4.
Più di quanto Claude sia un manipolatore
bastardo, quello che sconvolge Charlotte è come gli esseri umani possano
abituarsi virtualmente a qualsiasi cosa,
se ripetuta costantemente nel tempo.
Impiega due settimane per rendersi conto che “oggi tocca a te” è ormai la nenia
costante con cui il cane la saluta al mattino; quel che è peggio, realizza
quando il commesso le dà il resto e le porge i pacchetti del take-away, è che
ormai si è adattata così tanto a quel compito da non trovarlo minimamente
fastidioso o irritante.
Lancia il portafogli nella borsetta e trotterella
al solito vicolo dove, più imbacuccati e folli che mai, la attendono i suoi
barboni preferiti.
“Carlottina!” Chioccia felice Marge quando la
vede comparire. Bob le rivolge un cenno di saluto e un breve sorriso, troppo
concentrato a finire le parole crociate che Charlotte ha rubato ad Andrew il
giorno prima. “Il mio angelo del cibo thailandese!”
Charlotte ride e le porge l’incarto di un panino
di Subway ignorando le risate rauche di Bob quando Margherita inizia a
farneticare di fiducia mal riposta e “confidavo
in te, Carlottina. Credevo che tu fossi diversa”, e inizia a elencare.
“Marge… Bob…” Fa una piccola piroetta sul posto e individua il cumulo di
stracci nell’angolo più remoto della strada. “Kevin Secondo.”
Il barbone sconosciuto – Kevin Secondo, come lo chiamano lei e Claude da giorni – rotola sul
solito fianco e accenna ad alzarsi. Gli ci vogliono tre tenativi, uno più
fiacco dell’altro, perché Charlotte faccia quell’ultimo mezzo passo che li
separa. “Fermo. Tranquillo.” Gli mormora gentilmente. Il Soldato la guarda
negli occhi e Charles dà in un singhiozzo improvviso, come una bambina pescata
a rubare.
Dire che quell’uomo le metta paura sarebbe una
gigantesca balla; ma la pena, oh,
quella sì. Sente un dolore immenso ogni volta che si trova a guardarlo, così
irrimediabilmente perso.
“Ci penso io.”
Il Soldato annuisce brevemente e, senza una
parola, rotola più lontano. Sembra sentire l’imbarazzo di Charlotte ed esserne
influenzato a sua volta, sembra… sembra, e Charles questo lo nota solo per
caso, più uno scherzo del proprio cervello che una vera e propria intuizione,
che abbia paura di essere toccato.
“Panino. Subway. Se hai qualche lamentela
rivolgiti a Marge, non vede l’ora di potersi alleare con qualcuno.” Lo
sconosciuto la guarda ancora, e Charlotte non sa cosa sia nel suo sguardo, ma
le sembra quasi – per un istante – di intravedere l’accenno di un sorriso.
“Bene.” Esordisce dopo diversi istanti di nulla in cui, semplicemente, ha
trovato naturale fissarlo negli occhi. “Torno a lavoro.” Un saltello ed è in
piedi, due passi e sarà fuori dal vicolo. “Buona giornata.”
Per la prima volta, dandogli le spalle, Charlotte
è convinta – no, è sicura – di
intravedere un breve cenno di saluto. E forse il luccichio che le sembra di
vedere provenire dalla sua spalla ogni volta che Kevin Secondo rotola sul posto
è un’allucinazione, ma quel cenno, no, quel cenno c’è stato davvero.
***
Le crisi arrivano di notte, quando Bucky è più
indifeso che mai dai mostri che popolano i suoi sogni.
Dapprima erano pochi, lampi di orrore che avevano
il potere di riscuoterlo tanto da lasciarlo tremante e col fiato corto agli
angoli delle strade. Ma più passa il tempo, più i contorni si fanno definiti.
Tutto si fa più definito, a eccezione del mostro di
metallo che gli penzola dalla spalla.
Una notte Marge si sveglia e lo trova che sta
provando a strapparselo con l’altra mano.
“Ehi!” Lo richiama con tono allarmato,
affrettandosi a trotterellargli incontro. “Fermati! Fermati, ti ho detto!”
Le ci vogliono cinque minuti di ‘fermati’ e moine
generiche, ma alla fine Bucky molla la presa e, con una testata delicata al
muro alle sue spalle, si ferma a occhi chiusi a maledire l’universo che lo ha
sbattuto in quell’angolo maledetto di mondo.
Margherita rimane tutta la notte a cullarlo, e
quando le lacrime smettono di scivolargli lungo le guance il Soldato riesce a
trovare una sorta di calma apparente. Stremato da quell’ennesima prova, rimane
a occhi chiusi a subire il vento gelido sul viso, i ricordi che come animali
feroci iniziano a banchettare del suo cervello, della sua sanità mentale.
(Sempre che
te ne sia rimasta)
Margherita continua a borbottare nella sua lingua
madre, e Bucky è troppo provato per chiedersi come fa a capirla. “Ti ci
vogliono dei guanti, sai. E un giaccone come si deve. Ci penso io, tu dormi.”
L’uomo sospira e continua a tenere gli occhi
chiusi. Ma questa volta le pupille smettono di muoversi come biglie impazzite
da sotto le palpebre, e tendendo l’orecchio Marge lo sente scivolare nel sonno
nell’arco di pochi minuti.
Quella è la prima notte in cui il Soldato concede
qualche metro a Bucky e finalmente, finalmente,
gli permette di sognare.
***
Andare a prendere Natasha all’aeroporto si rivela
molto meno complicato del previsto.
Steve temeva l’assalto dei giornalisti, non
appena si fosse diffusa la notizia di un suo imminente rimpatrio. È emerso, una
volta in macchina e in direzione dell’appartamento di Steve, che a Nat è
bastato non far diffondere la
notizia.
(Steve ha provato a chiederle come, giacché non riesce a muovere un
passo oltre i confini del proprio quartiere senza che il Washington Post gli
dedichi la prima pagina. Nat si è indicata e poi ha indicato lui, scandendo
lentamente “spia” e “soldato”, e il discorso è stato chiuso.)
“Vuoi un caffè?”
Natasha lo guarda come guarderebbe un bambino
tonto e inarca un sopracciglio. “Iniziamo questa cosa alla svelta, Rogers. A
Cayo Largo c’è un mojito col mio nome sopra che mi sta aspettando.”
Steve scatta sull’attenti all’istante. “Cosa ti
serve?”
“Giornali. Tutti quelli che riesci a trovare. Da
un mese a questa parte.”
Tasha si sbottona la giacca e la lancia su quello
che si prospetta essere il suo letto per i prossimi giorni, sentendo il mal di
testa salire già così, sulla fiducia.
Non è una questione di poca voglia di mettersi a
lavoro – poche storie, Natasha brucia
dalla voglia di lavorare ancora. Se lo sente sotto pelle, il bisogno di
cacciarsi in qualche guaio – quanto più una questione di sfiducia. Il Soldato è
un fantasma, e quando hanno avuto la fortuna di incontrarlo… sente ancora la
cicatrice bruciare, al ricordo del proiettile che le bucava il fianco da parte
a parte.
E Steve è troppo buono, troppo ottimista, troppo
tutto. Natasha ne osserva il profilo mentre le deposita ai piedi pile e pile di
quotidiani e trattiene a fatica un sospiro preoccupato: si sta lanciando di
testa in qualcosa che lo lascerà distrutto.
(“Chi vuoi
che sia?”
“Che ne dici di un’amica?”)
Maledetto il giorno in cui ha accettato.
***
I volontari arrivano una mattina, quando il sole
splende alto e Roberto le sta borbottando astiosamente contro, lei e la sua
fissazione di andare a molestare il reduce del Vietnam.
Sono gentili e cortesi e sorridono un sacco, ma a
Marge non piacciono. Soprattutto uno di loro, ha un sorriso che non gli arriva
agli occhi e che lo fa sembrare più minaccioso che amichevole.
Distribuiscono ciotole di minestra precotta e
ormai fredda, vestiti logori e coperte troppo lise perché possano scaldare
ancora. Ma né Margherita né Berto aprono bocca per formulare qualcosa di
diverso dai ringraziamenti. Offrono a Bob una visita al loro centro, che
l’indomani sarà giorno di rasatura, e iniziano a chiedere quanti di loro vadano
a dormire in quel vicolo durante la notte. Devono pur sapere con quante
porzioni tornare i prossimi giorni.
“Ci siamo io e Bob.” Risponde Marge con un
sorrisone allegro a uno dei ragazzi. “Tu hai dei bei capelli. Come ti chiami?”
“Greg, signora.” È la risposta cortese che
ottiene. “Qualcun altro?”
“A volte Kevin. Avete una giacca? Una bella
grande. E dei guanti.”
Qualcosa nello sguardo di una ragazza cambia, e i
movimenti con cui cerca nel sacco di vestiti da distribuire si fanno più lenti.
“Kevin non c’è più.”
“Cosa gli è successo?”
Greg si stringe nelle spalle, un filo a disagio.
“Si è… si è suicidato. L’abbiamo trovato nel bagno del centro, aveva richiesto
una lametta per farsi la barba e- non sapevamo che stesse così male.” Conclude
bruscamente.
Valery – la ragazza, corpulenta e con i capelli a
caschetto che ondeggiano a ogni movimento – tira su col naso e si passa una
mano sul volto pallido. “Ero andata a chiamarlo per la colazione.” Soffia.
Margherita li osserva in silenzio per qualche
istante, e alla fine cede e dà in uno sbuffo infastidito. “Avete mica un
cappellino? Con questo sole non ci vedo niente.” Chiede con tono vispo. “Kevin
si era rubato il mio.” Precisa infine, come se niente fosse.
Roberto nemmeno si disturba a dirle qualcosa,
sconfitto in partenza, ma lo sguardo dei volontari è infinitamente meno
amichevole.
***
“Tieni.”
Il Soldato impiega diversi istanti prima di
rendersi conto che quella sconosciuta signora, in piedi accanto all’ingresso
del vicolo, gli sta porgendo una palla informe di stoffa. La guarda e guarda la
donna, e seppure non lo realizza razionalmente non può che essere grato del
fatto che si stia tenendo a distanza, che non gli stia incombendo sopra.
Che non stia rappresentando una minaccia in alcun
modo.
Margherita lo guarda e abbozza un sorrisino.
“Sono per te. Li ho chiesti oggi ai volontari. Così non dovrai più girare con
quello straccio.”
Bucky si guarda la spalla, guarda la coperta
logora che usa a mo’ di mantello da giorni e china il capo.
Passano minuti lunghissimi, tanto interminabili
che perfino Roberto si accorge che l’amore della sua vita manca da un po’
troppo dal loro talamo nuziale, per essere una semplice gitarella al bagno. Li
guarda in silenzio, le labbra ridotte a un filo e il viso in generale una
maschera di apprensione.
Poi lo sconosciuto china il capo e allunga il
braccio scoperto, e per la prima volta – con la lentezza di un ingranaggio
arrugginito che finalmente viene rimesso in funzione – lo sente parlare.
“Grazie.”
Note dell’autrice:
Eccoci! Con meno ritardo della volta scorsa, per
fortuna.
Ma finalmente – già detto – le vacanze di Natale
sono qua, e con esse più tempo per scrivere :D
Grazie a tutti quelli che, malgrado siano passati
due secoli e mezzo, continuano a leggere e recensire e che hanno messo la
storia tra preferiti/ricordate/seguite. Insomma, grazie! Davvero! :D