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Autore: Jenny Ramone    18/12/2015    3 recensioni
Parigi, maggio 1789.
Irène Fournier è una giovane venditrice di giornali dal passato misterioso e oscuro che vive in miseria a Montmartre con il suo fidanzato, Jean e il loro bambino.
Quando si diffonde la notizia che Louis XVI ha deciso di convocare gli Stati Generali, Irène si rende conto che è giunto il momento di combattere per i diritti del popolo e in particolare delle donne: fa in modo di aiutarle con tutti i mezzi possibili e partecipa attivamente a tutti gli avvenimenti fondamentali della Rivoluzione Francese.
Ma nel frattempo il suo passato è dietro l'angolo, pronto a tornare a perseguitarla...
Londra, 1799.
Dieci anni dopo Irène, fuggita in Inghilterra dopo il 9 Termidoro e la caduta di Robespierre, racconta la propria storia di amore, coraggio, passione, sacrifici, dolore e amicizia a William, un giornalista inglese che sta scrivendo un saggio sulla condizione femminile per un circolo di intellettuali progressisti.
Genere: Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
Capitoli:
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“Allora? Voglio sapere, cosa c’era scritto nella lettera listata a lutto.
Era mica…
Era mica morto tuo padre?”.
“Mio padre? No, sarebbe stata una grazia se fosse morto lui.
Rientrai in casa, aprii la busta, mi sedetti su una sedia spagliata e lessi:

“Cara Irène,
vorrei poterti scrivere belle notizie ma purtroppo non è così.
Non so come darti questa notizia, so che ne soffrirai terribilmente.
Non c’è modo per addolcirla quindi tanto vale scriverti i fatti come stanno: purtroppo tuo fratello Maxime è stato ucciso durante una protesta a Marsiglia, gli hanno sparato e non c’è stato nulla da fare: ultimamente si era schierato dalla parte dei ribelli, insieme ad un gruppo di altri soldati, è stato ucciso dai suoi stessi ex compagni.
Lo seppelliremo accanto a tua madre.
Sono devastato.
So che Maxime era l’unico dei tuoi fratelli con cui avevi un bel rapporto, eravate legatissimi anche se ultimamente non avevate molte occasioni per vedervi, lui mi diceva sempre che vi scrivevate spesso.
Ti voleva bene, forse provava per te molto dell’affetto che io non sono riuscito a darti.
In questo momento passo sopra a tutte le delusioni che mi ha dato, sarei disposto a perdonarlo per la sua vita sregolata, per tutte le donne che ha avuto, per aver deciso di intraprendere la carriera militare ben sapendo che io non ero d’accordo, per aver scialacquato il proprio denaro e non essersi mai curato del fatto che una parte sarebbe potuta servire per costruire un futuro decente ad Alain e Céline.
Era mio figlio e lo amavo, anche se forse non ho saputo dimostrarglielo adeguatamente.
Non posso più recuperare con lui però posso cercare di redimermi riavvicinandomi a te, Irène.
Sono sicuro che tuo fratello ne sarebbe felice.
Ti chiedo scusa per quello che ti ho fatto passare, me ne dispiace moltissimo.
Ci ho pensato e in fondo è vero, non è così importante che tu voglia vivere come una miserabile, è la tua vita e se sei felice è giusto che tu la viva come meglio credi.
Jean sembra un bravo ragazzo nonostante sia povero e nei suoi occhi ho potuto vedere un vero amore nei tuoi confronti, sembra tenere molto a te.
Vi auguro tutta la felicità possibile e sappi che da questo momento se avrai bisogno di me, ci sarò.
Ti chiedo solo di stare attenta se parteciperai alla Rivoluzione, come la chiamate voi: mi è già costata il mio primogenito, non voglio che mi porti via anche te.
Con affetto e profondo dolore,
tuo padre”.


A metà della lettera iniziai a urlare e piangere così forte che la mia vicina bussò alla porta, chiedendo cosa fosse successo.
Quando alla sera arrivò Jean, mi trovò stravolta, con la testa fra le mani e gli occhi rossi.
Gli porsi la lettera, con uno sguardo da indemoniata: ero fuori di me.
“Irène, cosa è successo? Perché mi fai vedere quella lettera? Sai che non so leggere, so solo contare e scrivere il mio nome, come posso capirne il contenuto?
E’ qualcosa di grave?”- domandò preoccupato.
“Tuo… tuo cognato…”-singhiozzai, nascondendo il viso contro il suo petto.
“Mio cognato Maxime? Irène, adesso ti calmi e mi dici cosa gli è accaduto.
Irène?
Irène!”-mi tirò uno schiaffo e tornai in me.
“Maxime è morto, è stato ucciso in uno scontro.
Mi ha scritto mio padre.
Oh Jean, è una notizia terribile.
Non ho nemmeno fatto in tempo a salutarlo.
Adesso mio padre dice che vuole riappacificarsi con me.
Io non lo capisco… però sembra sincero.
Devo pensarci”.
Jean mi guardò allibito.
“Mi dispiace molto per Maxime amore mio.
So che adoravi tuo fratello, deve essere un duro colpo per te.
Era una brava persona, per quanto l’ho conosciuto io mi è sempre sembrato diverso da tuo padre, lui ci teneva davvero a te.
Capisco che tu adesso sei addolorata e arrabbiata ma secondo me non devi darla vinta a tuo padre.
Io non credo che ti stia dicendo la verità… secondo me c’è un inganno.
Sono cresciuto sulla strada, mi rendo conto quando la mente di un uomo con cattive intenzioni come tuo padre partorisce un inganno.
Secondo me non è completamente disinteressato.
E poi Maxime non era uno dei nostri? Appoggiava il popolo e quello che tu stavi facendo, non ha mai sopportato di adeguarsi al regime che tuo padre è riuscito ad imporre ad Alain e Céline.
Secondo me tuo fratello poterebbe essere vivo, quello di tuo padre poterebbe essere solo una bugia per ottenere qualcosa da te.
Tutto sta a capire che cosa”.
Protestai, dicendo che mio padre era si un uomo che pensava sempre al denaro e a una potenziale ascesa sociale ma che non avrebbe mai inscenato la morte di Maxime: il che coincideva al vero, in effetti non ricevevo più lettere da mio fratello da un paio di mesi, avrei dovuto capire che era successo qualcosa.
Trascorsi qualche giorno di grande tristezza, non riuscivo a capacitarmi della sua morte.
Però non c’era ulteriore tempo per fermarmi a pensare a Maxime: tra il popolo la vita è così difficile che tempo per stare a compiangere troppo i defunti non ne resta e tanto meno ne avevo all’epoca.
Durante i primi giorni di ottobre la situazione precipitò.
All’alba del 4 ottobre io e Amèlie ci trovavamo davanti al negozio di un panettiere, in fila per accaparrarci un disgustoso pezzo di pane nero.
Stavamo già da un paio d’ore in piedi davanti al negozio quando una voce si sparse tra le donne che ci precedevano e giunse in fretta fino a noi.
“Il pane è finito! Non ce n’è più!”.
Amèlie mi guardò un attimo, interrogativa.
Poi salì su di un cassone in legno accanto alla porta del fornaio e cominciò ad arringare la folla di donne affamate.
“Non è vero!
Il pane c’è eccome!
Lo nascondono!
Vogliono farci morire di fame!
Nascondono il grano!
E’ tutta colpa della putain!.
Quell’ignobile spia austriaca, quella sgualdrina che si fa chiamare “Regina di Francia!”.
C’è lei dietro a tutto questo, ne sono convinta!
In questo momento lei sta ancora dormendo perché stanotte sicuramente avrà festeggiato fino a tardi, spendendo il denaro della Nazione, sperperando il nostro denaro, mentre noi siamo qui, all’alba, a cercare di accaparrarci un pezzo di pane che ci viene negato!
Ma ve lo dico io, uno di questi giorni le faremo noi una bella festa, ve lo assicuro!”.
Il gruppo la applaudì, come se per un attimo avesse dimenticato la fame.
Lentamente alcune donne si staccarono dalla massa e si avvicinarono a me, domandandomi sottovoce se ero davvero io la Cittadina Irène, quella che le avrebbe potute aiutare.
Risposi loro che dovevo parlare con le mie amiche e che finchè non ci fossimo messe d’accordo non si sarebbe fatto nulla però che se avessero voluto partecipare ad una riunione ci avrebbero trovate alla casa abbandonata dietro Notre Dame.
Accettarono, soddisfatte.
In quel momento arrivò Edith, trafelata.
“Irène, Cittadine!
Stavo vendendo a prendere il pane ma per strada ho sentito che non ce n’è più!
E ho anche un’altra notizia!”-si fermò a prendere fiato.
“Pare che la guardia reale a Versailles durante un banchetto abbia calpestato la coccarda dei patrioti!
E che il re, che era presente con la sgualdrina e il Delfino li abbia lasciati fare!
Io sono disgustata!
Ho sentito dire che Marat lo scriverà sul giornale!
Irène, vai a prendere i giornali così poi ci leggi cosa scrive l’Amico del popolo!”.
Non me lo feci ripetere due volte e mi precipitai a ritirarli.
Quel giorno riuscii a vendere in breve tempo tutte le copie disponibili e dovetti tornare alla redazione per farne preparare altre: Parigi era in fermento.
Nel pomeriggio mi recai nella nostra sede e trovai una quarantina di donne che occupavano le due stanze disponibili, senza lasciare un angolo libero.
Alcune erano sedute per terra, altre ammassate contro il muro, altre ancora sul letto.
Mi feci strada tra la folla e vidi Marion, che stava discutendo infuriata e sputando insulti di vario genere verso il re e la regina.
“Io propongo di andare a Versailles domani.
La cittadina Véronique dice che al mercato di Place Maubert gira la voce che si starebbe organizzando una marcia fino alla reggia per domani all’alba, secondo me dovremmo partecipare!
Dobbiamo andare a pretendere pane!
Distribuzioni di pane!
Facciamolo capire al re!”-gridava.
Riuscii a sovrastare la sua voce.
“Silenziooooooo!!!!!
Cittadina Marion, chiedo la parola”.
Marion smise all’istante di parlare e si voltò verso di me, contemporaneamente a tutte le altre.
“E’ arrivata la Cittadina Irène, sentiamo cosa ha da dirci!”.
“Ci guiderà, dobbiamo fidarci di lei! L’altro giorno mi ha dato del denaro per comparare il pane, è tanto brava!”-potevo distinguere frasi di questo genere mentre avevo i loro occhi puntati addosso:salii sul tavolo e iniziai io stessa a discutere.
Il brusio che faceva da sottofondo al discorso di Marion era cessato e tutte mi ascoltavano con estrema attenzione.
“Cittadine, sono d’accordo con quello che è stato detto da Marion.
Domani all’alba ci incontriamo qui, mi raccomando, con discrezione.
Troverete una di noi che aprirà la sede in modo che possiate entrare senza dare troppo nell’occhio poi quando ci saremo tutte ci avvieremo verso l’Hotel de Ville, pare che sia da là che partirà la folla.
Quando ci metteremo in marcia non so cosa capiterà ma valgono sempre due regole: per prima cosa non dovete dire chi siamo, dobbiamo apparire un gruppo di donne che si è incontrato casualmente.
Per seconda cosa voglio che stiate con il gruppo e non vi disperdiate, ci siamo capite?
Io andrò davanti, mi seguirete”.
Conclusi il discorso tra l’acclamazione generale e  poi continuai a parlare singolarmente con le donne in difficoltà come se nulla fosse accaduto.
 ********
“Ormai eravate davvero una specie di Assemblea Nazionale al femminile!
Eravate proprio come i rivoluzionari!”-disse William, sbalordito.
“Certo.
Si potrebbe dire così.
Era il nostro intento.
Un po’ più disorganizzate e molto più povere però potevamo quasi concorrere con loro.
Il giorno dopo, come promesso, Edith aveva raccolto la folla di donne e ci eravamo trovate all’Hotel de Ville, pronte ad unirci al gruppo principale di parigine che stava diventando sempre più numeroso. A guidarci nell'impresa c'era una delle maggiori sostenitrici dei diritti politici e civili delle donne, Théroigne de Méricourt. Era una delle nostre paladine inizialmente ma é andata incontro ad un triste destino, te le parlerò in seguito.
Diluviava ma non ci lasciammo spaventare e ci avviammo verso Versailles: durante il cammino si unirono a noi anche molti uomini armati.
“Se io me la trovo davanti questa pistola gliela faccio mangiare!”-minacciava Etienne”le faccio passare la voglia di scoparsi Fersen e compagnia”.
“Non sei l’unico, Etienne.
Quella puttana… e suo marito, quello smidollato!
Pensate, dicono che ripari orologi!
Quale re ripara orologi?
Per sentirsi simile agli artigiani!
Non ha nemmeno una vaga idea di cosa vuol dire lavorare seriamente dalla mattina alla sera per mantenere una famiglia!”-intervenne scettico Jean”sapete cosa ha detto la regina quando Marat ha scritto che il popolo si lamentava perchè non aveva cibo e che il re avrebbe dovuto svegliarsi?
Ha detto:”Se non hanno pane,che mangino brioches!”, vero Irène?
Se me le fornisce lei le brioches le mangio volentieri!
Quella grandissima sgualdrina!
Il veleno le farei mangiare, altrochè!”
Etienne tornò alla carica:” Un po’ di tempo fa ho sentito dire perfino che l’”Autrichienne” avrebbe fatto costruire una specie di villaggio di contadini a Versailles, dove si divertirebbe a fingere di essere povera, a condurre una vita come quella che nella sua mente malata immagina sia quella dei contadini, alleva anche le capre!
Oltre a spendere il denaro della povera gente, la deride.
Ci rendiamo conto di quanto è perversa?”.
Riconobbi un volto famigliare tra la folla, una donna sui cinquant’anni si avvicinava a noi: mia suocera.
“Oh mio Dio! Avete litigato? Non voleva che Jean partecipasse alla Rivoluzione? Non mi dire… è finita che ha sposato per caso tuo padre?”.
Mi misi a ridere:”William, che fantasia galoppante che hai!
No, strano ma vero, andavo d’accordo con Gabrielle.
E comunque era sposata, anche se ormai la sua situazione sentimentale era pressoché inesistente.
Sai, quando Jean aveva dieci anni, suo padre aveva deciso di andare in America a cercare fortuna accompagnato dal figlio maggiore, Mathieu.
Inizialmente Gabrielle e Jean avrebbero dovuto raggiungerli ma poi gli anni erano passati, Jean aveva conosciuto me e Gabrielle aveva definitivamente deciso di rimanere a Parigi: la famiglia si era ricongiunta cinque o sei volte ma per la maggior parte delle volte approfittavano di me regolarmente per scrivere lettere in America.
La Guardia Nazionale non ci fermò: riconoscemmo Adrien che ci squadrava con aria di approvazione.
Al pomeriggio riuscimmo ad arrivare alla reggia, sempre sotto una pioggia battente.
Alcune donne invasero l’Assemblea Nazionale mentre io, le mie amiche e qualche altra donna, riuscimmo a farci ricevere dal Re.
Attraversammo le sale a bocca aperta, stupefatte da tanta magnificenza.
“Dite che se mi metto quell’angioletto d’oro nella tasca se ne accorgono?”-domandò Thèrese mentre Edith osservava gli orologi del Re:” Non ci posso credere! Guardate, ci sono davvero!
Gli orologi di cui parlava Jean!".
Louison Chabry era una scultrice che si era proposta per chiedere il pane a Louis XVI ma svenne appena si trovò al suo cospetto così mi feci avanti io stessa.
Il re promise che avrebbe fatto distribuire il grano sequestrato nei dintorni di Parigi e noi ci credemmo, come gli idioti.
Nel frattempo, a sera tardi, la Guardia Nazionale guidata da La Fayette raggiunse Versailles per cui riuscimmo a consultarci brevemente con Adrien.
Passammo il resto della notte a ubriacarci e mangiare, sorvegliando i cancelli d’entrata.
Alcuni manifestanti arrivarono a prendere un cavallo e arrostirlo sul fuoco: era buono.
Poi ci ritirammo nelle stalle ma verso le 6.00 del mattino ci svegliammo e controllammo la situazione mentre gli uomini si occupavano di eliminare le guardie del corpo del re.
Spaventati,i reali si rifugiarono nel palazzo ma noi ci mettemmo a gridare forte che si affacciassero la balcone e arrivò la putain, cercando di impietosirci con i bambini a fianco.
Le urlammo che volevamo vederla venire a Parigi e dopo un po’ riuscimmo nel nostro intento: mentre la carrozza reale usciva ci aggrappammo ai finestrini, insultandola con le peggiori parole che conoscevamo.
Etienne sventolava una picca gocciolante sangue, con infilzata in punta la testa di una guardia:”Uhm hai visto la tua guardia del corpo? Era terrorizzato mentre lo accoltellavo, non puoi capire che soddisfazione è stata poi decapitarlo!”.
"Etienne lo ha ucciso, io l'ho decapitato, la precisone è importante!"-puntualizzava Jean,ridendo come un folle insieme all'amico.
“Si, è stato bello!
Allora verrò alle Tuileries a prendere il pane, Maestà!”-sghignazzava Edith ”però fammelo preparare più sul tardi, diciamo verso le 9.00, panettiera di Francia!”.
“E non dimenticare la cioccolata calda!”-rideva Marion, imbrattando il vetro di ditate mentre la regina stringeva i bambini.
“E’ tempo che i bambini capiscano il mondo vero, lascia che guardino!”-gridavo”lavoro per l’uomo che ti ha insultata sul giornale, sai?”.
"Beh, direi che per oggi ti ho fatto abbastanza accaponare la pelle Cittadino, mi sembri un po’ palllido”.
“No Iréne, anche se devo ammettere che non deve essere stato un bello spettacolo.
Posso capire però quanto foste arrabbiati e non biasimo i vostri gesti”.
“Volevo ben vedere.
Scusami ma continuiamo domani, adesso ho un impegno e devo proprio andare”-conclusi, dirigendomi in fretta giù per le scale e uscendo nella nebbia.

ANGOLO AUTRICE: Bonsoir! :)
Scusate se aggiorno così in ritardo ma dovevo studiare, ieri avevo un esame (ho preso 25, yeahhh!).
Comunque dite che Maxime è davvero morto o Jean ha sempre ragione e Irène si sbaglia?
Questo capitolo è lungo e incentrato principalmente sulla marcia su Versailles, era necessario.
Ci ho impiegato una giornata intera a scriverlo il più preciso possibile, tra ricerche per perfezionarmi e tutto (scusate per il finale scrauso): devo dire che però insultare Marie Antoniette da un senso di liberazione.
Il giardino di cui parla Jean esiste davvero ancora oggi, se capitate a Versailles andatelo a vedere perchè devo ammettere che è molto carino!
E' l'dea di fondo che è malata.
Scopriremo presto il seguito, ci saranno altre sorprese e capiremo di più su un paio di personaggi… indovinate chi?.
Grazie e alla prossima! :)
Jenny
PS: ovviamente la parte della rivolta a Marsiglia è inventata e non so nemmeno se fosse possibile quello che è successo a Maxime ma immaginatelo dai!
Tutto il resto però è rigorosamente fatto storico con l'aggiunta dei personaggi, come sempre.
(Si, pure quella del cavallo, giuro!
Non la sapevo, l'ho scoperta oggi ahah!) xD .
  
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