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Autore: Mrs Carstairs    15/12/2015    0 recensioni
“non starai di nuovo riguardandoti quella pellicola?!” la voce di Magnus risuonò stranamente profonda, strappando agli occhi di Cathrin la vista di New York trasformata in Alicante. La ragazza girò la testa, appoggiando il mento alle ginocchia e volgendo allo stregone uno sguardo arrabbiato.
“anche fosse?” parlò in tono sommesso, un po’ acidamente, ma nel verde dei suoi occhi, Magnus ci vide più stanchezza e dolore, che presunzione e arroganza. Chairman Miao, che fino a quel momento aveva sonnecchiato sdraiato sulla scrivania di fronte al letto di Cathrin, atterrò sul pavimento freddo con un balzo, dirigendosi fiero e silenzioso sotto al davanzale dov’era seduta, miagolando per richiamare l’attenzione. Gli occhi della ragazza si posarono sul felino dagli occhi gialli. Senza sorridere, diede una pacca alla pietra della rientranza dove stava seduta e il gatto ci saltò sopra, accoccolandosi accanto ai suoi piedi.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Altri, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Un po' tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il silenzio sembrava appropriarsi di ogni cosa dentro quella stanza, rotto a tratti dal fievole suono della musica proveniente dal salone.
D’improvviso, il ragazzo si mosse dalla porta, acquattandosi dirimpetto, con i muscoli tesi, il respiro che aumentava in velocità. Cathrin si stava chiedendo cosa avesse causato quella reazione, quando il rumore giunse anche alle sue orecchie. Nel corridoio sembravano risuonare dei passi, passi che, dalla leggerezza e dall’alternarsi di un rumore secco ad uno più morbido, la cacciatrice riconobbe subito. Cathrin si avvicinò alla porta con sicurezza. Il ragazzo le afferrò un polso. Lo sguardo le intimava di non aprire la porta, ma Cathrin lo spinse forte verso il muro, picchiandogli una mano sul petto. Resta qui.
Il ragazzo si immobilizzò, capendo che l’uscio, una volta aperto, l’avrebbe nascosto alla vista dell’ospite.
La cacciatrice gli lanciò un’ultima occhiata e aprì la porta di scatto.
“Isabelle. Che diavolo ci fai qui?” la ragazza si voltò in un’unica mossa, facendo ondeggiare l’ebano dei capelli lunghi.
“potrei farti la stessa domanda” Isabelle sembrava decisa a non muoversi dalla piastrella su cui poggiava i tacchi.
“avevo chiesto a Jace di non disturbarsi a venire. Tanto meno avrei voluto mandasse qualcun altro a cercarmi!”
“Jace non c’entra nulla! Non sa nemmeno che sono qui. Io volevo solo…” ma la voce di Isabelle venne sovrastata da quella di Cathrin.
“possibile che nessuno di voi capisca?! Quale potrebbe essere l’unica ragione valida per la quale io, sarei potuta venire qui?”
Isabelle rimase sorpresa dalla reazione così insofferente dell’amica.
Restò in silenzio, appoggiandosi con una spalla allo stipite della porta.
“te lo dico io perché. Per colpa mia Elisabeth ha rischiato di lasciarci le penne. Per colpa mia! E sì, certo, ora è sveglia, sta bene…al contrario dei miei genitori!” Isabelle sentì il sudore gelarle sulla schiena non appena sentì quelle parole. Jace aveva ragione: Cathrin doveva risolvere la cosa da sola.
“voglio solo restare da sola, avere la possibilità di provare il dolore che devo provare, senza che qualcuno di voi cerchi di impedirmelo!” la ragazza rimase ad ascoltare il flusso di coscienza che aveva generato il rigetto di tutte quelle parole in quel modo avventato.
Si rese conto del fatto che Cathrin doveva essersi pentita d’averle parlato in quel modo, di averle parlato in quel modo di sé, perché la vide spalancare gli occhi e ritrarsi dalla soglia, scuotendo la testa. Così anche lei si scostò dall’uscio, prima di voltarsi e camminare verso la fine del corridoio.
 
***
 
Isabelle camminava per le strade dell’Upper side di Brooklyn con lentezza. Il vento fresco della sera le faceva ondeggiare i capelli, che le battevano sulle spalle nella camminata.
Deve soffrire ancora molto. Ancora una volta Jace sarebbe stato più adatto all’argomento. Avrebbe saputo di certo come muoversi, come addentrarsi nel suo cuore. Isabelle ricordava bene cosa aveva provato quando Max era morto.
Il gelo che le aveva avvolto l’anima nel vedere il suo fratellino steso sul pavimento altrettanto freddo della casa dei Penhallow. Appena aveva ripreso conoscenza lo aveva trovato a pochi metri da lei, inerme, con il volto sereno, come dormiente. Izzy lo aveva preso per mano, constatando con terrore che il sangue non riscaldava più il suo corpo. Lo aveva stretto a sé, cominciando a provare paura, rabbia e tanto, tanto dolore.
Anche ora gli occhi le si appannavano, dipingendo sulla città una nebbia e un grigiore innaturali.
“Iz” una voce familiare la distolse da quei pensieri amari con forza, immobilizzandola in mezzo al marciapiede. Un paio di mani le accarezzarono le spalle, scivolando sulle sue braccia. La ragazza rimase paralizzata da quel tocco gentile e caldo.
Era stato difficile spiegare a Simon in che modo loro due fossero legati.
C’era voluto tempo, ma a tratti, tutto ciò ch’era nascosto alla sua memoria emerse. Magnus fu l’elemento senza il quale niente avrebbe funzionato, ancora una volta, ma Isabelle era stata- parole dello stregone- il miglior antidoto al veleno della  damnatio memoriae demoniaca.
Aveva sofferto nel capire che Simon non ricordava assolutamente nulla di loro due. Il vuoto che aveva provato era peggiore di quel che avrebbe pensato. Ma non aveva smesso di comparire nella sua vita quando meno se l’aspettava, di tentare con ogni mezzo di fargli ricordare. E c’era riuscita.
Isabelle si voltò di slancio verso il ragazzo, rientrando nel cerchio delle sue braccia. Simon la guardò negli occhi per qualche secondo, prima che lei premesse le labbra contro le sue. Quel bacio era la prova che lui era tornato, che Simon non si era scordato di lei. Che niente di tutto quello che avevano passato era stato cancellato. Simon la strinse a sé con forza, sentendo per l’ennesima volta quell’ondata di calore travolgerlo e coglierlo di sorpresa. Ogni immagine di Isabelle riaffiorava alla sua mente, figurandosi dietro le sue palpebre con precisione. Isabelle che lo stringeva a sé nella caverna, Isabelle che lo faceva entrare in camera sua, Isabelle che camminava decisa tra gli invitati alla prima festa di Magnus Bane a cui erano stati. Isabelle che si lasciava mordere il collo sospirando.
Simon apparteneva a Isabelle come Isabelle apparteneva a Simon.
E Isabelle dimenticò le lacrime che le scendevano sulle guance mentre si spingeva sempre più vero Simon, sentendo con piacere il caldo emanato dal suo corpo vivo. Non doveva più temere che non ricordasse. Non doveva temere che la lasciasse. Simon era lì. Con lei. E ci sarebbe sempre stato.
 
***
 
La porta della sala da musica si aprì piano, rivelando Elisabeth sulla soglia.
“Jace…” la voce della ragazza suonò flebile nelle orecchie del biondo, che si voltò verso di lei con l’ombra di un sorriso che gli aleggiava in viso. Non era sorpreso di vederla.
“Elisabeth, sai che dovresti riposare” la rimproverò in tono piatto. Probabilmente non credeva nemmeno lui a quello che aveva detto. In effetti, se Alec fosse sparito chissà dove, Jace se ne sarebbe infischiato, del riposo.
“Jace-ripeté- dov’è Cathrin?” il tono di Elisabeth era deciso, nonostante la voce le tremasse.
“non lo so” la cacciatrice chiuse l’uscio con una botta della mano, avvicinandosi a grandi passi al pianoforte.
“non mentirmi!- ella stessa i stupì di quell’urlaccio- Ti ho sentito mentre parlavi con Magnus. Dimmi dov’è.” Scandì le ultime parole molto chiaramente, con la preoccupazione che si trasformava in rabbia.
Jace la guardò improvvisamente rasserenato, intenerito dallo zelo con cui la ragazza cercava un modo per arrivare all’amica.
“sai, mi ricordate me e Alec prima che diventassimo Parabatai” Elisabeth cambiò espressione, rilassando il viso.
Mantenne gli occhi fissi in quelli di Jace, che continuava a sorriderle.
“Alec cercava di capirmi e io… scappavo. Avevo… paura di un legame come quello. Temevo di ferirlo. Mi avevano insegnato che amare voleva dire distruggere e ci credevo davvero. Posso solo immaginare come si sia sentito Alec in tutto questo. Ma in ogni momento era lì, per me.”
Elisabeth continuava a non capire.
“per quanto le storie tue e di Alec mi tocchino il cuore… io starei cercando di…”
“è stata seduta vicino al tuo letto per tre giorni.- alla ragazza mancò il respiro per qualche istante. Jace posò gli occhi sui tasti del pianoforte - non permetteva a nessuno di allontanarla da quella dannata poltrona.” e si accorse dello sguardo colpevole di Elisabeth. Le prese una mano, facendola sedere accanto a sé.
“Ha cantato per te la notte scorsa, prima che ti svegliassi… Una ninnananna irlandese, ha detto, mio padre me la cantava quando facevo brutti sogni. Sa cosa provoca il veleno del Ravener..” la ragazza guardò Jace senza sembrare di capire una sola parola di quello che le aveva detto.
“ha.. cantato.. per me?” chiese con il labbro inferiore che le tremava.
“si. Ha cantato per te. Voleva solo che ti svegliassi, Elisabeth.
Si è sentita in colpa per non essere stata lì a difenderti. Avrebbe desiderato esserci lei al tuo posto. Come con i suoi genitori…. Ha avuto semplicemente paura di perderti” Jace parlava dolcemente, ma con un tono che non lasciava spazio a null’altro se non alla verità dei fatti. Guardò la ragazza, scorgendo l’alone delle lacrime che le patinava gli occhi. Elisabeth aveva avvertito all’improvviso una morsa allo stomaco che le provocava una sensazione strana, come di oppressione e al contempo di piacere. Trattenne a stento un sospiro mentre si alzava dal panchetto del pianoforte.
“devo trovarla.” Jace scosse la testa.
“no.” la voce del ragazzo era più ferma che mai. “la cosa migliore che puoi fare per lei ora è lasciarla sola.” Elisabeth sembrava ferita, come scoraggiata, più stanca di prima.
“ma io…”
“domattina sarà qui, vedrai. Ora torna a letto, dammi retta.” La cacciatrice guardò Jace con risentimento, ma annuì, dirigendosi verso la porta che dava sul corridoio, sparendo alla sua vista.
 
 
 
 
“I nuovi Accordi devo aver avuto un effetto molto positivo su di voi, Nephilim” Il ragazzo sembrava sorpreso. Era vero, gli Accordi erano stati sottoposti ad una stesura molto accurata dopo la guerra contro il figlio di Valentine e il Conclave lo aveva sottoposto ai rappresentanti dei nascosti prima di farli entrare in vigore. I vampiri avevano avuto qualche appunto da fare riguardo alla regolamentazione del proprio nutrimento, ma alla fine si era sistemato tutto alla grande.
In ogni caso nessuno credeva al fatto che nessuna delle vecchie controversie avrebbe pensato che in una situazione del genere un cacciatore avrebbe protetto un nascosto. I figli dell’Angelo erano conosciuti per il loro orgoglio e per essere dei guasta feste terribili dai nascosti, ma lei, pensò il ragazzo, sembrava diversa.
La cacciatrice rimase immobile, rivolgendogli solo uno sguardo di sufficienza.
“A differenza di alcuni miei coetanei non sfogo la mia rabbia repressa su di voi, Figlio della Luna” Cathrin incontrò lo sguardo acceso del ragazzo, che rimase ad osservarla, circospetto.
La cacciatrice cominciò a sentirsi in imbarazzo con quegli occhi verdi che la fissavano continuamente, così si scostò da lui, fermandosi di fronte alla finestra.
D’istinto si portò una mano al collo, come per proteggersi dalla sensazione di soffocamento che le impediva di respirare completamente.
“sbaglio, se dico che ciò che hai urlato addosso alla tua amica era vero?” la voce del licantropo giunse come un soffio di vento alle orecchie di Cathrin. Si era quasi dimenticata di non essere sola. Le erano venute in mente tante di quelle cose… tante di quelle cose che avrebbe potuto fare per impedire tutto ciò che era accaduto..
“e a te che importa?” ogni emozione sembrava essere evaporata dalla voce della ragazza.
“volevo solo restituire il favore alla mia salvatrice.”
“infatti. Perché ti nascondevi?” La cacciatrice si voltò con un movimento fluido, ritrovandosi a pochi centimetri dal viso del ragazzo.
“tu non rispondi alle mie domande, io non rispondo alle tue.” Cathrin alzò gli occhi al cielo, allontanandosi di qualche passo. Sedette sul letto, scalzando le scarpe. Incrociò le gambe e alzò lo sguardo sul nascosto.
Durante l’azione di poco prima non aveva avuto il tempo di osservarlo, ma ora, poteva permettersi il lusso di guardarlo. Solo per capire chi ho di fronte. Si disse.
Era alto almeno una spanna in più di lei, aveva un corpo tonico, dalle spalle larghe e i fianchi più stretti. La camicia gli fasciava il petto, delineando le forme dei muscoli sotto il tessuto. Doveva aver corso, perché il colletto era sbottonato e la pelle al di sotto sembrava lucida.
I capelli gli incorniciavano il viso nel loro disordine ordinato di onde. Non erano lunghi, ma neanche corti... ma davano l’impressione d’essere davvero… morbidi.
“perché mi fissi?” ancora una volta la voce del licantropo l’aveva distolta dai suoi pensieri con forza.
“avevi ragione, contento?”
“su cosa..?”
“su quello che ho detto.” Cathrin buttò gli occhi a terra, come a voler crepare il pavimento con lo sguardo.
“contento? Affatto.” La ragazza rimase sconcertata dalla risposta. Non era ancora soddisfatto? Dopotutto erano solo e soltanto affare suoi, altre spiegazioni erano fuori discussione.
“ma che vuoi da me?” Il licantropo sedette di fronte a lei, nell’incavo della finestra.
“so cosa si prova, a perdere chi ami. Sentirsi in colpa..” Cathrin schiuse le labbra, pentita dei suoi modi bruschi. Il licantropo parve intuire qualcosa del suo stato d’animo, perché voltò lo sguardo verso di lei, scuotendo la testa.
“vuoi andartene? Da qui intendo..” chiese a voce bassa. La cacciatrice si scoprì sollevata nel sentirsi chiedere una cosa del genere. Distese le gambe, cercando le scarpe con i piedi.
“dove?”
“tu fidati di me”
“come? Non mi fido neanche di…”
“fallo e basta, d’accordo?”
“d’accordo” 
   
 
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