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Autore: Amphitrite    15/12/2015    2 recensioni
“Ho portato un curriculum allo Smithsonian.”
“Cercano donne delle pulizie?”
[...]
“No, stronzo. Guide per la nuova ala.”

Fanfiction post The Winter Soldier, ispirata alla scena dopo i titoli di coda :D
Genere: Azione, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Natasha Romanoff, Nuovo personaggio, Steve Rogers, Un po' tutti
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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4.

 

Più di quanto Claude sia un manipolatore bastardo, quello che sconvolge Charlotte è come gli esseri umani possano abituarsi virtualmente a qualsiasi cosa, se ripetuta costantemente nel tempo.

Impiega due settimane per rendersi conto che “oggi tocca a te” è ormai la nenia costante con cui il cane la saluta al mattino; quel che è peggio, realizza quando il commesso le dà il resto e le porge i pacchetti del take-away, è che ormai si è adattata così tanto a quel compito da non trovarlo minimamente fastidioso o irritante.

Lancia il portafogli nella borsetta e trotterella al solito vicolo dove, più imbacuccati e folli che mai, la attendono i suoi barboni preferiti.

“Carlottina!” Chioccia felice Marge quando la vede comparire. Bob le rivolge un cenno di saluto e un breve sorriso, troppo concentrato a finire le parole crociate che Charlotte ha rubato ad Andrew il giorno prima. “Il mio angelo del cibo thailandese!”

Charlotte ride e le porge l’incarto di un panino di Subway ignorando le risate rauche di Bob quando Margherita inizia a farneticare di fiducia mal riposta e “confidavo in te, Carlottina. Credevo che tu fossi diversa”, e inizia a elencare. “Marge… Bob…” Fa una piccola piroetta sul posto e individua il cumulo di stracci nell’angolo più remoto della strada. “Kevin Secondo.”

Il barbone sconosciuto – Kevin Secondo, come lo chiamano lei e Claude da giorni – rotola sul solito fianco e accenna ad alzarsi. Gli ci vogliono tre tenativi, uno più fiacco dell’altro, perché Charlotte faccia quell’ultimo mezzo passo che li separa. “Fermo. Tranquillo.” Gli mormora gentilmente. Il Soldato la guarda negli occhi e Charles dà in un singhiozzo improvviso, come una bambina pescata a rubare.

Dire che quell’uomo le metta paura sarebbe una gigantesca balla; ma la pena, oh, quella sì. Sente un dolore immenso ogni volta che si trova a guardarlo, così irrimediabilmente perso.

“Ci penso io.”

Il Soldato annuisce brevemente e, senza una parola, rotola più lontano. Sembra sentire l’imbarazzo di Charlotte ed esserne influenzato a sua volta, sembra… sembra, e Charles questo lo nota solo per caso, più uno scherzo del proprio cervello che una vera e propria intuizione, che abbia paura di essere toccato.

“Panino. Subway. Se hai qualche lamentela rivolgiti a Marge, non vede l’ora di potersi alleare con qualcuno.” Lo sconosciuto la guarda ancora, e Charlotte non sa cosa sia nel suo sguardo, ma le sembra quasi – per un istante – di intravedere l’accenno di un sorriso. “Bene.” Esordisce dopo diversi istanti di nulla in cui, semplicemente, ha trovato naturale fissarlo negli occhi. “Torno a lavoro.” Un saltello ed è in piedi, due passi e sarà fuori dal vicolo. “Buona giornata.”

Per la prima volta, dandogli le spalle, Charlotte è convinta – no, è sicura – di intravedere un breve cenno di saluto. E forse il luccichio che le sembra di vedere provenire dalla sua spalla ogni volta che Kevin Secondo rotola sul posto è un’allucinazione, ma quel cenno, no, quel cenno c’è stato davvero.

 

***

 

Le crisi arrivano di notte, quando Bucky è più indifeso che mai dai mostri che popolano i suoi sogni.

Dapprima erano pochi, lampi di orrore che avevano il potere di riscuoterlo tanto da lasciarlo tremante e col fiato corto agli angoli delle strade. Ma più passa il tempo, più i contorni si fanno definiti.

Tutto si fa più definito, a eccezione del mostro di metallo che gli penzola dalla spalla.

 

Una notte Marge si sveglia e lo trova che sta provando a strapparselo con l’altra mano.

 

“Ehi!” Lo richiama con tono allarmato, affrettandosi a trotterellargli incontro. “Fermati! Fermati, ti ho detto!”

Le ci vogliono cinque minuti di ‘fermati’ e moine generiche, ma alla fine Bucky molla la presa e, con una testata delicata al muro alle sue spalle, si ferma a occhi chiusi a maledire l’universo che lo ha sbattuto in quell’angolo maledetto di mondo.

 

Margherita rimane tutta la notte a cullarlo, e quando le lacrime smettono di scivolargli lungo le guance il Soldato riesce a trovare una sorta di calma apparente. Stremato da quell’ennesima prova, rimane a occhi chiusi a subire il vento gelido sul viso, i ricordi che come animali feroci iniziano a banchettare del suo cervello, della sua sanità mentale.

(Sempre che te ne sia rimasta)

 

Margherita continua a borbottare nella sua lingua madre, e Bucky è troppo provato per chiedersi come fa a capirla. “Ti ci vogliono dei guanti, sai. E un giaccone come si deve. Ci penso io, tu dormi.”

L’uomo sospira e continua a tenere gli occhi chiusi. Ma questa volta le pupille smettono di muoversi come biglie impazzite da sotto le palpebre, e tendendo l’orecchio Marge lo sente scivolare nel sonno nell’arco di pochi minuti.

 

Quella è la prima notte in cui il Soldato concede qualche metro a Bucky e finalmente, finalmente, gli permette di sognare.

 

***

 

Andare a prendere Natasha all’aeroporto si rivela molto meno complicato del previsto.

Steve temeva l’assalto dei giornalisti, non appena si fosse diffusa la notizia di un suo imminente rimpatrio. È emerso, una volta in macchina e in direzione dell’appartamento di Steve, che a Nat è bastato non far diffondere la notizia.

(Steve ha provato a chiederle come, giacché non riesce a muovere un passo oltre i confini del proprio quartiere senza che il Washington Post gli dedichi la prima pagina. Nat si è indicata e poi ha indicato lui, scandendo lentamente “spia” e “soldato”, e il discorso è stato chiuso.)

 

“Vuoi un caffè?”

Natasha lo guarda come guarderebbe un bambino tonto e inarca un sopracciglio. “Iniziamo questa cosa alla svelta, Rogers. A Cayo Largo c’è un mojito col mio nome sopra che mi sta aspettando.”

Steve scatta sull’attenti all’istante. “Cosa ti serve?”

“Giornali. Tutti quelli che riesci a trovare. Da un mese a questa parte.”

Tasha si sbottona la giacca e la lancia su quello che si prospetta essere il suo letto per i prossimi giorni, sentendo il mal di testa salire già così, sulla fiducia.

Non è una questione di poca voglia di mettersi a lavoro – poche storie, Natasha brucia dalla voglia di lavorare ancora. Se lo sente sotto pelle, il bisogno di cacciarsi in qualche guaio – quanto più una questione di sfiducia. Il Soldato è un fantasma, e quando hanno avuto la fortuna di incontrarlo… sente ancora la cicatrice bruciare, al ricordo del proiettile che le bucava il fianco da parte a parte.

E Steve è troppo buono, troppo ottimista, troppo tutto. Natasha ne osserva il profilo mentre le deposita ai piedi pile e pile di quotidiani e trattiene a fatica un sospiro preoccupato: si sta lanciando di testa in qualcosa che lo lascerà distrutto.

 

(“Chi vuoi che sia?”

“Che ne dici di un’amica?”)

 

Maledetto il giorno in cui ha accettato.

 

***

 

I volontari arrivano una mattina, quando il sole splende alto e Roberto le sta borbottando astiosamente contro, lei e la sua fissazione di andare a molestare il reduce del Vietnam.

Sono gentili e cortesi e sorridono un sacco, ma a Marge non piacciono. Soprattutto uno di loro, ha un sorriso che non gli arriva agli occhi e che lo fa sembrare più minaccioso che amichevole.

Distribuiscono ciotole di minestra precotta e ormai fredda, vestiti logori e coperte troppo lise perché possano scaldare ancora. Ma né Margherita né Berto aprono bocca per formulare qualcosa di diverso dai ringraziamenti. Offrono a Bob una visita al loro centro, che l’indomani sarà giorno di rasatura, e iniziano a chiedere quanti di loro vadano a dormire in quel vicolo durante la notte. Devono pur sapere con quante porzioni tornare i prossimi giorni.

“Ci siamo io e Bob.” Risponde Marge con un sorrisone allegro a uno dei ragazzi. “Tu hai dei bei capelli. Come ti chiami?”

“Greg, signora.” È la risposta cortese che ottiene. “Qualcun altro?”

“A volte Kevin. Avete una giacca? Una bella grande. E dei guanti.”

Qualcosa nello sguardo di una ragazza cambia, e i movimenti con cui cerca nel sacco di vestiti da distribuire si fanno più lenti. “Kevin non c’è più.”

“Cosa gli è successo?”

Greg si stringe nelle spalle, un filo a disagio. “Si è… si è suicidato. L’abbiamo trovato nel bagno del centro, aveva richiesto una lametta per farsi la barba e- non sapevamo che stesse così male.” Conclude bruscamente.

Valery – la ragazza, corpulenta e con i capelli a caschetto che ondeggiano a ogni movimento – tira su col naso e si passa una mano sul volto pallido. “Ero andata a chiamarlo per la colazione.” Soffia.

Margherita li osserva in silenzio per qualche istante, e alla fine cede e dà in uno sbuffo infastidito. “Avete mica un cappellino? Con questo sole non ci vedo niente.” Chiede con tono vispo. “Kevin si era rubato il mio.” Precisa infine, come se niente fosse.

Roberto nemmeno si disturba a dirle qualcosa, sconfitto in partenza, ma lo sguardo dei volontari è infinitamente meno amichevole.

 

***

 

“Tieni.”

Il Soldato impiega diversi istanti prima di rendersi conto che quella sconosciuta signora, in piedi accanto all’ingresso del vicolo, gli sta porgendo una palla informe di stoffa. La guarda e guarda la donna, e seppure non lo realizza razionalmente non può che essere grato del fatto che si stia tenendo a distanza, che non gli stia incombendo sopra.

Che non stia rappresentando una minaccia in alcun modo.

Margherita lo guarda e abbozza un sorrisino. “Sono per te. Li ho chiesti oggi ai volontari. Così non dovrai più girare con quello straccio.”

Bucky si guarda la spalla, guarda la coperta logora che usa a mo’ di mantello da giorni e china il capo.

Passano minuti lunghissimi, tanto interminabili che perfino Roberto si accorge che l’amore della sua vita manca da un po’ troppo dal loro talamo nuziale, per essere una semplice gitarella al bagno. Li guarda in silenzio, le labbra ridotte a un filo e il viso in generale una maschera di apprensione.

Poi lo sconosciuto china il capo e allunga il braccio scoperto, e per la prima volta – con la lentezza di un ingranaggio arrugginito che finalmente viene rimesso in funzione – lo sente parlare.

Grazie.

 

 

Note dell’autrice:

Eccoci! Con meno ritardo della volta scorsa, per fortuna.

Ma finalmente – già detto – le vacanze di Natale sono qua, e con esse più tempo per scrivere :D

Grazie a tutti quelli che, malgrado siano passati due secoli e mezzo, continuano a leggere e recensire e che hanno messo la storia tra preferiti/ricordate/seguite. Insomma, grazie! Davvero! :D

 

   
 
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