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Autore: VolkIrina    24/12/2015    0 recensioni
I lupi non sono mai scomparsi. Sono come noi. Sono in mezzo a noi.
Mischa non sa nulla, ma Aleksey lo guiderà dove altri hanno fallito.
Una storia di distruzione e di esseri sovrannaturali crudeli.
Una storia di lupi. Una storia d'amore.
Una storia, per la sopravvivenza.
Genere: Dark, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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- E con questo capitolo del libro concludiamo lo studio della Francia. Ci sono domande?-
L'intera classe sembrò risvegliarsi da uno stato di trance. Il professor Nicholas se ne accorse, ma fece finta di nulla. Lanciò sguardi di fuoco a tutti i suoi studenti prima di continuare.
- Visto che siete tutti così bravi, la prossima lezione faremo un test. E non si discute.-.
Un mormorio di disappunto percorse tutta la stanza. Il professore stava per aggiungere altro, quando suonò la campanella.
Mi alzai controvoglia e uscii senza guardare nessuno. Mi diressi verso il mio armadietto, dall'altra parte della scuola. Arrivato a destinazione, sentii qualcuno che mi chiamava.
- Ehi Gav!- Voltandomi per indagare andai a sbattere contro un altro studente. Non mi scusai. Avevo ben altre cose per la testa. Dal nulla spuntò un ragazzo piuttosto basso, dagli occhi nocciola e dai capelli biondi.
- Terra chiama Gav... Mi senti?-. Sospirai. Era su di giri. Brutta storia.
- Amico, devi starmi a sentire. C'è in programma una festa al porto per domani. Posti limitati. E indovina un po'? Ho due biglietti. E visto che siamo migliori amici... Tu verrai con me.-.
- Una festa?-. Il mio tono dubbioso fece imbronciare il viso del ragazzo. - Chris, ti ho già spiegato che a me le feste non piacciono. Vacci con qualcun altro, io ho di meglio da fare.-.
Chris si interpose tra me e l'armadietto. I suoi occhi non ammettevano un no come risposta. Incrociò le braccia, in attesa. Quando capì che non mi sarei espresso in merito, parlò di nuovo.

- Mischa Gavriilov.-. Ahia, nome completo. Adesso mi fa una ramanzina coi fiocchi, pensai.
- Domani è il tuo diciannovesimo compleanno. Non posso permettere che lo festeggi da solo, a casa. I tuoi zii sono fuori città. Sei single. Libero. Super libero. E stai dicendo di no a una delle feste più fantastiche della storia?-.
Scossi il capo. In effetti aveva ragione. Nonostante odiassi le feste, dovevo ammettere che la proposta era allettante. Tanto non ho nulla di meglio da fare.
-
D'accordo, ci sto. A delle condizioni.-. La luce della vittoria negli occhi di Chris scemò quasi subito.
- Condizioni? Non ti basta che io, Chris O'Neil, il ragazzo più popolare della scuola, ti abbia invitato a questa meravigliosa festa salvandoti dalla solitudine?-.
Scoppiai a ridere. La modestia di questo ragazzo era davvero inesistente.
- Oh, potente sovrano Chris O'Neil!-. Risi di nuovo. - Le condizioni sono che andiamo con la tua auto, sia andata che ritorno. E mi devi riportare a casa
mia, non tua. Chiaro?-. Lui annuì, poco convinto. Prima di dirigermi verso la lezione successiva, decisi di precisare un'altra cosa. - Ah, non contribuirò alla spesa per la benzina.-. Mi allontanai ridendo, con le minacce e imprecazioni di Chris in sottofondo.

Quando suonò l'ultima campanella mi sentii sollevato. Mi affrettai verso il parcheggio. Non vedevo l'ora di arrivare a casa. Zia Olga e zio Mikail sarebbero stati fuori città ancora per un paio di giorni. Salii in macchina e misi in moto. Uscii dal parcheggio e mi infilai a tutta velocità nella superstrada. La casa degli zii era sperduta in mezzo ai boschi, distante da qualsiasi altra abitazione. Mi piaceva.
Perso nei miei pensieri quasi non mi accorsi dell'animale che mi si parò davanti. Inchiodai, sperando di non colpirlo. Durò solo un secondo.
Con il fiatone per lo spavento, mi feci coraggio e scesi dalla macchina. L'animale era fuggito. Ringraziai il cielo che l'animale stesse bene e che la mia macchina non avesse subito danni. Mi rimisi alla guida, mantenendo la velocità al di sotto i limiti. Arrivai a casa con ancora il cuore a mille.
- Sono a casa!-. Buttai la cartella di scuola sul divano e mi diressi in cucina. Mi voltai appena in tempo per vedere Cody venirmi addosso.
- Cody! Smettila di leccarmi la faccia!-. Cody era un regalo degli zii per il mio quindicesimo compleanno. Di razza meticcio, aveva quel non-so-che di pastore tedesco.
Mi alzai ridendo. Gli feci i grattini dietro le orecchie prima che se ne tornasse a dormire sul divano.
Guardandolo trotterellare verso il soggiorno mi ricordai cosa ci facevo in cucina.
Aprii il frigo e impiegai tutta la mia concentrazione per farmi un sandwich al tonno. Mi accomodai su uno sgabello vicino al bancone, ripensando all'animale di prima. Cercai di scervellarmi per ricordare che bestia fosse, ma non ricordavo assolutamente niente. Dopo interminabili minuti decisi che avrei dimenticato l'accaduto. Finii di mangiare e mi diressi in camera mia, al secondo piano.
La porta era aperta. Ero sicuro di averla lasciata chiusa prima di uscire. Mi avvicinai lentamente. Dei passi risuonavano all'interno della stanza. Sbirciando all'interno notai una figura minuta che percorreva il lungo e il largo la camera, come se cercasse qualcosa. I cassetti del mio armadio erano stati spalancati e svuotati, il contenuto riverso a terra.
Inspirai piano. Dovevo fare qualcosa. Raccolsi tutto il coraggio che avevo, e spalancai la porta.
Per una frazione di secondo i nostri sguardi si incrociarono. I suoi occhi, l'unica porzione del viso scoperta, erano di un colore che mai avevo visto. Lilla.
Non feci in tempo a parlare o a muovermi, che la figura sparì attraverso la finestra che dava sulla strada. Corsi a controllare, sicuro che chiunque fosse si sarebbe fatto un male cane saltando dal secondo piano. Ma quando mi sporsi dal balcone non c'era nulla. Non un corpo, non un segno di passaggio. Nulla.
Mi girava la testa.
Come era possibile? Chi era? Che ci faceva in camera mia? Che cosa...
Non ebbi tempo di finire la domanda della mia mente, che tutto divenne scuro.
Mi accasciai al suolo.



Mi svegliai con gli squilli del mio cellulare. La testa mi girava ancora, ma raggiunsi le mie tasche e presi il telefono. Era zia Olga.
- Mischa, tutto okay?-. Aveva un tono preoccupato. - Ti ho chiamato tre volte, ma non hai mai risposto! Ero in pensiero...-. Ero ancora un po' intontito.
- Scusa zia, è che ho avuto un altro svenimento. Adesso sto bene, non agitarti.-. Non era la prima volta che perdevo i sensi senza motivo. Lei lo sapeva, ma nessuno conosceva la causa.
Silenzio.
- Zia Olga, ci sei ancora?-. Il suo improvviso silenzio mi preoccupava.
- Quando è stata l'ultima volta?- La domanda arrivò inaspettata. Il tono serio usato non prometteva nulla di buono.
Ci pensai su qualche istante. - È stato due giorni fa, se non ricordo male. Ma che centra? Parlami di voi piuttosto! Come sta andando il lavoro? Lo zio sta bene?-. Volevo solo cambiare discorso.
- Scusa tesoro, devo andare. Tuo zio mi chiama. Ti richiamo io più tardi.-. Senza aspettare una mia risposta riattaccò.
Rimasi imbambolato con il telefono all'orecchio. La reazione di zia Olga era insolita.
Il ricordo di cosa era accaduto prima che svenissi mi colpì come uno schiaffo. Mi alzai in fretta, guardandomi intorno.
Era tutto in ordine. Non un oggetto fuori posto. Pensando di essermi immaginato tutto mi diressi verso il bagno, deciso a farmi una doccia calda. Avevo bisogno di calmarmi.
Tolsi la maglietta e la gettai nel cesto. C'era qualcosa che non andava in me. Mi guardai allo specchio.
- Non c'è nulla che non va, scemo.-. Finii di spogliarmi e mi infilai sotto il getto d'acqua bollente.
Sto diventando pazzo, sicuro.
Rimasi in doccia fino a che l'acqua calda non terminò. Mi asciugai in fretta e, senza vestirmi, iniziai a girare per casa, senza meta. Era quello il bello di non avere nessuno per casa. Potevi fare tutto quello che volevi, anche girare nudo.
Con un'espressione di beatitudine tornai di nuovo in camera mia. Presi il telefono. Segnava le 20.40.
Non avevo voglia di cenare, così indossai il pigiama. Cody aveva la sua ciotola del cibo piena, così non me ne preoccupai.
Corsi sotto le coperte, pronto per una notte di sonno rigenerante. Dovevo dimenticare tutto l'accaduto della giornata.
Chiusi gli occhi, sospirando.
Con i pensieri rivolti a zia Olga mi addormentai.


Stavo sfrecciando attraverso la foresta. E non ero solo. Mi fermai e mi nascosi dietro un'enorme roccia ad ascoltare. Il vento freddo della notte trasportava odori e suoni lontani. Foglie che si agitavano, topi che correvano veloci nelle loro tane per sfuggire ai predatori.
Passi veloci. Erano in due.
Senza indugiare oltre ricominciai a correre. I passi, troppo leggeri per essere umani, erano sempre più vicini.
Arrivato in una piccola radura cercai di riprendere fiato.

Mi voltai giusto in tempo per vedere due ombre gigantesche uscire dagli alberi. Appena furono illuminati dalla luce lunare un brivido mi percorse le interiora. Lupi.
Lo abbiamo trovato, sorella. Il lupo dal manto scuro si voltò verso la compagna.
È lui, non c'è alcun dubbio... Gli occhi della lupa mi squadrarono per intero, prima di parlare. Erano di color lilla.
- Mischa Gavriilov. Devi venire con noi. Non sei al sicuro qui.-. Scossi violentemente la testa. Non avevo la forza di parlare. Mi limitai a fissarli, incredulo. Anche l'altro lupo aveva gli occhi dello stesso incredibile color lilla.
- Non costringerci a prelevarti con la forza.-. Era stato l'altro lupo a parlare. - Stanno arrivando. Scegli. La libertà o la schiavitù.-.
Sentivo dietro di me altri passi. Dovevo fidarmi di loro. Se volevano uccidermi speravo fosse in maniera veloce e indolore.
Mi diressi verso di loro, con cautela.
Il maschio si rivolse a me. - Ottima scelta.-
Si avvicinò fino a sfiorarmi l'orecchio con il suo lungo muso. Lo sentii sussurrare, ma non capii subito.
Scusami...
Poi andai in fiamme.



Mi svegliai di soprassalto, tutto sudato. Delle contrazioni allo stomaco mi costrinsero a correre in bagno, dove svuotai anche la mia anima dentro il gabinetto.
Cercai di alzarmi per rinfrescarmi la faccia, ma non riuscivo a reggermi in piedi.
Feci una decina di respiri profondi prima di riprovarci. Appoggiandomi al lavandino riuscii ad arrivare all'armadietto dei medicinali. Ancora mezzo stordito ingoiai due aspirine prima di tornare in camera.
Cazzo. Mi sento uno schifo. Ho la febbre, sicuro.
Arrivato alla porta della mia stanza mi fermai.
Una ragazza aveva acceso la luce e sedeva comoda sul mio letto. Quando mi vide si alzò e mi porse un biglietto.

È ORA DI ANDARE.


Non riuscivo a capire. Mi voltai per chiedere spiegazioni, ma un colpo alla testa mi fece crollare.
- Dobbiamo muoverci.-. La voce maschile non mi era sconosciuta, ma non riuscivo a ricordare. Mi è così familiare...
L'uomo mi issò sulle spalle e si diresse veloce verso l'esterno della casa. Mi sentivo ancora uno straccio, e cullato dal movimento ondeggiante del mio rapitore, mi riaddormentai.



Ya-hoo! Sempre io, VolkIrina!
So cosa state pensando... “Ma sto povero cristiano è sempre privo di sensi!”
Eh lo so, ma abbiate pazienza! Nel prossimo capitolo si farà un po' più di chiarezza.
RECENSITEEEEE!

Bacioni

   
 
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