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Autore: rossella0806    19/12/2015    2 recensioni
Philippe Soave è uno psicologo infantile che lavora presso il "Centre Arcenciel" di Versailles, una sorta di scuola che ospita bambini e ragazzi disagiati, a causa di dinamiche famigliari non proprio semplici.
Attraverso il suo sguardo appassionato, scopriremo la realtà personale dei piccoli e grandi ospiti, ognuno dei quali troverà un modo per riscattarsi dalle ingiustizie della vita.
Ci sarà anche spazio per sorridere, pensare e amare!
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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LE DISAVVENTURE CONTINUANO ...


Lo squillo del cellulare raggiunse improvvisamente Philippe nel bagno: era sabato mattina e la sua intenzione sarebbe stata quella di andare a casa di Liliane, a Versailles, per convincerla a riprendere la loro relazione.
In quei giorni di astio e di lontananza, infatti, aveva compreso quanto l’amasse, quanto le volesse bene e le fosse affezionato, per cui non l’avrebbe persa per nessun motivo al mondo.
Era appena uscito dalla doccia, e adesso si stava strofinando con un asciugamano i capelli grondanti che, da bagnati, assomigliavano sempre più a una criniera di leone, solo un po’ più scura.
Fissò nello specchio sopra il lavandino gli occhi arrossati dalla schiuma dello shampoo: il verde dell’iride era marcato dalle venuzze in rilievo; l’uomo si stropicciò le palpebre e aprì il rubinetto, in modo da risciacquarsi il viso ed eliminare eventuali residui di sapone intrappolati tra i pori della pelle.
Poi, lo sguardo fisso nel vetro, si passò una mano sulla barba, leggermente incolta: prima di uscire, sarà meglio darci una spuntatina, constatò sottovoce.
Il telefono lo sorprese mentre stava recuperando il filo del phon, in procinto di inserire la spina nella presa vicino al mobiletto in ceramica.
Philippe si voltò in direzione della suoneria, il cellulare appoggiato sulla mensola sopra la cassettiera contenente gli asciugamani.
Con la mano sinistra continuò a reggere il phon, mentre con l’altra agguantò l’apparecchio:
“Pronto?”
Sono io, Liliane …”
Lo psicologo avvertì un tuffo al cuore, mentre sentiva il tono di voce all’altro capo del filo, decisamente preoccupato e imbarazzato:
“Liliane! Sono felice che tu mi abbia chiamato. Volevo farti una sorpresa e venire da te: non ci crederai, ma stavo finendo di prepararmi! Sei a casa?” balbettò, deglutendo e sentendo i battiti accelerare.
Sono in stazione … ho bisogno di te
Philippe appoggiò l’asciugacapelli sul coperchio del water, quindi si sedette anche lui, cercando di rendersi conto se aveva capito bene le parole della donna.
“Ah, quindi stai partendo … ?”
Un sospiro velato gli fece attendere la risposta:
Non la stazione dei treni, Philippe, quella di polizia. Mi hanno … mi hanno arrestata, cioè, sono in stato di fermo da questa mattina
L’uomo aprì la bocca per replicare: avvertì una strana sensazione, come se avesse ricevuto un improvviso pugno allo stomaco.
“Arrestata?! Che cosa è successo? Tu stai bene?”
S-sì, sì, non mi hanno fatto niente, è che … è una storia lunga. Per favore, sei l’unica persona che ho pensato di avvisare. Puoi venire? Sono in Rue de la République 22. Sai dov’è?
“Sì, vagamente. Ma non preoccuparti, per strada chiederò a qualcuno. Comunque, certo che vengo, arrivo il prima possibile, amore”
Grazie …  allora,
ti aspetto
Quando attaccò, dopo lo stupore che non tendeva a diminuire, il ragazzo considerò due cose: la prima è che era finalmente riuscito a chiamare Liliane con l’appellativo che più le si addiceva, in quel momento, confessandole finalmente il sentimento che nutriva per lei; in secondo luogo, si ritrovò a pensare, forse persino scioccamente, che erano davvero fatti l’uno per l’altra, se persino lei era stata arrestata, proprio come gli era successo ormai un mese addietro, durante gli scontri con i manifestanti di Pauligny.
Mentre recuperava le chiavi di casa, i capelli metà asciutti e metà bagnati, sperò con tutto se stesso che, anche in quell’occasione, tutto si risolvesse per il meglio.



Decise di prendere il treno, perché ci avrebbe impiegato meno tempo e, soprattutto, non aveva la benché minima testa di guidare per cinquanta minuti sulla statale mezza trafficata di un sabato mattina di metà maggio, la mente che vagava da un problema all'altro.
Arrivò davanti alla centrale di polizia che era passata quasi un’ora, da quando Liliane lo aveva informato di dove si trovasse; erano le undici e mezza e, mentalmente, calcolò che era riuscito a guadagnare appena un quarto d’ora di tempo.
Con il fiato corto, la maglietta bianca abbellita da una stampa blu e un paio di jeans mezzi consumati, Philippe entrò trafelato e, rivolgendosi all’agente in guardiola, si presentò come il compagno della donna arrestata.
“Sì, attenda un attimo. Vado ad avvisare l’ispettore Duran …” gli rispose il trentenne davanti a lui, i capelli neri e lisci tagliati cortissimi, un occhio grigio e l’altro azzurro.
Dopo una breve attesa di qualche secondo, lo psicologo sbiancò in volto: aveva avuto un semplice ed immaginario deja-vù oppure aveva già visto l’uomo corpulento che gli stava venendo incontro, un cinquantenne di media altezza, pelato e dagli occhi scuri?
“Ah, allora è lei! Credevo si trattasse di un caso di omonimia: quando mademoiselle Satine mi ha comunicato che avrebbe contattato il suo fidanzato, beh, l’ultima cosa a cui andavo a pensare era che si trattasse proprio di lei …”
Philippe lo fissò in volto, cercando di trovare le parole giuste per togliersi da quell’imbarazzo:
“Io … sì, sono proprio io. E lei invece è l’agente che mi ha arrestato a causa dei tumulti accaduti a Pauligny, vero?”
L’altro annuì, il volto serio ma per nulla ostile.
“Esatto, sono l’ispettore Duran. Sa, a causa dei tagli del personale, mi sono autoreclutato per dare un aiuto ai miei uomini a sedare le risse che ci sono state. Sbaglio o, anche allora, si trattava di un sabato mattina?”
Finalmente l’uomo si presentò, stringendo la mano del ragazzo, che lo ricambiò nervoso, stupendosi dell’ottima memoria di cui godeva il poliziotto.
“Non sbaglia. Ispettore, cos’è successo? Perché avete arrestatato Liliane?” proruppe Philippe, in preda ad un’ansia incontenibile.
“E’ una faccenda abbastanza delicata, ma non irrecuperabile, non si preoccupi. Prego, da questa parte …”
I due si avviarono lungo un breve corridoio, ai cui lati si aprivano una serie di porte verde acqua.
Il poliziotto gli fece cenno di entrare nella terza stanza a sinistra; appena ebbe messo piede, Philippe sentì chiudersi ancora di più lo stomaco, le mani che gli tremavano impercettibilmente, il cuore che continuava ad accelerare i battiti.
“Liliane!”
La giovane donna si alzò da una sedia grigia, assolutamente anonima, posizionata dietro un tavolo rettangolare di legno sistemato al centro dell’ambiente, un’ampia finestra con le sbarre alle sue spalle.
“Oh Philippe, sono così felice di vederti!” lo salutò con un sorriso tirato, abbracciandolo con forza.
“Stai bene?” sorprendentemente lo psicologo la baciò sulla bocca, mentre le teneva le mani tremanti.
Lei annuì, gli occhi azzurri velati di lacrime.
“Mi dispiace fare il terzo incomodo, signori, ma non siamo qui per le riappacificazioni tra innamorati. Signor Soave, la prego, si sieda. Anche lei, mademoiselle Satine”
Entrambi gli obbedirono senza riserve, quasi come fossero stati degli autòmi: quando tutti e tre si furono sistemati, l’ispettore cominciò a spiegare, la voce forte e chiara:
“Dunque, la sua fidanzata si trova in stato di fermo perché questa mattina è stata denunciata per appropriazione indebita da Mathieu Gilbert. Lei lo conosce?”
“E’, cioè, era il precedente fidanzato di Liliane” precisò lo psicologo, gli occhi fissi in quelli dell’uomo.
L’ispettore annuì, poi aggiunse:
“Sì, questo me lo ha già riferito la signorina. Quello che vorrei sapere da lei, però, è se lo ha mai incontrato di persona e se, soprattutto, monsieur Gilbert è al corrente della vostra attuale relazione”
Philippe cercò con lo sguardo la ragazza, immobile al suo posto, mentre continuava a stringerle la mano destra.
“No, non l’ho mai visto. Anzi, non so neppure se sa della nostra relazione. Liliane mi ha parlato di lui pochissime volte, due o tre, non di più. Ma perché mi chiede questo? E perché l’ha accusata di appropriazione indebita?!” si accalorò il ragazzo, sistemandosi meglio sulla sedia grigia, la schiena leggermente incurvata.
“Il signor Gilbert accusa mademoiselle Satine di aver prosciugato il suo conto corrente quasi quattro anni fa, esattamente nel novembre 2011” riferì l’ispettore, leggendo da un foglio stampato che aveva recuperato da una pila di documenti alla sua sinistra.
“E di essersi accorto di tale furto, sempre a sentire le sue parole, solamente ieri pomeriggio, quando si è recato nella banca dove teneva il denaro per recuperarlo e ripartire alla volta dell’Australia dove, da quanto mi ha confermato anche la sua fidanzata, tutt’ora vive e lavora. Lei, signor Soave, ha mai saputo dell’esistenza di questo conto?”
Lo psicologo scosse la testa, non capendo il senso –sempre se ce ne fosse stato- di tutte quel folle ed inconcludente discorso:
“No, nella maniera più assoluta. Ma perché mi fa tutte queste domande? Liliane non c’entra nulla, non è in grado di fare del male a nessuno! E poi, insomma, non aveva motivo di prelevare quei soldi, ne sono sicuro!"
L’ispettore, una camicia a maniche corte bianca a quadretti gialli e rossi, si protese in avanti sulla poltrona imbottita in pelle, i palmi appoggiati alla scrivania:
“Sto facendo il mio lavoro, ecco il motivo di tutte queste domande. E’ importante sapere se lei possa essere coinvolto in qualche modo in questa faccenda … ”
“Ispettore, ho conosciuto Philippe dopo aver lasciato Mathieu, mesi dopo questo fantomatico furto che le giuro di non aver commesso! Non ha mai saputo nulla del conto corrente, glielo giuro su quello che vuole!”
“Va bene, signorina, non c’è bisogno di prestare alcun giuramento. Adesso si calmi …” acconsentì l’uomo, guardando la donna che si stava agitando sulla sedia, i capelli biondi spettinati, le gote arrossate e gli occhi lucidi.
“Di quale cifra stiamo parlando?” volle sapere il ragazzo, stringendo con tenerezza un ginocchio della collega.
“Cinquanta mila euro: una cifra che definirei più che ragguardevole, non trova?”
Lo psicologo fissò lo sguardo sbalordito in quello di Liliane, stanco ed incomprensibile, riprendendo la mano che la ragazza aveva fatto scivolare dalla sua, mentre tentava di difenderlo.
“Che cosa rischia?”
L’uomo assottigliò gli occhi scuri e li piantò in quelli del suo interlocutore:
“La pena per il reato di appropriazione indebita è equivalente a tre anni di reclusione: bisogna anche tenere in considerazione il fatto che la signorina è incensurata, quindi si potrebbe scendere a compromessi con un patteggiamento o con gli arresti domiciliari. Sarà poi il giudice e, ovviamente, le prove concrete che riusciremo a rintracciare che faranno la differenza. Non dimentichiamo, infatti, che sono trascorsi quasi quattro anni. Allora, ha qualche altra domanda, signor Soave?” concluse Duran, con una nota di sarcasmo.
“Sì, ispettore. Dov’è l’accusatore? Perché quel vigliacco non è qui ad affrontare Liliane di persona?! Cos’è? Si vergogna perché sa di essere in pieno torto?!”
“La prego di moderare i termini!” lo riprese il poliziotto, guardandolo torvo  “stiamo indagando e, per il momento, dobbiamo dare credito principalmente alle parole del signor Gilbert. Lei non è tenuto a sapere dove si trova l’uomo! E' suo dovere, invece, rispondere con onestà e chiarezza alle domande che le sto porgendo. Ha capito?!”
Philippe abbassò lo sguardo, passandosi la lingua sulle labbra, per cercare di calmare i nervi.
“Allora, la sua fidanzata sostiene che i cinquantamila euro le sono stati donati, diciamo così, dallo stesso Gilbert, per intraprendere dei lavori nella casa nella quale, mi corregga signorina se sbaglio, adesso vive da sola. E' così?”
Liliane annuì, sibilando un debole .
“Bene, fino a qui ci siamo. Il fatto, signor Soave, è che non posso credere alle parole di mademoiselle Satine per il semplice fatto che non ho delle prove, non ho un pezzo di carta che mi confermi ciò che la qui presente signorina sta sostenendo da quasi due ore, ormai. Mi capisce?”
“E lei, ispettore, perché crede ciecamente alle parole di quell’uomo?!”
“Le ripeto per l’ultima volta di mantenere un certo contegno, la prego! Rispondo subito alla sua domanda: Gilbert ha sporto regolare denuncia e, cosa più importante, è l’unico titolare del conto corrente in questione. Per questo motivo, devo dare credito, almeno per il momento, alle sue parole, piuttosto che a quelle della sua fidanzata”
“Ma io sono innocente! Non gli ho mai rubato neppure un centesimo! E’ stato lui a darmi quei soldi, per ristrutturare la nostra casa!” s’intromise la ragazza, sporgendosi dalla sedia.
“Che adesso, a quanto pare, è solo sua. A questo proposito, signorina, a chi è intestata?”
Liliane si voltò alla sua destra a guardare Philippe, come per recuperare la forza e il coraggio che la stavano abbandonando.
“Era cointestata. Anzi, in realtà lo è ancora”
“Però il conto era solo a nome del suo ex compagno, giusto?” incalzò con sguardo serio e corrugato Duran, le mani incrociate sulla scrivania.
“Sì” sibilò lei, abbassando gli occhi sulle ginocchia, avvolte da un paio di leggins di cotone.
“Dal momento che stiamo parlando di una cifra che non è possibile prelevare in contanti, in quanti tempi e in che modo ha ottenuto il denaro? Il suo ex fidanzato le ha compilato un assegno o le ha fatto un bonifico?”
La giovane lasciò la mano destra stretta in quella di Philippe e, in un gesto di pura rassegnazione, si coprì il viso, sospirando forte:
“Non mi ricordo, ispettore. Forse ho prelevato un acconto per cominciare i lavori nell’appartamento e poi Mathieu mi ha fatto un assegno, ma non ne sono sicura … a volte, non ricordo neppure quello che ho fatto ieri, come pretende mi possa venire in mente una situazione che è successa più di tre anni fa?!” lo supplicò con lo sguardo, il volto impallidito.
“Capita a molte persone, a me per primo, lo ammetto, di non ricordare cosa si è mangiato il giorno prima, persino chi si è incontrato. Ma, in questo caso, signorina, le conviene farsi tornare la memoria e, possibilmente, dirmi la verità. Le ripeto la domanda: perché ha prelevato quei cinquantamila euro senza il consenso di Mathieu Gilbert?”
“Perché me lo ha detto lui, ispettore, mi ha dato lui il permesso! Quante volte glielo devo ripetere?!”
“Ma non vede che è stravolta!” si mise in mezzo lo psicologo, alzando nuovamente il tono di voce “la lasci in pace, la prego!”
Il poliziotto, le mani incrociate sulla scrivania, lo fissò con attenzione, gli occhi scuri socchiusi e la fronte aggrottata:
“Sto solo facendo il mio lavoro, signor Soave. Se mademoiselle Satine sta dicendo la verità, lo scopriremo, stia tranquillo. Ma, fino ad allora, è mio compito considerarla colpevole, cercate di capirmi. Comunque, per il momento può andare bene così” sancì l’uomo, alzandosi dalla poltrona e sorridendo.
“Signor Soave, può riaccompagnare a casa la signorina, ma dovrete rimanere a disposizione, soprattutto lei” precisò l’ispettore, guardando Liliane.
“Non scapperemo, se è questo che intende” ribatté Philippe, sfidandolo con lo sguardo.
“Vedo che avete compreso al volo. A proposito, mentre la aspettavamo, ho chiamato il giudice per metterlo al corrente della situazione: lunedì mattina contatteremo la banca in cui il signor Gilbert ha depositato il conto corrente incriminato, così da cercare di ricostruire cosa sia successo quel giorno. La attendiamo per le nove, mademoiselle, per interrogarla: perciò, da qui a dopodomani, dovrà assicurarmi che non si muoverà da Versailles, per nessun motivo, altrimenti sarò costretto a convalidare lo stato di fermo”
La donna annuì, abbozzando per la prima volta un sorriso di speranza.
“Dimostrerò la mia innocenza, ispettore”
“Lo spero per lei, signorina. Bene, allora arrivederci. Ci vediamo lunedì”
I tre si alzarono e, dopo una sbrigativa stretta di mano, Philippe e Liliane uscirono dalla stanza, liberati dalla ragnatela invisibile che li aveva imprigionati nella sua rete.

   
 
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