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Autore: Adeia Di Elferas    16/12/2015    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Vedete?” stava spiegando Caterina, indicando con un certo orgoglio il passavolante appena arrivato da Ferrara: “Anima lunga e avancarica. Ideale per gli scontri campali.”
 Il comandante d'artiglieria annuì, con gli occhi che brillavano per l'entusiasmo: “Colpi veloci e implacabili. Oh, mia signora, con questo non ci ferma più nessuno.”
 Caterina gli sorrise e stava per passare a elencare le doti della nuova bombarda, che sarebbe stata perfetta per avvicinarsi ai bastioni nemici senza cadere vittima della contrartiglieria, quando Paolo Orsini arrivò come una furia davanti a loro.
 “Caterina...” disse, senza pensare troppo alle formalità: “Dovete subito venire con me nel mio padiglione. Da Roma è arrivata una notizia gravissima e dobbiamo decidere immediatamente cosa fare.”
 “Cos'è successo?” chiese Caterina, cominciando a seguire di corsa Paolo Orsini.
 Questi rispose, senza fiato: “Il papa è morto e i il Sacro Collegio è stato preso dai nostri oppositori.”
 Caterina aumentò il ritmo della corsa, sentendo il figlio che portava in grembo agitarsi come un matto. Era ormai all'ottavo mese. Confidò nel fatto che il bambino fosse di tempra abbastanza forte per resistere ancora un mese, malgrado tutto.
 
 Mentre aspettavano il ritorno di Paolo Orsini, Girolamo e lo scudiero ricevettero un'altra visita.
 Il primo messaggero, quello di Giuliano Della Rovere, era uscito dal padiglione da un paio di minuti per andare a bere un po' di acqua e riprendersi dalla lunga cavalcata, quando un secondo messaggero, altrettanto affannato, fece capolino nella tenda.
 “Un messaggio dal Sacro Collegio.” annunciò la staffetta: “Per il Conte Riario.” e così dicendo porse un plico abbastanza voluminoso a Girolamo, che l'afferrò con mano tremante e cominciò subito a leggere.
 Il succo della lunga missiva era facile da capire e, anche se il lettore avesse avuto dei dubbi, bastava soffermarsi su quel 'ordine categorico e imperativo' che veniva chiamaramente ripetuto più volte. Il Conte Riario, dopo aver ricevuto quella lettera, avrebbe dovuto, per ordine del Sacro Collegio, rimettere al Collegio stesso tutti i suoi titoli e i suoi possedimenti in Roma, cessando immediatamente ogni sua funzione e carica ufficiale.
 Girolamo teneva ancora in mano il messaggio, quando nel padiglione arrivarono Paolo Orsini e Caterina.
 “Che ci fate ancora lì?” chiese la giovane, andando risoluta verso il marito: “Dobbiamo andare immediatamente a Roma e occupare Castel Sant'Angelo!”
 Girolamo la fissò come se stesse guardando una pazza furiosa che farneticava: “Questo è un ordine categorico e imperativo.” le disse, agitando la lettera, ripetendo le parole che tanto l'avevano terrorizzato: “Devo dimettermi da tutte le mie cariche. Perchè mai dovrei andare a Castel Sant'Angelo?”
 Caterina non lo stava ascoltando. Stava parlando in fretta con Paolo Orsini: “Preparate in fretta i bagagli di tutti noi. Lo stretto indispensabile. Al campo lasciamo solo una piccola guarnigione. Sarà un grosso regalo, questo, per i Colonna, ma dobbiamo scegliere il male minore. Se perdiamo la nostra influenza su Roma, poco importerà perdere Paliano. È fondamentale arrivare a Castel Sant'Angelo prima che abbia inizio il conclave.”
 Paolo Orsini scattò sull'attenti e ripartì subito, deciso a fare del suo meglio per esaudire i desideri di Caterina.
 Prima che la moglie uscisse dal padiglione per andare a occuparsi della subitanea partenza, Girolamo le si parò davanti e la bloccò prendendole un polso: “Voi siete pazza!” vociò, gli occhi fuori dalle orbite, agitandole davanti al naso la lettera del Sacro Collegio: “Qui c'è un ordine imperativo e catego---”
 Prima che finisse la frase, Caterina si liberò dalla sua stretta e gli prese di mano il messaggio. Lo strappoò in mille pezzi, ignorando i suoi gemiti atterriti e concluse: “Qui non c'è più nessun ordine. E ora muoviamoci.”
 “Non posso andar contro al Sacro Collegio...” scosse il capo Girolamo, la voce ora ridotta a un sussurrò roco.
 Caterina dovette trattenersi, per non dare spettacolo davanti al messaggero di Roma e allo scudiero di Paolo Orsini, perciò strinse i pugni e disse, con apparente calma: “Possiamo eccome. Finché non rinuncerete alla vostra carica, voi siete a capo dell'esercito papale e castellano di Castel Sant'Angelo. Non possono togliervi queste cariche, a meno che voi non diate le dimissioni. Quindi, sfrutteremo tutto quello che possiamo sfruttare per uscire da questa situazione in modo dignitoso.”
 'Seppur per voi la dignità ancora vale qualcosa.' aggiunse, solo nel pensiero.

 “Trovo che entrare in Roma con l'esercito intero sia assurdo.” fece Paolo Orsini, quando furono pronti per partire.
 Stavano decidendo come organizzarsi e quale strategia adoperare, nel caso in cui il Sacro Collegio avesse già messo in campo un controffensiva, magari aizzando gli stessi soldati di Castel Sant'Angelo contro il loro legittimo castellano.
 “Io non entro in città senza l'esercito al completo.” si oppose Girolamo Riario con ostinazione: “Se facessi come dite voi, il popolo mi farebbe a pezzi.”
 “Una scorta sostanziosa basterà a tenervi al sicuro.” disse Caterina, con convinzione: “Meglio che il grosso delle truppe stia a distanza, in modo da avere un'arma in più per ricattare il Sacro Collegio.”
 Paolo Orsini annuì, completamente d'accordo con la Contessa.
 Girolamo Riario, invece, stava facendo segno di no con la testa: “Non se ne parla. Io non intendo farmi ammazzare da un branco di straccioni solo perchè voi avete delle idee folli per prendere un castello che nemmno voglio prendere! E poi Castel Sant'Angelo è una struttura difensiva, che volete che importi al conclave se...”
 “Voi non capite! Castel Sant'Angelo è la chiave per ricattare il conclave! Se puntiamo contro di loro i cannoni, noi possia---”
 Girolamo interruppe Caterina in modo brusco: “Noi possiamo niente! Ho deciso così e basta. Entreremo in Roma con l'esercito al completo e io andrò a dare le dimissioni immediatamente!”
 Caterina si morse le labbra e con un sospiro profondo e rumoroso, abbassò il capo e commentò, a voce bassa: “State sbagliando tutto...”
 Girolamo finse di non aver sentito e chiamò uno scudiero, affinché lo aiutassero a prepararsi.
 
 “Non possiamo...” si stava ancora lamentando Girolamo, mentre la colonna di soldati lasciava il campo di Paliano a velocità sostenuta: “Uccideranno i nostri figli, non lo posso permettere...”
 “A volte vorrei essere nata sterile. Almeno non avreste potuto usare i nostri figli come scusa per ogni cosa.” rimbeccò Caterina, senza guardarlo.
 Tra loro cavalcava Paolo Orsini, che preferiva non immischiarsi in quelle chiacchiere, ma che comunque si trovava a fare da testimone di quella lite.
 “Ricordatevi – riprese Girolamo, forse improvvisamente conscio delle orecchie indiscrete che stavano ascoltando ogni parola – che siete mia moglie e come tale mi dovete obbedienza.”
 Caterina sbuffò, senza dire altro. Purtroppo quello che diceva Girolamo era vero. Poteva fare la voce grossa, ma non poteva impedire a suo marito di fare quello che voleva. Avrebbe potuto cercare di sfruttare il suo ascendente su di lui, magari avrebbe potuto cercare di spaventarlo in qualche modo, ma nulla più di quello. Era frustrante.
 “Quindi che intendete fare?” chiese Paolo Orsini, gli occhi fissi sulla strada davanti a sé.
 Girolamo tirò su col naso e, sistemandosi l'elmo – si era bardato di tutto punto, nel timore che lungo la via qualcuno potesse attaccarli – rispose: “Inchinarmi al Sacro Collegio. Lascerò ogni mia carica e implorerò clemenza. E se qualcuno – e guardò la moglie di sottecchi – dovesse opporsi alla mia decisione, ci metterò un attimo a far mozzare qualche testa per alto tradimento.”
 Caterina scambiò un'occhiata con Paolo Orsini carica di significato, poi disse: “Vado in coda alla colonna, a chiudere le fila.”
 Girolamo non ebbe nulla da obiettare e nemmeno la guardò mentre ella voltava il cavallo.
 Paolo Orsini lasciò passare un buon quarto d'ora, prima di dire: “Io mi metto nel mezzo. Così tutta la colonna sarà controllata.”
 Girolamo stava per ribattere, quando Paolo Orsini gli disse, a mo' di rassicurazione: “Vi mando alla testa anche il comandante dell'artiglieria, così non sarete da solo.”
 
 Caterina stava aspettando Paolo Orsini più o meno a metà della formazione. Quando lo vide, alzò un braccio per farsi vedere meglio.
 “Allora, cosa intendete fare?” chiese Paolo Orsini.
 Caterina appoggiò istintivamente una mano sulla propria pancia, ben visibile sotto l'ampia gonna che indossava quel giorno. Avrebbe potuto cambiarsi, ma non aveva voluto perdere tempo, sfruttando i minuti che suo marito aveva sprecato nel cambiarsi d'abito, per valutare le forze delle truppe a sua disposizione.
 “Intendo contravvenire agli ordini di mio marito il Conte.” disse Caterina, a voce appena udibile.
 Il rumore degli zoccoli e dei piedi che battevano il terreno secco e polveroso costrinsero Paolo Orsini a sporgersi un po' verso la giovane per sentire meglio.
 “Sono stanca di fingere di voler sottostare a mio marito. Ora basta.” proseguì Caterina, come se parlasse tra sé: “Se voglio salvare quel che si può ancora salvare, devo agire come se lui non esistesse. Per far questo, però, ho bisogno del vostro aiuto.”
 “Tutto quello che posso fare, lo farò, mia signora.” rispose prontamente Paolo Orsini, chinando appena il capo in segno di rispetto e lealtà.
 “Se mio marito si consegnerà al Sacro Collegio, troveranno subito una scusa per condannarlo a morte e per la nostra famiglia sarà la fine. Dobbiamo impedirglielo.”
 “Come, di preciso?” chiese l'uomo, accigliandosi.
 “Prenderemo Castel Sant'Angelo senza il suo permesso. Una volta che sarà nostro, una volta che si sarà reso conto che il più è stato fatto, verrà anche lui nella fortezza e allora potremo far eleggere un papa a noi favorevole e tutto si sistemerà.” spiegò Caterina.
 “Cosa devo fare, io, esattamente?” chiese Paolo Orsini, non senza una breve esitazione.
 “Stare con lui e l'esercito. Convincerlo ad aspettare in un luogo vicino a Roma, pronto a una sortita o a raggiungermi, se necessario.” disse Caterina.
 “Mia signora...” fece Paolo Orsini, con un velo di contrarietà: “Non dovreste rischiare tanto. Lasciate che sia io a prendere Castel Sant'Angelo, piuttosto. Non dovete rischiare così tanto... Fare una cosa simile da sola... Nelle vostre condizioni... Oppure, lasciate che venga con voi, se proprio volete compiere questa impresa...”
 Caterina scosse il capo con forza: “Solo voi potete farlo ragionare, io finirei per litigare e rovinare ogni sforzo. Voi dovete stare con mio marito e con il grosso dell'esercito, convincerlo ad agire nel migliore dei modi e stare pronto a darmi man forte quando necessario.”
 Paolo Orsini strinse il morso e, anche se lentamente stava muovendo la testa a destra e a sinistra, disse: “Va bene, mia signora. Farò quello che mi chiedete.”
 Caterina fece un breve sorriso e poi si congedò: “Ora vado davvero in fondo alla fila. Ci rivedremo quando saremo a Castel Sant'Angelo.”
 Paolo Orsini la osservò con attenzione, mentre cavalcava verso il fondo della colonna. I capelli biondi erano sciolti e si alzavano in aria, come la stoffa leggera, ma ingombrante, della larga sottana.
 L'uomo si rese conto in quell'istante che Caterina non indossava nemmeno un pezzo di armatura. Portava con sé solo la spada da una mano e mezza, legata alla sella del cavallo e basta.
 Se Girolamo Riario aveva ragione almeno su un punto, quello era proprio la ferocia del popolo. Se l'avessero vista arrivare senza protezione, senza armatura, senza uno scudo, senza nulla tra sé e la morte... Oh, sarebbe bastata la più piccola scintilla e di certo l'avrebbero fatta a pezzi, poco importava se si trattava di una ragazza di poco più di vent'anni incinta di otto mesi...

 

   
 
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