° Hide and
Seek°
“Giochiamo
a nascondino?”…
Gli occhi di gatto la
inchiodavano alla porta come gli insetti
immortalati nell’altra stanza. A Ib non piaceva lo sguardo
sinistro che le
rivolgeva, così si mosse senza perdere il contatto visivo
con quelle iridi
topazio. Entrò a precipizio nella sala
alla sua destra e appena varcata la soglia, si trovò
difronte a un labirinto di
pareti grigie.
“ Di
male in peggio” pensò tra sé e
sé, ma la parte peggiore doveva
ancora venire.
Si
avventurò nella stanza seguendo la parete alla sua destra e
raggiungendo ben presto la fine dove, sul muro, un grande quadro bianco
guardava
il circondario. “ IL TALENTO DELLO CHEF” recitava
la ormai classica e monotona targhetta
in ottone. In effetti, era il secondo, forse terzo quadro, da quando
era
approdata lì, in cui il nome anticipasse effettivamente
l’immagine dipinta: un
pesce adagiato su un tagliere che stava per essere sfilettato.
C’era qualcosa
che stonava, come una pausa mancante alla fine di uno spartito
musicale.
“
Cos’ha a che fare con il resto?” si chiese Ib,
costatando che si
trattava dell’unica opera esposta.
Pensò
a lungo, sperando vi fosse celato un indizio su come proseguire,
perché una cosa era certa, una volta entrati in una stanza
c’era qualcosa che
dovevi completare per ottenere una chiave. Questa era la regola che
aveva
imparato. Tuttavia nella sezione precedente gli insetti avevano un
senso poiché
bisognava prestare aiuto a una formica, però questo no.
Dunque, cosa voleva da
lei quel locale?
Apparentemente
sembrava arredato da un’accozzaglia di pareti senza
ordine né logica e chiunque l’avesse progettata di
per certo non voleva
semplificarle la vita. Si risolse che avrebbe aspettato che la
richiesta si
presentasse da sé, infatti, fu esattamente quello che
accadde poco dopo. La
ragazza si era preparata psicologicamente a qualsiasi cosa: da insetti
parlanti,
a palle di polvere danzanti su un filo da acrobata, ma non che il suo
aguzzino
andasse a scavare e inviasse un personaggio preso dai suoi incubi.
Così le si presentò
davanti all’improvviso una figura alta il triplo di lei,
magra come uno
stuzzicadenti e fatta della stessa consistenza impalpabile delle ombre
del
crepuscolo, con due aguzzi occhietti giallo paglierino simili a
stoppini accesi
di candele fluttuanti. Lui era quello che si nascondeva sotto il suo
letto o
nel suo armadio quando aveva nove anni, terrorizzandola prima di andare
a letto.
E tutto perché sua madre lo chiamava ogni volta che Ib
faceva i capricci per
addormentarsi.
“ Se non ti metti subito a
letto e fai la brava, viene l’uomo nero
che ti porta via!”
le diceva dopo la milionesima volta che le aveva
rimboccato invano le coperte, che prontamente scalciava in segno di
protesta. Tuttavia,
quando sentiva quella frase, era il segnale che era meglio arrendersi
senza
fare storie, perché ormai il danno era fatto e
l’uomo nero la aspettava
nascosto dietro l’anta socchiusa dell’armadio
difronte al suo lettino, invitato
dalla madre. “ Ecco da brava e adesso
è meglio se dormi perché lui ti guarda
e verrà a prenderti se rimani sveglia fino a tardi.” Aggiungeva
prima di augurarle
la buona notte e spegnere la luce. E chi avrebbe preso sonno in quel
momento?!
La piccola Ib però di stare al buio da sola, o meglio con
l’abitante del
guardaroba, non se ne parlava proprio, perciò svelta
accendeva la lucetta da
notte sul comodino. Poi un’ultima sbirciata allo spiraglio
sui suoi abiti e velocemente
si nascondeva sotto le coperte, tirandole fin sopra la testa e
ascoltando gli
scricchiolii che provenivano dalla casa e che, nel suo fervido
immaginario da
bambina, erano prodotti dal mostro per farle sapere che era
lì con lei. Per
questo la ragazzina ebbe un tuffo al cuore vedendolo. Possibile che
l’essere,
che nell’adolescenza aveva imparato a riconoscere come
favoletta per spaventare
i più piccoli, fosse vera?
L’uomo
d’ombra restava con le spalle curve e le braccia penzoloni,
tanto che le dita sfioravano il pavimento, a osservarla con la testa
inclinata
da una parte come un rapace curioso. Ib voleva scappare, lo voleva
davvero,
tuttavia le sue gambe non la pensavano allo stesso modo e presero
invece a
tremare. Boccheggiava come un pesce saltato fuori dalla boccia e alla
ricerca
d’acqua per respirare. Fu allora che la creatura si mosse,
schiacciando un
palmo sul pavimento per strisciarlo come se volesse cancellare
qualcosa. Invece
di eliminare qualcosa, vi comparvero delle scritte giallognole talmente
brillanti da fare male nella penombra in cui si trovavano.
“ Ciao
bambina, vuoi giocare con me?
”
esordì
sbattendo le sue
palpebre inconsistenti.
Non voleva
assolutamente avere nulla a che fare con quella creatura,
tantomeno giocarci insieme poiché non poteva uscirne nulla
di buono. Doveva
muoversi, allontanarsi di lì il più in fretta
possibile; gambe permettendo. Così
tentò di muoversi a ritroso, per provare se gli arti
inferiori l’avrebbero
sostenuta e, dopo un timido paso all’indietro di conferma che
la paralisi era
quasi passata, saettò verso la porta sotto lo sguardo
immutabile dell’ombra.
Poteva ancora salvarsi, bastava superare la soglia e serrarla, che
l’essere non
avrebbe più potuto seguirla; o almeno così
credeva ed era anche ad un passo dal
riuscirci, quando la porta girò volontariamente sui cardini
chiudendosi per
sempre. L’ultima cosa che Ib vide della sua salvezza furono
gli occhi ferini
socchiudersi derisori, prima che si schiantasse contro
l’uscio, incapace di
arrestare la corsa.
“
Apriti dannata, apriti!” strillo mentalmente, mentre i pugni
si
abbattevano violenti sulle decorazioni geometriche del battente.
Ciò nonostante,
di schiudersi non ci pensava minimamente e la ragazza
artigliò il legno, piena
di frustrazione e paura.
Cosa le sarebbe
successo ora? Era costretta a giocare ad un gioco dalle
regolo sconosciute e forse pericolose.
Una luce
giallastra riflessa sull’assito, anticipò la
presenza dello
spiacevole inquilino. Ib si girò lentamente, mentre
l’essere si ricompattava
come fumo espirato.
“
Giochiamo a nascondino?”
scrisse di nuovo
il
mostro ripetendo lo stesso gesto.
La giovane
inghiottì a vuoto. “ Per favore, per favore
… no!” implorò a
sé stessa, ma non vi era via di scampo e dovette assentire,
ricacciando
indietro nuove lacrime.
L’uomo
nero strinse gli occhi per la contentezza di avere una nuova
compagna di giochi, ed in baleno svanì come la foschia,
diradandosi in una
nuvola nera. Nello stesso istante i muri tremolarono ed assunsero uno
schema
ben preciso, rivelando dei pesanti tendaggi posti ad intervalli
rigorosamente
misurati.
Ib rassegnata
all’inevitabile, si fermò davanti al primo
tendaggio di
pesante velluto rosso, talmente lungo da raccogliersi sul pavimento in
tante
pieghe. A un lato, poi, era posta una corda sfrangiata. Prima di
toccare
qualsiasi cosa però, voleva farsi un’idea di cosa
la aspettasse. Ad ogni modo
l’intera sala era sempre uguale, per cui ancora una volta
doveva affidarsi al
caso. Tirò il primo cordone con violenza giusto per
sfogarsi, sperando non vi
fossero altre sorprese. I lembi si separarono lasciando scoperta una
tela
completamente bianca. Non vi era disegnato nulla, era una tavola
completamente
vuota, perciò doveva trovare un immagine precisa?
“ Basta
trovare il disegno dell’uomo nero?” si chiese
osservando gli
innumerevoli tendaggi tutt’intorno, ci sarebbero volute ore
prima di scovarlo,
vista la grandezza dell’ambiente. Purtroppo però
era una cosa da fare per
proseguire, perciò iniziò a tirare tutti i
tendaggi a caso. Passò una buona ora
senza trovare nulla e Ib si sentiva leggermente stanca; non sembrava ma
la
corda era abbastanza pesante da tirare, specialmente per uno scricciolo
come
lei e mancava più di metà sala. Una nebbiolina
nera sgusciò fuori da un
tendaggio in fondo alla sezione dov’era e
s’insinuò sotto un altro.
“
Brutto imbroglione! Così ti sposti, ecco perché
non ti trovo, ma
giustamente a te non danno una punizione” inveì la
giovane in silenzio. Valutò
l’idea di smascherarlo a voce, ma sicuramente questo non
avrebbe decretato la
sua vittoria, per ciò a passettini leggeri raggiunse il
punto esatto in cui aveva
visto nascondersi l’ombra. Disgraziatamente, ancor prima che
mettesse mano alla
fune, la fuliggine scappò in un altro corridoio.
Così iniziò una caccia
frenetica.
La giovane ci
metteva tutto il suo impegno per coglierlo nella giusta
tela, eppure ogni volta riusciva a sfuggirle. Più che
nascondino, il gioco si
era tramutato in acchiapparello, dove il suo avversario non aveva
solidità. Ma
chi dura la vince, e finalmente con uno scatto misto ad una buona dose
di
fortuna, riuscì ad inchiodarlo alla tela. Si trattava di un
minuscolo omino
stilizzato che imbrattava la stoffa. Visto così non faceva
più tanta paura, per
questo trovò il coraggio di parlargli.<<
Finalmente non mi scappi più! Ho
vinto. Adesso mi lascerai andare?>> esultò
trionfante e sfidando lo
scarabocchio con uno sguardo risoluto.
L’omino
ammiccò, evaporando per riprendere le sue fattezze. Ib
dovette
rimangiarsi le considerazioni sulla sua innocuità.
“ Mi hai
trovato, meriti un premio… ” scrisse con
le sue strambe lettere abbaglianti
senza però risponderle; anzi indicò il fondo
della sala dove era appeso il
quadro dello chef con il braccio scheletrico come un ramoscello in
inverno.
“ Ma solo
se non ti prendo prima io”
aggiunse maligno
alla
fine, schiudendo un ghigno malvagio irto di denti aguzzi dello stesso
colore
degli occhi. Gli arti anteriori a quel punto si trasformassero in scuri
conficcandosi pesantemente nel pavimento. L’audacia
abbandonò definitivamente Ib
ed il cuore prese a battere all’impazzata. Quel mostro voleva
proprio lei! Ma non
aveva vinto e pertanto non doveva liberarla? Il suo istinto di
sopravvivenza si
attivò immediatamente, prese a correre
all’impazzata cercando di mettere più
distanza tra sé e l’inseguitore, ma non appena
svoltò bruscamente a sinistra
per schivare una parete, lo ritrovò esattamente difronte a
sé. La giovane voleva
urlare, ma il grido le morì tra le labbra, tramutandosi in
un soffio insonoro.
Come poteva eludere un essere fatto di … nulla e che quindi
poteva
materializzarsi ovunque a suo piacimento. Ritentò di nuovo
andando nell’altra
direzione, ma ottenne lo stesso risultato. Con la velocità
non poteva batterlo,
doveva giocarsela in modo diverso, usando l’astuzia,
altrimenti non avrebbe più
abbandonato quel luogo. Si chiese come mai in ogni stanza dovesse
essere una
trappola. Girò sui tacchi e ripercorse i suoi stessi passi
per tornare al
corridoio precedente e nascondersi immediatamente dietro una tenda,
tenendola
leggermente discostata per non rivelare la sua figura. Si
accovacciò a terra,
aspettando che l’essere passasse oltre, sentendo avvicinarsi
sempre più l’eco
delle punte aguzze, che si piantavano nel suolo, finché
l’uomo nero non arrivò
esattamente dove si trovava. Piantò uno delle sue
estremità, esattamente ad una
spanna sopra la sua testa, squarciando parte della tenda. Ib
portò una mano
alla bocca per soffocare un urlo e strinse talmente forti gli occhi che
iniziarono a lacrimare. Non aveva idea se l’essere potesse
udirla per cui, a
scanso di equivoci, pensò fosse meglio non provarci,
adottando tutte le misure
per rendersi invisibile. Il mostro iniziò a far scorrere il
suo artiglio nel
muro, aprendolo come se fosse burro e destinando la stessa fine anche
al
tessuto.
“ Ti
prego, ti prego, ti prego,
fa che non strappi la tenda!” pregò a
più non posso. Ciò nonostante,
come si sa, al peggio non c’è mai fine ed infatti,
poco a poco le fibre vennero
stracciate lasciando sul pavimento il pesante tessuto. Fu soltanto una
questione di buona sorte che il mostro fosse girato di spalle, e
grazie alla prontezza di riflessi della
ragazza, che ella riuscì a nascondersi sotto un altro
drappeggio, cercando di
essere il più silenziosa possibile. Anche quando il campo fu
libero, la giovane
non volle muoversi. Era terrorizzata, ma non poteva assolutamente
restare
ferma, tempo pochi attimi e l’avrebbe trovata di sicuro,
perciò si costrinse a
muoversi in direzione opposta seppur tremando come una foglia. Era
necessario
raggiungere il quadro o la porta? Una rapida riflessione sulla
situazione le
suggerì la meno ovvia, ovvero il quadro; inoltre era stato
lo stesso essere a
darle il suggerimento precedentemente. Aveva una paura folle. Se quel
“coso”
l’avesse acciuffata, sarebbe stata davvero la sua fine. Quasi
quasi rimpiangeva
la donna dai capelli neri, almeno con lei aveva avuto qualche chance di
salvarsi, qui invece doveva giocarsela, pregando la sua buona stella
come in
una roulette russa.
Perciò
avanzò usando come rifugio ogni tenda ed angolo riparato dal
momento che i ruoli si erano invertiti, giungendo così a
pochi metri dal
traguardo. Dalla sua postazione nascosta poteva vedere benissimo il
dipinto che
però sembrava assolutamente diverso da come lo ricordasse.
Infatti, lo chef
aveva calato il suo coltello decapitando il povero pesce, ma della
testa non vi
era traccia, era letteralmente scomparsa. “ Ci manca solo che
debba cercagli la
testa” pensò la giovane con amara ironia.
“
Aspetta, cosa c’è sul pavimento?”,
dovette costatare. Difatti la sua
attenzione era stata calamitata da un oggetto argentato sul pavimento,
giusto
sotto il quadro. A guardarlo meglio sembrava… sì,
sembrava proprio la testa del
pesce. Che si trattasse della sua ricompensa. Si chiese se non fosse
accaduta
la stessa cosa che aveva visto nella galleria e con il quadro della
donna in
bianco. Stare lì impalata a porsi domande
all’infinito era rischioso, doveva
agire e subito perché l’essere nero si stava
spazientendo di non riuscire a
trovare la sua preda.
“ Ok
Ib, tranquilla, puoi farcela. Sono solo pochi metri, con uno
scatto la raggiungi sicuro. Dai Ib!” si incitò
mentalmente e dopo l’ennesimo
respiro profondo, lasciò il suo riparo.
Corse come mai
nella sua vita, senza voltarsi indietro, chiedendo alle
sue gambe uno sforzo disumano, ad ogni modo il suo corpo le rispose
prontamente.
L’ominide fumoso avvertì subito i passi della
ragazza e le fu addosso in un
baleno, infilzando i poveri muri con le sue lame e sfregiandone molti
altri.
Ib si
lanciò a peso morto sulla testa del pesce, mentre la scure
dell’uomo
nero le sibilava a un soffio dal cranio. Le sue mani, però,
furono più veloci,
richiudendosi avide sul bottino e immediatamente l’essere
evaporò in una
pioggia di gocce nere come la pece. Anche in quest’occasione
la rosa, che la
giovane aveva infilato tra le asole della camicetta, perse un altro
petalo
avvizzito. Non aspettò di riprendere fiato, si
catapultò verso la porta, che
aperta, cedette sotto il suo assalto, e la oltrepassò grata
della fine
dell’ennesimo incubo.
Gli occhi felini
la aspettavano colmi di scherno, ma non appena videro
la testa mozzata dell’ittiopside, si fecero brillanti e
attenti per la golosità
suscitata da quella leccornia.
“
È il pesce che vuoi?” pensò stremata e
piena di astio. << Sto
facendo tutto questo per te, brutto faccia da muro>>
sbottò, contro
l’unica cosa che di certo non poteva saltarle addosso,
mostrandole il bottino.
Di solito Ib non era così irosa o istigatrice ma, trovarsi
sempre sotto stress e
in uno stato di lotta/fuga, stava mettendo la stabilità
mentale oltre all’autocontrollo,
a dura prova.
Sull’altro
capo
del corridoio, a destra, l’ennesimo uscio immise in quello
che aveva tutta
l’aria di un ripostiglio o magazzino pieno di oggetti
inutilizzati. C’erano
manichini accantonati in un angolo, alte pile di scatoloni da una parte
e più
in là a una fila di teste di gesso dall’altezza di
un uomo. Probabilmente
l’altra parte del pesce doveva trovarsi tra quegli scatoloni
impilati o dietro
ad uno di quei mezzi-busti di profilo. Per lo meno stavolta sembrava
una
ricerca abbastanza semplice, costatò rassicurata. Decise
allora di ispezionare
il locale partendo dal fondo, anche se la cosa non si prospettava tanto
piacevole, con quelle luci sfarfallanti e psichedeliche.
Notò solo allora, tra
un flash di luce artificiale e l’altro, una gigantografia
della scultura a
forma di rosa osservata alla galleria.
“
Questo adesso
che significa?” disse sbigottita tra sé e
sé. Proprio quando aveva deciso di
non pensare ad una possibile connessione tra quel labirinto infernale e
la
mostra di Guertena, qualcuno decideva di turbare la voluta
inconsapevolezza dei
fatti. “ non devo cedere a questi trucchetti”. Si
era ormai convinta che vi
fosse qualcuno dietro a tutto ciò, altrimenti non si sarebbe
spiegata i
biglietti e le numerose scritte apparse qua e là, e che
questo qualcuno volesse
farle prendere uno spavento, sebbene il motivo le sfuggisse. Forse, la
ragazzina aveva intuito solo in parte la verità o forse no,
c’erano ancora
troppi tasselli mancanti del puzzle da rintracciare, per avere un
quadro
decente o solo un’idea plausibile. Ad ogni modo la giovane
decise di procedere
nel suo piano, preferendo muoversi e tenersi impegnata, piuttosto che
stare
ferma ed aspettare che qualcos’altro di spiacevole si
verificasse. Purtroppo
non doveva stare attenta solo alle cose, ma anche a dove metteva i
piedi,
poiché una spaccatura nel pavimento per poco non la fece
ruzzolare a terra e
sbattere la faccia. Incespicò, ma alla fine
riuscì a rialzarsi indenne,
maldicendo il difetto edile. A un capo della stanzetta trovò
finalmente una
cosa nota, un vaso della stessa fattura e identico a quello in cui
aveva
trovato la sua rosa, pieno fino all’orlo di acqua
cristallina. Prima che
potesse chiedersi il motivo di tutto ciò, la medesima voce
che l’aveva guidata
al fiore comparve di nuovo tra i suoi pensieri.
‘Ib, fanne buon uso,
ti aiuterà’
<< Chi sei?
Perché mi aiuti? Per favore rispondimi o
impazzirò>> chiese supplice la
ragazza al nulla tremolante della stanzetta. L’essere
impalpabile si era
dileguato per l’ennesima volta. Sospirò sconfitta,
senza altro indizio se non fare
quello che le era stato consigliato. Ipotizzò quindi, che
quello affidatole
come indizio, si riferisse alla rosa scarlatta che teneva saldamente in
mano,
perciò lasciò che quell’acqua azzurrina
ne lambisse il gambo. In un batter
d’occhio il bocciolo assorbì tutto il liquido
rigenerando i petali perduti, che
solo in quel momento Ib si accorse essere mancanti. Poi come era
successo
precedentemente, il coccio si ruppe.
Curiosamente
si sentì molto più in forze, come dopo una pausa
da un gravoso sforzo. Capì
allora le parole che l’essere etereo le aveva rivolto in
precedenza sul fatto
che lei e la pianticella che trasportava fossero la stessa
entità. Doveva
prendersi molta più cura di quel prezioso regalo che adesso
assumeva connotati più
seri, ne andava della sua stessa salute.
Nonostante tutta
la stanza fosse tranquilla e silenziosa, non era prudente abbassare
così tanto
la guardia, poiché gli spaventi non vengono mai soli e
così, mentre riprendeva
a rovistare nei cartoni, alla ricerca di una coda squamosa, e persa fra
i suoi
pensieri sull’evento straordinario appena visto, una delle
teste si mosse dal
gruppo. Avanzò piano una manciata di centimetri alla volta
con gli occhi
iniettati di un rosso cupo, tuttavia fermandosi ad ogni movimento
dell’intrusa.
Sembrava volesse giocare ad uno, due, tre, stella! E sorprenderla
ancora
affaccendata nella ricerca.
Nei primi
scatoloni Ib, trovò solo un mucchio di tavolozze sporche
abbinate a manciate di
tubetti secchi e nessuna coda di legno, quando un rumore graffiante,
come qualcosa
che venga trascinato sul pavimento, la strappò dalle sue
ipotesi, facendole rizzare
i capelli sulla nuca.
“Basta, ti prego!
… non ne posso più!!” stava per
arrivare al limite, i suoi nervi erano talmente
tesi da rischiare di spezzarsi come foglie secche, vanificando il lieve
beneficio apportato dal vaso..
Fortunatamente
non a tutti i partecipanti “non umani” di quel
gioco, le brutte sorprese
andavano bene ed la stessa crepa sul pavimento, lo fece capitombolare.
Crash!
Ib si porto di
scatto le mani alle tempie credendosi ormai spacciata. Dopo un
po’ però si
voltò, non sentendo più nessun rumore e con il
cuore che batteva all’impazzata,
per poco non rischiò di finire in uno degli scatoloni alle
sue spalle. La testa
di gesso si era aperta in due come un cocomero troppo maturo, e dalla
sua
calotta cranica vuota, era saltato fuori il pezzo mancante della
chiave.
Lo raccolse in
tutta furia, senza accertarsi se la statua fosse ancora
“viva” o meno. Mentre
una domanda inevitabile le affollava i pensieri, “ Se non
fosse caduta cosa
sarebbe successo?”. Basta doveva lasciare quel dannato posto
e alla svelta, ne
andava della sua salute non solo mentale. Per cui una volta arrivata
nel
corridoio, assemblò il pesce di legno per poi mostrarlo
all’avido gatto guardiano.
In un batter d’occhio una lingua ruvida e spinosa
fuoriuscì dal muro,
arrotolandosi sulla mano della ragazzina. Era calda e viscida, come una
vera
lingua di un essere vivente, e le grattò l’arto
prima di ritirarsi da dove era
arrivata portando con sé la sua chiave pranzo. I gatti non
le erano mai
piaciuti molto, erano esseri egoisti che ti si avvicinavano solo per
ottenere
qualcosa poi se ne andavano rapidamente come erano venuti. Per questo
guardò
con diffidenza tutte le mosse del felino, con un moto di disgusto
quando la
lingua le cinse il polso.
Il pavimento
prese a tremare, squassando tutto il locale e, con un acuto miagolio,
la parete
si spezzo in due lasciando intravedere una lunga passerella verso un
nuovo
locale. Il micio era stato tranciato a metà, dividendo il
suo muso in strappi
slabbrati e sanguinolenti. Con i conati di vomito che le occludevano la
gola,
Ib si affrettò ad attraversare il varco, badando bene e non
soffermarsi sulle
pozze scarlatte che andavano formandosi alla base del muro, mentre un
olezzo
ferroso riempiva l’aria. Stavolta non poteva sbagliarsi, non
era semplice
tempera rossa. Perciò affrettò il passo, temendo
anche che potesse chiudersi e
lasciarla indietro da un momento all’altro; infatti, fece
appena in tempo a
uscirvi che la parete ritornò nuovamente compatta senza
lasciare alcuna traccia
del passaggio, del sangue o degli strappi, tornando semplicemente di un
monotono color sabbia.
<<
Che…>>
cercò di dire, ma l’inquietudine le
strappò il fiato. Davanti a lei si stendeva
una distesa interminabile di bambole che pendevano dal soffitto in pose
scomposte e macabre; alcune erano addirittura ad altezza
d’occhio e la
fissavano con lo sguardo vitreo e inanimato. Erano tanto realistiche
che soltanto
la loro vista, bastò a farle venire i brividi, per non
parlare del disagio che
provava, sapendo che avrebbe dovuto attraversarla; poteva benissimo
essere
scambiata per una sadica camera mortuaria.
Fortunatamente
toccò
qualcosa con la punta della scarpa e questo la distolse momentaneamente
dalla
macabra vista. Sul pavimento c’era una lettera bianca con
solo poche parole
leggibili su tutte le righe scritte a matita: “ …
Proprio quello che hai
dimenticato … Ib...”. Il resto del testo
era stato malamente cancellato.
Cosa ci faceva
una lettera in un posto simile, ma soprattutto perché il suo
nome era scritto anche
lì? Che cosa aveva dimenticato, ma soprattutto chi aveva
scritto una cosa
simile?!
La ragazza era
notevolmente
turbata.
“ Come
fa a
sapere anche questo?” si chiese piena di sgomento, rievocando
la sensazione che
vi fosse qualcosa di importante che le stesse sfuggendo da quando si
era
svegliata in quella galleria ammantata di ombre. Indagò
più a fondo la
scrittura, sperando di trovarvi qualche indizio in più; non
era quella
infantile che aveva trovato sui fogliettini gialli, poiché
presentava dei
tratti più marcati e lineari, nel complesso era una grafia
complessa, non opera
di un bambino. Per questo si chiese nuovamente quante persone fossero
coinvolte
in tutta quella serie di eventi, ciò nondimeno:
Perché lei. Che cosa volevano
da una ragazzina, un riscatto o cos’altro?! Cosa?! Aveva i
nervi a pezzi.
Sembrava lo facessero apposta a confonderla, mandarle degli indizi
discordi,
lasciarla in balia di mostri e allucinazioni macabre. Volevano
sfinirla, perché
più lei cercava di stare calma, più avvenivano
episodi che minavano il suo
raziocinio. Infatti, Ib era sempre stata una ragazzina abituata a
ragionare sui
problemi e trovarvi una soluzione, consuetudine presa dal metodo
educativo dei
suoi genitori, tuttavia quello che le stava capitando era fuori dal su
controllo, e più si arrovellava nel trovare dati mancanti
nello schema di cui
faceva parte, più aumentava la sua angoscia e disperazione.
E se
fosse stato
tutta un’azione premeditata del suo aguzzino per confonderla
e spingerla sempre
di più all’interno di quel gioco malato? In questo
modo, con il suo
atteggiamento spaurito, stava assecondando i piani di questo
fantomatico mastro
di fili, che stava intessendo anticipatamente le sue azioni future.
L’assurdità
dei
suoi stessi pensieri la fece rinsavire da quelle ipotesi astruse che
affollavano come trottole impazzite la sua mente. Doveva focalizzarsi
sul suo
obbiettivo: proseguire per scoprire la verità di quanto
stava accadendo, senza
farsi distrarre dai giochi mentali che l’allestitore della
sala aveva disposto
per metterla in crisi. Decise di ignorare perciò le bambole
che pendevano
macabre dal soffitto e seguire gli indizi che la vernice gialla aveva
inciso
sul muro.
“
I numeri aprono la via”.
Un nuovo
indovinello significava una nuova brutta sorpresa; perciò,
con l’angoscia nel
cuore, Ib si costrinse ad avanzare nel cimitero sospeso.