Keep
my dream
now
I
keep yours
forever
Save
my hope
now
I
save yours
forever
Hold
me, help
me
Will
you be my dreamkeeper?
-
Dreamkeeper,
Xandria -
Christine si
rigirava fra le mani la
sfera di vetro azzurro, assorta nei propri pensieri.
Mancavano pochi
giorni a Natale e
tutti, all’Opéra, erano pervasi da
un’inspiegabile eccitazione. Un’allegrezza
generale permeava l’aria e sembrava contagiare chiunque
mettesse piede
all’interno del teatro: dai macchinisti alle maschere, dagli
artisti ai
direttori, tutti erano gentili e in vena di fare festa.
Eppure,
nonostante le luci e i
sorrisi che la circondavano, la bambina sentiva un peso sul cuore, una
tristezza che aveva finito per ingrigire quella festa da lei tanto
amata.
In fondo,
però, era comprensibile: era
il primo Natale che trascorreva senza il suo amato papà.
I ricordi che
serbava gelosamente
dentro di sé e che in un primo momento l’avevano
consolata, adesso le
avvelenavano la mente. Nell’ultimo periodo la consapevolezza
di non avere più
accanto il padre si era amplificata in echi infiniti, finendo per
gettarla
nello sconforto. Si sentiva sola, triste e smarrita, e quella dolorosa
assenza
era diventata quasi impossibile da sopportare...
- Insomma, Christine! Ti sei forse addormentata?
La voce di Meg
la riportò bruscamente
alla realtà.
Sollevò
il capo e subito incrociò la
testolina bionda della sua più cara amica. Con i pugni sui
fianchi e le gambe
leggermente divaricate, la osservava scimmiottando
l’atteggiamento austero
della propria madre.
Christine non si
trattenne e
nonostante i sentimenti che le albergavano nel cuore, si concesse una
risata.
“Meno
male che c’è lei, qui con me!”.
- Sono sveglia, Meg – rispose.
L’amica
le trotterellò incontro,
abbracciandola con affetto e calore.
- Sei triste, cos’hai?
La bambina
trattenne a stento un
singhiozzo.
- Pensavo al mio papà – la sua voce
s’incrinò – questo è il primo
Natale senza
di lui e io... io...
Meg la strinse
ancora più forte,
tanto da farle quasi male. Non c’era bisogno che le dicesse
niente, le parole
avrebbero solo rovinato il loro raccoglimento sotto il piccolo abete
che
stavano addobbando. Christine chiuse gli occhi e il calore di
quell’abbraccio
scacciò il gelo dal suo cuore.
- So io come farti tornare il sorriso!
L’amica
si staccò da lei e le prese
una mano.
- Come?
- Semplice! Perché non chiedi a San Nicola di farti parlare
con tuo padre?
Christine
inspirò rumorosamente,
ingoiando l’ennesimo singhiozzo. Gli occhi scuri presero a
brillare come pietre
preziose.
- Oh Meg... come può esaudirmi? – chiese e
supplicò se stessa di non illudersi.
- Semplice! La notte della Vigilia porta i doni che i bambini gli hanno
chiesto
– rispose Meg, risoluta – maman mi ha raccontato
che San Nicola, in vita,
regalava i propri averi ai poveri e accudiva chi era malato... e
continua a
farlo anche adesso! Non lo sapevi, Christine?
La bambina
scosse lentamente il capo,
vergognandosi della propria ignoranza. Aveva sempre viaggiato con il
padre e
non aveva mai avuto l’opportunità di conoscere gli
abitanti e le credenze dei
luoghi che visitava.
- A te ha portato qualcosa? – chiese infine.
Meg
annuì con così tanta veemenza,
che i capelli biondi le ricaddero davanti al viso paffuto.
- Hai presente Emilie? – Christine annuì, intuendo
subito che l’amica si stava
riferendo alla sua bambola preferita – me l’ha
regalata San Nicola due anni fa!
L’ho trovata sotto l’albero la mattina del 25, ma
ti garantisco che quando sono
andata a dormire non c’era!
- E tu credi che se glielo chiedessi, San Nicola potrebbe farmi parlare
di
nuovo con papà?
Meg
vacillò, ma alla fine si convinse
ad annuire.
- Sì. Non vedo perché dovrebbe negartelo.
Christine si
asciugò una lacrima e
tornò ad osservare la sfera di vetro che ancora stringeva
nella mano. Rimase
immobile, pensando a quanto sarebbe stata felice nell’udire
nuovamente la
musica del padre: era il regalo che il suo cuore desiderava
più di ogni altra
cosa.
Christine attese
la sera.
Lottò
contro il sonno e quando fu
certa che tutti dormissero, sgattaiolò fuori dalla stanza
che divideva con Meg
e altre bambine. Ma appena mise il naso nel corridoio e
gettò uno sguardo a
destra e a sinistra, il coraggio le venne meno: di giorno il Teatro era
luminoso e pieno di vita, ma di notte ogni particolare assumeva
sembianze grottesche
e spaventose!
Christine si
fece di nuovo forza e,
candela alla mano, avanzò tastando il muro. Orientarsi non
era semplice e dopo
aver sbagliato corridoio due-tre volte, riconobbe infine quello giusto
e lo
percorse con ansia crescente. Intorno a lei non si udiva alcun rumore,
fatta
eccezione per qualche scricchiolio lontano e la cacofonia di una
finestra che
sbatteva chissà dove.
Christine
sentì all’improvviso uno
strano fruscio dietro di sé, che la paralizzò
lì al suo posto. La fiamma che
ardeva in cima alla candela fremette, scossa dal un improvviso spiffero
di vento.
Si volse
lentamente in ogni
direzione, con il terrore riflesso negli occhi languidi. E se qualcuno
l’avesse
vista vagare per il teatro? Magari qualche macchinista o chiudiporta...
Deglutì
cercando di vincere la paura
che le stringeva le viscere. Si fece di nuovo coraggio e
proseguì, sentendosi
incalzata da una presenza invisibile e sconosciuta. Schermò
con la mano il lume
e raggiunse di corsa l’entrata della piccola cappella,
chiudendo la porta di
legno dietro di sé. Scese la scalinata a chiocciola
rasentando il muro, con la
candela tesa in avanti per farsi luce. Ad un tratto, la fiamma
illuminò una
piccola saletta circolare, completamente spoglia, fatta eccezione per
un
altarino e qualche candela bianca mezze consunte. Christine si
guardò intorno e
i suoi occhi scivolarono sui mattoni bianchi delle pareti, per poi
seguire i
disegni non ben distinti sulla vetrata e, infine, raggiungere il
dipinto di un
angelo che troneggiava sull’altare. Era la seconda volta che
vi entrava, Madame
Giry gliel’aveva mostrata in una sola occasione, dicendole
che se desiderava
pregare per suo padre poteva andarci quando voleva. Ma Christine era
stata così
presa dalle prove e dagli studi di danza, che aveva finito per
dimenticare la
cappella e accontentarsi di pregare alla sera nel suo letto.
Avanzò
fino al dipinto, senza
staccargli gli occhi di dosso. Era molto bello e
l’espressione che l’artista
aveva tinteggiato sul volto dell’angelo era accogliente e
davvero amorevole. La
bambina accese altre tre candele per avere più luce e,
infine, s’inginocchiò
sulla nuda pietra. Ignorò la sgradevole sensazione che il
contatto con il marmo
freddo le aveva procurato e congiunse le mani in preghiera, stringendo
con
forza gli occhi. Se desiderava che la sua voce arrivasse a San Nicola,
doveva
pregare con tutta l’anima!
- San Nicola, ho già tutto ciò che potessi
desiderare – sussurrò, muovendo
appena le labbra – il Signore è già
stato tanto buono con me, donandomi Madame
Giry e Meg. Tuttavia... oso chiederti un piccolo regalo per questo
Natale.
Forse pretendo troppo, ma spero che tu decida di esaudirmi –
Christine tirò su
con il naso, cercando la voce che sembrava averla abbandonata
– ti prego, San
Nicola, permettimi di ascoltare nuovamente la musica di mio padre! Sono
certa
che adesso lui stia suonando per gli angeli e per tutti voi beati del
Paradiso...
E qui
s’interruppe, incapace di
proseguire. Gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre nel suo animo
ardeva
più che mai il desiderio di parlare con il padre e dirgli
per un’ultima volta
quanto gli volesse bene!
Quasi senza
accorgersene, intonò una
vecchia ninnananna, che fino ad allora aveva osato canticchiare solo
fra se e
se prima di addormentarsi.
Il suo canto
sommesso acquistò vigore
poco a poco, riempì ogni angolo della cappella,
s’innalzò verso il soffitto
bianco e liscio. Solo a tratti venne spezzato da qualche singhiozzo,
che lo
rese ancora più struggente e accorato.
Christine
cantò per un tempo che le
parve infinito, ad occhi chiusi. Ignorò il freddo e la
stanchezza, così come il
sonno che gravava sui suoi occhi di bambina e il dolore alle ginocchia.
Cantò
con l’anima e con il cuore, sperando con tutta se stessa che
il padre potesse
udirla e che San Nicola le desse ascolto.
Ma la voce
l’abbandonò d’improvviso,
fuggì come un sogno alle prime luci dell’alba.
Christine ciondolò avanti e
indietro, con il volto molle di lacrime, esausta. Si
rannicchiò sull’altare,
continuando a fissare il dipinto dell’angelo su di
sé e, per un istante, le
parve che gli occhi ricambiassero il suo sguardo...
- Christine? Christine, sveglia!
Riprendere
conoscenza non fu semplice.
Quella voce familiare le giungeva lontano, simile ad un’eco
indistinta.
- Oh, insomma! Christine!!
La bambina
sussultò fra le lenzuola
bianche, agitandosi come se stesse per annegare. Sollevò a
fatica le palpebre,
che ricaddero in basso più e più volte.
- Meg? – chiamò con voce roca e ancora impastata.
Si sentiva
smarrita e confusa. Aveva la
sensazione che ci fosse qualcosa da ricordare – forse un
sogno? – ma le immagini
che le vorticavano nella mente erano ancora troppo indistinte.
- Alla buon’ora! – la rimbeccò
l’amica – siamo in ritardo! Non sei mai stata
così dormigliona, non hai riposato stanotte?
A quelle parole,
Christine si tallonò
sui gomiti e per poco non diede una testata a Meg.
- Ehi, fai attenzione!
- Perdonami! – si scusò, osservando stranita la
piccola Giry.
I ricordi si
erano fatti nitidi tutto
d’un tratto e l’avevano colpita con la forza di un
pugno.
“Devo
essermi addormentata nella cappella, ma... come ho fatto a ritornare
qui?”.
- Meg, oggi la nostra Christine se ne rimarrà a riposare
– sentenziò
inaspettatamente una voce adulta.
Entrambe le
bambine volsero il capo
all’uscio, là dove era comparsa la figura alta e
austera di Madame Giry. Il
volto era più teso del solito e l’abito nero ne
accentuava l’espressione preoccupata.
Quando Christine ne incrociò gli occhi chiari e taglienti,
tutte le sue domande
trovarono risposta.
Abbassò
il capo, piena di vergogna,
mentre la donna si avvicinava al letto stringendo convulsamente il
bastone fra
le mani.
- Perché, maman? – chiese Meg con
ingenuità.
- È chiaro che Christine non sta bene – rispose la
donna – non vedi quant’è
pallida? È meglio che resti a letto, almeno per questa
mattina. Adesso va dalle
tue compagne, Meg, ti raggiungerò presto.
Christine
avvertì il letto traballare,
mentre l’amica si sollevava per andare via. Rimaste sole,
Madame Giry prese il
posto della figlia e le si sedette accanto, in silenzio. Stava
aspettando delle
spiegazioni, ma la bambina non era certa di potergliele fornire. Non
sapeva
nemmeno lei cosa l’avesse spinta ad andarsene in giro per
l’Opera da sola e di
notte, per giunta!
Christine
sospirò, tenendo gli occhi
fissi sul lenzuolo.
- Meg mi ha parlato di San Nicola e io sono andata a pregarlo
– disse infine.
- Di notte, bambina mia? Era davvero così urgente?
– le chiese Madame Giry.
Il tono della
voce era stato talmente
pacato, che la bambina trovò il coraggio di risollevare il
capo. Non c’era
traccia di rimprovero nell’espressione della madre adottiva,
piuttosto era un
velato timore quello che le adombrava lo sguardo.
- Mi dispiace, maman – rispose.
- Ascoltami attentamente, Christine. Non devi andartene in giro per il
teatro,
non si sa mai chi potresti incontrare...
- Non lo farò più.
Nonostante la
promessa, Madame Giry
non sembrava affatto rassicurata. La fronte alta era imperlata di
sudore e gli
occhi mobili si spostavano di qua e di là, senza posa.
- Se vuoi andare a pregare, chiedi a me di accompagnarti.
Sarò ben felice di
farlo, va bene?
- Sì.
La donna si
sporse in avanti per
carezzarle una guancia, ma quando le sfiorò la pelle, la sua
mano indugiò più
del dovuto.
- Bambina mia, scotti – le disse, un po’ allarmata
– temo che tu abbia preso
troppo freddo.
Christine
sentì il cuore sussultare.
Mancavano solo tre giorni a Natale e lei desiderava pregare ancora San
Nicola,
affinché esaudisse la sua richiesta!
- Sto bene, maman, non preoccuparti – rispose.
- Forse. Ma è meglio che resti a letto almeno per oggi,
d’accordo? Non alzarti
per nessuno motivo.
Christine
annuì e si riadagiò sul
cuscino, osservando le mani di Madame Giry aggiustarle le coperte.
Quella stessa
sera, però, venne meno
alla promessa fatta e si recò nuovamente nella cappella.
Cantò ancora, pregò
con più intensità e finalmente pianse tutte
quelle lacrime che si era imposta
di trattenere, di non mostrare a nessuno.
E, ancora, dando
un ultimo sguardo al
ritratto dell’angelo, ebbe l’impressione che gli
occhi la osservassero.
Quando
risollevò le palpebre il
mattino successivo, si trovò di fronte il viso rugoso del
medico.
Provò
a parlare, ma una fitta alla
gola le strappò un lamento. La testa le doleva e pulsava e
aveva la sensazione che
le guance le andassero a fuoco. Si sentiva davvero male!
- Bambina, ti sei presa una brutta influenza! – le disse il
dottore,
allontanando lo stetoscopio dal suo torace – nei prossimi
giorni non devi
assolutamente alzarti.
“Ma
io non posso!”.
Christine
spostò lo sguardo ai piedi
del letto, dove vide Madame Giry. Anche in questo caso,
l’espressione del viso
lasciava trasparire un misto di preoccupazione e angoscia.
- La veglierò io, dottore – disse la donna.
- Bene, madame! Allora vi istruirò sulle medicine che
dovrà prendere...
La bambina
richiuse gli occhi e si
lasciò andare al buio dell’incoscienza.
Passò
tutto il giorno nel
dormiveglia, stordita dalla febbre e scossa dai brividi. Ogni tanto le
balenava
davanti il volto di Meg e di qualche altra compagna, che le chiedevano
come
stesse o se avesse bisogno di qualcosa.
Madame Giry,
invece, era una presenza
costante: anche se non la vedeva, sapeva che era seduta proprio di
fronte al suo
letto, accanto all’albero addobbato. Ogni tanto la sentiva
sussurrare qualcosa,
come se stesse parlando con qualcuno, ma ogni volta che riuscita a
spostare gli
occhi appannati su di lei, la vedeva sola e immobile.
Christine si
svegliò che era
improvvisamente la Vigilia.
Si sentiva
finalmente meglio e riuscì
anche a mettersi seduta sul letto. La fronte scottava ancora, ma almeno
il
dolore alla gola si era alleviato.
Percepiva
nell’aria l’eccitazione
delle sue compagne, ma non riusciva a lasciarsene trascinare. Il cuore
le
batteva all’impazzata,
riempiendole
l’anima d’angoscia e rassegnazione. San Nicola
avrebbe accolto la sua
preghiera? Le avrebbe concesso di udire nuovamente il violino del padre?
- Christine?
La
bambina si volse. Accanto a lei, Madame
Giry le stava rivolgendo un sorriso pieno d’affetto.
- Sì?
- Come sai, questa sera io e le tue compagne parteciperemo alla Messa
di
Mezzanotte – le disse – pensi che starai bene da
sola o vuoi che chieda a Meg e
a qualcun altro di restare con te?
- Starò bene, non preoccuparti – rispose Christine
– mi dispiace di non poter
venire.
Madame
Giry le scoccò un’occhiata piena di
sottintesi.
- Non te ne andrai scorrazzando, vero? Sei ancora malata...
- No. Questa notte starò a letto... sperando che San Nicola
esaudisca la mia
preghiera – dopo un attimo di pausa, aggiunse –
secondo te lo farà, maman?
Lo
sguardo della donna si adombrò, nonostante
il sorriso che le tirava le labbra sottili.
- Ne sono certa – rispose e la sua voce vibrò.
Non aveva idea
di che ore fossero, a
stento percepiva il proprio corpo. Non si era nemmeno resa conto di
aver
riaperto gli occhi.
Probabilmente,
la febbre era
aumentata di nuovo.
La fiamma della
candela sul comodino
gettava la sua fioca luce tutt’intorno, arrivando ad
illuminare solo il letto
accanto a lei. il suo respiro un po’ affannoso era
l’unico suono che riempiva
il silenzio della stanza.
Christine chiuse
gli occhi e scivolò
nel dormiveglia. Forse si addormentò per alcuni minuti,
sognando figure
indistinte che a tratti le mettevano paura.
Un fruscio
inaspettato s’insinuò nel
silenzio e la ridestò, costringendola a risollevare le
palpebre.
Fu un attimo.
Vide la fiamma della
candela tremare, mentre un’ombra si proiettava fuggevolmente
sul pavimento.
Strabuzzò gli occhi e sollevò il capo, annaspando
in cerca d’aria. Che
fosse...?
Il lume posto
accanto all’abete stava
illuminando la sconosciuta figura di un uomo. Era vestito di rosso
dalla testa
ai piedi e un pesante mantello gli ricadeva sulle spalle ampie.
Christine cercò
di mettere l’immagine a fuoco, ma del viso riuscì
solo a scorgere qualcosa di
bianco e indefinito che rifletteva la luce del fuoco. In quel momento,
le
tornarono alla mente le parole di Meg: “So
di certo che San Nicola veste tutto di rosso e che ha una folta barba
bianca
che gli copre il viso!”.
Christine
cercò di sollevarsi, ma il
tempo di un battito di ciglia e l’uomo svanì nel
nulla.
- No...!
Ricadde fra le
lenzuola,
maledicendosi per aver dato retta alla curiosità.
Probabilmente il Santo era
giunto per portarle il suo dono, ma lei aveva rovinato tutto!
Singhiozzò
forte, con il corpo
completamente abbandonato sul letto. Le lacrime bruciavano come fuoco,
le
s’insinuavano fra i capelli, fra le labbra dischiuse e le
riempivano le fauci
con il loro sapore salmastro.
Ad un tratto, un
suono a lei molto
famigliare la costrinse al silenzio.
Christine
trattenne il respiro e
strabuzzò gli occhi, tendendo l’orecchio.
L’aveva forse immaginato?
Trascorsero
alcuni istanti, prima che
la melodia si facesse udire più distinta, riempiendole il
cuore di gioia e
sgomento. Il canto del violino divenne mano a mano più
forte, invase l’aria,
riempì gli angoli, stuzzicò le corde dei suoi
ricordi.
Non poteva
crederci: quello era il
violino di suo padre! Non lo aveva mai udito suonare così,
sembrava che la
melodia giungesse direttamente dal Paradiso!
Christine
rilassò i muscoli,
riprendendo a piangere in silenzio. Un sorriso pieno di gioia e
nostalgia
comparve sul suo visino pallido e sudato, donandole una
serenità che in quei
giorni le era mancata.
Una voce dolce e
pacata, sovrumana,
accompagnò le note dello
strumento. Sembrava provenire da ogni direzione ed era quasi
impossibile
stabilire se appartenesse a un uomo o a una donna.
Nonostante il
sonno si stesse
impossessando di lei, Christine riuscì a riconoscere in quel
canto angelico la
ninnananna che le aveva insegnato il padre. Non poteva che essere un
miracolo!
- Grazie San Nicola – sussurrò con un filo di voce
– e grazie anche a te, papà,
per aver mantenuto la promessa... e avermi mandato l’Angelo
della Musica!
Prima di
perdere la percezione della
realtà, mentre il canto ancora riecheggiava in ogni dove,
Christine si sentì
sfiorare la fronte.
L’Angelo
della Musica veglierà sempre su
di te, Christine!”.
Angolino
dell’autrice:
Ciao a tutti!
Avrei voluto
pubblicare la one-shot
prima del 25, ma per diversi motivi non mi è stato
possibile. Ma come si dice?
Meglio tardi che mai... forse.
Che dire? Mi
sono sempre chiesta in
quale occasione e circostanza il Fantasma si sia palesato e
l’atmosfera
natalizia mi ha ispirato. In fondo, nel film/musical non viene
specificato
come, quando e perché Erik abbia deciso di diventare proprio
il maestro di
Christine...!
Lo so, sono
stata oltremodo
dissacrante nel trasformare la Morte Rossa in Babbo Natale –
probabilmente Erik
starà venendo direttamente da Parigi per impiccarmi
– ma non ho resistito alla
tentazione.
Volevo fare
qualche appunto: ho fatto
delle ricerche su internet e ho scoperto che nel XIX secolo la leggenda
di
Babbo Natale era già famosa. L’identificazione con
San Nicola non era
“universale” ed era diffusa quasi esclusivamente in
Italia, ma nella one-shot
ho immaginato che lo fosse anche in Francia. Si tratta di quisquiglie,
ma
volevo precisarle!
Il fluff non
è esattamente il mio
genere, ma... “a Natale puoi fare quello non puoi fare
mai” e se lo dice la
pubblicità del Pandoro, possiamo fidarci (?).
Buon anno a
tutti!
Elly