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Autore: Kaleido_illusion    23/12/2015    1 recensioni
Chi non conosce l'indie horror di Ib?
Ma tu lettore, se sei tra quelli che non lo conoscono o volgiono saperne di più, ti invito a leggere delle avventure di Ib, un adolescente, e Garry che per errore o un desiderio espresso e non mantenuto, entrano in un mondo artificiale fatto di pittura e tristezza, popolato da esseri che non dovrebbero esistere, ma che hanno trovato la vita grazie ad un eccellente pittore visionario, Weiss Guertena.
Immergetevi insieme ai protagonisti nell'arte!
Buon proseguimento ...
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
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° Hide and Seek°

 Atto.4
 

“Giochiamo a nascondino?”…

 

 

 

Gli occhi di gatto la inchiodavano alla porta come gli insetti immortalati nell’altra stanza. A Ib non piaceva lo sguardo sinistro che le rivolgeva, così si mosse senza perdere il contatto visivo con quelle iridi topazio.  Entrò a precipizio nella sala alla sua destra e appena varcata la soglia, si trovò difronte a un labirinto di pareti grigie.
“ Di male in peggio” pensò tra sé e sé, ma la parte peggiore doveva ancora venire.
Si avventurò nella stanza seguendo la parete alla sua destra e raggiungendo ben presto la fine dove, sul muro, un grande quadro bianco guardava il circondario. “ IL TALENTO DELLO CHEF” recitava la ormai classica e monotona targhetta in ottone. In effetti, era il secondo, forse terzo quadro, da quando era approdata lì, in cui il nome anticipasse effettivamente l’immagine dipinta: un pesce adagiato su un tagliere che stava per essere sfilettato. C’era qualcosa che stonava, come una pausa mancante alla fine di uno spartito musicale.
“ Cos’ha a che fare con il resto?” si chiese Ib, costatando che si trattava dell’unica opera esposta.
Pensò a lungo, sperando vi fosse celato un indizio su come proseguire, perché una cosa era certa, una volta entrati in una stanza c’era qualcosa che dovevi completare per ottenere una chiave. Questa era la regola che aveva imparato. Tuttavia nella sezione precedente gli insetti avevano un senso poiché bisognava prestare aiuto a una formica, però questo no. Dunque, cosa voleva da lei quel locale?
Apparentemente sembrava arredato da un’accozzaglia di pareti senza ordine né logica e chiunque l’avesse progettata di per certo non voleva semplificarle la vita. Si risolse che avrebbe aspettato che la richiesta si presentasse da sé, infatti, fu esattamente quello che accadde poco dopo. La ragazza si era preparata psicologicamente a qualsiasi cosa: da insetti parlanti, a palle di polvere danzanti su un filo da acrobata, ma non che il suo aguzzino andasse a scavare e inviasse un personaggio preso dai suoi incubi. Così le si presentò davanti all’improvviso una figura alta il triplo di lei, magra come uno stuzzicadenti e fatta della stessa consistenza impalpabile delle ombre del crepuscolo, con due aguzzi occhietti giallo paglierino simili a stoppini accesi di candele fluttuanti. Lui era quello che si nascondeva sotto il suo letto o nel suo armadio quando aveva nove anni, terrorizzandola prima di andare a letto. E tutto perché sua madre lo chiamava ogni volta che Ib faceva i capricci per addormentarsi.
Se non ti metti subito a letto e fai la brava, viene l’uomo nero che ti porta via!” le diceva dopo la milionesima volta che le aveva rimboccato invano le coperte, che prontamente scalciava in segno di protesta. Tuttavia, quando sentiva quella frase, era il segnale che era meglio arrendersi senza fare storie, perché ormai il danno era fatto e l’uomo nero la aspettava nascosto dietro l’anta socchiusa dell’armadio difronte al suo lettino, invitato dalla madre. “ Ecco da brava e adesso è meglio se dormi perché lui ti guarda e verrà a prenderti se rimani sveglia fino a tardi.” Aggiungeva prima di augurarle la buona notte e spegnere la luce. E chi avrebbe preso sonno in quel momento?! La piccola Ib però di stare al buio da sola, o meglio con l’abitante del guardaroba, non se ne parlava proprio, perciò svelta accendeva la lucetta da notte sul comodino. Poi un’ultima sbirciata allo spiraglio sui suoi abiti e velocemente si nascondeva sotto le coperte, tirandole fin sopra la testa e ascoltando gli scricchiolii che provenivano dalla casa e che, nel suo fervido immaginario da bambina, erano prodotti dal mostro per farle sapere che era lì con lei. Per questo la ragazzina ebbe un tuffo al cuore vedendolo. Possibile che l’essere, che nell’adolescenza aveva imparato a riconoscere come favoletta per spaventare i più piccoli, fosse vera?
L’uomo d’ombra restava con le spalle curve e le braccia penzoloni, tanto che le dita sfioravano il pavimento, a osservarla con la testa inclinata da una parte come un rapace curioso. Ib voleva scappare, lo voleva davvero, tuttavia le sue gambe non la pensavano allo stesso modo e presero invece a tremare. Boccheggiava come un pesce saltato fuori dalla boccia e alla ricerca d’acqua per respirare. Fu allora che la creatura si mosse, schiacciando un palmo sul pavimento per strisciarlo come se volesse cancellare qualcosa. Invece di eliminare qualcosa, vi comparvero delle scritte giallognole talmente brillanti da fare male nella penombra in cui si trovavano.
Ciao bambina, vuoi giocare con me? esordì sbattendo le sue palpebre inconsistenti.
Non voleva assolutamente avere nulla a che fare con quella creatura, tantomeno giocarci insieme poiché non poteva uscirne nulla di buono. Doveva muoversi, allontanarsi di lì il più in fretta possibile; gambe permettendo. Così tentò di muoversi a ritroso, per provare se gli arti inferiori l’avrebbero sostenuta e, dopo un timido paso all’indietro di conferma che la paralisi era quasi passata, saettò verso la porta sotto lo sguardo immutabile dell’ombra. Poteva ancora salvarsi, bastava superare la soglia e serrarla, che l’essere non avrebbe più potuto seguirla; o almeno così credeva ed era anche ad un passo dal riuscirci, quando la porta girò volontariamente sui cardini chiudendosi per sempre. L’ultima cosa che Ib vide della sua salvezza furono gli occhi ferini socchiudersi derisori, prima che si schiantasse contro l’uscio, incapace di arrestare la corsa.
“ Apriti dannata, apriti!” strillo mentalmente, mentre i pugni si abbattevano violenti sulle decorazioni geometriche del battente. Ciò nonostante, di schiudersi non ci pensava minimamente e la ragazza artigliò il legno, piena di frustrazione e paura.
Cosa le sarebbe successo ora? Era costretta a giocare ad un gioco dalle regolo sconosciute e forse pericolose.
Una luce giallastra riflessa sull’assito, anticipò la presenza dello spiacevole inquilino. Ib si girò lentamente, mentre l’essere si ricompattava come fumo espirato.
Giochiamo a nascondino?scrisse di nuovo il mostro ripetendo lo stesso gesto.
La giovane inghiottì a vuoto. “ Per favore, per favore … no!” implorò a sé stessa, ma non vi era via di scampo e dovette assentire, ricacciando indietro nuove lacrime.
L’uomo nero strinse gli occhi per la contentezza di avere una nuova compagna di giochi, ed in baleno svanì come la foschia, diradandosi in una nuvola nera. Nello stesso istante i muri tremolarono ed assunsero uno schema ben preciso, rivelando dei pesanti tendaggi posti ad intervalli rigorosamente misurati.  
Ib rassegnata all’inevitabile, si fermò davanti al primo tendaggio di pesante velluto rosso, talmente lungo da raccogliersi sul pavimento in tante pieghe. A un lato, poi, era posta una corda sfrangiata. Prima di toccare qualsiasi cosa però, voleva farsi un’idea di cosa la aspettasse. Ad ogni modo l’intera sala era sempre uguale, per cui ancora una volta doveva affidarsi al caso. Tirò il primo cordone con violenza giusto per sfogarsi, sperando non vi fossero altre sorprese. I lembi si separarono lasciando scoperta una tela completamente bianca. Non vi era disegnato nulla, era una tavola completamente vuota, perciò doveva trovare un immagine precisa?
“ Basta trovare il disegno dell’uomo nero?” si chiese osservando gli innumerevoli tendaggi tutt’intorno, ci sarebbero volute ore prima di scovarlo, vista la grandezza dell’ambiente. Purtroppo però era una cosa da fare per proseguire, perciò iniziò a tirare tutti i tendaggi a caso. Passò una buona ora senza trovare nulla e Ib si sentiva leggermente stanca; non sembrava ma la corda era abbastanza pesante da tirare, specialmente per uno scricciolo come lei e mancava più di metà sala. Una nebbiolina nera sgusciò fuori da un tendaggio in fondo alla sezione dov’era e s’insinuò sotto un altro.
“ Brutto imbroglione! Così ti sposti, ecco perché non ti trovo, ma giustamente a te non danno una punizione” inveì la giovane in silenzio. Valutò l’idea di smascherarlo a voce, ma sicuramente questo non avrebbe decretato la sua vittoria, per ciò a passettini leggeri raggiunse il punto esatto in cui aveva visto nascondersi l’ombra. Disgraziatamente, ancor prima che mettesse mano alla fune, la fuliggine scappò in un altro corridoio. Così iniziò una caccia frenetica.
La giovane ci metteva tutto il suo impegno per coglierlo nella giusta tela, eppure ogni volta riusciva a sfuggirle. Più che nascondino, il gioco si era tramutato in acchiapparello, dove il suo avversario non aveva solidità. Ma chi dura la vince, e finalmente con uno scatto misto ad una buona dose di fortuna, riuscì ad inchiodarlo alla tela. Si trattava di un minuscolo omino stilizzato che imbrattava la stoffa. Visto così non faceva più tanta paura, per questo trovò il coraggio di parlargli.<< Finalmente non mi scappi più! Ho vinto. Adesso mi lascerai andare?>> esultò trionfante e sfidando lo scarabocchio con uno sguardo risoluto.
L’omino ammiccò, evaporando per riprendere le sue fattezze. Ib dovette rimangiarsi le considerazioni sulla sua innocuità. 
Mi hai trovato, meriti un premio ” scrisse con le sue strambe lettere abbaglianti senza però risponderle; anzi indicò il fondo della sala dove era appeso il quadro dello chef con il braccio scheletrico come un ramoscello in inverno.
Ma solo se non ti prendo prima ioaggiunse maligno alla fine, schiudendo un ghigno malvagio irto di denti aguzzi dello stesso colore degli occhi. Gli arti anteriori a quel punto si trasformassero in scuri conficcandosi pesantemente nel pavimento. L’audacia abbandonò definitivamente Ib ed il cuore prese a battere all’impazzata. Quel mostro voleva proprio lei! Ma non aveva vinto e pertanto non doveva liberarla? Il suo istinto di sopravvivenza si attivò immediatamente, prese a correre all’impazzata cercando di mettere più distanza tra sé e l’inseguitore, ma non appena svoltò bruscamente a sinistra per schivare una parete, lo ritrovò esattamente difronte a sé. La giovane voleva urlare, ma il grido le morì tra le labbra, tramutandosi in un soffio insonoro. Come poteva eludere un essere fatto di … nulla e che quindi poteva materializzarsi ovunque a suo piacimento. Ritentò di nuovo andando nell’altra direzione, ma ottenne lo stesso risultato. Con la velocità non poteva batterlo, doveva giocarsela in modo diverso, usando l’astuzia, altrimenti non avrebbe più abbandonato quel luogo. Si chiese come mai in ogni stanza dovesse essere una trappola. Girò sui tacchi e ripercorse i suoi stessi passi per tornare al corridoio precedente e nascondersi immediatamente dietro una tenda, tenendola leggermente discostata per non rivelare la sua figura. Si accovacciò a terra, aspettando che l’essere passasse oltre, sentendo avvicinarsi sempre più l’eco delle punte aguzze, che si piantavano nel suolo, finché l’uomo nero non arrivò esattamente dove si trovava. Piantò uno delle sue estremità, esattamente ad una spanna sopra la sua testa, squarciando parte della tenda. Ib portò una mano alla bocca per soffocare un urlo e strinse talmente forti gli occhi che iniziarono a lacrimare. Non aveva idea se l’essere potesse udirla per cui, a scanso di equivoci, pensò fosse meglio non provarci, adottando tutte le misure per rendersi invisibile. Il mostro iniziò a far scorrere il suo artiglio nel muro, aprendolo come se fosse burro e destinando la stessa fine anche al tessuto.
“ Ti prego, ti prego, ti prego,  fa che non strappi la tenda!” pregò a più non posso. Ciò nonostante, come si sa, al peggio non c’è mai fine ed infatti, poco a poco le fibre vennero stracciate lasciando sul pavimento il pesante tessuto. Fu soltanto una questione di buona sorte che il mostro fosse girato di spalle, e  grazie alla prontezza di riflessi della ragazza, che ella riuscì a nascondersi sotto un altro drappeggio, cercando di essere il più silenziosa possibile. Anche quando il campo fu libero, la giovane non volle muoversi. Era terrorizzata, ma non poteva assolutamente restare ferma, tempo pochi attimi e l’avrebbe trovata di sicuro, perciò si costrinse a muoversi in direzione opposta seppur tremando come una foglia. Era necessario raggiungere il quadro o la porta? Una rapida riflessione sulla situazione le suggerì la meno ovvia, ovvero il quadro; inoltre era stato lo stesso essere a darle il suggerimento precedentemente. Aveva una paura folle. Se quel “coso” l’avesse acciuffata, sarebbe stata davvero la sua fine. Quasi quasi rimpiangeva la donna dai capelli neri, almeno con lei aveva avuto qualche chance di salvarsi, qui invece doveva giocarsela, pregando la sua buona stella come in una roulette russa.
Perciò avanzò usando come rifugio ogni tenda ed angolo riparato dal momento che i ruoli si erano invertiti, giungendo così a pochi metri dal traguardo. Dalla sua postazione nascosta poteva vedere benissimo il dipinto che però sembrava assolutamente diverso da come lo ricordasse. Infatti, lo chef aveva calato il suo coltello decapitando il povero pesce, ma della testa non vi era traccia, era letteralmente scomparsa. “ Ci manca solo che debba cercagli la testa” pensò la giovane con amara ironia.
“ Aspetta, cosa c’è sul pavimento?”, dovette costatare. Difatti la sua attenzione era stata calamitata da un oggetto argentato sul pavimento, giusto sotto il quadro. A guardarlo meglio sembrava… sì, sembrava proprio la testa del pesce. Che si trattasse della sua ricompensa. Si chiese se non fosse accaduta la stessa cosa che aveva visto nella galleria e con il quadro della donna in bianco. Stare lì impalata a porsi domande all’infinito era rischioso, doveva agire e subito perché l’essere nero si stava spazientendo di non riuscire a trovare la sua preda.
“ Ok Ib, tranquilla, puoi farcela. Sono solo pochi metri, con uno scatto la raggiungi sicuro. Dai Ib!” si incitò mentalmente e dopo l’ennesimo respiro profondo, lasciò il suo riparo.
Corse come mai nella sua vita, senza voltarsi indietro, chiedendo alle sue gambe uno sforzo disumano, ad ogni modo il suo corpo le rispose prontamente. L’ominide fumoso avvertì subito i passi della ragazza e le fu addosso in un baleno, infilzando i poveri muri con le sue lame e sfregiandone molti altri.
Ib si lanciò a peso morto sulla testa del pesce, mentre la scure dell’uomo nero le sibilava a un soffio dal cranio. Le sue mani, però, furono più veloci, richiudendosi avide sul bottino e immediatamente l’essere evaporò in una pioggia di gocce nere come la pece. Anche in quest’occasione la rosa, che la giovane aveva infilato tra le asole della camicetta, perse un altro petalo avvizzito. Non aspettò di riprendere fiato, si catapultò verso la porta, che aperta, cedette sotto il suo assalto, e la oltrepassò grata della fine dell’ennesimo incubo.
Gli occhi felini la aspettavano colmi di scherno, ma non appena videro la testa mozzata dell’ittiopside, si fecero brillanti e attenti per la golosità suscitata da quella leccornia.
“ È il pesce che vuoi?” pensò stremata e piena di astio. << Sto facendo tutto questo per te, brutto faccia da muro>> sbottò, contro l’unica cosa che di certo non poteva saltarle addosso, mostrandole il bottino. Di solito Ib non era così irosa o istigatrice ma, trovarsi sempre sotto stress e in uno stato di lotta/fuga, stava mettendo la stabilità mentale oltre all’autocontrollo, a dura prova.
Sull’altro capo del corridoio, a destra, l’ennesimo uscio immise in quello che aveva tutta l’aria di un ripostiglio o magazzino pieno di oggetti inutilizzati. C’erano manichini accantonati in un angolo, alte pile di scatoloni da una parte e più in là a una fila di teste di gesso dall’altezza di un uomo. Probabilmente l’altra parte del pesce doveva trovarsi tra quegli scatoloni impilati o dietro ad uno di quei mezzi-busti di profilo. Per lo meno stavolta sembrava una ricerca abbastanza semplice, costatò rassicurata. Decise allora di ispezionare il locale partendo dal fondo, anche se la cosa non si prospettava tanto piacevole, con quelle luci sfarfallanti e psichedeliche. Notò solo allora, tra un flash di luce artificiale e l’altro, una gigantografia della scultura a forma di rosa osservata alla galleria.
“ Questo adesso che significa?” disse sbigottita tra sé e sé. Proprio quando aveva deciso di non pensare ad una possibile connessione tra quel labirinto infernale e la mostra di Guertena, qualcuno decideva di turbare la voluta inconsapevolezza dei fatti. “ non devo cedere a questi trucchetti”. Si era ormai convinta che vi fosse qualcuno dietro a tutto ciò, altrimenti non si sarebbe spiegata i biglietti e le numerose scritte apparse qua e là, e che questo qualcuno volesse farle prendere uno spavento, sebbene il motivo le sfuggisse. Forse, la ragazzina aveva intuito solo in parte la verità o forse no, c’erano ancora troppi tasselli mancanti del puzzle da rintracciare, per avere un quadro decente o solo un’idea plausibile. Ad ogni modo la giovane decise di procedere nel suo piano, preferendo muoversi e tenersi impegnata, piuttosto che stare ferma ed aspettare che qualcos’altro di spiacevole si verificasse. Purtroppo non doveva stare attenta solo alle cose, ma anche a dove metteva i piedi, poiché una spaccatura nel pavimento per poco non la fece ruzzolare a terra e sbattere la faccia. Incespicò, ma alla fine riuscì a rialzarsi indenne, maldicendo il difetto edile. A un capo della stanzetta trovò finalmente una cosa nota, un vaso della stessa fattura e identico a quello in cui aveva trovato la sua rosa, pieno fino all’orlo di acqua cristallina. Prima che potesse chiedersi il motivo di tutto ciò, la medesima voce che l’aveva guidata al fiore comparve di nuovo tra i suoi pensieri.

‘Ib, fanne buon uso, ti aiuterà’
<< Chi sei? Perché mi aiuti? Per favore rispondimi o impazzirò>> chiese supplice la ragazza al nulla tremolante della stanzetta. L’essere impalpabile si era dileguato per l’ennesima volta. Sospirò sconfitta, senza altro indizio se non fare quello che le era stato consigliato. Ipotizzò quindi, che quello affidatole come indizio, si riferisse alla rosa scarlatta che teneva saldamente in mano, perciò lasciò che quell’acqua azzurrina ne lambisse il gambo. In un batter d’occhio il bocciolo assorbì tutto il liquido rigenerando i petali perduti, che solo in quel momento Ib si accorse essere mancanti. Poi come era successo precedentemente, il coccio si ruppe.  Curiosamente si sentì molto più in forze, come dopo una pausa da un gravoso sforzo. Capì allora le parole che l’essere etereo le aveva rivolto in precedenza sul fatto che lei e la pianticella che trasportava fossero la stessa entità. Doveva prendersi molta più cura di quel prezioso regalo che adesso assumeva connotati più seri, ne andava della sua stessa salute.
Nonostante tutta la stanza fosse tranquilla e silenziosa, non era prudente abbassare così tanto la guardia, poiché gli spaventi non vengono mai soli e così, mentre riprendeva a rovistare nei cartoni, alla ricerca di una coda squamosa, e persa fra i suoi pensieri sull’evento straordinario appena visto, una delle teste si mosse dal gruppo. Avanzò piano una manciata di centimetri alla volta con gli occhi iniettati di un rosso cupo, tuttavia fermandosi ad ogni movimento dell’intrusa. Sembrava volesse giocare ad uno, due, tre, stella! E sorprenderla ancora affaccendata nella ricerca.
Nei primi scatoloni Ib, trovò solo un mucchio di tavolozze sporche abbinate a manciate di tubetti secchi e nessuna coda di legno, quando un rumore graffiante, come qualcosa che venga trascinato sul pavimento, la strappò dalle sue ipotesi, facendole  rizzare i capelli sulla nuca.
“Basta, ti prego! … non ne posso più!!” stava per arrivare al limite, i suoi nervi erano talmente tesi da rischiare di spezzarsi come foglie secche, vanificando il lieve beneficio apportato dal vaso..
Fortunatamente non a tutti i partecipanti “non umani” di quel gioco, le brutte sorprese andavano bene ed la stessa crepa sul pavimento, lo fece capitombolare.

Crash!
Ib si porto di scatto le mani alle tempie credendosi ormai spacciata. Dopo un po’ però si voltò, non sentendo più nessun rumore e con il cuore che batteva all’impazzata, per poco non rischiò di finire in uno degli scatoloni alle sue spalle. La testa di gesso si era aperta in due come un cocomero troppo maturo, e dalla sua calotta cranica vuota, era saltato fuori il pezzo mancante della chiave.
Lo raccolse in tutta furia, senza accertarsi se la statua fosse ancora “viva” o meno. Mentre una domanda inevitabile le affollava i pensieri, “ Se non fosse caduta cosa sarebbe successo?”. Basta doveva lasciare quel dannato posto e alla svelta, ne andava della sua salute non solo mentale. Per cui una volta arrivata nel corridoio, assemblò il pesce di legno per poi mostrarlo all’avido gatto guardiano. In un batter d’occhio una lingua ruvida e spinosa fuoriuscì dal muro, arrotolandosi sulla mano della ragazzina. Era calda e viscida, come una vera lingua di un essere vivente, e le grattò l’arto prima di ritirarsi da dove era arrivata portando con sé la sua chiave pranzo. I gatti non le erano mai piaciuti molto, erano esseri egoisti che ti si avvicinavano solo per ottenere qualcosa poi se ne andavano rapidamente come erano venuti. Per questo guardò con diffidenza tutte le mosse del felino, con un moto di disgusto quando la lingua le cinse il polso.
Il pavimento prese a tremare, squassando tutto il locale e, con un acuto miagolio, la parete si spezzo in due lasciando intravedere una lunga passerella verso un nuovo locale. Il micio era stato tranciato a metà, dividendo il suo muso in strappi slabbrati e sanguinolenti. Con i conati di vomito che le occludevano la gola, Ib si affrettò ad attraversare il varco, badando bene e non soffermarsi sulle pozze scarlatte che andavano formandosi alla base del muro, mentre un olezzo ferroso riempiva l’aria. Stavolta non poteva sbagliarsi, non era semplice tempera rossa. Perciò affrettò il passo, temendo anche che potesse chiudersi e lasciarla indietro da un momento all’altro; infatti, fece appena in tempo a uscirvi che la parete ritornò nuovamente compatta senza lasciare alcuna traccia del passaggio, del sangue o degli strappi, tornando semplicemente di un monotono color sabbia.
<< Che…>> cercò di dire, ma l’inquietudine le strappò il fiato. Davanti a lei si stendeva una distesa interminabile di bambole che pendevano dal soffitto in pose scomposte e macabre; alcune erano addirittura ad altezza d’occhio e la fissavano con lo sguardo vitreo e inanimato. Erano tanto realistiche che soltanto la loro vista, bastò a farle venire i brividi, per non parlare del disagio che provava, sapendo che avrebbe dovuto attraversarla; poteva benissimo essere scambiata per una sadica camera mortuaria.
Fortunatamente toccò qualcosa con la punta della scarpa e questo la distolse momentaneamente dalla macabra vista. Sul pavimento c’era una lettera bianca con solo poche parole leggibili su tutte le righe scritte a matita: “ … Proprio quello che hai dimenticato … Ib...”.  Il resto del testo era stato malamente cancellato.
Cosa ci faceva una lettera in un posto simile, ma soprattutto perché il suo nome era scritto anche lì? Che cosa aveva dimenticato, ma soprattutto chi aveva scritto una cosa simile?!
La ragazza era notevolmente turbata.
“ Come fa a sapere anche questo?” si chiese piena di sgomento, rievocando la sensazione che vi fosse qualcosa di importante che le stesse sfuggendo da quando si era svegliata in quella galleria ammantata di ombre. Indagò più a fondo la scrittura, sperando di trovarvi qualche indizio in più; non era quella infantile che aveva trovato sui fogliettini gialli, poiché presentava dei tratti più marcati e lineari, nel complesso era una grafia complessa, non opera di un bambino. Per questo si chiese nuovamente quante persone fossero coinvolte in tutta quella serie di eventi, ciò nondimeno: Perché lei. Che cosa volevano da una ragazzina, un riscatto o cos’altro?! Cosa?! Aveva i nervi a pezzi. Sembrava lo facessero apposta a confonderla, mandarle degli indizi discordi, lasciarla in balia di mostri e allucinazioni macabre. Volevano sfinirla, perché più lei cercava di stare calma, più avvenivano episodi che minavano il suo raziocinio. Infatti, Ib era sempre stata una ragazzina abituata a ragionare sui problemi e trovarvi una soluzione, consuetudine presa dal metodo educativo dei suoi genitori, tuttavia quello che le stava capitando era fuori dal su controllo, e più si arrovellava nel trovare dati mancanti nello schema di cui faceva parte, più aumentava la sua angoscia e disperazione.
E se fosse stato tutta un’azione premeditata del suo aguzzino per confonderla e spingerla sempre di più all’interno di quel gioco malato? In questo modo, con il suo atteggiamento spaurito, stava assecondando i piani di questo fantomatico mastro di fili, che stava intessendo anticipatamente le sue azioni future.
L’assurdità dei suoi stessi pensieri la fece rinsavire da quelle ipotesi astruse che affollavano come trottole impazzite la sua mente. Doveva focalizzarsi sul suo obbiettivo: proseguire per scoprire la verità di quanto stava accadendo, senza farsi distrarre dai giochi mentali che l’allestitore della sala aveva disposto per metterla in crisi. Decise di ignorare perciò le bambole che pendevano macabre dal soffitto e seguire gli indizi che la vernice gialla aveva inciso sul muro.

“ I numeri aprono la via”.
Un nuovo indovinello significava una nuova brutta sorpresa; perciò, con l’angoscia nel cuore, Ib si costrinse ad avanzare nel cimitero sospeso.

 

 

 

   
 
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