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Autore: Valentinahobbit    31/12/2015    1 recensioni
"Tutti vogliono essere i numeri uno. Io mi rifiuto di essere un numero uno, ce ne sono così tanti, accidenti! Voglio essere il numero sei."
Genere: Drammatico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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I

Entrò in quel liceo, il liceo che sognava sin da quando ne aveva conosciuto l'esistenza, sin da quando aveva letto manga e visto dei film che mettevano in risalto quanto fosse bella la vita dei liceali. I suoi capelli erano lunghi, perfettamente stirati e fluenti. Il suo trucco era preciso, senza sbavature o eccessi scomodi, fondotinta perfettamente steso, eyeliner dritto, ciglia lunghe e sopracciglia ben definite. Fianchi perfetti, neanche un chilo di troppo, abiti firmati e un'altezza che slanciava delle gambe a dir poco perfette. Ragazzine della sua età, molto più brutte di lei, la osservavano con la luce e l'invidia nello sguardo. Le dicevano che volevano essere come lei e lei rispondeva con un sorriso ampio e splendente, fatto di denti dritti e bianchi come pochi. I ragazzi facevano commenti su di lei e litigavano tra loro per avere tra le mani quel bel bocconcino dalle guance rosee. Gli anni a seguire in quel liceo sarebbero stati perfetti se solo quella mattina non avesse suonato la sveglia. Spalancò gli occhi e dopo averli strofinati fino a renderli rossi, spostò il lenzuolo e si sedette a lato del letto sbadigliando. Il pigiama le stava stretto, si era ripromessa che quest'estate prima di iniziare il liceo sarebbe riuscita a perdere qualche chilo ma non ci era riuscita e si era stancata dopo una sola settimana di “sforzi” con stuzzichini notturni. Si alzò e si mise davanti allo specchio, accese la luce e guardò con stupore ciò che era riflesso. Mise una mano tra i capelli arruffati e sospirò con gli occhi lucidi, poi disse -Sono un mostro-.

Fece un sorriso forzato e uscì dalla stanzetta. In cucina si stava svolgendo un'allegra colazione di famiglia alla quale la ragazza fece a meno di unirsi, la madre e il padre con in mano una tazzina di espresso caldo e la sorella che spalmava marmellata sulle fette biscottate. Andò dritta a farsi una doccia calda, mise sul letto dei jeans nuovi, una felpa verde scuro come i suoi occhi e una maglietta bianca da metterci sotto. Levò l'etichetta dai pantaloni e li infilò saltellando e canticchiando -I lost my way oh baby, this stray heart… went to another… Can you recover baby?- cadde con il sedere sul pavimento gelido, la sorella infastidita da tutto quel baccano aprì la porta e la vide sul pavimento con la faccia di chi si è fatto male ma non vuole ammetterlo per nulla al mondo -Non cambierai mai, Nicole-.

Finì di prepararsi e per niente soddisfatta del risultato si avviò verso il portone e partì verso il suo primo giorno da liceale.

 

Nello stesso tempo, in una realtà completamente diversa, altri tre ragazzi si preparavano a questa esperienza. Un giovanotto dai capelli rossi, passava le sue ore davanti allo specchio pettinando la morbida capigliatura e aggiustando la camicia perfettamente stirata e pulita. Poi si fermava e guardandosi con uno sguardo che a lui sembrava attraente diceva -Ti va di uscire? Sei davvero bellissimo!- in seguito udì una voce su per le scale -Francesco, farai tardi!-. Un accento sudamericano lo chiamava, Gracia. Gracia lavorava per la famiglia Lombardo come cameriera da quando era nato Francesco. Quattordici anni di servizio, ormai faceva parte della famiglia anche se il signor Lombardo continuava a trattarla come una schiava. La sua pelle esotica e le mani rovinate dal troppo lavoro, i capelli scuri sempre raccolti e gli occhi neri e profondi, il volto affaticato e il sudore sulla fronte anche d'inverno. Aveva allevato Francesco come un figlio e forse lui voleva più bene a lei che a sua madre. Quest'ultima era troppo impegnata con la sua carriera per pensare a suo figlio, così come suo padre che di lui si era dimenticato. I suoi genitori si ricordavano di lui solo per rimproverarlo.

Baciò lo specchio e scese giù per le scale anche lui cantando -Everything that I want… I want from you... but I just can't have you-. Ad attenderlo nella sala da pranzo c'era una tavola imbandita di frutti e dolci di ogni tipo, Gracia aveva preparato tutto con cura, preso i croissant dal bar e lucidato la frutta in modo da far venire l'acquolina in bocca a chiunque. Tutto quel ben di Dio stava lì e lo si poteva mangiare anche solo con gli occhi. Il signor Lombardo stava seduto a capotavola con in mano il quotidiano, controllava la borsa mentre la signora Lombardo mangiava il suo cornetto integrale con tanto di tè verde.

-Buongiorno Francesco, accomodati- gli disse il padre scostando per un secondo il giornale dal viso, i suoi occhi azzurri e penetranti gli squarciarono l'anima. Il ragazzo si sedette, addentò un croissant al cioccolato e fece un sorriso forzato alla madre che non lo guardò neanche. Dal salone Gracia guardò il ragazzo tutto a disagio come se fosse in mezzo a due estranei.

-Io vado, non ho molta fame- disse il ragazzo dai capelli rossi.

-Vai? Ti accompagno io in macchina-

-No, grazie… Vado a piedi come al solito così passo a prendere…- le parole gli si bloccarono in gola, non lo disse, guardò il pavimento impaurito per l'errore appena commesso, magari suo padre non ci aveva fatto caso, magari non aveva capito, magari…

-Dustacci? Passi a prendere Simone?- disse il padre guardandolo dritto negli occhi, con quello sguardo da nazista.

-Ascoltami Francesco, te lo dirò per l'ultima volta, non ne farò mai più parola. Tu sei il primogenito e unico erede della famiglia che governa questa misera cittadina di gente inutile. Il tuo amico Simone non è inutile, è il figlio di una famiglia che supera i limiti dell'inutilità e del degrado. Ti rendi conto che non potete essere amici? Ci sono tanti ragazzi ricchi in questa città, non quanto te ma ci sono. Nancini per esempio ha un figlio della tua età… Come si chiama quel ragazzo?-

-Paolo- disse senza sentimento.

-Ecco, Paolo! Quella gente dovresti frequentare, non quello scarto, quell'abominio-

Francesco neanche rispose, prese lo zaino dallo studio e uscì dalla villa a passo fiero e convinto sotto le urla e i rimproveri di suo padre.

Simone era ancora nel letto nonostante l'orario, i suoi occhi erano aperti e il suo sguardo afflitto era rivolto al soffitto, nessuna voglia di respirare.

L'appartamento in cui viveva era disordinato, cataste di oggetti sovrastavano negli angoli più bui della casa e i piatti ancora sporchi stavano nel lavello mentre una ragazzina con i capelli raccolti li lavava. Non era una ragazzina, era una bambina, aveva undici anni su per giù ma sembrava esperta in quanto a pulizie di ogni tipo. Il frigorifero era vuoto, nessun quadro, nessuna foto, nessun ricordo. La mente del ragazzo steso sul letto era uguale allo scenario dell'appartamento. Non ricordava l'ultima volta in cui aveva visto sua madre pulire quelle piccole stanze e non ricordava neppure quand'era stata l'ultima volta in cui gli aveva detto di portare fuori l'immondizia. Simone si morse le labbra, toccò il suo piercing freddo e dolorante si girò nel letto cercando di addormentarsi per far si che quel mondo non lo disturbasse più del dovuto. Si aprì la porta della sua stanza ed entrò un esserino dai lunghi capelli biondi, la stessa ragazzina che fino a qualche minuto fa stava pulendo i piatti nel lavello. Elisa era la sua sorella più piccola, era una bambina esile come un filo d'erba, dalla carnagione bianca come il latte e due occhi azzurri azzurri che sbucavano in mezzo ad un groviglio di lentiggini che decoravano un nasino piccolo e all'insù. La ragazzina scostò i capelli neri del fratello in modo delicato

-Alzati, dobbiamo andare e Fra' passa tra poco-

Simone annuì e senza nessuna voglia di farlo si alzò dal letto. Simone era pallido quanto la sorella e aveva due intensi occhi azzurri con delle ciglia lunghe, i suoi capelli erano neri come pochi, un nero intenso come le sue pupille che spiccavano al centro di quegli occhi color gelo. Si mise una maglia nera e un paio di vecchi jeans.

I due fratelli uscirono dall'appartamento e vennero intravisti dal portinaio che fermò Simone -Simone, quando avete intenzione di pagare l'affitto?-

il ragazzo non lo guardò neanche e continuò a camminare guardando il pavimento mentre Elisa guardava impotente gli occhi del portinaio.

-Sempre il solito, non cambi mai- .

Usciti dal portone videro Francesco spalle al muro che mentre stava appoggiato alla parete teneva in mano il suo smartphone di ultima generazione. Indossava una maglia bianca con sopra una camicia nera aperta su di essa, nel vederlo Elisa avvampò. Simone gli fece una smorfia piuttosto schifata e gli disse -Ma come ti sei vestito?- la voce di Simone era calda e roca.

-Pensa a te piuttosto, non rimorchierai vestito così!-

-Rimorchiare? Non mi interessano le ragazze- Elisa smise di ridacchiare e Francesco si allontanò di un passo.

-Ditemi che non avete capito ciò che io penso che voi abbiate capito- disse Simone seccato. I ragazzi risero e iniziarono a camminare, Elisa andò alla scuola media “G. Pascoli” e i due amici si avviarono con il vento tra i capelli verso il liceo, i loro pensieri, le loro speranze e le loro ambizioni volarono via con la brezza di quel mattino di settembre.

   
 
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