisse.
Era meglio che lo dimenticasse.
Lo faceva per il suo bene, perchè non voleva che soffrisse in caso di una scomparsa, veramente. Se fosse stato per lui, non avrebbe concluso quella relazione per nulla al mondo.
Ma, purtroppo, nella Radura nulla dipendeva solo da lui o da ciò che desiderava.
Non poteva permettersi di essere la causa del suo dolore. Non di nuovo almeno.
Pensava che lei l'avesse capito.

Pensava che l'avesse capito.

-Dem..
-No, hai ragione, so perchè l'hai detto. L'hai fatto per non farmi soffrire e ti ringrazio per questo. Ma sai, ho riflettuto parecchio. Non hai idea di quanto ci abbia pensato. Ti ricordi cosa ti ho detto quella volta, dopo l'Adunanza?

Certo che ricordava. Forse era per la situazione, oppure per ciò che la ragazza gli aveva svelato o per la realizzazione di ciò che stava succedendo, ma in quel momento Minho si rese conto di ricordare ogni sua singola parola. Se gli avesse chiesto qual era stata la prima cosa che gli aveva detto avrebbe saputo risponderle in meno di un secondo. Eppure non era mai stato bravo ad ascoltare. La maggior parte delle volte si perdeva metà discorso.

-Ti ho detto che, da quando sei uscito dalla Scatola, sei stato l'unica ragione che mi teneva in vita. Che ogni pensiero, decisione o azione sono sempre girati intorno a te. Quindi, se non puoi più far parte della mia vita, che senso ha vivere? Soprattutto ora che ho scoperto che cosa mi hanno fatto.

Da quanto tempo si trovava di fronte a quelle porte?
Quanto tempo era passato dall'ultima volta che aveva proferito parola?
Sentiva di essere stato in silenzio per millenni.
Il peso di ciò che stava sentendo lo stava schiacciando. Letteralmente, sentiva come se un masso fosse stato improvvisamente appoggiato alla sua schiena, limitandogli la respirazione.
La testa aveva iniziato a girare, tutto, intorno a sè, era confuso, quasi come in un sogno.
Le tempie pulsavano impazzite, gli occhi pizzicavano, la gola si era improvvisamente seccata.
Non sarebbe riuscito a sopportarlo ancora per molto.

Di chi è la colpa?

È così che ci si sente?
Quando si è deboli. Quando il mondo sembra crollarti sotto i piedi.
Il giorno in cui si era svegliato nella Scatola, credeva di essere sul punto di morire.
Non sapeva dove si trovasse, non sapeva dove stesse andando, che cosa gli stesse succedendo o chi lo avesse messo lì. Che diamine, non sapeva nemmeno quale fosse il suo aspetto!
Non si era mai visto in faccia nè aveva mai sentito la sua voce, non conosceva il suo cognome e non riusciva a ricordare i volti dei suoi genitori.
Nella classifica mentale che si era costruito sugli istanti peggiori della sua vita, quel momento occupava il primo posto.
Al secondo, la prima volta che aveva visto un Dolente.
Al terzo, quando aveva sentito un ragazzo morire alle sue spalle, fatto a pezzi da un orrida creatura, metà macchina e metà animale. Aveva sentito le sue urla e le sue suppliche, ma era scappato. Aveva sentito la sua voce venire soffocata dal gorgoglio del suo stesso sangue, ma non si era voltato.
In quell'istante tutte quelle immagini vennero cancellate.
La Scatola, il Dolente, quelle urla.
Ora la classifica era composta da un solo momento.

È tua. È tua la colpa.






Un violento scossone lo riportò alla realtà.
La strada che stavano percorrendo doveva essere parecchio accidentata, perchè quella non era la prima buca che li faceva sobbalzare. Chissà perchè, aveva come il sospetto che non sarebbe stata neanche l'ultima.
Come a coronare il suo stato d'animo, la pioggia non aveva smesso un secondo di scendere.
Sebbene prima l'acqua gli avesse conferito una strana sensazione di euforia ispirandogli pensieri legati alla libertà, ora, dopo aver sentito Thomas pronunciare quel nome, quelle gocce gli ricordavano.. delle lacrime. Inutile dire che il suo umore aveva subito una brusca discesa.
Eppure, sebbene non avesse la benchè minima voglia di parlare, non di quello almeno, dalla sua bocca uscì una domanda della quale si era già pentito l'istante stesso in cui l'aveva pronunciata.

-Che cosa ti ha raccontato?

Thomas non rispose, si limitò a sollevare un sopracciglio.
Era rimasto in silenzio per una buona mezz'ora, che cosa intendeva ora con quella domanda?
E perchè pretendeva che lui lo capisse? Era così stanco che si sarebbe potuto addormentare in piedi.

-Sai.. Chuck. Su..

Non completò la frase. Non aveva intenzione di dire il suo nome. Non ancora per lo meno.
Thomas lo osservò lungamente. Non l'aveva mai visto così.
A dir la verità, faticava a credere che la persona che si trovava accanto fosse veramente Minho. Solo poche ore prima l'aveva visto prendere a calci un mostro grande come una mucca ed uscirne illeso, addirittura con un ghigno soddisfatto sul volto. In quel momento, invece, sembrava sul punto di crollare.
Chissà che cosa gli passava per la testa.
In realtà, questo non lo aveva mai capito. Anzi, era addirittura certo al cento per cento che non lo avrebbe mai capito, nemmeno se avesse vissuto con lui tutta la sua vita.
Neanche in cent'anni di amicizia avrebbe mai scoperto che cosa gli passasse per la mente.

-Oh insomma, hai capito!

Ecco, è già cambiato.

Un secondo prima sembrava che il mondo gli stesse per crollare da sotto i piedi, ora aveva come ritrovato l'energia che lo caratterizzava.
E tutto per.. un nome.
Se fosse stato sicuro di non beccarsi un pugno in un occhio, avrebbe continuato a giocare con quel nome all'infinito.

-In realtà non molto. Mi ha detto di averla vista per poco tempo. L'ha nominata parlando di quando è uscito dalla Scatola.
-E basta?
-Beh.. sì. Ha detto di averci parlato poche volte, perchè non aveva molta pazienza con lui.

Vide l'amico soffocare una risata, annuendo soddisfatto.
Strano. Era come se stesse tentando di rivivere il passato attraverso le sue parole.
Quella volta con Chuck.. si ricordava di aver chiuso velocemente il discorso. Era nella Radura da solo un giorno e mezzo: aveva ben altro per la testa, non gli interessava molto la storia di una ragazza che nemmeno conosceva.
In quel momento, si pentì di aver zittito Chuck in quel modo.
Senza tener conto del fatto che, se avesse saputo che cosa gli sarebbe successo in seguito, avrebbe passato molto più tempo ad ascoltare le chiacchiere di quel povero ragazzino, ora quella ragazza, quella Demetra, lo incuriosiva parecchio.
Non aveva mai visto Minho così pensieroso, e voleva assolutamente conoscere la causa scatenante di tutto ciò.

-Che cosa le è successo?

Minho gli soccò un'occhiata poco incoraggiante, stringendo i pugni fino a farne impallidire le nocche.
L'istante stesso in cui finì di pronunciare la domanda, Thomas ricordò che cosa gli avesse detto Chuck in quell'occasione: un ammonimento che, forse, sarebbe stato meglio ricordare prima.
Ma ormai il danno era fatto.

"Cerca di evitare il discorso con Minho, se mai ci parlerai."

All'epoca non era riuscito a comprendere fino in fondo il significato di quella frase, aveva prestato poca attenzione al tono della voce dell'amico e all' espressione che aveva assunto.
Le poche altre volte che qualcuno gli aveva mai parlato di quella ragazza, il discorso era sempre stato chiuso molto frettolosamente, e Thomas ne aveva supposto che la storia non dovesse essere poi così notevole, perdendo velocemente interesse e smettendo di fare domande a riguardo.
Ora, però, osservando l'amico, realizzò finalmente perchè tutti avessero sempre tentato di scansare l'argomento.
Senza proferire parola, Minho non aveva distolto lo sguardo dal suo volto, le braccia gli tremavano, come se stesse utilizzando tutta la sua forza per non lasciarsi andare e colpirlo in viso, le mani erano ancora strette a pugno, e Thomas si ritrovò a pensare che, forse, l'amico si stava immaginando di stringere il suo collo tra quelle mani.
Per un momento ebbe paura.
Che cosa doveva fare? Doveva chiedere scusa? Oppure fare finta di niente?
Minho non gli avrebbe mai fatto del male. O no?
Proprio quando aveva iniziato ad analizzare le diverse vie di fuga in caso di una sua reazione violenta, il ragazzo lo sorprese. Come ogni altra volta, del resto.
Con la stessa velocità con cui la rabbia era cresciuta nel suo sguardo, così se n'era andata: le braccia si erano rilassate e le mani si erano finalmente distese, riprendendo pian piano colore.
Minho si limitò a sbuffare, concentrando nuovamente la sua attenzione al paesaggio al di fuori del finestrino.

-Lascia perdere.







L'improvvisa realizzazione di ciò che aveva provocato gli era gravata bruscamente sulle spalle, portandolo a credere che, da un momento all'altro, il peso di quelle parole lo avrebbero schiacciato al terreno, provocando una voragine tale da risucchiare la Radura intera.
Era colpa sua.
Se solo fosse stato più forte, se fosse riuscito a dar retta a ciò che si era imposto, se nel momento esatto in cui lei aveva ricominciato a vivere normalmente, lui non avesse ceduto a ciò che il corpo gli ordinava e si fosse allontanato da Demetra, tutto questo non sarebbe mai accaduto.
Lei non avrebbe mai pianto a causa sua, i Creatori non l'avrebbero mai privata di una cosa così importante e lui non si sarebbe mai trovato davanti ad una Porta a pochi minuti dalla sua chiusura, con la sensazione di aver ucciso una persona.
E non una persona qualunque.
Demetra.
La sua Demetra.

Capiva perchè avesse deciso di compiere un'azione simile.
Era sempre stata una ragazza incline alla teatralità, per lei non era mai esistito il grigio: le cose erano o bianche o nere.
Ma, in fondo, chi era lui per giudicare?
Aveva sì e no dicotto anni, e già sapeva che non avrebbe mai potuto aver figli.
E tutto ciò perchè delle persone avevano deciso così.
Delle persone che, tra le altre cose, avevano anche deciso di rinchiuderla all'intero di un gigantesco Labirinto senza una minima spiegazione.
L'avevano allontanata dai suoi genitori, dai suoi amici, dalla sua vita. L'avevano privata dei suoi ricordi, della sua giovinezza, della spensieratezza che una ragazza di quell'età dovrebbe provare.
Le avevano impedito di vivere una vita normale e ricca di chissà quali esperienze.
E ora questo.
Sì, capiva benissimo perchè avesse deciso di rimanere all'interno del Labirinto.
Di non continuare quella vita fasulla.
Non sarebbe mai riuscito a farle cambiare idea. Avrebbe potuto dirle qualsiasi cosa, prometterle che avrebbero trovato una via di fuga, che se ne sarebbero andati da quel maledetto posto un giorno e che, chissà, forse avrebbero potuto anche trovare una soluzione per il problema della sterilizzazione.
Ma non avrebbe funzionato.

-Dem io.. scusami.

La ragazza aveva spalancato gli occhi.
Era la prima volta che diceva una cosa simile!
Scusami.
Si rigirò quella parolina in bocca come una caramella, assaporandone il gusto.
Dopotutto, non era poi così male.

-Scusa? Minho, non mi devi certo chiedere scusa, e per cosa poi? Non è mica colpa tua.

Minho aveva scosso la testa.
Certo che era colpa sua. Come poteva anche solo pensare che non lo fosse?
Niente al mondo sarebbe mai riuscito a convincerlo del contrario.

-Sì che lo è, Dem. È colpa mia.

Aveva fatto una piccola pausa.

-Ma ti prego, ti prego, rientra nella Radura. Io..
-Ormai è tardi, Minho. Ho già..
-Sì, lo so, hai già preso la tua decisione. Ma.. dammi un'altra possibilità, sono sicuro che..

Non era riuscito a  concludere la frase.
In realtà, era una sensazione abbastanza strana.
Sapeva bene che cosa volesse dire, ma non aveva idea di che parole utilizzare. Tutto gli sembrava confuso, ogni termine sembrava sbagliato, ogni frase stupida e senza senso.
Voleva lasciarsi prendere dall'egoismo.
Voleva dirle che se non desiderava vivere, avrebbe dovuto farlo per lui.
Perchè lui non sarebbe mai riuscito ad andare avanti senza avere più la possibilità di vederla, di parlarle, di sentire la sua voce. Non sarebbe mai riuscito ad andare avanti con quel senso di colpa.

Bene, ora o mai più!

Improvvisamente si rese conto che non gli interessava affatto se lei avesse sentito ciò che aveva in mente di dirle: l'imbarazzo per quelle parole, per i suoi sentimenti, per ciò che sentiva dal profondo della sua anima scomparve.
Mancavano pochi minuti alla chiusura delle Porte.
Lei non avrebbe mai cambiato idea, non sarebbe mai rientrata di sua spontanea volontà nella Radura. Se avesse fatto anche un solo passo nel Labirinto, per tentare di costringerla a rientrare o solamente per rimanere con lei in quell'atto suicida, si sarebbe ammazzata con quel coltello.
Non aveva scelta.

-Dem, ti prego, mi dispiace per tutto quello che ti ho detto, mi dispiace per quello che è successo, per favore, rientra nella Radura, giuro che.. che troveremo una soluzione. Dovessi anche perderci il sonno, tornerà tutto come prima.
-È troppo tardi per tornare indietro. Non si vive nel passato, ricordi? Me l'hai detto tu.
-Mi sbagliavo, Dem.

Cosa stava facendo?
Usava le sue stesse parole contro di lui?
Una parte di lui -una piccolissima parte- rise soddisfatto. Voleva giocare sporco? Bene così.
Non si sarebbe risparmiato.

-Tu, invece, ti ricordi cosa mi hai detto una volta? Quando stavi ancora male, quando passavo tutti i giorni accanto al tuo letto tentando di tenerti in vita. Ti ricordi cosa mi hai promesso, Dem?
-Non..
-Hai detto che avresti sempre avuto bisogno di me. Che non mi avresti mai lasciato. Te lo ricordi?

Gli occhi di Demetra si erano chiusi a fessura, tanto che Minho stentava a credere che riuscisse ancora a vederci qualcosa. Anche se tentò in tutti i modi di zittirla, una minuscola parte di sè gioiva.
Forse ce l'avrebbe fatta.
Non sapeva perchè, nè desiderava illudersi troppo, ma aveva come la sensazione che, litigando come erano soliti fare, lei avrebbe cambiato idea.
Ma il suo sguardo aveva subito cancellato ogni sua minima speranza.

-Sei tu che mi hai lasciata! Sei tu che non avevi più bisogno di me!
-Lo so, ma andiamo! Quando mai penso alle cose che dico? Demetra, ascoltami, te lo sto chiedendo, anzi, ti sto supplicando, rimani con me.

Sentiva che presto sarebbe impazzito.

-Dem, io.. sono solo un ragazzo, ho..

Dillo!

-Dem, io..

Andiamo non è così difficile, non essere codardo, dillo e basta.

-Dem io ho bisogno di te. Non riuscirei a vivere se sapessi di non poterti più vedere. Ho bisogno che tu mi stia accanto.

Minho aveva abbassato lo sguardo, consapevole di non aver più nulla da dire.
Dopo due anni di litigi, dopo due anni passati ad osservarla di nascosto, dopo due anni passati a pensare costantemente al momento in cui l'avrebbe rivista, dopo tutte i sogni e le speranze, finalmente gliel'aveva detto.
Aveva un disperato bisogno di lei.
Le lacrime avevano ricominciato a bagnare il volto della ragazza.
Ancora una volta, era riuscito solo a farla piangere.

-Non piangere Dem, io..
-No, Minho, tu.. questa storia non puo' ricominciare.
-Dem ti prego..
-Ascoltami. Da quando ti conosco, hai sempre accettato qualsiasi sfida ti ritrovassi davanti. Non ti sei mai fermato, non importava quanto difficile potesse essere. Ma io non sono te. Nessuno mi ha mai detto quale fosse la strada giusta da percorrere, non l'ho mai capita. Ti chiedo solo una cosa.

In quell'istante le Porte cominciarono a chiudersi.
Un colpo squarciò l'aria, seguito da uno scricchiolio che gli penetrò a fondo nel cervello.
Il cuore prese a battergli all'impazzata come mai prima di allora, la paura improvvisa conferitagli dalla realizzazione di ciò che stava accadendo gli serrò lo stomaco, le gambe iniziarono a tremare.
No, non poteva essere. Voleva, anzi, aveva bisogno di più tempo!
Improvvisamente tutti i suoi pensieri e le sue decisioni furono spazzate via, il buonsenso fu zittito velocemente, tutti i rumori attorno a lui furono cancellati.
Doveva andare a prenderla.
Doveva entrare in quel fottutissimo posto e riportarla indietro.
Doveva farlo.

L'istante stesso in cui le sue gambe cominciarono a muoversi, due braccia avevano circondato il suo petto, limitandogli i movimenti.
Furioso, aveva tentato di liberarsi da quella presa scalciando con braccia e gambe, ma invano.

-Non muoverti, cacchio!

Sebbene una piccola parte del suo cervello avesse recepito quella voce, Minho non aveva smesso di muoversi: aveva infatti deciso che, se proprio non voleva lasciarlo andare, avrebbe trascinato entrambi all'interno del Labirinto.
Raccogliendo tutte le forze che possedeva in corpo, iniziò a tirare, riuscendo a spostare di pochi millimetri la zavorra che si portava appresso.
Le porte si stavano avvicinando velocemente.
Cinque metri.
Due metri.
Con un un fiume in piena, tutta la forza che possedeva fuoriuscì dal suo corpo, attraverso un lungo, potente, urlo di sconfitta.

L'istante prima che le porte si chiudessero, aveva lanciato un ultimo sguardo a Demetra.
Sovrastata dal rumore assordante delle porte in movimento, la sua voce non era stata udibile.
Minho, però, era riuscito a comprendere che cosa gli stesse dicendo.

-Ricordati di me.




Per la seconda volta nell'arco di un'ora, un movimento improvviso del pullman lo distolse dai suoi pensieri.
Erano arrivati a destinazione.
Era la prima volta che ripensava a quello che era successo.
Subito dopo che le porte si erano chiuse, Minho si era reso conto di non aver più fiato in corpo.
In realta, non aveva più nulla in corpo. Si sentiva svuotato.
Attorno a lui non riusciva a percepire un solo movimento o rumore. La Radura sembrava come essersi spenta. La testa aveva iniziato a girare, tutto intorno a lui era diventato confuso e sfocato.
Un fischio aveva iniziato a perforargli il cervello, impedendogli di comprendere che cosa stesse accadendo attorno a lui.
Newt era davanti a lui, gesticolava energicamente, dicendogli qualcosa che tanto non riusciva a sentire.
Demetra se n'era andata. Per sempre.
Lui non era stato in grado di proteggerla.
Di tenerla in vita.
Di rimanere al suo fianco.


-Minho, sei sveglio? Dobbiamo andare.

Thomas lo stava guardando, un misto di divertimento e preoccupazione nei suoi occhi, tentando di fermare l'eccitazione che la fine di quel viaggio gli conferiva.
Minho lo guardò di rimando.
Se fosse riuscito ad entrare nel Labirinto, rimandendo con Demetra, non avrebbe mai vissuto quel momento.
Il momento che sognava da due anni.
Finalmente ce l'avevano fatta, erano riusciti a decifrare il codice del Labirinto.
Tutti quei giorni a correre avevano dato i loro frutti.
Erano liberi.
Eppure non riusciva ad esserne felice.
Che gusto c'era ad essere libero, se metà della gente che aveva conosciuto era morta?
Se lei, soprattutto, era morta?
Come poteva gioire pensando che, se fosse riuscito a trattenerla per qualche settimana in più, forse anche lei sarebbe stata in quel pullman?
Come poteva parlare con i suoi compagni, con Thomas, con Newt, con Frypan e gli altri, se in mente aveva solo quelle sue ultime tre parole?
Non aveva una risposta.
Purtroppo, non l'avrebbe mai avuta.
Demetra, la ragazza che aveva significato tutto per lui, era morta.
Era scomparsa sotto i suoi occhi, se n'era andata e non sarebbe più tornata.
Non avrebbe mai più rivisto il suo sorriso, non avrebbe più potuto giocare con i suoi capelli o sentire quella strana sensazione che provava ogni volta che circondava le braccia attorno al suo corpo esile. Non avrebbe più sentito la sua voce.
Demetra era morta.
Ma lui era vivo, e non l'avrebbe mai dimenticata.
Gliel'aveva promesso.



-Quello non lo porti?

Si voltò di scatto, seguendo con lo sguardo ciò che indicava l'amico.
Sospirando, scosse la testa.

-Nah, tanto so già cosa c'è scitto.

Thomas gli sorrise. Non avrebbe mai saputo che cosa gli passasse per quella testa, ormai l'aveva capito.
Sorridendogli di rimando, Minho si affrettò a seguire l'amico verso le porte del pullman, verso la sua nuova vita. In testa, ancora gli ronzavano le ultime frasi che aveva letto nel diario di quello scienziato, Lucas.

"..so di averla costretta ad una vita che non meritava. Me ne vado con in cuore la consapevolezza di aver condannato a morte una ragazza appena diciottenne. L'unica cosa che mi consola è che, prima di morire, per quanto grezzo, abbia potuto assaporare la dolcezza di un amore giovanile. Ripenso alla canzone che mi cantava sempre mia madre prima di dormire.
Oltre il muro dei vetri si risveglia la vita
che si prende per mano
a battaglia finita
come fa questo amore che dall'ansia di perdersi
ha avuto in un giorno la certezza di aversi

Addio Demetra, mia piccola bambina, mi mancherai."



-Addio Dem.








 
SPAZIO SCRITTRICE

Salve a tutti!
Ok perdonatemi il mostruoso ritardo, ma questo capitolo, oltre ad essere quello più delicato ed importante, è stato super difficile, perchè narrato dal punto di vista di Minho. Il ragazzo infatti, oltre ad essere dannatamente complicato, è un.. ragazzo appunto, e io purtroppo non so che cosa gli passi per la testa ad un uomo, e mai lo saprò. Detto questo, vorrei ringraziare di cuore tutte le persone che mi hanno seguita fin qui, tutti coloro che hanno visto la nascita e la morte della nostra piccola, schizzata Dem. No dai, le voglio bene, mi spiace un sacco che sia finita.
Purtroppo posso solo ringraziare una parte di voi, solo coloro che hanno deciso di recensire o di mettere questa storia tra le seguite o le preferite. Quindi ringrazio un' infinità di volte hugmeniall93 , LoveFandom22 ,Blurred lines, Liyanin  e Lirin Lawliet. In particolare vorrei ringraziare quest'ultima per essermi sempre stata accanto, per avermi incoraggiata e supportata fin dal primo capitolo! Non hai idea di quanto le tue recensioni mi abbiano dato la forza per continuare, sei stata molto importante per me in tutto questo e spero di poterti sentire ancora anche dopo che la tua storia sarà finita! A proposito, se vi è piaciuta questa, andatevi a leggere "Eden", perchè non vi deluderà.
Beh, passiamo al capitolo. Che ne pensate? Ho deciso finalmente di far un po' andare MInho, sperando allo stesso tempo di non rendere troppo sdolcinate le sue parole. Del resto è di Minho che stiamo parlando. Avete visto come, anche in un momento così, faccia fatica ad esprimere cosa provi veramente. Ho fatto bene? O desideravate più dramma? Mi è dispiaciuto non poter dare una parte a Newt in tutto questo. Come avevo spiegato nel capitolo precedente, la storia doveva concludersi con i tre dialoghi con le persone più importanti, quindi il suo tempo era finito, c'era solo spazio per Minho. Un po' mi dispiace comunque. Beh, ora tocca a voi. Che ne pensate? Ditemi assolutamente tutto! Ah sì, la canzone alla fine è di De Andrè, si intitola Dolcenera. A volte le canzoni esprimono meglio ciò che ci passa per la testa. Beh.. è finita, non devo più dire nulla. Mi mancherà Dem e tutti i ragazzi della Radura.. vabbè c'est la vie! Grazie ancora di tutto, spero di sentire tante opinioni!
Per l'ultima volta, buon proseguimento :)

Reading4
  
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