“I wanna
let go of the pain I’ve felt so long”
Linkin
Park, Somewhere I Belong
Improvvisamente, Raffaello sentì di essere troppo
pesante per le proprie gambe e spostò meglio il peso sui piedi malconci per non
cadere a terra.
Aprì la bocca ed ingoiò avidamente l’aria. Una forte
vertigine lo avvolse e la realtà divenne qualcosa di vago e distante. Una
sensazione intensa avviluppò ogni altra percezione; era felicità, o turbamento,
o entrambi. O paura. Paura che questo potesse essere solo un frutto della sua
mente, paura di essere alla fine impazzito.
Davanti ai suoi occhi, a pochi passi da lui, sopra
il portico della fattoria O’Neil, c’era Donatello.
Suo fratello. Suo fratello Donatello.
Donnie.
Che era morto da mesi. Del quale aveva visto il
guscio vuoto ed insanguinato.
Non poteva essere vero. Non poteva. Non c’era una
spiegazione logica a ciò che i suoi sensi stavano cercando di persuaderlo.
Come in un sogno, annebbiato e distorto, vide
Michelangelo, accanto a lui, iniziare a correre verso il portico, salire le
scale, traballante, urlare i nome del fratello, Donnie, e gettarsi in ginocchio ad abbracciare con l’unico arto il mutante
sulla sedia. Vide i propri piedi farsi forza contro il terreno, sentì il suo
corpo vacillare dei passi incerti e farsi avanti, mentre il suo cuore batteva
talmente forte da sbattere contro il piastrone. Salì i gradini del portico, percependo
come in una nebbia la presenza di umani intorno a lui, che lo guardavano; ma
stranamente, al momento, non gli importava.
Poi, senza quasi rendersene conto, si inginocchiò
anche lui, perso a contemplare il volto verde che aveva davanti, noto eppur
diverso, senza maschera, smunto e segnato, che stringeva forte gli occhi abbracciando
al petto la testa di Michelangelo.
Quindi, gli occhi nel volto verde si aprirono e si
fissarono nei suoi. Uno era estraneo, bianco ed opaco, con la pupilla quasi
invisibile sotto una brina lattiginosa. Ma l’altro era l’occhio nocciola e
ciliegia, vispo ed intelligente, di suo fratello.
In quel momento Raffaello avvertì che qualcosa
dentro di lui si ruppe. Fu invaso da una gioia talmente intensa da fargli male.
Smise di chiedersi perché e come, e semplicemente si lasciò invadere dalla
marea, che distrusse la diga e allagò il cuore. Si gettò contro il piastrone
del fratello e lo strinse, forte, avvolgendo lui e Michelangelo in un unico
abbraccio.
Una paio di singhiozzi salirono alla gola, alcune
lacrime sfuggirono agli occhi, ma non gliene poteva importare di meno. Ogni
altra emozione che non fosse la sensazione di suo fratello stretto fa lui fu
annichilita e dispersa in polvere. Era circondato da umani, era assolutamente
ignaro di quello che stesse succedendo o che fosse successo, ma neanche di
questo gliene fregava niente.
Questo era Donnie, era suo fratello, ed era vivo.
Era vivo!
Michelangelo piangeva come un bambino, accanto a
lui; Raffaello strinse più forte l’abbraccio. Una parte del suo cuore gli
diceva che mancava ancora qualcosa, qualcuno, una scheggia dolorosa s’insinuava
sotto questo momento perfetto, ma al momento decise di non pensarci. Era troppo
stordito.
Dopo qualche minuto, o una vita intera, Raffaello
si staccò dall’abbraccio, e l’unica cosa che riuscì a dire fu il nome di suo
fratello, mormorato come una domanda stupida.
“Donnie…?”
Donatello annuì, sorridendo, la gioia presente
chiaramente anche sul suo volto sfigurato, guardò a turno i due fratelli che si
rialzavano in piedi, e trasalì fissando il moncherino di Michelangelo.
“Mikey, il tuo…”
“Nah, non è niente, era solo uno stupido braccio,
ne ho un altro” scherzò l’arancione, pulendosi lacrime e moccio dal viso col
dorso della mano polverosa e sorridendo. “Cosa ti è successo?” chiese a sua
volta, più serio, indicando la sedia con un cenno della testa.
Donatello distolse lo sguardo.
“È una lunga storia.”
Rialzò il volto verso Michelangelo e Raffaello, e guardò
intorno e dietro di loro.
“Dov’è Leo?”
La felicità si infranse come un vetro e cadde a
pezzi.
Michelangelo abbassò gli occhi; Raffaello sospirò. Il
volto di Donatello si oscurò.
“Non lo sappiamo.” Il rosso si squadrò intorno,
improvvisamente scomodo in mezzo a tutti questi umani. Aveva capito che non
rappresentavano una minaccia, ma neanche l’adulto più forte poteva mai
lasciarsi alle spalle un terrore instillato nell’infanzia: per una piccola
parte di lui, gli umani sarebbero sempre stati il nemico, il pericolo, il
mostro rapisci e seziona bambini. Rivolse un’occhiata nervosa all’uomo che
imbracciava il mitra, a pochi passi da lui.
“Tranquillo, Raph. Sono tutti dalla nostra parte” disse
il mutante una volta mascherato in viola, notando il disagio del fratello. “Abbiamo
tanto da raccontare. Entriamo.”
Alzò lo sguardo alla ragazza che guidava la sua
sedia.
“Amelie, ti dispiace…”
La ragazza annuì con un sorriso e girando la
carrozzella riportò all’interno della casa il mutante. I due fratelli lo
seguirono, guardandosi intorno. La bambina più piccola, quella che aveva
parlato nel bosco, si mise accanto a Michelangelo. Lui le rivolse un sorriso; la
bambina abbassò la testa, intimidita.
Naturalmente anche a Michelangelo sembrava strano
essere circondato da tanti umani. Sentiva come fastidiose punture d’insetto tutti
quegli occhi puntati su di lui, mentre seguiva la ragazza che stava spingendo
la carrozzina di suo fratello. Deglutì a disagio e cercò con lo sguardo
Raffaello.
Il rosso gli fece appena un piccolo cenno, poi squadrò
in modo poco amichevole l’uomo che li seguiva, indugiando con lo sguardo sull’arma
che teneva appesa in spalla.
“Chi sono queste persone, Donnie?” bofonchiò
infastidito. In fondo, si aspettava che rispondesse qualcun altro – egli
l’avrebbe fatto, se qualcuno avesse parlato di lui come se non fosse presente –
invece tutti si stesero zitti, gli umani nello stretto corridoio che stavano
percorrendo, quelli che vedeva spuntare dalle stanze. Quanta gente c’era, in
questa casa? Ne stava contando adesso diverse decine.
Rispose Donatello. “Sono la Resistenza.”
La ragazza si era fermata ed un ragazzino stava
aprendo la botola che portava al piano inferiore. Uno degli uomini, molto alto
e robusto, si chinò verso Donatello e, afferrandolo da sotto le braccia, lo
strinse intorno al guscio.
“Siamo la
Resistenza” aggiunse la tartaruga, cingendo a sua volta dietro il collo l’uomo
che lo issò in braccio.
Raffaello si bloccò, irrigidito, alla scena. Fece
per lanciarsi a prendere lui il fratello, quasi inorridito che un estraneo lo
toccasse, osasse sollevarlo, ma Michelangelo lo fermò, poggiandogli piano una
mano sulla spalla.
“Seguitemi” ordinò ancora Donatello, mentre
scendeva le scale in braccio all’umano. Raffaello e Michelangelo si scambiarono
un’altra occhiata, poi si incamminarono nella botola.
Raffaello scese per primo, subito dopo l’uomo che
sorreggeva Donatello. Il rosso si sostenne dal corrimano: sotto il suo peso, i
vecchi gradini di legno scricchiolavano; la ferita di proiettile pungeva ad
ogni appoggio, ma il mutante era troppo frastornato da quel che vedeva intorno
a lui per farci caso.
Conosceva bene lo scantinato di questa vecchia casa
di April: insieme ai suoi amici umani ed i suoi fratelli aveva scoperto, ormai
più di cinque anni prima, l’astronave Kraang che si nascondeva al suo interno,
semi interrata sotto le fondamenta stessa della fattoria. Ma ai suoi occhi si
apriva adesso un ambiente completamente diverso da quello che ricordava. Parte
dell’astronave era stata rimossa, e due serie di rudimentali scale di legno
portavano giù nella struttura del velivolo alieno. Due serie di scale ed una
rampa fatta di tavole, per l’esattezza.
Lo scantinato stesso era ora molto più grande. Luci
artificiali illuminavano le mura in cemento e le travi di puntello in legno. Tutta
una serie di corridoi si aprivano a raggiera dalla grande stanza sotterranea;
le pareti erano costellate di schermi e consolle, di diversi stili e più o meno
nuovi, e cablaggi ed apparecchiature elettroniche si snodavano dappertutto.
E poi, c’erano gli umani. Altri umani. Uomini e
donne, di tutte le età. Seduti ai tavoli, intorno alle apparecchiature
elettroniche. In piedi, vicino ad una cartina luminosa. Ai computer ed alle
consolle. Che smontavano e pulivano delle armi. Almeno una trentina di persone,
in un brulicare affaccendato, che si girarono tutti a squadrare curiosi i nuovi
arrivati. Altri entravano da uno dei corridoi, trasportando dei fucili. Una
ragazzina portava da un piccolo tunnel un avvolgimento di cavi.
L’uomo che teneva in braccio Donatello si abbassò e
depositò il mutante su una sedia in fondo alle scale che avevano disceso.
Donatello ci si sistemò ed iniziò a muovere la sedia digitando su dei comandi nel
pannello di controllo del bracciolo. A differenza della sedia a rotelle che
avevano visto al piano superiore, che era una vecchia sedia pieghevole come
quelle che si vedono negli ospedali, questa era qualcosa di decisamente
diverso. Era costruita con pezzi di recupero, a partire anch’essa da una
carrozzella umana ; ma aveva uno schienale incurvato, ad ospitare comodamente
il guscio convesso, e l’intera struttura era accessoriata da gadget elettronici
e spie luminose.
Donatello fece un cenno all’uomo che lo aveva
portato giù, il quale ricambiò abbassando la testa quasi in un saluto reverente
e si allontanò con gli altri umani armati, mentre il mutante in carrozzina fece
strada ai suoi fratelli verso una piccola stanza in uno dei corridori laterali.
Scostò la tenda pesante e logora ed entrò nella
stanza, illuminata dalla luminescenza di decine di monitor. Molti inquadravano
l’esterno della casa; altri mostravano visuali di vari centri abitati non
facilmente identificabili; altri ancora presentavano coordinate geografiche,
diagrammi e finestre di applicazioni varie. Il risultato era una luce
tremolante e violacea, che si sommava a quella altrettanto fredda della lampada
a neon appesa al soffitto di assi di legno.
Raffaello scostò anche lui la tenda ed entrò
seguito a sua volta da Michelangelo, che si squadrava ancora intorno quasi
intontito. Si sedette in una delle sedie posizionate accanto ad una specie di
tavolo ricoperto di fogli e cartine, formato da due cavalletti di ferro
sormontati da assi di legno; Donatello con la propria sedia a rotelle si era
posizionato dall’altra parte del tavolo. Il mutante in rosso, appena seduto,
placata un po’ l’euforia per la nuova situazione, avvertì nuovamente tutta la propria
stanchezza; sapeva che adesso sarebbe toccato a lui il penoso compito di
raccontare al fratello cosa ne fosse stato del resto della loro famiglia.
Infatti, appena anche Michelangelo si sedette, Donatello
senza preamboli chiese subito come fossero arrivati lì e perché fossero solo in
due; Raffaello prese un profondo respiro, chiuse un attimo gli occhi, si concesse
appena un paio di momenti di silenzio per riordinare i ricordi che avrebbe
voluto cancellare via per sempre, quindi iniziò a raccontare dei terribili
primi giorni dopo la cattura dello stesso Donatello, della sua ricerca,
dell’assalto al luogo di detenzione e della morte del loro sensei. La tartaruga
mutante sulla sedia a rotelle ascoltò il racconto annuendo piano, come in
automatico.
“Sì, sapevo di Splinter. Alcuni dei miei uomini
facevano parte delle milizie di Shredder.”
“I tuoi
uomini? Gli umani che sono qui?”
“Poi ti spiego. Continua.”
Michelangelo seguiva in silenzio, con lo sguardo
fisso sul tavolo, perso nei propri pensieri; aveva il respiro un po’
accelerato, gli occhi un po’ troppo brillanti, che riflettevano lucidi i
minuscoli riflessi dei monitor. Il viso di Donatello era una statua di marmo,
ma nell’occhio nocciola le emozioni guizzavano evidenti. Quando Raffaello gli
raccontò del sacrificio di Leonardo, il dolore infiammò l’iride di un tremore
umido, ma l’espressione si mantenne forzatamente calma e stoica, e non una
parola accompagnò la dolorosa comprensione.
“Alla fine abbiamo incontrato questi ragazzini, che
ci hanno portato da te. Dio, Donnie… Eravamo convinti che fossi morto. Shredder
ha fatto esporre un guscio… il tuo guscio! Era uguale al tuo, ed era… insomma…”
Raffaello si passò una mano sul viso.
“Il… guscio?” Michelangelo inorridito spalancò gli
occhi, in realizzazione.
Donatello annuì ancora un paio di volte, infine
parlò.
“Certo. Adesso capisco. Mi hanno preso il calco, un
giorno.”
“Ma perché?”
Donatello sorrise senza allegria. Senza pensarci,
tracciò con un dito la linea tra le piastre superiori del suo piastrone, poi
prese ad accarezzarsi una frastagliata cicatrice sul bordo superiore.
“Penso che Shredder voleva che voi la smetteste di
cercarmi. Quando iniziai a lavorare per lui mi trasferirono dalla prigione ad
un centro di ricerca. Lì le misure di sicurezza erano inferiori, non c’erano
che pochi uomini di guardia ad ogni piano. E non dimentichiamo che stiamo
parlando di un bastardo sadico, che probabilmente godeva nel sapere che vi
stava facendo cadere a pezzi.”
“Noi… Oh, maledetto.” Raffaello sbatté un pugno
contro il tavolo, e poi guardò Michelangelo,con i suoi occhi azzurri dolorosi nel ricordo; la
sofferenza che Shredder gli aveva crudelmente donato negli ultimi mesi li aveva
sì sfiancati, nel corpo e nello spirito.
Il silenzio seguì greve e opprimente. Sotto le
forti luci artificiali, Michelangelo poté squadrare bene i segni impressi sul
corpo del fratello.
Donatello era completamente privo di maschera e
protezioni; portava solo una cintura con delle tasche in vita, contenente
gadget vari. Tutto il corpo, magro e nodoso, era segnato da cicatrici più o
meno visibili. Segni indelebili di vecchi tagli ed ustioni macchiavano ogni
centimetro della sue pelle; alcune cicatrici più profonde, biancastre ed in
rilievo, correvano sulle braccia, sulle spalle, ai lati del viso. Pezzetti del suo
carapace, ai bordi, erano saltati via: guscio e piastrone erano rigati e
frastagliati. La falange di un dito mancava. Un occhio era lattiginoso e opaco,
chiaramente cieco, rosso di capillari agli angoli e con la pupilla quasi di un
azzurro diafano. Dalla caruncola, la cicatrice di una goccia di acido correva
lungo il viso fino al bordo della mascella, trascinandosi un po’ in rilievo
sulla pelle come la scia bianca e lucida di una lacrima. Michelangelo
involontariamente si portò lui stesso la mano a toccare la propria palpebra e
deglutì.
“Cosa ti hanno fatto?” chiese con la voce rotta.
“Beh, penso che hai capito cosa mi abbiano fatto,
Mikey” rispose laconicamente Donatello sollevando un lato della bocca nella triste
parodia di un sorriso.
Raffaello strinse i denti fino a sentirli
scricchiolare.
“Per quanto… Per quanto tempo?” ringhiò.
“Non tantissimo, in realtà. Solo due settimane, o
tre. Sai, in certe situazioni non è facile tener conto del tempo.” Emise una
breve e secca risata nervosa, bassa e sgradevole.
“Dopo i primi giorni, ho risposto a tutto quello
che volevano sapere; ma in verità, dal momento che avevate lasciato il covo,
non c’era più niente di utile che potessi dirgli. Mi hanno perfino chiesto cosa
mangiavamo a colazione, o che programmi guardavamo in tv, o se avevamo un bagno
funzionante. A volte, anche se rispondevo subito, mi torturavano lo stesso. A
volte mi torturavano e non mi chiedevano niente.”
Lo sguardo si perse nel vuoto, la voce si fece
meccanica.
“Alla fine, ho capito che non ero più di nessuna
utilità per Shredder ed i suoi uomini. Mi avrebbero ucciso. Voi non mi avevate
trovato, ed era solo una questione di tempo prima che si fossero stancati di me.
Ho cercato quindi un modo per vivere.”
Il tono calmo, freddo e distaccato di Donatello
fece quasi accapponare la pelle ai suoi fratelli. La luce livida che si
diffondeva nella stanza rendeva tutto gelido, asettico, quasi irreale. Ai
fratelli che ascoltavano col respiro accelerato, il cuore in gola, lo stomaco
stretto dall’angoscia, era stato almeno risparmiato ciò che Donatello aveva
omesso dal suo racconto, vale a dire la seconda opzione che aveva preso a volte
in considerazione, durante la sua orribile prigionia, quella che non aveva mai
potuto mettere in pratica, semplicemente perché i suoi carnefici erano stati
abbastanza accorti da non lasciare nelle sue vicinanze niente con cui avesse
potuto suicidarsi.
“Sapevo che mi stavano filmando e mi sono rivolto
direttamente a Shredder, indovinando che la mia sofferenza fosse uno spettacolo
a suo beneficio. Ho enumerato le mie conoscenze scientifiche. Ho cercato di
convincerlo che uccidere una mente come la mia sarebbe stato un grosso errore.
Ho giurato di servirlo, se mi avesse lasciato in vita. Mentre ero incatenato,
ho elencato ad alta voce delle formule per nuovi supermateriali e tutte le
stringhe per implementare il suo sistema di difesa. Gli ho descritto decine di
modi con cui avrebbe potuto migliorare il suo esercito ed ottimizzare la sua
organizzazione militare.
“Ho parlato, e parlato, in continuazione. Nessuno è
venuto da me, in quei due giorni, ed ho capito che il mio piano stava funzionando.
“Alla fine, Shredder stesso è entrato nella mia
cella. Mi disse che finché l’avessi servito e gli fossi stato utile, mi avrebbe
lasciato in vita. Appena se ne andò, fui liberato dalle catene e trascinato in
un’infermeria, dove venni medicato e nutrito.”
Si fermò un attimo ed abbassò lo sguardo alla
sedia; accarezzò piano il bordo di ferro della ruota. Quando rincontrò lo
sguardo di Michelangelo, si accorse che questi lo stava scrutando, apprensivo.
Il mutante più giovane mostrava chiaramente sul
viso il suo dispiacere e raccapriccio, sembrava che stesse lottando per
trattenere le lacrime; fissò le ginocchia magre del fratello.
“Cos’hai alle gambe? - mormorò in un soffio, allo
stesso tempo spaventato ed obbligato a chiedere. - Sei paraliz-”
“Non sono paralizzato - lo fermò Donatello. - Vedi?” aggiunse muovendo un po’ i piedi sul
supporto di ferro della sedia.
“Mi hanno reciso i nervi delle gambe, per evitare
che scappassi.” Rialzò lo sguardo ai fratelli. L’occhio nocciola fremeva di
risoluzione. “Come se questo avesse potuto fermarmi” concluse, a voce bassa, quasi
parlando a sé stesso, arricciando appena il lato della bocca in un’espressione
allo stesso tempo dolorosa ed orgogliosa.
Raffaello si sentiva ribollire di rabbia. Avrebbe fatto
di tutto per avere Shredder tra le sue mani, lì, in quell’istante. Dovette
ricorrere alle tecniche che gli aveva insegnato suo padre per calmare il
respiro, che stava crescendo quasi ad un ansimare furioso. Il pensiero che
avessero menomato suo fratello per sempre, che lo avessero privato della
facoltà di poter essere un ninja, per il quale si era allenato fin da bambino,
lo riempiva di un senso d’ingiustizia talmente feroce da procurargli la nausea.
Poi, quasi cinicamente, si ritrovò a pensare che se fosse capitato a lui,
ebbene sì che sarebbe stato per il resto della vita un essere completamente
inutile; a Donnie, invece, restava sempre la sua mente eccezionale.
“Come hai fatto a scappare?” gli chiese.
Donatello strinse la mano che aveva portato al
viso, stropicciandosi un po’ la bocca; con l’altra, fece un gesto vago verso
l’ambiente circostante.
“Diciamo che mi sono fatto… degli alleati. Ma parleremo
di questo un'altra volta.”
Sbatté la mani contro i braccioli della sedia e
iniziò ad allontanarsi dal tavolo, a sancire la fine della conversazione.
“Prima voglio dare un’occhiata alle vostre ferite.”
Guardò Michelangelo, nei suo grandi occhi azzurri, stanchi e cerchiati, e gli
regalò l’abbozzo di un sorriso. “Poi dovete riposarvi e rifocillarvi. Avremo
tempo per parlare.”
Alle parole del fratello Michelangelo si rese conto
di quanto debole e dolorante fosse ancora: improvvisamente l’idea di un pasto
caldo e di un vero letto gli apparve davanti luminosa e magnifica.
…
I primi colori autunnali iniziavano a fare capolino
tra il verde intenso delle foglie. La foresta si stagliava intorno alla casa
colonica, l’avvolgeva come in un abbraccio.
Era bello,
qui.
A Michelangelo piaceva molto. Era stranamente
calmante restare ad ammirare il fitto tappeto verde degli alberi, che saliva ad
adagiarsi piano sulle montagne lì in fondo. Era piacevole gustare l’odore buono
e fresco della vegetazione, ascoltare i trilli e le melodie degli uccelli, i
loro richiami reciproci che si intrecciavano e sfumavano tra i rami.
Riusciva a sentirsi un poco meglio, ad allontanare
i pensieri dolorosi dai quali cercava di sfuggire da una vita, qui, da solo, appoggiato
al parapetto di legno del portico. Aveva ormai imparato ad appoggiarsi con una
mano sola, bastava stare più dritti, ed allargare le gambe un po’; ormai, non
gli mancava quasi più non potersi sostenere con i gomiti. Ci si era abituato.
Alzò il viso al cielo. Ieri aveva piovuto ancora,
ma oggi era tornato il sereno. L’azzurro luminoso era ammantato di tante nuvole
candide. Diverse tonalità di un bianco brillante si allungavano e striavano
l’etere, volteggiavano e si ammassavano in forme fantastiche. Sarebbe potuto
restare qui ore ed ore, semplicemente a guardare le nuvole. Sorrise, al
pensiero. Solo un paio di anni prima, l’idea stessa di stare fermo per più di cinque
minuti da qualche parte gli sarebbe sembrata una tortura; adesso, si sarebbe
potuto perdere in quelle nuvole per sempre, a guardare le forme mutevoli farsi
e disfarsi in mille figure. Come quella grande, lì in alto, candore soffice,
che si plasmava nel vento nella vaga forma di un animale ruggente.
Quando Donatello lo raggiunse sul portico,
Michelangelo guardava ancora in su, la fascia arancione luminosa sopra le sue
lentiggini sfacciate, che si ostinavano a restare su un viso in cui le guance
paffute dell’infanzia stavano ormai lasciato il posto ai lineamenti duri
dell’età adulta. La nuvola adesso assomigliava ad un enorme drago, come quelli
che abbellivano la copertina di un libro di leggende giapponesi che Splinter
aveva letto loro tanti anni fa.
“Siamo al sicuro, in questo posto?”
Donatello spinse avanti la sedia, girando con le
mani le grandi ruote di ferro. Alzò anche lui lo sguardo al cielo.
“Sì, abbastanza al sicuro. Quando ho ricalibrato il
sistema satellitare per Shredder ho creato dei buchi nella griglia: noi ci
siamo dentro. Ancora non si sono accorti di questa mia modifica.”
L’arancione annuì. Le ali del drago si stavano assottigliando
e sfaldando al vento.
Il fratello gli si avvicinò ancora, le ruote della
carrozzella adesso a sfiorargli le gambe. Michelangelo si irrigidì. Erano ormai
trascorsi tre giorni dal loro arrivo alla fattoria, ma il senso di irrealtà che
l’aveva avvolto non si era ancora del tutto dissipato. Suo fratello era lì, con
lui. Lo aveva creduto morto, aveva pianto per mesi, aveva prosciugato il suo
cuore nel dolore, aveva convinto tutto il suo animo a tirare avanti, a non
lasciarsi andare, ed adesso l’idea che Donatello fosse ancora vivo lo stordiva
come una lieve ebbrezza. Donatello era
vivo. Aveva passato delle sofferenze indicibili ed adesso coordinava la prima
cellula della Resistenza nel Nord America, a capo di un gruppo di umani che lo
consideravano il loro leader.
Non era più solo un doloroso ricordo, ma era carne,
sangue e guscio.
Era lì, con lui, accanto a lui.
Beh, tecnicamente, più giù, rispetto a lui.
Michelangelo si chiese se avesse dovuto sedersi per terra, per non sovrastarlo,
restando in piedi. Ma facendo così, non l’avrebbe messo ancora di più in
imbarazzo? D’un tratto si rese conto, con sgomento, di non sapere come
comportarsi.
Per la prima volta in vita sua, si sentiva a
disagio accanto a suo fratello.
Suo
fratello… Si stupì al pensiero di dover
ricordare al suo cuore che questo accanto a lui era il fratello con cui era
cresciuto, con cui aveva dormito abbracciato sul tappeto da bambino, giocato
ore ai videogiochi, mangiato nello stesso piatto. Si chiese, vergognandosene al
contempo, quanto nel mutante al suo fianco fosse rimasto di suo fratello,
quanto del suo animo gentile in quello sguardo freddo e sicuro di sé, in
quell’espressione severa e dolorosa che gli induriva i lineamenti deturpati
dalle cicatrici. Se nell’occhio nocciola e rubino restava l’impronta di un
acume e di un’intelligenza fuori dal comune, non vi era più traccia,
Michelangelo l’aveva notato bene, della gioiosa curiosità intellettuale che
aveva sempre distinto suo fratello. Nei giorni passati, la tartaruga in arancio
si era trovato via via più impacciato davanti a questo Donatello che impartiva
ordini, parlava calmo e deciso, con distaccata cordialità, e non lasciava
trasparire la minima emozione.
A questo efficiente robot che indossava le fattezze
del fratello, Michelangelo stranamente non sapeva che dire.
“Come va il braccio?” Fu Donatello allora a rompere
il pesante silenzio.
L’arancione si guardò il moncherino, ancora
fasciato, e lo mosse ruotandolo leggermente.
“Uh… bene. Sempre meglio, ormai. Grazie, Don…
atello.”
Se Donatello si accorse del fatto che il fratello,
che si era sempre rivolto a lui col suo nomignolo infantile o chiamandolo
semplicemente “D”, avesse sentito il bisogno di completare il suo nome, non lo
diede a vedere.
Entrambi tornarono a guardare il cielo. Del drago
ormai restava solo una forma distorta.
Il vento lo stava cambiando in qualcos’altro.
Michelangelo si ritrovò a chiedersi se anche nella
sua vita, come il drago di nuvola, non dovesse ormai rassegnarsi a seguire il
vento, adeguarsi ai cambiamenti, cercare di non perdere la speranza nel futuro
pur sapendo che non sarebbe mai più stato paragonabile al passato. Accettare di
non poter mai più fare quello che faceva prima, sia spianare la pizza o giocare
a flipper o arrampicarsi sui muri. Amare i suoi fratelli per quello che erano
diventati, abituarsi alla zoppia di Raph e alle gravi menomazioni di Donnie,
soprattutto a quelle del suo animo. Rassegnarsi al soffocante senso di
incompletezza che lo tormentava poiché, appena trovato un fratello, la mancanza
di quello che era ancora assente si faceva sentire ogni giorno più forte.
Michelangelo sospirò. Adesso nell’aria si poteva
sentire anche un lontano gracidare di rane.
Il silenzio che scese nuovamente tra i fratelli era
solo l’ombra distorta del silenzio amico che unisce le anime vicine, che
riescono a stare bene senza bisogno di parlare. Non era il silenzio che scaldava
il cuore, quando Michelangelo andava da suo fratello in laboratorio, da
ragazzi, e dopo averlo infastidito un po’, dopo aver scherzato un po’, ed aver
detto magari alla fine pure qualcosa di serio, sapeva restare fermo a guardarlo
lavorare, senza dire niente. Almeno cinque minuti.
No, questo era ormai il silenzio di chi non trovava
più niente da dire, perché ricordare sarebbe stato doloroso, programmare era
diventato un lavoro, commentare aveva perso la sua piacevolezza, dopo tanti
mesi di ricordi e momenti non condivisi. Un silenzio pieno di sensi di colpa, pensando
a quante volte avrebbe voluto parlare a questo fratello e credeva di non
poterlo fare mai più.
Il silenzio adulto di chi adesso non pensava ad
altro che a prepararsi alla battaglia.
La porta cigolò, aprendosi. La bambina più piccola
del gruppo di umani si presentò sul portico.
“Signor Wheel, signor Michelangelo! Il signor
Raffaello vi sta cercando.”
Donatello si girò a guardarla e le sorrise. La
bambina era alla sua stessa altezza.
“Sì, Georgine? Perché?”
“Non lo so. È con i grandi. Ha urlato ‘Dove diavolo
sono quei due deficienti -’”
“Ho capito, ho capito, cara. Arriviamo.” Donatello
si lasciò sfuggire un sorriso divertito. Uno dei rari sorrisi che Michelangelo avesse
visto sul volto del suo fratello ritrovato; a vederlo così, il mutante con un
braccio solo pensò che in fondo, forse, qualcosa di suo fratello fosse rimasto
in quel sorriso, e non fosse solo il diastema.
La bambina annuì compiaciuta, con l’aria fiera di
chi aveva compiuto una grande missione. Aveva portato un messaggio a Wheel! Poi
si piegò verso la tartaruga, con fare cospiratorio.
“E ha detto un sacco di parolacce” bisbigliò.
Michelangelo si mise a ridere, mentre spingeva
dentro la sedia del fratello.
Georgine stava rientrando anche lei, quando alzò
gli occhi al cielo. Vide le sagome bianche contro l’azzurro luminoso. Candido
di fulgida luce c’era anche un grande… drago? No, no, era… era una tartaruga!
Una tartaruga mutante, come il signor Wheel ed i suoi fratelli! Aveva delle ali?
O erano delle spade?
La bambina sorrise. I suoi occhi castani
riflettevano le nuvole.
Più avanti, molti anni nel futuro, le tartarughe
mutanti non le sarebbero sembrate così strane. E lei sarebbe stata fiera di
essere stata lì, con loro, fin dall’inizio. Di aver vissuto con loro, dormito
sotto lo stesso tetto. Di aver guardato quello mascherato in rosso allenarsi
con le sue armi appuntite contro un fantoccio di paglia appeso nel granaio. Di
aver sbirciato quello mascherato in arancio mentre imparava ad usare le armi da
fuoco, fino a diventare uno dei miglior tiratori della Resistenza; di aver
sentito le sue barzellette, raccontate intorno al fuoco ai fuggiaschi spaventati
per strappar loro un sorriso, una risata.
Di aver ascoltato le indicazioni, gli ordini del
loro capo, Wheel, la tartaruga sulla
sedia a rotelle.
Sì, Georgine non lo sapeva ancora, di quanto
sarebbe stata grata, come il resto dell’umanità, a questi mutanti che un giorno
avrebbero sconfitto Shredder, lottando contro l’oppressione, per tutto quel che
restava di buono nel mondo; tre eroi mutanti che l’umanità non avrebbe mai più
dimenticato. Ed avrebbe raccontato ai suoi figli la loro storia, e la storia,
che col tempo era diventata leggenda, della quarta tartaruga, la tartaruga mascherata
di blu, che si era sacrificata in giovane età per proteggere i suoi fratelli; l’eroe
che era scomparso, per sempre, nella luce dell’alba.
Sì, avrebbe raccontato tutto questo. Avrebbe
raccontato loro di quei giorni bui e gloriosi, della Resistenza, della loro battaglia
per la vittoria e della loro ritrovata libertà.
Ma questa è un’altra storia.
N/A Signori viaggiatori, siamo
atterrati.
Grazie
per aver scelto ancora una volta la LaraPink airlines!
Spero
che il volo sia stato di vostro gradimento. La pilota al solito si è divertita
un sacco, a volteggiare tra le nuvole… Bella quella, a forma di tartaruga…
Bene.
Doveva essere una piccola storia ed invece è venuto fuori il mio terzo racconto
più lungo sulle Turtles. Forse la mia storia più triste, con tanto di finale
agrodolce. Mi auguro che vi sia piaciuta *si rosicchia le unghie* Sempre pronta
a giudizi e critiche per migliorarmi il più possibile :)
Ringrazio
ancora una volta la gente stupenda che bazzica questo piccolo grande fandom. Un
abbraccio grande grandissimo a _Abyss_
, NightWatcher96 e piwy per le loro parole <3
Un
ringraziamento speciale alle mie Cartoonkeeper
e Quisquilia Radioattiva che ormai
fanno parte anche della mia “vita vera” in maniera più forte di quanto avessi
mai potuto immaginare.
Queste
sono solo storie… Ma se ci mettiamo cuore, passione e quel poco di tempo libero
che riusciamo a lesinare, diventano un posto speciale, tutto nostro.
Anche
se con qualche giorno di ritardo, auguro a tutti un 2016 più tartarugoso che
mai. A presto!