Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Alina Alboran    29/12/2015    1 recensioni
Elisa.
Un tempo una ragazza fiduciosa nella vita, con un sorriso radioso capace di scaldare il cuore a chi le stava accanto e innamorata dei sentimenti.
Oggi una ragazza chiusa nei ricordi, con un sorriso che stenta a estendersi agli occhi e ancorata al simbolo della perdita subìta, marchiato sulla pelle.
.
Davide.
Un ragazzo troppo impulsivo, morbosamente curioso e dal sorriso contagiante.
Ma anche a tratti molto insicuro, intimorito dalle troppe certezze sgretolate e bisognoso di affetto.
Destino vuole che i due si trovino uniti nella stessa famiglia, nelle vesti di fratelli, o meglio, fratellastri.
Tra una convivenza inaspettata, stanze condivise, litigi, disagi, sorrisi rubati, ricordi riemersi e parole confessate potrebbe nascere qualcosa di nuovo.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Image and video hosting by TinyPic

Capitolo due

A

veva ceduto. Ancora una volta aveva preferito mettere davanti i desideri degli altri, ancora una volta aveva calpestato se stessa e il suo orgoglio.
Per cosa poi? Il sorriso vittorioso sul volto di Giulia? Quello di gratitudine e riconoscenza di sua madre?          
Uscite dal bagno, Rossella comunicò la notizia al resto della famiglia ed Elisa poté osservare –quasi come se fosse uno spettatore esterno –l’effetto che la sua decisione aveva prodotto sugli altri.  
Guardò Davide, ma il dispiacere che lesse sul suo volto le fece abbassare immediatamente gli occhi, incapace di sostenere quello sguardo che sembrava volesse scavarle dentro.    
Si sentiva tremendamente in colpa per come aveva trattato quella che –volente o nolente –non sarebbe stata più solo la figlia della compagna del padre, ma la sua nuova sorella acquisita.                    
E quando intravide –anche se solo per qualche secondo –il dolore che, ponendola in quella penosa situazione, tutti loro le stavano provocando, giurò che avrebbe fatto di tutto per far sparire quella costante patina di sofferenza che caratterizzava la ragazza.      
«Ho fame», annunciò Giulia prima di voltare le spalle a tutti ed entrare in cucina.           
Rossella sospirò e si impose di calmarsi –il desiderio di prendere quella ragazzina a male parole era tanto che le ci volle più di qualche secondo –e disse che appena Elisa si sarebbe fatta la doccia avrebbero cenato.       
La porta che collegava il soggiorno alla cucina era aperta e perciò la sedicenne non ebbe alcun problema a sentirla.           
«Ma io ho fame ora», esclamò alzando il tono di voce di qualche ottava.  
Sergio era consapevole che quella nel torto era sua figlia, sapeva che la ragazza stava facendo di tutto per non far funzionare quella convivenza già complicata di suo, ma era debole e aveva paura di perdere l’amore di quella che lui, nel suo amore di padre, vedeva ancora come la bambina che anni prima, appena lui rincasava, si appostava dietro la porta per accoglierlo con un bacio.   
«Elisa, ti dispiacerebbe fare la doccia dopo?», propose cercando di ignorare lo sguardo di rimprovero della compagna e quello di sorpresa del figlio.           
«Non preoccupatevi, non ho fame», rispose con le lacrime che, impertinenti, cominciarono a scenderle sui  zigomi ossuti senza che lei potesse fare nulla per fermarle. 
«Io…», provò a parlare quando vide la reazione, sicuramente tanto esagerata quanto comprensibile, di Elisa.   
«Grazie, papà», sussurrò Giulia con gratitudine avvicinandosi e baciandogli la guancia ruvida.  
“Come quando era piccola”, pensò.  
Sergio era combattuto; voleva bene ad Elisa, ma l’altra era sua figlia e la amava. 
Rossella non aveva distolto lo sguardo dalla figlia nemmeno per un attimo; e quando quella lasciò la stanza per dirigersi nella propria camera da letto, continuò a fissare il vuoto per qualche altro secondo.
«Non mangerò nemmeno io», pronunciò dura, severa, delusa…    
Quella sera i presenti a tavola furono tre: Sergio, Giulia e Davide. L’unica ad aver avuto appetito fu Giulia.

Elisa piangeva tra le braccia della madre, stringeva con forza la camicetta di lei come se fosse l’ultimo appiglio che la teneva attaccata alla vita.      
«Una parola, un gesto e tutto finisce», sussurrò baciando tra le lacrime i lisci capelli della figlia.
Elisa negò con la testa e, trattenendo a stento i singhiozzi, chiese scusa alla madre.         
«Mi dispiace», cominciò, asciugandosi con il pugno chiuso gli occhi. Azione inutile perché le lacrime vennero subito sostituite da altre, ma che le servì per darsi un certo contegno.      
«Mi dispiace di essere così. Scusa se sono sbagliata e non faccio altro che causarti problemi».    
Alle parole della figlia, Rosella non poté più controllarsi e le lacrime che prima le solcavano il volto ad intervalli irregolari, adesso si susseguivano veloci l’una all’altra; quasi come se si rincorressero in una gara senza vincitori né vinti.              
«Ascoltami bene», disse prendendo tra le mani il viso umidiccio e arrossato di Elisa, «tu sei la cosa più bella della mia vita, l’unica ad avermi dato la forza per continuare ad andare avanti quando tuo padre è morto, la sola persona al mondo per la quale vivo e per la quale smetterei all’istante di respirare se solo sapessi che questo ti gioverebbe. Io vivo per te, Elisa; non per Sergio, non per me. Se ho superato la morte dell’uomo che amavo è stato solo perché tu avevi bisogno di me, bambina mia». 
Le lacrime dell’una e dell’altra si confusero nell’oscurità della notte e persino Davide, accostato dietro la porta semiaperta, non poté fermare una lacrima che, solitaria, si infranse sulle labbra piene.      
Davide non aveva sentito il discorso per intero, ma quelle poche frasi, sussurrate tra un abbraccio ed una carezza, lo avevano scosso.         
Non poteva spiegarsi cosa lo spingesse a preoccuparsi tanto per Elisa, forse era il senso di colpa, forse voleva rimediare un poco al male che sua sorella –consapevole o no –le causava. 
Sergio, al buio e disteso sul letto quasi intatto, aspettava di veder da un momento all’altro la figura della donna amata che oltrepassava la soglia della porta e che gli sorrideva amorevolmente.   
Quella notte Rossella non ritornò a dormire in camera con il compagno.   
Intorno a mezzanotte, quando l’uomo era crollato già da una ventina di minuti, Davide entrò nella stanza; guardò il padre per qualche secondo, si tolse i pantaloni e la camicia e poi, scostate le coperte e infilatosi sotto, si addormentò.           
Giulia, anche lei sul letto, ascoltava la musica e sorrideva. Un sorriso amaro e gli occhi rossi e umidi.    
Voleva piangere. Lei, che all’apparenza non ne aveva motivo.       
Giulia, che non era cattiva.   
Forse un po’egoista e viziata.
Gelosa, impaziente e sfacciata.         
Ma non cattiva.

Elisa quella notte si addormentò con le carezze della madre, finalmente tranquilla e rilassata.     
Rossella non dormì. Cuore di mamma non conosce mai pace e, ascoltando il respiro regolare della figlia, si chiese dove avesse sbagliato.           
Perché, rifletté, doveva pur aver sbagliato in qualche cosa per spingere Elisa ad elaborare simili pensieri.
La guardò e sorrise.   
Un ricordo di tanti anni fa –quando suo marito era ancora vivo e la ragazza che ora stringeva tra le braccia aveva solo sei anni –le attraversò, fulmineo, la mente.  
Una piccola peste, nel mezzo della notte, aveva abbassato con lentezza e in silenzio la maniglia della porta e con altrettanta lentezza era entrata nel letto della madre che, istintivamente e senza nemmeno svegliarsi, la accolse tra le sue braccia.    
Desiderò di poter ritornare indietro nel tempo, di cambiare quel maledetto destino che aveva strappato la vita dell’uomo amato.


La mattina dopo gli unici ad essersi svegliati furono –ironia della sorte –soltanto i tre ragazzi.    
Seduti intorno al tavolo rotondo consumavano la colazione con lo sguardo rivolto verso la tazza di latte e cereali, ognuno con il timore di incontrare lo sguardo dell’altro.     
Elisa si vergognava per la scenata della sera prima, Davide non sapeva come comportarsi dopo aver sentito il commovente discorso madre-figlia, e Giulia avvertiva ancora i sensi di colpa che non le avevano dato pace per tutta la notte.          
Era domenica e nel tardo pomeriggio Davide sarebbe ritornato nell’appartamento che condivideva con alcuni amici, se così poteva definirli, dell’università.        
E se il giorno prima non vedeva l’ora che il fine settimana passasse il più velocemente possibile, adesso aveva paura di cosa sarebbe successo in sua assenza.                  
«Vedete di non ammazzarvi mentre non ci sono», cercò di smorzare la tensione.
Peccato che nessuna delle due ragazze avesse capito la sua intenzione, e quello che ricevette furono un “fanculo” sussurrato dalla sorella e un’occhiata infastidita da Elisa.   
Quando Sergio e Rossella entrarono in cucina niente era cambiato anzi, dopo la battuta incompresa di Davide, il silenzio era diventato ancora più tombale.   

Appena si fu svegliato, Sergio ebbe come primo pensiero Rossella e, immaginando che la donna fosse rimasta a dormire nella camera della figliastra, bussò con cautela alla porta di questa e, non udendo alcuna risposta, la aprì cercando di non fare alcun rumore.  
Elisa non era in camera e Rossella dormiva tranquilla abbracciata al cuscino.        
Passò qualche minuto a guardarla dormire, incapace di elaborare delle scuse capaci di convincere l’amata.
«Mi dispiace», cominciò sicuro di non essere sentito e scostandole una ciocca di capelli dagli occhi, « non è facile neppure per me e non so come agire».          
«Ci amiamo, e la faremo funzionare».          
Sergio, che non si aspettava risposta, trattenne a stento un sussulto di paura e sorrise pieno di gratitudine.


«Mamma, alle undici vado da Martina»       
«Esco anche io, papà, sono a pranzo dai genitori di Lorenzo», disse Giulia alzandosi di scatto dalla sedia appena si rese conto dell’ora: era la volta buona che il fidanzato si decidesse a lasciarla se arrivava in ritardo per l’ennesima volta.  
«Io mi sono portato dei libri dietro e vado a studiare in biblioteca. Non aspettatemi a pranzo», mugugnò Davide con la bocca piena di merendine al cioccolato.   
«Ma…».
«Che ne è stata della domenica in famiglia?», mormorò Sergio deluso; ma ormai in cucina non erano rimasti che lui e la compagna.  

Elisa si stava cambiando quando Davide bussò, chiedendo il permesso di entrare.           
«Aspetta due secondi», urlò la ragazza allacciandosi in fretta il laccetto del reggiseno e infilandosi veloce la maglietta che aveva appoggiato sul letto.     
«Entra».
Davide oltrepassò l’uscio con circospezione, quasi come se temesse che da un momento all’altro la sorellastra lo cacciasse.       
Il giorno prima ci aveva passato qualche ora in quella stanza ma adesso, con Elisa che si rassettava i capelli davanti allo specchio, non gli sembrava più la stessa.           
«Ieri ho lasciato il libro sulla scrivania».       
«Non devi giustificarti, questa è anche camera tua».          
Dal suo tono il riccio capì che la lite del giorno precedente non gli era ancora stata perdonata, non completamente.
«Già… Più tardi porterò la mia roba: l’ho lasciata nel garage».      
Non gli piaceva il silenzio, non che lo mettesse a disagio o altro, ma la sentiva come una mancanza di rispetto nei confronti del suo interlocutore e perciò, vedendo l’ostinazione dell’altra che non voleva parlargli, riempì il vuoto con osservazioni senza né capo né coda. 
Osservazioni che, tuttavia, strapparono un sorriso alla giovane che, nel frattempo, cercava una scusa plausibile per potere uscire dalla stanza senza risultare troppo maleducata o fredda.       
«Ieri ho detto un mucchio di sciocchezze, ma giuro che ti solito non sono così. Scusa».  
Ed Elisa lo perdonò, incapace di tenere il broncio a qualcuno tanto allegro e espansivo come Davide.   
«Non ti darò fastidio», ricominciò raggiungendo in un solo passo la porta e impedendo alla ragazza di uscire.  
«Allora spostati».      
«No! Mi devi ascoltare».      
«Sentiamo», si arrese incrociando le braccia al petto e fissandolo di traverso.       
«Dicevo: non ti darò fastidio, mi avrai tra i piedi solo il fine settimana e –a condizione che anche tu mi permetta di fare lo stesso –ti prometto che nel caso la notte russassi, sei autorizzata a svegliarmi con calci, pugni e schiaffi».           
«Hai finito?», chiese l’altra alzando gli occhi al cielo più divertita che infastidita.
«No».
Abbassandosi all’altezza di lei e lasciandole un bacio umido sulla guancia disse: «Ora ho finito».
E la lasciò lì, imbambolata e con il volto rosso per l’imbarazzo e la rabbia; l’aveva presa per i fondelli e lei non se ne era nemmeno accorta.

 

Diretto verso la biblioteca, Davide pensò alla conversazione avuta con Elisa e al bacio che l’aveva fatta infuriare tanto.  
Era un tipo molto allegro e vivace –contrariamente alla ragazza che sembrava avesse dimenticato come fosse ridere di cuore –e vedendola di fronte a lui, spazientita e con le guance gonfie per la stizza, non ci pensò più di due secondi prima di lasciare un bacio su quelle stesse guance che gli ispiravano tanta tenerezza.       
Il viaggio in moto era alquanto lungo e, quando le prime gocce di pioggia gli bagnarono il giubbotto, Davide capì che avrebbe fatto meglio a fermarsi; la sua ambita destinazione era ancora lontana, contrariamente alla pioggia che invece era sempre più imminente.    
Si fermò nello stesso bar in che il giorno prima fu testimone della sua lite con Elisa.        
Seduto ad uno dei tavolini all’interno, Davide ritornò con la memoria a quel freddo giorno di dicembre quando sua madre e suo padre gli annunciarono il loro divorzio.           
Marta, la cameriera che il giorno prima gli aveva consigliato di andare ad asciugarsi i capelli al bagno, interruppe il suo flusso di pensieri chiedendogli se volesse ordinare qualcosa.   
«Un caffè». Lo sguardo che le lanciò, seppure non se ne fosse nemmeno accorto, fece arrossire la ragazza che annuì imbarazzata.   
La osservò ritirarsi e quando la perse di vista rivolse lo sguardo al di là della grande vetrata del bar.
Firenze era piena di turisti e neppure la pioggia sembrava fermare la loro voglia di vedere le architetture gotiche che abbellivano la città.   
Il sole spuntava tra le nuvole grigie e cariche di acqua, cosa che non incoraggiò affatto Davide, il quale non aveva intenzione di bagnarsi ancora di più.
Si guardò intorno alla ricerca di un luogo tranquillo e appartato in cui poter studiare ma, non trovandolo, decise che avrebbe fatto meglio a ritornare a casa sua e provare  a studiare là.
Anche se, pensò non riuscendo a trattenere un sorriso divertito, quasi sicuramente anche il suo appartamento sarebbe stato inagibile. Essendo domenica mattina i suoi coinquilini stavano smaltendo i postumi della sbornia e di certo non si erano preoccupati di rimettere in ordine la casa.  
Questa volta con un sorriso pieno di amarezza, Davide realizzò che quella che lui chiamava casa non era altro che un piccolo appartamento nel centro di Firenze che condivideva con due compagni di facoltà che, a dire il vero, non gli stavano nemmeno tanto simpatici.    
«Ecco qui il tuo caffè», disse Marta posando la tazza sul tavolino. Le mani, così come la voce, le tremavano e le gambe sembravano non riuscire a sostenerne il peso.          
«Grazie». Ed ecco di nuovo quel sorriso, pensò.     
Marta non conosceva Davide di persona, ma l’aveva spesso visto al bar in compagnia dei suoi amici e aveva attirato la sua attenzione.       
Il giorno prima, quando l’aveva visto litigare con quella ragazza, pensò che i due stessero insieme e un senso di sconforto e amarezza la travolse.      
Se fosse stata più coraggiosa e meno imbranata probabilmente gli avrebbe chiesto il numero di telefono, oppure gli avrebbe scritto il suo sullo scontrino.
Vincendo la sua timidezza, Marta gli chiese se avesse chiarito le cose con la sua ragazza.
«La mia ragazza?». Davide non capiva di cosa stesse parlando ma invece di ignorarla –in fondo non era altro che una sconosciuta –la curiosità ebbe la meglio e le chiese spiegazioni.     
«Scusami… Io… Non volevo farmi gli affari tuoi». Si girò di scatto, troppo imbarazzata per sostenere lo sguardo ammaliante del suo interlocutore –si chiese se fosse consapevole del fascino che aveva –ma sfortunatamente andò a colpire il vassoio che un suo collega stava tenendo in equilibrio su una mano sola. Il vassoio cadde per terra riempiendo di cocci di vetro e liquido dal dubbio colore il pavimento.      
«Scusa». Gli occhi le si inumidirono. Voleva piangere, ma tutti gli occhi del locale erano puntati su di lei e non voleva rendersi ancora più ridicola.  
Davide sorrise con tenerezza e si piegò per aiutare i due a raccogliere i pezzi di vetro più grandi.
Le loro mani si toccarono ma, mentre la ragazza venne attraversata da un brivido quando la sua pelle venne a contatto con quella ambrata di lui, Davide non senti assolutamente niente.          


«Stai scherzando?», chiese stupita la bionda.          
Elisa non rispose.       
«Mi stai dicendo che tua madre ha accettato di farti condividere la stanza con un totale sconosciuto?». Non che la ragazza disapprovasse, aveva visto Davide e, seppur non fosse il suo tipo o le stesse particolarmente simpatico, non si sarebbe lamentata di condividere la stanza con lui: era piuttosto attraente.
«Sì…», sussurrò.       
«Oddio!», esclamò Martina saltellando per la stanza.         
«Calmati, Marti». I suoi tentativi erano inutili: l’altra la ignorava volutamente e non dava segno di volersi calmare.           
«Già che ci siamo, mi faresti copiare qualche versione di quelle che ci hanno dato per le vacanze?», domandò Elisa con un sorriso a trentadue denti.      
Martina smise di agitarsi e un poco imbronciata disse: «Tu sì che sai come smorzare il mio entusiasmo».
Elisa alzò gli occhi al cielo, si sedette alla scrivania e frugando tra i vari quaderni trovò finalmente quello che cercava.           
«Mentre tu copi, vado a chiedere a mamma se ci lascia i soldi».    
Come risposta ricevette solo uno sguardo interrogativo.     
«A pranzo siamo solo io e te, quindi dovremo uscire a comprarci qualcosa».        
«Che ne dici se vieni a mangiare da me? Mamma ne sarebbe contenta», domandò mentre continuava a copiare la prima versione.          
«E va bene».  
Si buttò sul letto e, a occhi chiusi, pensò all’anno scolastico che stava per cominciare.     
«Dici che quest’anno ci cambia qualche prof?», domandò aprendo gli occhi e puntandoli in quelli castani della sua migliore amica e osservandola furtivamente dopo che questa –avendole risposto con uno sbrigativo “Non lo so” –ritornò a copiare la versione. 
Elisa aveva la pelle leggermente abbronzata –contrariamente a lei che quando stava al sole più del dovuto la potevano tranquillamente scambiare per un’aragosta –i capelli castani, seppure leggermente schiariti per la lunga esposizione al sole, e gli occhi dello stesso colore.   
Fisicamente erano completamente diverse, caratterialmente invece –seppure all’apparenza non sembrava a causa dell’esuberanza di una e la timidezza dell’altra –erano abbastanza simili.  
«Ma tu le hai veramente fatte tutte?», chiese Elisa come se avesse ricevuto un’improvvisa illuminazione.
«Ma ti pare? Le ho copiate da internet».      
Elisa si alzò dalla scrivania e scostò le tende che le oscuravano la vista.


Sbuffò.
Stava continuando a piovere e non aveva intenzione di andare a casa con la pioggia.      
«Piove».
«E allora?».    
«Ci bagneremo», rispose con fare ovvio alzando gli occhi al cielo.
«Possiamo andare in macchina. Mamma mi ha lasciato le chiavi». 
«Io con te non ci salgo in macchina», replicò facendo finta di essere terrorizzata.
«Ma vaff…». 
«Scusami?». Sorrise all’espressione imbronciata di Martina.          
«Sappi che sono un’ottima guidatrice», affermò alzando il tono di qualche ottava.          
Elisa raggiunse l’amica sul letto e, mentre quella ancora ad occhi chiusi continuava a fingere di essere arrabbiata, si distese sulla schiena, osservando le pareti spoglie.  
La camera di Martina, contrariamente al suo carattere solare, era molto semplice ed essenziale.
Una scrivania all’angolo, proprio accanto alla finestra, era coperta di svariati libri, quaderni, evidenziatori e cose simili.
La parete adiacente era decorata da un unico grande comò bianco. Comò che Elisa odiava particolarmente –per quanto si possano odiare i mobili –e che aveva varie volte cercato di convincere l’amica per farlo cambiare; la sua attenzione si focalizzò sulle foto poste sopra a questo, rendendolo meno sgradito.          
Martina a due anni in braccio al padre che la cullava amorevolmente.       
Alla vista della foto successiva, Elisa non riuscì a trattenere una risata che, per quanto spontanea a assolutamente priva di malizia, sapeva avrebbe infastidito l’amica. Questa però non sembrò nemmeno accorgersene e l’altra –dopo aver tirato un sospiro di sollievo –riportò la propria attenzione su una piccola bambina bionda che sorrideva timida all’obbiettivo. Niente di strano senonché il sorriso della bambina era compromesso dalla mancanza di qualche dentino che la rendeva tanto buffa quando adorabile.        
Elisa adorava la fotografia: piccoli pezzi di vita racchiusi in qualcosa di tanto piccolo quanto duraturo come una foto.           
Ogni tanto, quanto la sua mancanza si faceva sentire più del solito, Elisa tirava fuori la scatola che teneva nascosta tra quelle delle scarpe nell’armadio, e guardava –talvolta anche per ore –le foto del padre.
Si somigliavano tanto: capelli, occhi, zigomi, portamento e anche alcuni gesti spontanei che non si accorgeva nemmeno di fare.      
“Chissà se anche Giulia e Davide hanno così tante cose in comune con il padre”, pensò quando il flusso dei pensieri aveva cominciato a vagare liberamente e casualmente.       
Fisicamente parlando si somigliavano molto, e se Giulia ad un’occhiata un po’ più apparente e superficiale aveva poco in comune con Sergio, Davide ne era la sua copia.     
Persa nelle sue riflessioni, quando il telefono squillò sobbalzò impaurita.  
Martina continuava a rimanere immobile –probabilmente si era addormentata –e non sembrava che il fastidioso bip la infastidisse.    
«Sì?», rispose.
«Volevo sapere se tornavi a casa, tesoro». La voce di sua madre era un poco strana, ma la figlia sembrò non accorgersene. 
«Sì, appena smette di piovere vengo con Marti. Donatella non è a casa e rimane con noi a pranzo».
Stanca per aver passato la notte insonne, Elisa si stese accanto a Martina e fu svegliata solo qualche ora dopo dall’insistente suono del telefono.    
«Pronto», rispose senza nemmeno aver controllato chi la stesse chiamando.         
«Dove siete? Ci stavamo preoccupando». Le servì qualche minuto prima di rendersi conto con chi stesse parlando e cosa le stavano dicendo.       
«Ci siamo addormentate, Sergio. Arriviamo subito».          
Tentò in tutti i modi di svegliare Martina. La chiamò. La scrollò. Le fece il solletico.      
Solo quando ormai spazientita rinunciò nell’impresa, Martina si guardò intorno confusa e –senza trattenere lo sbadiglio o almeno mettere la mano davanti alla bocca –le chiese perché stesse facendo così tanto chiasso.       
«Perché sono quasi le due e mamma ci aspetta», rispose mentre si passava le mani su vestiti per cercare di renderli il meno possibile spiegazzati.   
Martina annuì e, indossate le scarpe e prese le chiavi, disse di essere pronta.        
«Passiamo prima da Fabio? Devo lasciargli un biglietto da parte di mamma».      
«Certo».

Per quel giorno Davide aveva rinunciato a studiare e, sentendosi in colpa per il disastro combinato da Marta per colpa sua, decise di rimanere a farle compagnia.     
Marta non era quel tipo di ragazza che attirava la sua attenzione, ma in quelle poche ore aveva acquistato un qualche fascino che la rendeva interessante ai suoi occhi.    
Continuando a parlare con lei di architettura, aveva scoperto che la ragazza aveva abbandonato gli studi per un anno a causa di motivi economici ma che era pronta a ricominciarli ad ottobre, non si accorse nemmeno di Elisa e Martina che erano appena entrate nel bar.      
Elisa invece lo notò subito. Appena posò gli occhi su di lui sentì il viso prenderle fuoco a causa del ricordo del bacio che le aveva dato quella mattina.      
“Sulla guancia”, continuava a ripetersi mentalmente.          
Guancia o non guancia, non si sentiva ancora pronta ad affrontarlo e non desiderava altro che ritornare al sicuro nel abitacolo della macchina.      
Martina non era però del suo stesso avviso – va anche detto che lei non sapeva ancora niente dell’innocente bacetto – e appena vide Davide gli andò in contro.     
«Ciao, fratellastro della mia migliore amica».          
Davide alzò gli occhi, interrompendo il contatto visivo con Marta, verso quella strana ragazza che gli parlava. In un primo momento non la riconobbe, ma quando vide Elisa che le si accostò, il suo viso cominciò ad essere associato ad un nome e quel nome a una grande antipatia.          
«Ciao, migliore amica della mia sorellastra».           
L’antipatia ovviamente era ricambiata.         
«Che stai facendo, Marti?», le sussurrò all’orecchio dopo aver pronunciato un quasi impercettibile “Ciao” che sia Marta che Davide fecero fatica a sentire.     
«Niente. Volevo solo salutare».        
“E dirgli che non osi prendersi gioco di te”. Ma questo non lo disse a voce alta. Davide non le era mai piaciuto tantissimo, e Giulia ancora meno. Non riusciva a spiegarsi perché ma qualcosa le diceva che non poteva fidarsi di lui.           
«Che ci fai qui?», domandò il moro alla sorellastra, ignorando volutamente Martina.      
«Marti doveva lasciare un biglietto a Fabio. Ora ce ne andiamo. Scusate se vi abbiamo interrotti. Io non volevo nemmeno venire a salutarvi. Non per essere maleducata! E che… insomma. Avete capito, no?». Davide voleva rispondere che no, non aveva capito assolutamente niente; ma Marta lo precedette e le disse che non doveva affatto preoccuparsi.  
Il ragazzo le aveva spiegato che Elisa era sua sorella – più o meno – e questo era bastato a far sparire qualsiasi sentimento di gelosia avesse precedentemente provato nei suoi confronti.
«Aspetta», disse prendendola per il polso quando si girò per andarsene.   
Il gesto non passò inosservato a né a Martina né a Marta, e tantomeno ad Elisa che si sentì le guance andare a fuoco.           
«Vengo con voi. Sono in moto e», guardò oltre la parete di vetro, «non penso abbia intenzione di smettere».
Guardò Martina chiedendole, con quel gioco di sguardi che solo a persone che conoscono tutto l’una dell’altra può essere comprensibile, come rispondere.        
«Va bene». Martina fissò Marta mentre lo diceva.  
Quella ragazza non le piaceva. E non le piaceva il modo in cui guardava la mano di Davide che ancora stringeva il polso della sorella.     
“Sorellastra”, si corresse mentalmente.         
«Ciao, Marti, ci si sente». Le strizzò l’occhio e la ragazza avvampò, incapace di fare nulla per poterlo nascondere.           

Quella era la sua casa. Quella era la sua famiglia. E allora perché si sentiva comunque un estraneo? Perché Martina sapeva esattamente dove si trovavano le posate mentre lui ancora faticava a ricordare dietro a quale porta si trovasse il bagno?        
Suo padre amava Rossella. Lo poteva vedere nei suoi occhi quando, pensando di non essere osservato, la guardava con ammirazione; quando le sue dita toccavano quelle di lei in un gesto involontario eppure necessario.            
Si chiese se per sua madre aveva provato lo stesso tipo di amore.  
Probabilmente no, altrimenti non l’avrebbe lasciata.
Si chiese se anche lui un giorno avrebbe provato lo stesso amore che legava i due.           
Seduti introno alla tavola rotonda – Giulia era l’unica assente ma il suo posto fu occupato da Martina – si domandò come una persona timida come Elisa potesse essere amica di una tanto sfacciata quanto la bionda.        
Mentre Davide era perso nei suoi pensieri, tanto che nemmeno sentì Rossella che gli chiese se volesse il secondo, Martina lo osservava di sfuggita.      
Oggettivamente era un bel ragazzo – questo non lo rendeva meno detestabile ma forse più facile da sopportare – e sembrava non accorgersene nemmeno.         
Ma era veramente così ingenuo? Veramente non aveva visto lo sguardo anelante della cameriera? E l’imbarazzo di Elisa? 
Lo odiava perché era stupido e non si accorgeva di quanto le sue parole taglienti del giorno prima avevano ferito la sua amica.      
Elisa si era fatta di corsa i pochi metri che separavano il bar di Fabio da casa sua e, arrivata alla porta d’ingresso, la investì in uno stretto abbraccio, desiderosa di conforto.     
E lei non ci aveva pensato nemmeno un secondo prima di stringerla a sua volta e sussurrarle che tutto sarebbe andato per il meglio.  
Era un po’protettiva con la sua migliore amica, ma aveva paura che quella ritornasse nello stesso stato di apatia – da cui ancora tentava di uscirne e forse non ci sarebbe mai riuscita del tutto – che la travolse alla morte del padre.
Lo odiava ma al tempo stesso avrebbe voluto ringraziarlo perché era stato grazie a lui che Elisa aveva fatto trapelare un poco della ragazza che era sei anni fa: coraggiosa, con la replica sempre pronta e sfacciata.    
Quando Elisa aveva cominciato a cambiare lo stesso fece anche lei. Aveva smesso di essere la ragazza un po’egoista che richiedeva l’attenzione incondizionata dell’altra. Era diventa più forte, capace di sopportare il silenzio della sua migliore amica e la sua indifferenza. Rispondeva a tono a tutti quelli che guardavano con diffidenza la nuova Elisa.            
Gli occhi scuri di Davide le fecero venire in mente quelli verdi, da felino, di Nicola. Un sorriso divertito le  illuminò il volto ritornandole alla memoria quando, con dei miseri pantaloncini corti e una canottiera, era uscita di casa in piena notte per chiedergli spiegazioni. A mente fredda non dava la colpa a Nicola per quello che era successo, in fondo un peso tale è troppo difficile da sopportare per un ragazzo di soli quindici anni, ma quando la sua amica la chiamò in lacrime per dirle che questi l’aveva lasciata, non ci aveva pensato. 
“Forse”, rifletté “ è stato meglio così”.

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Alina Alboran